Da Cook a Heyerdahl, la sfida alle onde

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Da Cook a Heyerdahl, la sfida alle onde
Corriere Viaggi - Corriere della Sera - Giovedì 14 Febbraio 2013 -
Umbria e Liguria
si promuovono
con app e social
La storia
L’Umbria sceglie le app (le applicazioni per
mobile), mentre la Liguria si promuove sui social
network. Scelte strategiche quelle delle due
Regioni, che vanno incontro ai nuovi appassionati.
La pagina Facebook della Liguria ha raggiunto
33
quasi 28 mila fan, con una media settimanale di
63 mila contatti nei mesi invernali e circa 5-6 mila
visualizzazioni per ogni post. L’Umbria lancia delle
app per promuovere le mostre e il patrimonio
culturale (su AppStore e su Google Play).
DAL KENYA PARTIRÀ CON UN DHOW
In barca, per abbattere le frontiere
L’idea del romano Paolo Rodo: il giro della Terra con una «ciurma» cosmopolita
di Stefano Landi
Ha scelto il mare perché si viaggia via col vento, senza
bisogno di svenarsi per la benzina. Paolo Rodo ha 28 anni, ma è in giro da una vita. Con biglietti sempre di sola
andata. «Un giorno ho sentito il bisogno di ricambiare
quello che avevo ricevuto, nella speranza che il mio messaggio servisse a qualcuno», racconta.
Così è nata l’idea di Musafir: costruire in
Kenya una barca e girare il mondo con
un equipaggio di persone di diverse etnie e religioni evitando la burocrazia delle frontiere terrestri. Senza meta, senza
tempo, né orologi a bordo. Il giro del
mondo durerà più dei canonici 80 giorni, magari anni. La ciurma sarà composta da una ventina di persone. Australiani, americani, finlandesi. Un siciliano e
un bolzanino. L’hippy con la barba ma
anche l’universitario che sa estrarre l’acqua dalla roccia. «Tanti mi promettono
che verranno, ma finché non li vedo a
bordo non posso contarci».
La barca sarà un dhow tutto in legno, 60
piedi, a vela stile caravella. «In Kenya ho
conosciuto tre maestri d’ascia della tribù Bajuni e abbiamo iniziato a costruire». Gente che vive dell’esperienza maturata vedendo le barche passare in porto, si fa tutto a occhio. Rodo ha messo
da parte i soldi per costruirla in Australia, lavorando 20 ore al giorno come pescatore d’altura. Quando è lontano si tiene in contatto col team di lavoro grazie
a (preistoriche) connessioni Internet. Se
è qui, invece, vive in una mansarda del
cantiere davanti al fiume Tana, il più
grande del Kenya. «In passato ho lavorato in eco-villaggi, ho fatto l’apprendista
per un falegname in Sudafrica: l’esperienza manuale non mi manca». Sulla
spiaggia di Kipini si vive con poco: riso e
il pesce che i pescatori portano in cambio di un attrezzo da lavoro. L’affitto del
cantiere costa 30 centesimi al giorno, 15
mila euro per la barca finita. La costruzione di Musafir è a oltre il 60 per cento.
«Vorrei partire ad ottobre, con i venti stagionali giusti: la prima tappa sarà Zanzibar, poi ci fermeremo dove potremo essere utili alle comunità locali, portando
conoscenza e piccoli progetti sostenibili». Parchi gioco per bambini, pozzi, mulini a vento, desalinatori a energia solare. «Mi piace l’idea di lasciare un segno
e non essere solo di passaggio».
Ma cosa spinge a chiudere il mondo in
una (piccola) valigia e salire sul primo
aereo e partire? «Forse la noia che provavo crescendo ad Anzio, alle porte di Roma: frequentavo l’istituto tecnico, mi
sembrava di non imparare niente di utile, ho mollato a un anno dalla fine». Primo viaggio in Irlanda, a 18 anni, come
tanti, ufficialmente, per imparare l’inglese. «Poi ho seguito alcuni ragazzi che andavano in Costarica, mi mantenevo lavorando in uno zoo». Una vita nomade,
non sempre facile. Dopo aver camminato per 5 mila chilometri da Città del Capo allo Zimbabwe in una marcia di sensibilizzazione dei diritti Masai, la polizia
Imprevedibile Il romano Paolo Rodo, 28 anni, seduto su un pezzo della barca che dal Kenya lo porterà a fare il giro del mondo. In alto, i suoi
compagni d’avventura impegnati a realizzare l’imbarcazione. Nell’ultima foto a destra, lo «scheletro» del dhow (foto: Giovanni Cobianchi)
locale lo arrestò: era senza passaporto,
avendolo bruciato per essere coerente
con il messaggio di abbattimento delle
frontiere che portava avanti. «Lì ho capito che se non volevo essere una pallina
da ping pong e venire rispedito ogni volta al mittente, un documento dovevo
mettermelo in tasca». Da lì ripartì subito, prima l’Iran in autostop, poi il Pakistan in bicicletta: 10 mila chilometri, la-
Una vita nomade:
«Ci fermeremo dove
potremo essere utili
alle comunità locali»
sciandosi alle spalle Cina, Cambogia,
Malesia e Indonesia. Viaggiare da soli significa vivere allo specchio. Non cercare un monumento da fotografare ma
persone da conoscere. «Tanto soli veramente non si è mai, c’è sempre un sorriso che incontri. A volte però senti l’esigenza di condividere con qualcuno i momenti o i paesaggi più belli». Dall’Italia
Rodo ha staccato la spina. Una chiama-
ta a casa una volta al mese per tranquillizzare i genitori. «Sono fieri delle mie avventure, che mi sia costruito la vita che
sognavo senza chiedere in cambio un
soldo: mio padre mi chiama Marco Polo». Anche gli amici ogni tanto lo raggiungono, per quella che sarà una vacanza più che un viaggio. Per loro Paolo
Rodo è sempre il vecchio «Cicoria», per
via di quella criniera di capelli sempre
mossi in testa. «Sono stupiti di vedermi
ogni volta così a mio agio con le comunità locali».
Rodo parla sette lingue. Oltre a italiano,
inglese e spagnolo, mastica portoghese,
tedesco, indonesiano e swahili. «Incontrare culture diverse ti insegna a non giudicare gli altri, ma a rispettare tutti».
Ogni volta in valigia ha il minimo indispensabile: un sacco a pelo e un blocco
per scrivere la sera. «Non è un diario,
ma un modo per verbalizzare quello
che mi passa per la testa mettendo ordine nelle mie giornate». La sua vita è
un’eterna partenza. In questi giorni lo
potrete incontrare sui Pirenei sulla orme dei Catari, destinazione Galizia. Tremila chilometri a piedi in solitaria. Un allenamento in attesa che Musafir sia
pronto per salpare. Ci fosse Eddie Vedder a musicarlo con l’ukulele, sarebbe la
versione italiana di «Into the Wild». «Ma
io sono partito prima che uscisse il film
di Sean Penn: nel 2007, tutti quelli che
incontravo mentre viaggiavo verso Capo Nord mi dicevano che sembravo il
personaggio della storia. Eppure il mio
idolo è sempre stato Forrest Gump». Come lui, Rodo corre come il vento che soffia.
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PRECEDENTI ILLUSTRI
Da Cook a Heyerdahl, la sfida alle onde
N
essun uomo è un’isola, ma qualcuno ha segnato la storia del mare galleggiandoci sopra gran parte dei suoi giorni. Eroi, forse folli, navigando verso l’ignoto hanno scoperto un
mondo nuovo quando la tecnologia della nautica era un’utopia. In principio fu
Ferdinando Magellano, il primo uomo
a circumnavigare il globo, il primo europeo a attraversare l’Oceano Pacifico. Onda su onda, il navigatore portoghese regalò ai posteri tante sentenze: intanto,
che la terra è una sfera e che la sua circonferenza è molto più grande di quello
che un geografo seduto a tavolino potesse immaginare. Poi toccò all’esploratore britannico James Cook, che nel Settecento toccò terra in Australia e Nuova
Zelanda. Sontuoso marinaio, talentuoso cartografo, a Cook, che costringeva
l’equipaggio a nutrirsi di crauti e agrumi, sono stati intitolate isole, monti,
ghiacciai, baie e crateri lunari. Un secolo dopo il simbolo dei mari divenne l’ir-
landese Ernest Henry Shackleton, cantato anche in epoche recenti da Franco
Battiato per le sue traversate del continente antartico. Shackleton divenne un
eroe il giorno che salvò tutti gli uomini
dell’equipaggio nonostante la nave fosIntrepido
L’esploratore
norvegese
Thor Heyerdahl
(1914-2002).
A bordo di una
zattera di legno
di balsa attraversò
l’Oceano Pacifico
dall’America del
Sud fino alle Isole
Tuamotu. La sua
avventura con il
Kon-Tiki divenne
un documentario
che gli valse un
Oscar nel 1952
se distrutta dalla pressione dei ghiacci.
Diventò invece baronetto sir Francis
Chichester navigando in solitaria intorno al mondo a 65 anni. Impresa doppia:
con nove mesi e un giorno riuscì a battere anche il record di velocità. «Ogni
sciocco potrebbe fare il giro del mondo
a vela, ma ci vuole un marinaio con grossi attributi per riuscire a farlo da sbronzi» commentò candido alla vigilia del
viaggio mentre caricava a bordo infinite
casse di gin. Navigare in condizione
estreme era il pane anche di Thor Heyerdahl, biologo norvegese che sfidò il mare con mezzi rudimentali. Pur di dimostrare le possibilità degli Inca di raggiungere e colonizzare la Polinesia navigò
sul Kon-Tiki, una zattera di legno di balsa, per oltre quattromila miglia dal Sud
America alle isole Tuamotu e poi con il
Ra II, imbarcazione di papiro tipo quelle usate dagli antichi Egizi, raggiunse le
Antille salpando dalle coste marocchine. Due avventure che gli valsero gloria
anche sul grande schermo. Con
«Kon-Tiki», Heyerdahl vinse l’Oscar nel
1952 nella categoria documentari, mentre vent’anni dopo conquistò una nomination per il film «Ra». (ste.la.)
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