A003141 TALENTO. SUPER BIMBI Famiglia

Transcript

A003141 TALENTO. SUPER BIMBI Famiglia
A003141, 1
A003141
FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da Mente & Cervello del 15/3/2015, <<TALENTO: SUPER BIMBI>>
di Daniela Ovadia, giornalista.
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile
citato.
I bambini con una intelligenza superiore alla media hanno
bisogni speciali.
Proprio come i coetanei con deficit di
apprendimento.
Misure di sostegno. È naturale che le attenzioni degli
insegnanti vadano ai bambini che mostrano maggiori difficoltà, ma
in questo modo i più dotati finiscono per non ricevere gli stimoli
necessari.
“”Papà, hai ragione, essere troppo intelligenti è veramente
una sfortuna “”.
A pronunciare questa frase è Lisa Simpson, la figlia smart
della famiglia Simpson, uno dei personaggi più riusciti della
famosa serie di cartoni animati.
E in Lisa si identificano molti bambini americani, che
apprezzano di lei proprio il fatto che, pur essendo bravissima a
scuola e molto intelligente, è spesso «fuori contesto» e fatica
rapportarsi con il proprio ambiente e la famiglia.
Lisa Simpson è una bambina gifted, un termine che in italiano
viene tradotto con talentuosa, iperdotata o plusdotata: significa,
secondo la definizione più diffusa, che ha un quoziente
intellettivo pari o superiore a 130.
Rientra quindi in quei 5-8 per cento della popolazione che,
secondo le stime, si situa all'estrema destra della curva
gaussiana che rappresenta la distribuzione normale
dell'intelligenza tra gli esseri umani.
Sebbene spesso non siano riconosciuti come tali, i ragazzi
plusdotati, secondo Steven Pfeiffer, uno dei massimi esperti del
campo, docente di psicologia presso la Florida State University,
hanno comunque bisogni speciali, esattamente come quelli che si
trovano all'estremo opposto della curva.
«Hanno necessità di un supporto sia dal punto di vista
educativo sia da quello comportamentale, psicologico ed emotivo»,
spiega.
«Non è detto infatti che tutti questi elementi della
personalità si sviluppino in modo armonioso parallelamente al
dispiegarsi di un'intelligenza superiore alla norma».
LA SCUOLA ITALIANA.
In Italia i bambini plusdotati sono guardati con sospetto, e
il riconoscimento dei loro bisogni viene spesso archiviato, specie
nel mondo della scuola, come la classica «americanata».
Eppure negare la loro esistenza, se non altro per pure
ragioni statistiche, è un comportamento più ideologico che
realistico.
A003141, 2
«La scuola italiana ha scelto un modello educativo che si
basa sull'integrazione delle diversità, il che è corretto dal
punto di vista etico, ma richiede un forte impegno in termini
educativi e di tempo che non sempre si riesce a realizzare nella
pratica.
È quindi quasi naturale che le attenzioni vadano ai bambini
con maggiori difficoltà piuttosto che a quelli che hanno bisogno
di più stimoli», spiega Maria Assunta Zanetti, professore
associato di psicologia dell'educazione e dell'orientamento
all'Università di Pavia e fondatrice di Labtalento, una realtà
unica nel panorama italiano, interamente dedicata allo studio dei
bambini plusdotati e alla ricerca in questo campo.
Zanetti ha anche collaborato con il Ministero dell'istruzione
per il recepimento delle direttive europee in materia, stabilendo
criteri di identificazione dei talentuosi e possibili misure di
sostegno.
PERCORSI PERSONALIZZATI.
Per quanto possa sembrare paradossale molti ragazzini si
ritrovano espulsi o emarginati dalla scuola proprio a causa di
un'intelligenza superiore misconosciuta.
È il caso di Matteo, un ragazzino giunto all'attenzione del
centro dell'Università di Pavia dopo che i genitori, sollecitati
dall'insegnante che si lamentava della sua irrequietezza, avevano
ricevuto una diagnosi di ADHD, la sindrome da iperattività e
deficit di attenzione che si accompagna a scarsi risultati
scolastici.
In seguito a questa ipotesi diagnostica, al bambino sono
stati somministrati alcuni test neuropsicologici, tra i quali un
test di intelligenza: Matteo ha totalizzato 148 punti, situandosi
nel 2 per cento della popolazione che raggiunge un simile livello.
Eppure i suoi risultati scolastici erano pessimi, sia per
ragioni comportamentali sia perché si rifiutava di fare i compiti
e svolgere le prove di verifica.
Ora ha cambiato scuola, e segue un programma potenziato.
I genitori dicono che è cambiato, è felice e ha ottimi
risultati.
«Talvolta comportamenti di questo tipo portano persino
all'abbandono scolastico, senza che se ne riconosca la causa, in
particolare quando la plusdotazione si manifesta in contesti
sociali o culturali disagiati», continua Zanetti.
«Per questo è importante che gli insegnanti sappiano
riconoscere i segnali di una disaffezione che nasce dalla noia e
dallo scarso interesse per ciò che si ascolta a scuola».
Errore comune.
Anche negli Stati Uniti, dove l'attenzione per i bambini talentuosi è maggiore, si tende a ritenere che
l'intelligenza sia sufficiente per superare ogni difficoltà.
Invece è spesso vero il contrario: bambini molto dotati in alcuni settori possono soffrire per la
frustrazione di non riuscire in altri ambiti. Tanto da smettere di impegnarsi.
A003141, 3
In Olanda, dove il concetto di plusdotazione è radicato da
oltre un quarto di secolo, i manuali, fin dalla scuola primaria,
riportano alcuni esercizi con l'asterisco, dedicati ai bambini con
particolari abilità: un approccio che fa rabbrividire la maggior
parte degli educatori italiani, per i quali qualsiasi segno
esteriore di diversificazione tra gli studenti è da maneggiare con
molta cautela.
«Il problema con i bambini plusdotati è che oltre ad avere un
quoziente intellettivo alto possono manifestare un talento in una
determinata area cognitiva ma non in un'altra.
Possono essere
bravi con le parole ma pessimi con i numeri; dotati di musicalità
e talento artistico ma incapaci di sostenere un'interrogazione
orale; bravissimi nello sport -non solo fisicamente ma anche dal
punto di vista del coordinamento e del ragionamento tattico- ma
carenti per altri aspetti.
La plusdotazione va gestita a livello individuale con
percorsi personalizzati e non certo come un monolite», continua
Zanetti.
In pratica un'intelligenza elevata è solo uno degli aspetti
della plusdotazione, che può accompagnarsi a un particolare
talento più settoriale.
Uno degli errori comuni, anche nei paesi come gli Stati Uniti
dove esistono scuole separate per i bambini talentuosi -il che non
è necessariamente un bene per il loro sviluppo emotivo e socialeè ritenere che l'intelligenza sia sufficiente per sbrogliarsela da
soli e superare tutte le difficoltà.
Le iniziative educative.
Nel 2006, Eurydice, la rete di informazione sull'istruzione in Europa, ha realizzato un
documento di lavoro sulle misure specifiche in ambito educativo dedicate ai giovani dotati nei
Paesi dell'Unione europea.
Ogni paese ha adottato misure proprie che vanno dalla possibilità di seguire un percorso di
studi abbreviato -teoricamente possibile anche in Italia sebbene non comune- alla messa a punto di
attività di livello avanzato, per uno studio più approfondito delle discipline scolastiche.
In alcuni casi questo si traduce in un curriculum differenziato, per seguire propri ritmi di
apprendimento.
In molti paesi esistono attività extrascolastiche specifiche, che consentono di sviluppare le
capacità in uno specifico settore (corsi estivi, attività artistiche).
In Italia il Labtalento dell'Università di Pavia collabora nell'organizzazione di campi estivi
per ragazzi talentuosi, con l'obiettivo di farli incontrare e di permettere loro di sviluppare una
socialità condivisa con chi vive le loro stesse problematiche.
Infine molti hanno messo a punto corsi di formazione specifici per i docenti di vario ordine e
grado, un bisogno molto sentito anche nella scuola italiana.
A parte il dato poco significativo del quoziente intelletivo, non c’è accordo su come valutare
correttamente la plusdotazione.
A003141, 4
«È spesso il contrario: abituati a riuscire con relativa
facilità in certi contesti, i bambini con talenti settoriali
possono essere molto frustrati dalla scarsa riuscita in altri,
tanto da abbandonare completamente ogni impegno scolastico»,
spiega Pfeiffer, che ritiene esista un «pregiudizio antielitista»
nell'educazione, che è ormai superiore al quello che un tempo
dovevano affrontare i bambini con disturbi dell'apprendimento.
«Per via di questo stesso pregiudizio è difficile trovare
fondi per fare ricerca in questo settore», continua.
La ricerca sarebbe però quanto mai necessaria, perché non c'è
accordo su come valutare la plusdotazione, a parte il dato grezzo
e in fondo poco significativo del quoziente intellettivo.
«Mancano test in grado di discriminare a sufficienza tra le
diverse forme di intelligenza nell'età evolutiva e soprattutto
mancano studi che orientino la costruzione dei percorsi educativi
personalizzati», spiega Pfeiffer.
«E servirebbero fondi per un'identificazione precoce, senza
aspettare manifestazioni patologiche come depressione o apparente
deficit di attenzione per inviare il bambino o la bambina a fare
una buona valutazione neuropsicologica».
In Italia il problema sta emergendo con maggior forza negli
ultimi anni, paradossalmente per via di una legge, la 170 del
2010, nata per fornire un quadro normativo alla diagnosi e
gestione dei bambini con disturbi dell'apprendimento.
In successive modifiche e circolari attuative, il Ministero
dell'istruzione ha allargato le maglie della tutela a chiunque
abbia un bisogno educativo speciale (BES), temporaneo o cronico.
Tra i BES rientrano non solo i bambini con difficoltà
psicologiche, deficit sensoriali o disturbi di varia natura, ma
anche -almeno in teoria- quelli con plusdotazione.
Per loro gli insegnanti potrebbero mettere a punto piani di
formazione personalizzati, che consentano a questi bambini di
coltivare le proprie capacità pur restando nella classe con tutti
gli altri, ma ciò accade molto di rado, e solo nelle scuole e
città dove c'è stato un lavoro di sensibilizzazione
sull'argomento.
FATTORE DI STRESS.
Il vantaggio genetico da cui deriva un elevato quoziente
intellettivo non è quindi una garanzia di successo, e talvolta,
quando il bambino ne ha una consapevolezza esplicita, può essere
addirittura un ulteriore fattore di stress.
Dopo una serie di ricerche effettuate negli Stati Uniti, lo
psicologo Richard Nisbett ha attribuito l'elevato tasso di
depressione tra gli studenti delle scuole per plusdotati alla
perdita della soddisfazione che deriva dal vedere che i propri
sforzi vengono ripagati dal successo.
Ciò che si ottiene senza faticare non dà soddisfazione, ed è
per questo che compiti a casa e valutazioni troppo facili possono
scoraggiare il bambino dotato, mentre un compito che lo stimola
può ridargli l'entusiasmo che ha perso.
A003141, 5
Ovviamente lo stesso fenomeno può interessare i genitori,
spingendoli a non valorizzare a sufficienza i risultati del
bambino e ad alzare sempre più l'asticella, talvolta troppo.
«Quando un bambino eccezionalmente dotato viene supportato da
una buona educazione e da aspettative realistiche, possono
accadere cose meravigliose.
Questo perché la genetica, la
biologia, non sono tutto: l'ambiente è importantissimo, e può
distruggere anche ciò che è biologicamente determinato.
E in altri casi la genetica può far superare i limiti di un
ambiente disagiato, come ci dimostra la storia di molti talenti
emersi nel mondo della scienza e dell'arte», continua Nisbett.
L'età critica per questi bambini è quella che va dalla prima
infanzia alla prima adolescenza (12-13 anni), fino alla fine delle
scuole medie.
E proprio le medie sembrano, almeno in Italia, essere il
momento di maggior crisi, sia per come sono strutturati i
programmi nella scuola italiana –con una molteplicità di materie
nessuna delle quali viene affrontata in profondità- sia per la
didattica, che è rimasta, in questo ordine scolastico, più
arretrata che in altri, complici anche le riforme che si sono
susseguite negli anni ma che hanno interessato principalmente la
scuola primaria e la secondaria di secondo grado.
In genere dopo i 13 anni i problemi comportamentali si
attenuano, e la curiosità verso il mondo viene sostenuta e
appagata anche da attività extrascolastiche che l'individuo può
scegliere in autonomia.
LO SPARTIACQUE CULTURALE.
L'area di maggior fragilità, anche nell'adolescenza, rimane
quella psicologica.
Vi è una letteratura scientifica molto ampia riguardo agli
effetti psicologici del talento, che forniscono prove a sostegno o
contro due ipotesi diametralmente opposte: che l'intelligenza e il
talento aiutino la resilienza -ossia la capacità di fare fronte e
superare le difficoltà della vita- oppure che abbiano l'effetto
opposto e portino a un aumento della vulnerabilità e
dell'instabilità emotiva, per via di una maggiore sensibilità ai
conflitti interpersonali.
Questa seconda ipotesi è stata per lungo tempo dominante, da
Cesare Lombroso in poi, smentita solo parzialmente da studi
longitudinali condotti tra gli anni trenta e quaranta che hanno
dimostrato come gli individui superdotati abbiano una minore
incidenza di patologie psichiatriche o psicologiche rispetto ai
gruppi di controllo.
Lo spartiacque culturale, in questo settore di ricerca, ha
una data e un nome: nel 1981 un ragazzo statunitense, Dallas
Egbert, si suicidò lasciando un gran numero di scritti e lettere
sulle sue difficoltà psicologiche e sociali.
Dallas era un giovane molto dotato, inserito in uno dei
programmi più prestigiosi per l'educazione dei talentuosi.
A003141, 6
La sua morte, di cui i media parlarono ampiamente, convinse
l'opinione pubblica statunitense del fatto che l'intelligenza non
fa la felicità.
Da allora le ricerche non si sono fermate, ma non sempre
analizzano lo stesso fattore, e quindi non vi è ancora una
risposta univoca al problema, né uno strumento in grado di
discriminare eventuali sottogruppi più a rischio di altri per
disturbi dell'umore.
In generale, i ragazzi e le ragazze molto dotati hanno una
maggiore capacità di adattamento alle richieste dell'ambiente, e
ciò dovrebbe preservarli da ansia e depressione, ma sembra che vi
sia invece un piccolo gruppo per il quale accade il contrario.
L'età critica.
Per i bambini iperdotati l'età più difficile è quella che va dalla prima infanzia alla prima
adolescenza. Poi la loro naturale curiosità viene soddisfatta anche da attività extrascolastiche che
possono favorire i loro particolar talenti.
Una confusione analoga di risultati si registra negli studi
che hanno cercato di valutare i livelli di autostima tra i
plusdotati: a fronte di una maggioranza di analisi che riportano
un'autostima adeguata, altri riportano un deficit o, viceversa,
un'eccessiva autostima che può inficiare la relazione con
l'ambiente e col prossimo, con evidenti ricadute psicologiche.
Infine studi di psicologia sociale condotti negli anni
novanta hanno dimostrato che il quoziente intellettivo non si
correla necessariamente con la competenza sociale, quello che
comunemente si chiama «lo stare al mondo»: molto dipende dalla
struttura generale dell'intelligenza del soggetto e dall'area
nella quale si sviluppa il talento predominante.
Per questa stessa ragione le ricerche hanno mostrato nei
ragazzi plusdotati una prevalenza lievemente superiore a quella
attesa per i comportamenti devianti -uso di droghe, piccoli furti,
bullismo- che potrebbero essere un campanello d'allarme per il
disagio sociale ma anche una conseguenza di una scarsa
accettazione, da parte delle istituzioni scolastiche e dei pari,
della loro «diversità».
SUPERARE I PREGIUDIZI.
Uno studio interessante, condotto dalla psicologa
statunitense Carol Dwek (considerata una delle massime esperte di
plusdotazione e autrice del best seller Mindset), ha mostrato che
esistono anche differenze legate al genere: le ragazze tendono a
considerare le proprie doti innate e non modificabili, con un calo
di autostima, mentre i ragazzi sono convinti di poter sviluppare
le proprie capacità con la pratica.
Ciò dipende dall'educazione: il fatto che le bambine siano
mediamente più brave a scuola fin dai primi anni le porta a
considerare la cosa come una sorta di dono di cui non hanno alcun
merito, mentre le lodi con cui i maschi vengono accolti quando
A003141, 7
mostrano un buon risultato scolastico rafforzano in loro l'idea di
poter gestire il proprio talento, piegandolo ai propri interessi.
La soluzione, per questi ragazzi, non è a portata di mano,
perché non esiste, al momento, alcuna dimostrazione che un sistema
di supporto sia migliore dell'altro e non c'è neanche un consenso
sufficiente, nella comunità scientifica, sugli strumenti di
misurazione e valutazione.
Persino negli Stati Uniti, dove il cambiamento dei criteri di
valutazione dalla misurazione del QI a sistemi più complessi che
tengono in considerazione diversi fattori ha fatto crescere il
numero di bambini e ragazzi candidati a programmi di supporto, le
autorità cominciano a chiedersi se gli interventi rispondono a
criteri di costo-efficacia.
In Italia, dove secondo le stime esisterebbero 150.000
bambini e ragazzi davvero eccezionali e quasi 900.000 plusdotati,
il problema dei costi di intervento potrebbe far morire sul
nascere qualsiasi progetto.
Per questo è necessario superare i pregiudizi sulla
plusdotazione e vagliare l'efficacia dei modelli di sostegno a
lungo termine, confrontandoli con l'assenza di sostegno.
In pratica dobbiamo capire se investire in modo specifico sui
talentuosi è un campanello d’allarme per il disagio sociale che
provano molti di loro.
E con quale criterio di identificazione- fa di loro persone
più riuscite e più felici rispetto a trattarli come gli altri.
La leggera prevalenza di comportamenti devianti nei soggetti talentuosi il disagio sociale
che provano molti di loro.
Per spiegare questo paradosso, lo psicologo Dean Keith
Simonton ha pubblicato su «Psychological Review» un articolo che
sfrutta il modello epigenetico per spiegare che cosa determina
l'intelligenza effettiva di un individuo, ossia quella forma di
intelligenza che si traduce anche in successo nella vita.
Usando come metafora il noto programma televisivo X Factor,
Simonton paragona i giovani plusdotati ai concorrenti dello show.
Per vincere serve certamente una bella voce -che nel caso
dell'intelligenza si può comparare al substrato genetico- ma poi
ci vuole anche una bella presenza, la capacità di stare in scena,
personalità, cultura e così via.
Per restare nella metafora musicale, un talento musicale non
è la somma di una predisposizione genetica a cui si aggiunge un QI
elevato e molto esercizio: il cosiddetto «X factor» è un fattore
multidimensionale estremamente complesso, in cui un elemento più
debole -che nella metafora può essere paradossalmente proprio il
talento musicale- può essere compensato da una «dose extra» di
intelligenza o di studio.
<<Ecco perché la misura del quoziente intellettivo non può
più essere l'unico criterio per individuare una promessa>>,
conclude Pfeiffer.
A003141, 8
<<Dobbiamo imparare a sostenere i talenti nella loro natura
multidimensionale>>.