Bambini superdotati
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Bambini superdotati
Bambini superdotati Anna Oliverio Ferraris, Sabrina Di Matteo, Jolanda Stevani Anche se in ambito psicologico il concetto di diversità è sempre stato un campo di indagine privilegiato, tuttavia, a livello pratico ed educativo, si è dedicata assai spesso molta più attenzione alle problematiche dei soggetti portatori di handicap o svantaggiati piuttosto che a quelle dei cosiddetti superdotati, ossia di coloro che possiedono un equipaggiamento di partenza superiore alla norma. Quando si parla di bambini prodigio o di bambini superdotati è facile rendersi conto di quanto radicati siano i pregiudizi e gli stereotipi che li circondano: del resto, già nel termine di superdotato compare il prefisso “super”, che rimanda a un’idea di superiorità, di un qualcosa che sovrabbonda. Sono bambini che, per quanto riguarda la sfera intellettiva, non seguono i normali ritmi evolutivi e rispetto alla loro età anagrafica mostrano delle capacità paragonabili, se non addirittura superiori, a quelle degli adulti. Per questo motivo essi suscitano emozioni ambivalenti: se, da una parte, ne rimaniamo stupiti, li ammiriamo e magari li invidiamo, dall’altra ne siamo intimoriti e li guardiamo con diffidenza, considerandoli esseri misteriosi e temibili nella loro atipicità. Pensando poi alle loro eccezionali qualità, siamo portati a credere, in modo quasi automatico, che questi bambini porteranno a termine la loro carriera scolastica senza sforzi e con il massimo dei risultati, apparendoci d’altra parte scontato che diventeranno adulti di successo, sia in ambito lavorativo che sociale. Insomma, la credenza comune è che tali bambini siano avvantaggiati a tal punto da non avere bisogno di particolari attenzioni: l’idea del di più, dell’eccesso, ci fa perdere di vista la questione di base, vale a dire la loro diversità, con tutte le conseguenze che l’essere differente comporta. Permettere ad un bambino superdotato di svilupparsi armoniosamente non è una cosa facile in un contesto poco preparato a rispondere alle sue particolarità e ai suoi bisogni. Chi è il superdotato? Di solito, quando si parla di una persona e la si definisce dotata, il termine è utilizzato in senso positivo 1 BAMBINI SUPERDOTATI e indica alcune particolari capacità, generalmente in campo intellettivo, qualche volta in quello fisico. Diverso è invece il concetto di “superdotazione” che, come quello di intelligenza, è complesso. Tale nozione non è circoscrivibile alla sola sfera intellettuale, la definizione di dotazione infatti chiama in causa un insieme di fattori: abilità innate, caratteristiche di personalità e aspetti socio-culturali. D’altra parte, molto spesso si tende ad usare in maniera intercambiabile i termini di superdotazione e di precocità, tuttavia, se è frequente che i bambini superdotati mostrino un ritmo di sviluppo anticipato rispetto ai loro coetanei, non sempre un bambino precoce può essere definito superdotato: ci può essere un vantaggio iniziale nello sviluppo di una specifica area, che però rientra in seguito nei normali parametri evolutivi. La definizione di superdotazione che oggi riscuote maggiore consenso è quella che la descrive come “potenziale cognitivo e motivazionale per raggiungere l’eccellenza in una o più aree, e si identifica in parte con un livello superiore di abilità generale e in parte con l’eccezionalità di un talento specifico, come quello musicale o artistico”. In base a tale definizione, i bambini che possiedono capacità superiori alla norma possono essere forniti di una capacità cognitiva generale oppure di un talento specifico, raggiungendo in entrambi i casi risultati sbalorditivi; è alla prima delle due possibilità che di solito facciamo riferimento quando parliamo in particolare dei superdotati, riservando al secondo caso l’espressione “dotato di talento”. È opportuno fare una precisazione anche riguardo al cosiddetto “bambino prodigio”, che rappresenta un caso a parte rispetto al concetto di dotazione. Più precisamente, i bambini prodigio mostrano un talento eccezionale in un ambito specifico ed esprimono le loro capacità in età precoce: sin da piccoli si rivelano in grado di ottenere risultati di grande rilievo, contravvenendo alla normale successione delle tappe evolutive. In sostanza, le attitudini del bambino prodigio non sono diverse da quelle degli altri bambini, ciò che le differenzia è l’importante anticipazione con la quale esse si manifestano nel ciclo di sviluppo. PSICOLOGIA CONTEMPORANEA N. 206 - MAR.-APR. 2008 Secondo le stime degli psicologi i bambini superdotati costituiscono il 2% della popolazione infantile. I contributi di numerosi studi sull’argomento, alcuni dei quali condotti per oltre mezzo secolo (come il famoso studio longitudinale dello psicologo americano Lewis Terman), consentono di isolare e chiarire alcune caratteristiche intellettive e tratti di personalità tipici di tali soggetti. 1) Il primo elemento di distinzione è la precocità: i bambini superdotati hanno spesso uno sviluppo intellettivo anticipato e compiono progressi più rapidi rispetto ai loro coetanei. Possiedono una capacità di apprendimento non solo più pronta, ma anche qualitativamente diversa in confronto a quella dei bambini della loro età; prediligono un pensiero logico, lineare e deduttivo; hanno bisogno solo di una quota minima d’aiuto da parte degli adulti nello svolgere i loro compiti e manifestano in genere una certa insistenza nel volersela cavare da soli. 2) Un secondo elemento è la motivazione: i superdotati appaiono intrinsecamente motivati e molto tenaci nel perseguimento dei loro obiettivi. Possiedono una curiosità vivace e poliedrica che si traduce in una molteplicità di interessi e nella passione per la lettura. Sono in grado di mantenere con facilità un’elevata soglia di concentrazione, cosicché a volte sembrano perdere il contatto con il mondo circostante. Non si scoraggiano di fronte a problemi complessi, ma ne sono stimolati e quando si trovano alle prese con un ostacolo non si danno per vinti e cercano di superarlo. Pur amando la compagnia molti mostrano anche una marcata introversione e sono selettivi nella scelta delle amicizie. Come si scopre un superdotato Generalmente, i superdotati che vengono “etichettati” come tali sono individuati da genitori o insegnanti sensibili alle singolarità caratteriali e alle performance di questi bambini; a tale proposito un uomo di 28 anni1 racconta: «I miei genitori si sono resi conto di avere un figlio un po’ particolare alle elementari. Le maestre a scuola cominciavano a dire qualcosa a mia madre: “Guardi che ha fatto questa cosa, mi sembra strano, ma…”. Magari davano dei compiti che io facevo in quattro e quattr’otto e agli altri dovevano spiegarli e rispiegarli». Può invece accadere che altri soggetti, con un QI altrettanto elevato, non vengano riconosciuti come particolarmente dotati, sia perché non rivelano tratti specifici, sia per motivi legati alla loro vicenda esisten2 BAMBINI SUPERDOTATI ziale. Una donna di 44 anni, casalinga, ricorda: «Ho perso il padre quando avevo tre anni e mezzo. Mia madre mi ha sempre ammirata, da un certo punto di vista, perché avevo ottimi voti, però non si è mai accorta di niente, io stessa mi sono sottovalutata fino a quando non sono entrata a far parte del Mensa, quindici anni fa». L’identificazione di un bambino o di un ragazzo come superdotato non è un’operazione facile e offre il fianco a critiche. Per poter definire un soggetto come superdotato, generalmente si assume come fattore discriminante il quoziente intellettivo (QI), per la valutazione del quale si impiegano strumenti psicometrici (come i test di Binet e Simon, di Terman e Merrill, le Scale Wechsler o Cattell). I soggetti che conseguono risultati superiori a 130 sono classificati come superdotati. Non tutti gli psicologi però considerano i test di intelligenza attualmente in circolazione degli strumenti in grado di misurare ogni aspetto dell’intelligenza, per cui oggi si tende a prendere in considerazione non soltanto il QI, ma anche la storia personale, che può essere indagata tramite questionari somministrati ai genitori, contenenti domande relative a caratteristiche individuali e comportamentali dei figli e da cui possono emergere aspetti peculiari e raggiungimenti in campi diversi. Le possibili problematiche del bambino superdotato Quando si pensa ad un bambino superdotato si tende a dare per scontato che a scuola e nella vita sociale non incontrerà difficoltà. Si tratta, in realtà, di una semplificazione perché le variabili in gioco sono tante e diverse. Lo sviluppo del bambino superdotato, per esempio, è spesso caratterizzato da eterogeneità, nel senso che la precocità tocca solo alcune aree della sua personalità, mentre le altre procedono a ritmi di maturazione cosiddetti normali. Tale squilibrio può essere all’origine di una “disarmonia” che lo psicologo Jean Charles Terrassier, uno dei più noti studiosi dell’argomento e sostenitore in Francia di svariate iniziative a favore dei bambini superdotati, ha definito “sindrome di dissincronia”, riprendendo un concetto originariamente utilizzato dal neuropsichiatra infantile Bernard Gibello per designare una sfasatura nei tempi di sviluppo. Attraverso lo studio della personalità e del comportamento di centinaia di bambini superdotati, Terrassier ha potuto constatare che lo squilibrio maturativo riPSICOLOGIA CONTEMPORANEA N. 206 - MAR.-APR. 2008 guarda sia la personalità dei soggetti che le loro relazioni con l’ambiente: sulla base di tale constatazione ha effettuato una distinzione tra “dissincronia interna”, in riferimento alla prima delle due circostanze, e “dissincronia sociale”, per quanto riguarda la seconda. La dissincronia interna.Terrassier ha notato che diversi settori della personalità si sviluppano a differenti velocità. Una sfasatura è rilevabile tra intelligenza e psicomotricità ed un’altra tra intelligenza ed affettività. Generalmente, i bambini intellettualmente molto dotati non manifestano la medesima precocità a livello psicomotorio, nel quale seguono un ritmo di sviluppo ordinario, vale a dire più congruo con la loro età reale. Ciò significa che questi bambini, assai vivaci sul piano intellettivo, possono imparare a leggere in modo autonomo ancora prima del loro ingresso a scuola, ma spesso si ritrovano poi a fronteggiare difficoltà nell’apprendimento della scrittura. La discrepanza con una mano percepita come incapace di adeguarsi al ritmo del pensiero, può suscitare nel piccolo un’ansiosa volontà di controllo, che comporta ripercussioni negative sulla qualità dell’espressione grafica, come, ad esempio, un tratto troppo marcato, tremante e irregolare, o estremamente rallentato. Il bambino può tollerare più o meno a lungo questi insuccessi, dopodiché tende ad adottare una strategia di evitamento, con un investimento negativo sull’espressione scritta in generale. Tali difficoltà, secondo Terrassier, sarebbero più comuni tra i maschi. Anche tra intelligenza e affettività ci può essere uno squilibrio che porta il bambino ad adottare comportamenti o rituali finalizzati a nascondere la sua immaturità e che spesso sono fonte di disorientamento per i genitori. Inoltre, l’accesso intellettivo precoce ad informazioni non interamente elaborabili sul piano emotivo può generare una serie di angosce, che rendono il bambino più fragile e dalle quali egli cerca di proteggersi tramite l’“intellettualizzazione”, meccanismo di difesa che permette all’Io di padroneggiare le pulsioni, rifugiandosi in un discorso freddamente intellettuale ma rassicurante. L’intelligenza assume così una funzione che tenta di portare equilibrio nella disarmonia del livello affettivo. La dissincronia sociale. Riguarda l’interazione con l’ambiente: i bambini con uno sviluppo intellettuale superiore alla media possono incontrare difficoltà relazionali sia con i coetanei sia con gli adulti. «Io l’ho sempre sentita la differenza con i miei coetanei, fin da piccolo, anche se ovviamente a 3, 4 anni, non sapevo perché» racconta un trentenne. «Quando tu a 4 3 BAMBINI SUPERDOTATI anni sai già leggere e scrivere e conosci tutte le capitali del mondo, è chiaro che senti una differenza con i tuoi amichetti che giocano con Big Jim!». Mentre il livello di sviluppo emotivo li spingerebbe a cercare la compagnia dei coetanei, la maturazione intellettiva più progredita li induce alla condivisione dei loro interessi con compagni più grandi, se non addirittura con gli adulti: «Io mi sentivo diverso dagli altri bambini» ricorda un giovane specializzando in neurochirurgia «mi piaceva di più parlare con i professori magari». Tale coesistenza di tendenze discordanti può essere all’origine di problemi di adattamento. Mentre i coetanei spesso possono giudicarli strani e persino anormali, prendendoli di mira con sfide e derisioni, difficoltà analoghe possono manifestarsi anche con i compagni più grandi, che li considerano troppo “piccoli”. L’esperienza vissuta in proposito da un ragazzo di 18 anni è la seguente: «A livello relazionale, a scuola è stato terribile, sono sempre stato l’oggetto principale degli scherni. Alle elementari terribile, alle medie da panico, i primi due anni di liceo fantastico, poi ho cambiato città, sono venuto qui a Milano e ho dovuto cambiare due scuole, hanno ricominciato a prendermi in giro, mi definisco un tuttologo!». «In quanto zimbello della classe, ero un concentrato di insicurezze, ansie, paure e complessi a non finire» ricorda una giovane laureata in veterinaria. Fortunatamente non è così per tutti: il 40% del nostro campione si è sentito integrato alla classe nel corso degli anni. Il 45% non si è sentito diverso o discriminato dai compagni. Il bambino superdotato e gli insegnanti Solo 6 soggetti su 30 hanno dichiarato di essere stati stimolati dai propri insegnanti a scuola. Per la maggior parte i docenti, infatti, secondo gli intervistati, non si sarebbero neanche resi conto di avere, all’interno della propria classe, un alunno particolarmente dotato, e quelli che invece se ne sarebbero accorti avrebbero fatto poco o nulla per agevolarli. Ecco alcune testimonianze: «La scuola non mi è piaciuta. Non la trovavo per niente stimolante» spiega un avvocato quarantenne «l’ho vissuta male, è stato un dramma. Solo all’università mi sono trovato bene»; «La versione ufficiale era: intelligente ma non si applica» (elettrotecnico di trent’anni). «Alle superiori ho avuto dei problemi perché ero abituata ad essere indipendente… mi sceglievo i libri di testo, decidevo io cosa studiare… Loro non sopportavano questo mio modo di fare e mi tratPSICOLOGIA CONTEMPORANEA N. 206 - MAR.-APR. 2008 tavano molto male. Ho avuto persino sette in condotta, io che in realtà sono un tipo tranquillo» (musicista di 23 anni). «Al liceo è andata meglio, ma prima la scuola era veramente poco stimolante» (imprenditore di 52 anni). «Ricordo che a scuola mi consideravano ritardato perché quando il professore spiegava io guardavo fuori dalla finestra. I voti giusti però li prendevo!» (ingegnere chimico cinquantenne). «A distanza di anni ho incontrato il professore di matematica che mi ha detto: “Sembravi completamente assente, guardavi fuori dalla finestra. Però se ti facevo una domanda sull’argomento appena trattato rispondevi sempre. Non ho mai capito come tu potessi farlo!”». Comunque, alcuni insegnanti, si rendono conto e cercano di aiutare l’alunno “diverso”: «C’erano un paio di professori, al liceo, che avevano stima di me. Dicevano che avevo delle buone potenzialità» (fisico di quarant’anni). Gli fa eco una maestra di trentasette anni: «Alle elementari ho avuto la fortuna di avere un’insegnante molto in gamba. Mi è stata molto vicina. Mi ha stimolata moltissimo». Le nostre classi scolastiche sono composte secondo una logica basata su una concordanza tra età cronologica e sviluppo mentale, dando per scontato che tutti i bambini della stessa età abbiano le medesime caratteristiche; tuttavia, mentre nell’ultimo ventennio il nostro sistema scolastico ha dedicato la sua attenzione all’inserimento nelle classi dei soggetti portatori di handicap, la questione relativa all’integrazione dei soggetti con un’intelligenza superiore alla media è rimasta accantonata, in quanto la superdotazione non è considerata un problema. In altri paesi, vengono invece investiti cospicui capitali per l’organizzazione di programmi speciali finalizzati all’educazione dei soggetti superdotati e trovano applicazione tutta una serie di iniziative, quali l’identificazione precoce dei bambini in questione, la loro valorizzazione in determinati ambiti, la possibilità di un’anticipazione dell’accesso alle classi, la creazione di corsi speciali, l’arricchimento dei normali curricoli scolastici e via dicendo. Di fatto riscontriamo nei soggetti superdotati le problematiche tipiche delle minoranze non riconosciute. Ignorare le esigenze di un bambino superdotato è altrettanto ingiusto quanto disinteressarsi di un bambino ipodotato, perché non offrendogli l’opportunità di sviluppare armoniosamente le sue potenzialità si corre il rischio di farlo scivolare in una situazione di disadattamento. Tanto più elevate sono le potenzialità di sviluppo del bambino, tanto più intensa può essere la sensazione di deprivazione che la scuola, incapace di fornirgli i giusti stimoli nei giusti tempi, gli può provocare. «Se tu vedi le cose più velocemente degli altri, 4 BAMBINI SUPERDOTATI ti stufi di procedere lentamente e dopo un po’ perdi la motivazione. O te ne stai per conto tuo, in un tuo mondo privato oppure ti guardi intorno e incominci a dare fastidio a questo e a quello…» spiega un brillante giornalista. I genitori del bambino superdotato Il bambino con doti eccezionali può suscitare reazioni diverse nei suoi genitori. Alcuni non se ne accorgono o non gli danno particolare importanza, come emerge da queste testimonianze. «Sapevano, ma non consideravano la cosa degna di attenzione. Con loro non ho avuto un buon rapporto. Avrei voluto più fiducia. Con me hanno fatto degli errori, erano soffocanti a livello di controllo e poco presenti a livello di incoraggiamento» (maschio, 29 anni). «Hanno sbagliato tutta la mia educazione scolastica, mi hanno ostacolato anche nella mia passione per l’informatica. Le cose in cui mi ostacolavano erano quelle in cui avevo più successo» (maschio, 31 anni). «Noo! Mia madre non mi ha mai capita e a certe cose proprio non ci arriva» (donna, 40 anni). All’opposto ci sono quei genitori che, scoperte le doti dei figli, cercano di spingerli al massimo, assumendo un atteggiamento che può essere controproducente. Come avviene per lo sport, anche in altri ambiti, se si tiene conto soltanto delle doti e si trascurano i bisogni emotivi e sociali dei figli, si rischia di danneggiarli invece di sostenerli. Il problema sorge quando i genitori si identificano a tal punto nel figlio che cominciano a vivere la loro vita attraverso di lui e attraverso di lui cercano di soddisfare quegli obiettivi che loro non hanno raggiunto o i desideri che non hanno potuto soddisfare. Così facendo essi diventano dipendenti dai figli e vivono ogni loro naturale passo verso l’indipendenza come un tradimento. «In molte famiglie di persone di talento» scrive M. J. A. Howe «si osserva un rapporto di eccessiva dipendenza reciproca tra genitori e figlio, accompagnato dal rifiuto di questa situazione». Alcuni figli non riescono a sottrarsi a questo clima, sviluppano le loro doti ma restano insicuri e dipendenti. Altri invece avvertono tutto il peso di un investimento eccessivo, di aspettative troppo onerose e irrealistiche e come reazione possono entrare in conflitto con i genitori e qualche volta rifiutare di dedicarsi proprio a ciò a cui più sono portati. Un caso emblematico, riportato dalla letteratura, fu quello di William Sidis all’inizio del secolo scorso (si veda il Box): sopraffatto dalle aspettative che la sua mente eccezionale aveva creato, Sidis decise di “scomparire”. PSICOLOGIA CONTEMPORANEA N. 206 - MAR.-APR. 2008 Può anche succedere che i genitori provino smarrimento di fronte ad un bambino che presenta un livello cognitivo analogo a quello di un adulto e che, nello stesso tempo, manifesta un’emotività e problematiche affettive tipicamente infantili; oppure che non riescano ad avere con lui un dialogo che si accordi con il suo livello intellettuale. Il rischio è quello di trascurare i bisogni fondamentali che sono poi quelli di ogni bambino: bisogno di sicurezza, di amore, di punti di riferimento, di giocare e sognare. Anche i superdotati devono avere un’infanzia come tutti gli altri. Che fare allora? L’ideale è accompagnarli nel loro percorso, naturalmente, senza enfatizzare o creare un clima di attesa: capire di volta in volta quali sono le loro genuine esigenze fornendo loro gli stimoli di cui hanno bisogno e consentendo loro, contemporaneamente, di vivere la loro vita di bambini. Se la nostra scuola non è in grado di fornire un insegnamento individualizzato ai superdotati, la famiglia potrà decidere per il tempo parziale, lasciando al piccolo il tempo per dedicarsi ad altre attività, secondo le sue inclinazioni. Feldman D. H. (1991), Quando la natura fa centro: i bambini con talenti eccezionali, Giunti, Firenze. Howe M. J. A. (1993), Bambini dotati. Le radici psicologiche del talento, Raffaello Cortina, Milano. Sansuini S. (1996), L’educazione dei ragazzi precoci, dotati e superdotati. Che cos’è, da dove viene, come si educa il “potenziale intellettivo” che c’è in ogni ragazzo, Franco Angeli, Milano. Terrassier J. C. (2006), Les enfants surdoués ou la précocité embarassante, ESF Éditeur. 1 Sabrina Di Matteo svolge attualmente il tirocinio post laurea presso il Dipartimento di Scienze neurologiche e psichiatriche dell’età evolutiva dell’Università “La Sapienza” di Roma. Tutte le testimonianze riportate sono tratte dalle interviste semistrutturate somministrate, nel corso del 2006, dalla dott.ssa Sabrina Di Matteo ad un campione di 30 soggetti (22 maschi e 8 femmine) di età compresa tra i 18 e i 53 anni, tutti appartenenti al Mensa, un’associazione internazionale composta da persone con un QI uguale o superiore a 148 misurato con la scala Cattell B. Riferimenti bibliografici Andreani Dentici O. (2001), Intelligenza e creatività, Carocci, Roma. Di Matteo S. (2006), I superdotati, tesi non pubblicata, Università “La Sapienza” di Roma. 5 BAMBINI SUPERDOTATI Anna Oliverio Ferraris è Ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Psicologa e psicoterapeuta, è autrice di numerosi saggi tra cui ricordiamo nelle edizioni Giunti: Zone d’ombra. Storie di normale psicopatologia (1995), La macchina della celebrità (1999), Sarò padre (2001), La ricerca dell’identità (2002, 2007), Non solo amore. I bisogni psicologici dei bambini (2005). Jolanda Stevani, psicologa clinica e di comunità, esperta in psicoterapie brevi e psicologia giuridica, collabora con la cattedra di Psicologia dello sviluppo di Anna Oliverio Ferraris sui temi della famiglia e del disagio infantile e adolescenziale. Per Giunti Demetra ha pubblicato Mamme e poi? (2006). PSICOLOGIA CONTEMPORANEA N. 206 - MAR.-APR. 2008 BOX - Lo strano caso di un superdotato fallito Nell’anno 1900 William James Sidis aveva appena 2 anni ma poteva già leggere in inglese la sua lingua madre e a 4 poteva scrivere correntemente in francese. A 5 anni, il piccolo, che aveva già raggiunto una vasta notorietà per la sua precocità linguistica e la sua abilità nel calcolo, concepì una formula matematica che gli permetteva di stabilire il giorno della settimana in cui si era verificato un qualsiasi evento storico. A 8 anni ideò una tavola logaritmica a base 12 e a 12 anni fu ammesso alla prestigiosa Università di Harvard dove si laureò con lode appena 6 BAMBINI SUPERDOTATI quindicenne, dopo aver stupito gli altri studenti e il corpo insegnante con la sua teoria sulla quarta dimensione dei solidi. Ma William non era soltanto creativo nel campo della matematica: mentre studiava a Harvard poteva parlare e scrivere in ben 7 lingue: francese, tedesco, russo, greco, latino, armeno e turco. Le capacità e i successi scolastici del piccolo William ne fecero una vera e propria star. I giornalisti gli facevano la posta per intervistarlo; la gente voleva sapere tutto sul “metodo Sidis”, avere riscontri della sua genialità in campo mate- matico, l’Università di Harvard si gloriava di avere tra i suoi allievi un genio precoce. Ma qualcosa andò storto: a partire dai 12 anni William ebbe una serie di “esaurimenti nervosi”, temporanei episodi depressivi che in seguito lo accompagnarono per il resto della sua vita: cominciò ad avere paura del successo, delle pressioni che i media e il suo stesso padre esercitavano su di lui. Alla fine, decise di mollare tutto e per sfuggire al successo accettò un oscuro posto di impiegato in un ufficio pubblico. [Nella foto in basso: William James all’età di circa 17 anni] PSICOLOGIA CONTEMPORANEA N. 206 - MAR.-APR. 2008