2014 II Domenica

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2014 II Domenica
Is 49,3.5-6
1 Cor 1,1-3
Sal 39/40,2.4.7-10
Gv 1,29-34
Anno A – II domenica del tempo ordinario
19 gennaio 2014
“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”;
l’indicazione di Giovanni Battista che apre il Vangelo di oggi
è presente in ogni Eucarestia, prima di cibarci del corpo del Signore.
Nel portare la comunione agli ammalati,
mi colpisce sempre che – anche quando sono particolarmente provati –
al mio dire: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”,
le loro labbra si aprono alla risposta pronunciata tante volte a Messa:
“O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa,
ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”.
Siamo abituati a questa affermazione del Battista,
forse troppo abituati, al punto che non ci stupisce più la sua misteriosità:
poche parole che connettono il “peccato del mondo” e la realtà di “Dio”
attribuendo a Gesù lo strano ruolo e la strana identità di “agnello”,
immagine – questa – che agli ascoltatori parlava chiaramente
di debolezza, di fragilità e – ancor più - di sacrificio e di sangue.
Martedì scorso, in un incontro in canonica, siamo incappati ancora una volta
nella domanda sul senso della sofferenza e del dolore:
enigma aperto nella vita di chi è sferzato da lutti improvvisi,
o di chi fa i conti con il mistero del dolore innocente
avendo un figlio alle prese con una malattia grave.
Che cosa dire in queste circostanze?
Dopo aver ribadito che spesso più che di “dire”
si tratta di “tacere”, di “partecipare”, di “stare vicino”,
la domanda su una parola che illumini si è però poi ripresentata:
quando viene il momento di un discorso,
quando chi è nella prova chiede una luce,
a quali parole fare spazio, quali immagini portare alle labbra?
E così abbiamo fatto l’elenco di quelle parole
che abbiamo sentito dire, che forse noi stessi abbiamo pronunciato
sentendole però suonare goffe, inopportune o addirittura pericolose:
“è il destino”, “occorre rassegnarsi”, oppure – terribile – “è volontà di Dio”.
Tutte espressioni che istituiscono un legame tremendo
tra la tragicità del male e la realtà di Dio
presentando Dio come impassibile, impotente, o addirittura causa di esso:
dire che la sofferenza è da accettare come “sua volontà”
significa dire che Lui stesso l’ha voluta: chi mai può affidarsi a un Dio così?
Poi sono uscite parole volte a scagionare Dio dalla responsabilità della cosa:
“Dio non vuole tutto questo, ma è come costretto a porlo in atto
per punire, correggere o istruire”;
“Dio non lo vuole, ma lo permette; non può o non vuole intromettersi”.
Ma anche queste risposte lasciano l’amaro in cuore.
Quando tocca a me dire qualcosa a chi soffre
cerco di mettere in gioco la volontà di Dio in altro modo;
dico più o meno così: “Dio non vuole affatto tutto ciò,
ma di tutte queste lacrime e di tutto questo sangue,
Egli vuole – tenacemente vuole – che nulla vada perduto”.
La volontà di Dio centra, eccome se centra,
ma non come origine del dolore,
piuttosto come decisione che esso non vada disperso.
Mi piace ricordare una risposta di Don Renato,
che mi è stata riferita da diverse persone
e che dunque ritengo appartenga alla sua personale esperienza di Dio.
A chi gli manifestava il proprio sconcerto,
il suo essere “arrabbiato con Dio”, a motivo del dolore che stava vivendo,
rispondeva: “second mì anca lu l’è rabì, e pu che nueter!”.
Una intuizione semplice che mette il Signore dalla nostra stessa parte:
arrabbiato anche lui, ferito anche lui, scosso anche lui
da ciò che scandalizza, scuote e fa sanguinare noi.
Certo è che Gesù, tra i tanti linguaggi che la tradizione ebraica gli offriva,
ha scelto per sé quelli del servo e dell’agnello.
La prima comunità cristiana ha conservato il mistero di questa scelta;
il Vangelo di Giovanni l’ha raccolta nell’annuncio di Giovanni Battista:
“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”:
la ferita aperta nel corpo del mondo dalla tragedia del nostro peccato
è aperta istantaneamente anche nel cuore di Dio, nel corpo del Figlio Gesù,
al punto da pensarsi come “agnello innocente immolato”.
Il nostro male è anche suo, al nostro star male anche lui geme.
Nel dire tutto ciò la traduzione non è forse la più felice:
ben più che “togliere” il peccato del mondo,
Egli ne fa sue le conseguenze, riempie di sé i suoi esiti,
abita le fratture e le grida che ne sono frutto.
E così ciò che è materiale di scarto diventa materia prima di un prodigio:
ciò che Egli mai vuole, ma che tanto incide nella vita dei figli di Dio,
viene incluso nell’esistenza divina
grazie al grande abbraccio della morte e risurrezione di Gesù.
Questo sì è volontà di Dio.
PREGHIERA DEI FEDELI
Tu sei il Cristo, Tu sei il Figlio di Dio!
e solo Tu puoi infondere nella tua Chiesa
il desiderio di annunciare con fedeltà e gioia il tuo Vangelo.
e solo Tu puoi guidare verso la vera pace
facendo germogliare tra i popoli il desiderio di riconciliazione.
e solo Tu puoi guarire nel profondo le nostre malattie,
dare riposo alle nostre fatiche, aprire la vita alla speranza.
e solo Tu puoi donare il pane agli affamati
aprendo le nostre mani per la condivisione.
e solo Tu puoi riunire nella comunione
tutti coloro che si riconoscono figli e figlie di Dio Padre,
tutti chiamati e amati da Te.
e solo Tu puoi riscaldare i cuori,
rendendoci comunità accoglienti, al servizio di poveri e ultimi.
e solo Tu puoi donare la sapienza
che riporti l’umanità a vivere ne rispetto di tutto il creato.