relazione_2015 - Comune di Sondrio

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relazione_2015 - Comune di Sondrio
Addì 13.05.2014
in Milano,
le sotto specificate Parti hanno ritenuto di voler sottoscrivere il seguente
PROTOCOLLO D’INTESA
tra
Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria,
Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Milano nella persona del
Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ella Lombardia, Dott. Aldo
Fabozzi;
e
Provincia di Sondrio, nella persona del Presidente pro-tempore Massimo Sertori;
premesso:
I)
che l’Ufficio Tecnico della Provincia di Sondrio ha redatto un progetto preliminare
per i lavori di manutenzione straordinaria della Casa Circondariale di Sondrio;
II)
che in sede di Conferenza di Servizio tenutasi presso il PRAP di Milano in data 29
Gennaio 2014, il progetto preliminare suddetto è stato ritenuto meritevole di
approvazione e rispondente alle prevalenti esigenze di manutenzione straordinaria
della C.C. di Sondrio;
III)
che la Provincia di Sondrio ha dichiarato la propria intenzione di partecipare al
finanziamento degli interventi con propri fondi, nella misura di € 30.000,00;
considerato:
IV)
che il progetto in parola prevede l’esecuzione dei lavori in tre lotti funzionali:
Lotto 1 – Sala ginnica/palestra da trasformarsi in Sala ginnica e Aula Informatica;
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Lotto II – Cortile interno da trasformarsi in cortile a camminamento coperto;
Lotto III – Autorimessa / magazzino da trasformarsi in Aule Didattiche;
V)
che l’importo stimato per l’esecuzione dei tre Lotti è pari a:
Lotto 1 – € 8.343,69 oltre somme a disposizione della S.A.;
Lotto II – € 24.100,00 oltre somme a disposizione della S.A.;
Lotto III – € 27.526,00 oltre somme a disposizione della S.A.;
e che l’importo complessivo, tenuto conto anche dell’IVA e degli ulteriori oneri per
Somme a disposizione della Stazione Appaltante è pari a € 80.000,00;
VI)
che la Provincia di Sondrio ritiene utile condividere e sostenere ogni intervento del
PRAP della Lombardia volto a favorire l’occupazione, la formazione e il trattamento
finalizzato all’inclusione sociale dei detenuti, anche attraverso il sostegno
economico, la messa a disposizione delle proprie strutture tecniche e l’avvio di
apposite azioni di sensibilizzazione delle istituzioni pubbliche e della società civile
presenti sul territorio;
considerato:
VII)
che le Parti ritengono strategica l’azione congiunta delle due Amministrazioni
finalizzata ai seguenti obiettivi:
a – individuazione delle possibili e più efficaci attività di rieducazione dei detenuti
finalizzate all’inclusione sociale;
b – individuazione e rimozione delle criticità strutturali della C.C. di Sondrio che al
momento impediscono l’esecuzione delle suddette attività;
c – elaborazione di un piano straordinario di interventi manutentivi per
l’adeguamento degli spazi della C.C. di Sondrio per le suddette finalità;
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d – suddivisione delle risorse tecniche disponibili e degli impegni di spesa da parte
dei due enti sottoscrittori del presente Protocollo di Intesa per la realizzazione degli
interventi;
e – definizione di un Documento Tecnico sulle modalità di esecuzione degli
interventi,
rilevato infine:
VIII) che le Parti concordano che il Progetto relativo ai lavori di manutenzione
straordinaria della Casa Circondariale di Sondrio possa utilmente essere definito
attraverso l’assegnazione alle Parti dei seguenti ruoli:
Il PRAP di Milano – nella veste di Amministrazione responsabile della gestione degli
immobili e della politica penitenziaria della Regione Lombardia - assume il ruolo di
Soggetto Attuatore dell’iniziativa e curerà il coordinamento delle attività tra i soggetti
di Parte Pubblica competenti al rilascio dei pareri e delle autorizzazioni tecniche e
amministrative; il PRAP di Milano assicurerà inoltre l’incombenza di definire le
modalità per la formazione specialistica e l’utilizzo dei detenuti;
La Provincia di Sondrio, assicurerà il supporto del Servizio Edifici del proprio Ufficio
Tecnico;
La Direzione della Casa Circondariale di Sondrio assumerà il ruolo di Stazione
Appaltante per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, necessari al raggiungimento
degli scopi del presente Protocollo d’Intesa, utilizzando i fondi che saranno messi a
disposizione dalla Provincia di Sondrio e dal PRAP della Lombardia;
*****
Tanto premesso, valutato e considerato e rilevato, le Parti in epigrafe, al fine di tracciare le
linee preliminari e programmatiche della auspicata cooperazione,
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convengono e sottoscrivono il seguente
PROTOCOLLO D’INTESA
- Articolo 1 – Premesse
Le premesse fanno parte integrante e sostanziale del presente atto, e costituiscono la base
condivisa per la quale le Parti intendono stipulare il presente Protocollo d’intesa.
- Articolo 2 - Caratteristiche programmatiche dell’iniziativa
L’iniziativa, nella sua interezza e nelle sue linee generali e programmatiche, ha quale
obiettivo principale di creare le condizioni materiali per avviare le attività di trattamento
più efficaci e sostenibili, finalizzate all’inclusione sociale delle persone detenute all’interno
della Casa Circondariale di Sondrio, mediante interventi di ristrutturazione e
riqualificazione delle strutture interne dell’istituto più idonee ad avviare attività culturali,
formative, ricreative e lavorative, anche mediante attività di formazione e l’impiego di
manodopera formata in loco e appartenente alla popolazione detenuta.
- Articolo 3 – Dichiarazione d’intenti Le Parti, con la sottoscrizione del presente Protocollo d’Intesa, si impegnano ad apportare il
proprio contributo per la realizzazione degli interventi sopra menzionati secondo quanto
previsto e riportato in premessa e, in particolare, secondo il precedente punto VIII.
-
Articolo 4 – Responsabile del Procedimento -
Il Provveditore Regionale indica nella persona dell’Ing. Sergio Minotti il Responsabile del
Procedimento del presente Protocollo di Intesa.
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-
Articolo 5 – Dichiarazione d’intenti -
Le singole fasi dell’iniziativa saranno necessariamente individuate, puntualizzate e meglio
descritte nel Documento Preliminare della Progettazione (DPP) che sarà redatto dal
Responsabile del Procedimento.
A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, nel DPP, oltre a quanto previsto dal Codice
dei Contratti (D.Lgs. 163/06), saranno indicati:
- La pianificazione ed organizzazione delle attività da compiersi;
- Il supporto e l’organizzazione del reperimento di eventuali risorse aggiuntive necessarie al
progetto;
- Il necessario coordinamento tra le Parti firmatarie;
- Le attività di sostegno alle necessità materiali e logistiche;
- Le eventuali attività formative - professionalizzanti e i tirocini per l’acquisizione di
competenze da parte dei lavoratori detenuti;
- Le eventuali attività di reinserimento sul territorio dei detenuti.
Le Parti concordano sin d’ora nel considerare circostanza favorevole al miglior
raggiungimento degli obbiettivi di cui alle premesse, l’aspetto retributivo del lavoro svolto
dai detenuti nell’ambito del progetto, nelle forme e nelle modalità che verranno
successivamente concordate dalle Parti medesime, nell’ambito dei reciproci ruoli e
competenze. A tal merito il DPP valuterà tra le fonti di finanziamento anche le disponibilità
di risorse da parte di Cassa delle Ammende.
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- Articolo 6 - Integrazione degli accordi.
I punti sostanziali del presente protocollo potranno essere oggetto di integrazione e
rivisitazione col mutuo accordo tra le Parti in epigrafe e sino alla definizione formale di tutte
le singole fasi del progetto.
-
Articolo 7 - Segreteria Tecnica
Le Parti concordano di costituire, per le finalità ed il raggiungimento degli obiettivi di cui al
presente Protocollo d’intesa, una Segreteria Tecnica composta da due rappresentanti per
ognuna delle Amministrazioni di cui al presente atto.
La Segreteria Tecnica concorrerà alla definizione del progetto di cui al presente protocollo
d’intesa, nonché coordinerà la predisposizione degli atti tecnico-amministrativi necessari al
raggiungimento degli obiettivi prefissati nei precedenti articoli.
Le Parti si impegnano a comunicare all’Amministrazione Penitenziaria i nominativi dei
propri rappresentanti nella Segreteria Tecnica entro 30 gg. dalla sottoscrizione del presente
atto. Le riunioni della Segreteria Tecnica saranno convocate dal Provveditore Regionale
dell’Amministrazione Penitenziaria di Milano.
-
Articolo 8 – Estensione del Protocollo d’Intesa
Le Parti concordano che il presente Protocollo d’Intesa possa essere esteso ad altre
Amministrazioni, nonché soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a
fornire a detenuti o internati opportunità di lavoro.
-
Articolo 9 – Promozione del presente Protocollo d’Intesa .
Per i fini di cui al precedente art. 8 le Parti condividono l’opportunità di promuovere
iniziative di comunicazione e valorizzazione del grande impegno e della responsabilità
sociale delle Parti firmatarie del presente protocollo, sia in forma concordata, sia in forma
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autonoma, al fine di estendere al massimo l’iniziativa, nonché consolidarne e diffonderne il
carattere innovativo e di piena sostenibilità ambientale e sociale.
Milano, lì 13.05.2014
Letto, confermato e sottoscritto
Ministero della Giustizia
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Milano
Il Provveditore Regionale Dott. Aldo Fabozzi
_______________________________
Provincia di Sondrio
Il Vice Presidente Costantino Tornadù
_________________________________
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DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
DIREZIONE GENERALE DETENUTI E TRATTAMENTO
LETTURA CIRCOLARE
Ai Sigg. Provveditori Regionali
mjJg-GDAF
PU - 0366755 - 02/11/2015
LORO SEDI
Ai Siizu. Direttori deeli Istituti Penitenziar
LORO SEDI
Ai Sie». Direttori Generali
SEDE
Al Sig. Direttore dell'Istituto Superiore Studi Penitenziari
ROMA
Ai Sigg. Direttori degli Uffici di Staff del Capo del Dipartimento
SEDE
OGGETTO : Possibilità di accesso ad Intemet da parte dei detenuti.
L'utilizzo degli strumenti informatici da parte dei detenuti ristretti negli Istituti penitenziari.
appare oggi un indispensabile elemento di crescita personale ed un efficace strumento di sviluppo
di percorsi trattamentali complessi.
Sono, infatti, sempre più numerose le iniziative di natura traltamentale che richiedono
l'utilizzo delle moderne tecnologie informatiche nel campo del lavoro, dell'istruzione/formazione,
nella gestione del servizio biblioteca interno.
Tali iniziative, di insostituibile valore risocializzante, pongono tuttavia problemi legali alla
sicurezza ed al rispetto della normativa vigente, in considerazione della particolari del contesto
detentivo.
D'altro canto, l'esclusione dalla conoscenza e dalTutilizzo delle tecnologie informatiche
potrebbe costituire un ulteriore elemento di margìnalizzazione per i ristretti.
Le Regole Penitenziarie Europee del 2006 hanno, sul punto, riaffermato il principio di un
trattamento penitenziario che si avvicini il più possibile alle condizioni di vita, di organizzazione
del lavoro e di studio delle persone libere,
DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
DIREZIONE GENERALE DETENUTI E TRATTAMENTO
Pertanto, nella ralio dcll'art. 40 del DPR 230/2000 - che ha previsto la possibilità di tenere
ed utilizzare personal computers, per motivi di studio e lavoro, sia nella camera di pernottamento
che nelle sale comuni con l'autorizzazione del Direttore dell'Istituto - l'accesso ad Internai può e
deve costituire per i detenuti e gli internati un proficuo strumento da impiegare in sicurezza per
incrementare le offerte trattamentali.
Si (ratta, quindi, di valorizzare le esperienze innovative dì telelavoro, formazione e didattica
a distanza, già realizzate in alcuni Istituti, dando nuova linfa al rapporto tra il carcere e il territorio
in tutte le espressioni significative { imprese, scuola, università, biblioteche. Enti e servizi locali
eie.) che sostengono la partecipazione dei detenuti alla vita sociale e familiare.
A questo riguardo, le circolari ministeriali diramate per regolamentare l'uso ed il possesso
del PC all'interno delle camere detentive ( n.3556/6006 del 15 giugno 2001 e n.000826 del 4
novembre 2002). hanno già escluso ogni possibilità di collegamento all'esterno per i PC in
possesso ed uso di singoli soggetti; tale preclusione viene confermata con la presente disposizione.
II monitoraggio sulle sperimentazioni in eorso di accesso ad Intemet nell'ambito dei percorsi
trattamentali, espletato presso gli Istituti del territorio nello scorso mese di agosto, ha evidenziato
una diversificata modulazione degli accorgimenti tecnici adottati e dei contesti organizzativi.
facendo emergere la necessità di definire linee guida uniformi ed aggiornate.
Nella materia, l'Ufficio per la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato sta
predisponendo un modello di riferimento omogeneo, sicuro e controllato, per tutte le strutture
periferiche.
II modello individuato consentirà di utilizzare l'infrastrullura tecnologica che sovraintende
ai servizi di connettività e sicurezza in uso al Ministero della Giustizia.
La configurazione delle postazioni e la predisposizione delle politiche di sicurezza saranno
curate a livello centrale; mentre le limitazioni poste alfinfrastruttura di rete consentiranno di
instradare il singolo utente esclusivamente verso i siti (white lisi) per i quali è stalo autorizzato.
In proposito, sarà, in tempi brevi, avviata una fase di sperimentazione dell*architettura
tecnica ed organizzativa.
In attesa dell'avvio del citato modello, per le esperienze già in corso e per quelle in via di
realizzazione, si forniscono le seguenti indicazioni:
I detenuti e gli internati possono accedere ad interne! solo nelle sale comuni dedicale alle
attività trattamentali, con esclusione - quindi - delle stanze di pernottamento, per consentire
un agevole controllo da parte degli operatori;
La navigazione è consentita verso siti selezionali, in funzione delle esigenze legate ai
percorsi trattamentali individuali, sulla base delle convenzioni/accordi stipulati con i
soggetti esterni che offrono opportunità trattamentali. Tali convenzioni devono prevedere in
DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
DIREZIONE GENERALE DETENUTI E TRATTAMENTO
ogni caso modalità di accesso guidale e sicure verso i siti previsti nella convenzione stessa:
E? consigliabile la presenza di un tutor di sostegno durante le attività, adeguatamente
formato dagli operatori specializzati presenti in tutti i Provveditorati Regionali:
I controlli sul!.'hardware, sui software e sulla navigazione devono essere garantiti
periodicamente. mediante apposita regolamenta/ione da parte della Direzione dell'istituto,
•
senza inficiare la produttività del lavoro e la regolarità dei percorsi di studio;
L'accesso deve essere effettuato su rete separata rispetto a quella
esclusivamente mediante collegamento via cavo, escludendo wireless,
dispositivi USB;
dell'istituto,
bìuetooth
e
L'accesso ad Internet è consentito di regola nei circuiti a custodia attenuala e Media
Sicurezza. Per i detenuti appartenenti al circuito Alta Sicurezza o sottoposti a regimi
particolari, le Direzioni devono considerare caso per caso le particolari ragioni ed i benefici
attesi secondo il progetto d'Istituto ed il programma di trattamento individualizzato,
dandone comunicazione al competente Ufficio 111 della Dire/ione Generale Detenuti e
Trattamento per eventuali osservazioni:
•
Non è consentito l'accesso ad Internet ai detenuti sottoposti al regime ex ari 41 bis O.P. :
I soggetti pubblici e privati ( istituzioni, professionisti, imprese e cooperative, università e
scuole. Enti locali e terzo settore) che offrono ai detenuti opportunità trattamentali che
prevedono l'utilizzo di Internet. devono essere informati sulle modalità individuate, ai fini di
una verifica sul piano della funzionalità, compatibilita dei sistemi ed essere inoltre informati
degli eventuali oneri di spesa;
•
La Direzione dell'Istituto deve assumere tutte le informazioni ed espletare tutte le verifiche
sull'affidabilità dei soggetti esterni e dei detenuti ammessi al percorso, richiamando nei
contratti, accordi, protocolli d'intesa e altri atti convenzionali, gli obblighi relativi al
rispetto delle regole tecniche per l'utilizzo sicuro di Internet, l'obbligo di segnalare alla
Direzione l'eventuale trasmissione di contenuti non consentiti e faccettazione di controlli a
campione o in casi sospetti;
Qualora i controlli dessero esito positivo, verrà trasmessa tempestivamente una segnalazione
al Magistrato di Sorveglianza e/o all'Autorità giudiziaria competente, con la proposta di
censura. applicando per analogia l'ari 18 ter O.P. relativo alla corrispondenza postale e
telegrafica, con le conseguenze e i provvedimenti del caso sia nei confronti del detenuto, sia
del soggetto esterno, compresa la risoluzione unilaterale del contratto e/o accordo;
Per quel che concerne i rapporti con fa famiglia, nel quadro normativo europeo ( Regola 24
- 4/5 e commentario alle Regole Penitenziarie Europee) si afferma il dovere delle Autorità di
facilitare " i conlatti con il mondo esterno"1 e dì " permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare
relazioni familiari il più possibile normali".
DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
DIREZIONE GENERALE DETENUTI E TRATTAMENTO
Nella stessa direzione, il disegno di legge governativo n.2798. approvato di recente alla
Camera ed ora ali esame al Senato, prevede all'arUl (Principi e criteri direttivi per la riforma
dell Ordinamento Penitenziario) di sostenere il diritto all'affettività in carcere e di favorire le
relazioni familiari, anche utilizzando i collegamenti audiovisivi.
A questo riguardo, con nota del Vice Capo Vicario n. 0034193 del 29/01/2014 veniva
richiesto alle Direzioni degli istituti di fornire notizie in merito ad eventuale avvio del sistema di
comunicazione via Skype. ove le dotazioni informatiche lo consentissero.
Nei monitoraggio espletato nella scorsa estate, non sono emerse criticità in merito
ali utilizzo di tale strumento. Pertanto, tutte le strutture ove sono allocali detenuti comuni, sono
invitate ad implementare l'utilizzo di tale strumento o. ove ritenuto di maggiore garanzia per le
esigenze di sicurezza, la piattaforma Microsoft Lync.
IL CAPO DIPARTIMENTO
Sctrn>i ( 'onsola
Audizione del guardasigilli Andrea Orlando in Commissione giustizia Camera dei Deputati sugli
Stati generali dell‟esecuzione penale.
Roma, 17 febbraio 2016
Grazie Presidente, grazie Onorevoli membri della Commissione, sono particolarmente grato per
questa opportunità di confronto che ho richiesto perché l‟oggetto di questa discussione è come
rendere l‟esecuzione penale uno strumento effettivamente in grado di contrastare i reati e al
contempo un percorso graduale di ritorno al consesso sociale. Soltanto così, partirei da questo
principio, si può realizzare una sicurezza effettiva della collettività.
Questo Parlamento ha affrontato, nel recente passato, con l‟impulso del Governo, una serie di
interventi volti a restituire condizioni di vivibilità e decoro agli Istituti penitenziari e di rispetto
della dignità delle persone ristrette. Devo dire che si sono affiancate iniziative di carattere
parlamentare e iniziative di Governo e in questo vorrei sottolineare una continuità nei Governi che
si sono succeduti, direi, per obiettività storica, il tema del sovraffollamento è stato affrontato
nell‟ultimo fase del Governo Berlusconi, che ha previsto i primi sconti di pena, Ministro della
giustizia Alfano, per poi proseguire con il Governo Monti, il Governo Letta e il Governo Renzi.
Sono state iniziative adottate anche a seguito della sentenza della Corte di Strasburgo. Quest‟ultima,
nel sanzionare il nostro Paese per violazione di quel fondamentale articolo della Convenzione
europea per i diritti umani che vieta trattamenti contrari al senso di umanità, ha, infatti, indicato una
serie di interventi finalizzati a sanare una inadeguatezza sistemica delle condizioni di detenzione.
Questa messa in mora, e le conseguenze prefigurate qualora non si fosse intervenuti nei tempi
stabiliti (dato l‟altissimo numero di ricorsi pendenti presso la Corte e temporaneamente sospesi in
attesa del nostro intervento) sono stati il volano per un insieme di riforme che, nel loro complesso,
non si configurano come provvedimenti temporanei, ma come cambiamenti strutturali del nostro
sistema.
Devo ringraziare per questo il Parlamento per le iniziative legislative in questo settore nonché per la
prontezza con cui ha reagito alle molte sollecitazioni normative che il Governo ha prodotto in un
lasso di tempo relativamente breve.
Voglio ricordare inoltre il Presidente Napolitano per la concreta vicinanza all‟indomani della
condanna di Strasburgo e per lo stimolo costante a considerare la rilevanza democratica della
questione penitenziaria che ha trovato anche corpo in una lettera inviata alle Camere che ha
affrontato questo tema, così come voglio ringraziare il Presidente Mattarella che ha assicurato la
Sua partecipazione all‟evento finale per la presentazione dell‟esito degli Stati generali
dell‟esecuzione penale. Altrettanto è doveroso ringraziare, anche in questa sede, tutti gli operatori
delle diverse aree in cui si articola il mondo della detenzione, che da sempre affrontano condizioni
di lavoro estremamente complesse con grande professionalità e abnegazione, qualità ancor più
evidenti nei momenti di criticità. Essi hanno garantito in più occasioni, che l‟intollerabile
affollamento non degenerasse in particolari episodi di disordine.
E proprio il superamento, sul piano numerico, di una fase emergenziale e il riconoscimento delle
trasformazioni introdotte, ottenuto sul piano internazionale, spingono oggi a guardare avanti.
Su questo vorrei fare una precisazione molto chiara: quando parlo di superamento dell‟emergenza,
mi riferisco semplicemente al dato numerico che so, per primo, non essere risolutivo del tema
complessivo dell‟emergenza detenzione, perché una contraddizione di fondo che segna quanto si fa
sull‟esecuzione della pena lo affronterò più avanti, nello sviluppo del ragionamento, tanto che ho
ritenuto di dover convocare questi Stati generali per provare a mettere in moto un meccanismo che
sia analogo a quello che ha portato alla riforma del sistema penitenziario del 1975: cioè, il carcere è
rimasto dal 195 ad oggi uguale a sé stesso mentre la società è profondamente evoluta. Partiamo dal
presupposto che questa è una società multietnica, dove si parlano lingue diverse, dove ci sono
religioni diverse, è cambiata la criminalità organizzata, sono cambiati gli elementi che attentano alla
sicurezza comune, ma il carcere è rimasto identico a sé stesso. Questo credo sia il punto di partenza
da cui trae origine l‟attività degli Stati generali. Non soltanto cercare, insieme, la strada affinché tale
situazione non si riproponga, quella del sovraffollamento. Ma anche cogliere la positiva tensione
verso un complessivo ripensamento del sistema delle pene e della loro esecuzione, che la stagione
delle difficoltà ha innegabilmente aperto. Così la negatività di un processo, avviato sulla spinta di
una censura internazionale, diviene occasione per una stagione di costruzione di un sistema di
esecuzione penale più rispondente al dettato della nostra Carta fondamentale, senso di umanità,
dignità della persona, tutele dei diritti, effettività della sanzione e sicurezza della collettività.
Per questo torno a confrontarmi oggi con il Parlamento, per riaprire la discussione su questi temi e
sulle azioni intraprese, in una duplice prospettiva: da un lato nell‟ottica legislativa già avviata con
quella parte della legge delega attualmente in discussione al Senato, dopo l‟approvazione della
Camera dei Deputati e, altresì, nell‟ottica del più ampio confronto sulla riforma in questo delicato
settore, avviato appunto con gli Stati Generali dell‟esecuzione penale. La nostra responsabilità di
legislatori e amministratori della cosa pubblica, credo ci imponga la riflessione essenziale su cosa
debba essere la reazione al reato che maggiormente soddisfi il complesso dei valori violati. A fronte
della lacerazione inferta alla vittima ed al contesto sociale nel suo insieme. Se l‟illecito penale è,
appunto, lacerazione, occorre chiedersi come sanare tale ferita e contenere il rischio che se ne
producano di nuove.
Dobbiamo riconoscere che il diritto penale è solo uno degli strumenti con cui si possono perseguire
questi due obiettivi. Molto devono, infatti, contribuire gli sforzi sul piano dell‟educazione, della
costruzione di legami sociali, dell‟adozione di politiche inclusive che riducano le sacche di
marginalità, del potenziamento di azioni di prevenzione e di controllo. L‟intervento sanzionatorio
penale è uno strumento da riservare in modo sussidiario a quelle violazioni non altrimenti
censurabili o efficacemente riparabili. Sempre maggiore attenzione, dunque, deve essere rivolta a
quelle azioni riparative che molto più della punizione insegnano in termini di effettività ed efficacia.
Gli strumenti di giustizia riparativa, che si stanno sviluppando sempre più anche nell‟ambito della
giustizia penale, pongono al centro la negatività del reato e l‟azione negativa posta in essere
dall‟autore. Ma richiedono risposte positive per sanare la lesione prodotta.
Non affiancano alla negatività dell‟azione compiuta l‟ulteriore negatività della mera punizione
quanto, piuttosto, l‟assunzione di responsabilità e, appunto, la riparazione. Il ricorso ai programmi
di giustizia riparativa è oggetto, da tempo, di indicazioni sovranazionali, tra cui la specifica
Direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo del 25 ottobre 2012, che prospetta l‟abbandono di
una visione esclusivamente incentrata sull‟autore del reato in favore di un paradigma processuale
che realizzi un bilanciamento degli interessi tra i diversi attori. E di essi il ruolo prioritario è assunto
dalla vittima. Il modello proposto è sintetizzabile in una sorta di triangolo, ai cui vertici si pongono
l‟autore, la vittima ed il contesto sociale. L‟intervento riparatore deve mirare a riannodare i fili che
tengono insieme questi vertici attraverso azioni positive da parte dell‟autore, che siano riconoscibili
come tali anche dal contesto sociale. In quanto indicative di una consapevole aspirazione di
ricostruzione e di riparazione. Sono indicazioni su cui riflettere, che possono aiutare la vittima a
sentirsi maggiormente al centro dell‟intervento di reazione al torto subito e la collettività
destinataria di un intervento positivo. Una pena sospesa, condizionata ad un‟adesione consapevole
al trattamento e subordinata ad un impegno che riavvicini l‟autore del reato ad una dimensione di
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operosa normalità, attenuerà lo sgomento a fronte di una condizione di libertà oggi percepita dalla
società come uno sfregio alla vittima ed a chiunque rispetti le regole del vivere civile.
Così individuate, le azioni riparatorie non sono meno dure della sanzione meramente punitiva, ma
certamente maggiormente dense di significato e di risvolti utili. Penso ad una relazione attiva con la
persona destinataria della sanzione che ottenga un reale riscontro, un‟adesione come ho già detto, da
parte del condannato, senza la quale l‟apparato sanzionatorio conserva integra la struttura iniziale e
la piena consistenza afflittiva. Eppure sappiamo bene che, per quanto limitato, il ricorso alla pena
detentiva non cessa di essere inevitabile per alcuni reati, specie allorquando ricorra l‟assoluta
necessità di interrompere legami criminali che si configurano come reti in grado di interferire con lo
stesso sviluppo democratico.
La privazione della libertà e, quindi, il carcere rimane nel contesto attuale una forma sanzionatoria
ineludibile, anche se limitata ai casi di effettiva necessità. Non a caso, del resto, la Costituzione si
riferisce alle “pene”, declinando questa parola al plurale, e non già alla “pena”. Così chiarendo che
la detenzione non è l‟unica sanzione penale.
E il lavoro affrontato nei tempi più recenti è andato proprio nella direzione di declinare al plurale
questa parola, come dimostrato, ad esempio, dalla estensione agli adulti dell‟istituto della “messa
alla prova” per una consistente fascia di reati di minore gravità. Così come sperimentato in gran
parte degli ordinamenti internazionali, in particolare quelli anglosassoni.
Anche in questo caso, un percorso positivo, secondo un programma personalizzato e costantemente
monitorato, può avere, in molti casi, efficacia maggiore che una mera sottrazione di tempo vitale da
trascorrere in carcere. Un‟esperienza, questa della messa alla prova, che sta dando positivi risultati e
che risponde a quell‟idea di utilità della sanzione penale e non di mera retributività; esattamente
come vogliamo alla base del nostro sistema. I dati sono eloquenti e dimostrano il sempre crescente
numero dei soggetti condannati in esecuzione penale esterna negli ultimi tre anni. Se la complessiva
area del controllo penale - interno o esterno al carcere - è pressoché invariata, la proporzione tra
detenzione e misure alternative da eseguire nel territorio è fortemente a favore di queste ultime:
prima, la detenzione era numericamente circa tre volte l‟esecuzione nel territorio, attualmente è
scesa a circa una volta e mezza. Vorrei ricordare come molti degli ordinamenti, penso alla Gran
Bretagna, hanno di solito un rapporto di circa uno a uno come parametro di riferimento.
Il principio della utilità sociale della pena deve essere tenuto presente anche quando si affronta il
punto nevralgico dell‟esecuzione penale: la privazione della libertà deve essere vista come un
progressivo percorso che permetta di restituire alla società un individuo realmente consapevole. Se
non si ha quale obiettivo il momento del ritorno all‟esterno, è difficile intervenire, in modo
effettivamente riformatore ed innovativo, sul sistema della detenzione. Perché si rischia di
considerare tale periodo unicamente come una parentesi afflittiva, del tutto scollegata ed
indifferente ai percorsi individuali e sociali dell‟autore di reato. Il tradizionale approccio, si è
dimostrato alla prova dei fatti, molto costoso e poco efficace. Perché a fronte di ingenti oneri
economici si conferma l‟alto tasso di recidiva.
Vorrei ricordare che il nostro Paese spende ogni anno (e questa credo sia la vera emergenza) circa
tre miliardi di euro per l‟esecuzione della pena e continua ad essere uno degli ordinamenti con il più
alto tasso di recidiva a livello europeo. Un modello di vita detentiva che offra opportunità concrete
per un ritorno più consapevole e graduale del condannato nel contesto di provenienza, così da
garantire un‟effettiva sicurezza per la collettività, è l‟ambizioso obiettivo da perseguire nel dibattito
sulla tipologia trattamentale che si vuole attuare. La gradualità, in particolare, è connotazione di un
percorso certamente più coerente. Perché non ha senso il passaggio immediato da un regime
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rigidamente restrittivo, alla piena libertà . Certamente i due presupposti da cui partire sono quelli
dell‟adeguatezza delle strutture e del rispetto dei diritti delle persone detenute: due elementi che si
compendiano nel concetto di tutela della dignità delle persone recluse e che costituiscono
presupposto per qualsiasi azione di rieducazione. Perché se il carcere non è il luogo del rispetto dei
diritti, della legalità e della dignità di ogni persona, ben difficilmente può essere il luogo di
un‟esecuzione penale costituzionalmente orientata.
Per questo non va sottovalutato il risultato già ottenuto con il conseguimento di quella soglia
minima di condizioni materiali, a cominciare dallo spazio vitale per ciascun detenuto, che la Corte
di Strasburgo ha posto a base della propria sentenza di condanna. Ma, certamente, non si può
restringere a questo l‟azione che intendiamo svolgere per riformare la detenzione. Per troppi anni il
modello detentivo è stato sostanzialmente centrato sulla segregazione passiva e sull‟adeguamento
alle regole quotidiane: nessuna responsabilità richiesta al detenuto, ed una legislazione premiale
strutturata sulla sola regolarità della condotta carceraria e sull‟assenza di rilevi disciplinari. E non,
come pur già espresso dal dettato normativo, sull‟adesione positiva e consapevole del detenuto al
programma trattamentale che potrà così considerare tappe progressive di riadattamento.
Non possiamo essere soddisfatti dei risultati: non solo per le censure internazionali quanto,
soprattutto, per l‟incidenza della recidiva, che fotografa, come ricordavo, un sistema
sostanzialmente inefficace, nonostante i costi e le molte professionalità impiegate degli operatori.
La rivisitazione del modello di vita detentiva deve tendere a rompere quello schema, che fa ritrovare
il detenuto come mero destinatario passivo di programmi trattamentali stereotipati; senza poter
assumere in proprio la responsabilità di gestire anche limitate parti della giornata; senza che se ne
conoscano motivazioni, inclinazioni e bisogni. Un soggetto a cui è richiesto soltanto di aderire, e
non è sfidato ad assumere decisioni responsabili, difficilmente saprà reinserirsi nel contesto esterno
in modo positivo e rassicurante per chi lo accoglie, per chi deve poi vivergli intorno.
È utile ricordare che uno dei 9 principi preliminari delle Regole penitenziarie europee indica la
necessità di rendere la quotidianità detentiva il più possibile simile alla vita esterna. In questo senso
l‟Amministrazione penitenziaria non deve unicamente provvedere alle necessità elementari, ma
definire e proporre un articolato ed individualizzato piano di attività che il soggetto dovrà compiere,
sotto la guida e il controllo degli operatori, assumendo via via sempre maggiore autonomia. Un
percorso di impegno - scolastico, lavorativo, sportivo, culturale - che lo porti a recuperare la
capacità di gestire in modo “ordinato” la propria vita e le proprie relazioni. Non un carcere di
semplice attesa, di tempi vuoti e di opportunità mancate; piuttosto, un carcere che offra opportunità
calibrate su maggiori elementi di conoscenza del detenuto e delle sue dinamiche affettive e
relazionali.
Vorrei su questo porre una questione, perché quando si dice “ma voi volete fare i carceri come hotel
a quattro stelle”, in verità è esattamente il contrario: questo meccanismo passivo in fondo é un
meccanismo che corrisponde all‟attitudine del delinquente abituale. In fondo questo è un modello
nel quale non è chiesto niente e, nella passività, se non si fa niente di male, si gode del beneficio.
Questo è il meccanismo che funziona attualmente. Un carcere invece che sia in grado di chiedere
un‟assunzione di responsabilità in termini di lavoro, di impegno, di scuola, è un carcere che non
corrisponde soltanto a un‟esigenza rieducativa del detenuto, ma corrisponde soltanto a un‟esigenza
di sicurezza della società, perché quell‟individuo restituito alla società, dopo un periodo di mera
segregazione, inevitabilmente sarà uguale se non peggiore di quello entrato all‟interno del carcere.
E questo percorso di responsabilizzazione all‟interno del carcere potrà, tra l‟altro, fornire strumenti
di osservazione e di analisi particolarmente importanti per prevenire ogni forma di reclutamento e
radicalizzazione dei soggetti più vulnerabili, fenomeno, quest‟ultimo in particolare di concreto
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allarme, e sul quale sarà necessaria una ulteriore riflessione condivisa. Il carcere così come è
strutturato oggi, è un carcere che non ha anticorpi rispetto ai percorsi di radicalizzazione, perché è
un carcere nel quale chiunque sia in grado di esercitare un‟attività di leadership all‟interno di un
contesto nel quale la segregazione è semplicemente uno spazio vuoto, nel quale non ci sono altri
stimoli, rischia questa leadership di esercitare una forza molto superiore a quella che può esercitare
nella società dove naturalmente i livelli di attrazione da parte di altri messaggi è molto più forte.
Naturalmente i percorsi rieducativi che così si sviluppano all‟interno del carcere devono essere
oggetto di continua analisi e valutazione da parte degli operatori; per orientare ed adeguare le
eventuali rimodulazioni, per analizzare le dinamiche relazionali che si sviluppano all‟interno dei
gruppi e per individuare gli strumenti di intervento necessari.
In fondo il carcere è uno spaccato della società nella quale vengono portati all‟estremo alcuni
dinamiche che la società deve saper guardare, anche per saper guardare alcuni fenomeni che la
caratterizzano. Ci sono parallelismi tra fenomeni che si verificano all‟interno del carcere e
all‟esterno. Questo fenomeno della radicalizzazione è esattamente uno di quei fenomeni che nel
carcere vengono portati ad esponenzialità ma che, ha dinamiche molto simili anche nel resto della
società. In questo modo, le misure alternative alla detenzione che il Magistrato di sorveglianza potrà
concedere nelle progressive tappe del percorso, saranno motivate da effettiva e compiuta
conoscenza del singolo caso e saranno orientate a un progressivo ritorno all‟esterno. E non si
limiteranno invece ad essere una sorta di diminuzione dell‟afflittività della detenzione.
Vorrei da questo punto di vista portare come esempio una discussione che abbiamo fatto anche in
contesto europeo sul tema della radicalizzazione: in Paesi che invocavano le misure più radicali su
questo fronte, contemporaneamente chiedevano di non mettere in carcere i diretti interessati. Perchè
quei paesi erano consapevoli del fatto, avendo carceri che sono nati come modello nel „800 e
somigliano molto al nostro modello di carcere, che rischia di essere il brodo di cultura dove il
reclutamento diventa più facile. Quindi non c‟è un elemento di “buonismo” nel concepire questa
articolazione dell‟esecuzione della pena, c‟è un elemento di attenzione alla tutela dell‟interesse
generale, in particolare della sicurezza della società. Proprio questa diversa connotazione della
detenzione richiede la possibilità di operare caso per caso, senza alcun automatismo predefinito, sia
esso di carattere ostativo alla concessione di misure alternative ma anche automaticamente
concessivo.
Queste le direttrici su cui credo debba muoversi un diverso modo di ripensare le pene e, soprattutto,
il carcere. E queste sono le direttrici che hanno caratterizzato il lavoro degli Stati Generali e le
proposte che sono state formulate dai diversi tavoli di lavoro. Queste le direttrici lungo cui la
discussione continuerà a svilupparsi e lungo cui intende dispiegarsi la politica del Governo.
Tuttavia, queste direttrici non richiedono soltanto elaborazione teorica, diffusione di buone pratiche
e costruzione di consenso. Richiedono alcune professionalità di sostegno.
L‟azione del mio Dicastero si è, infatti, orientata innanzitutto ad offrire il contesto normativo e
organizzativo per la realizzazione di questi obiettivi. Il riordino del Ministero, delineato dal decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2015, ha previsto la costituzione di un
Dipartimento che pone particolare attenzione alle misure ed alle pene che trovano la loro esecuzione
nel contesto territoriale. Siamo partiti dall‟ampia esperienza maturata dal sistema di esecuzione
penale minorile, orientato da sempre al dialogo con il territorio e alla costruzione di percorsi,
controllati e guidati, realizzati al di fuori della detenzione degli Istituti.
Si è, così, costituito il Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità: non una
giustapposizione di due realtà, ma la creazione di una realtà integrata, dove si sviluppi un approccio
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multidisciplinare e si confrontino le esperienze che, condotte per minori o per adulti, hanno in
comune le forme di accompagnamento e reintegro sociale.
Parallelamente, il Dipartimento per l‟Amministrazione Penitenziaria si occupa, così, esclusivamente
delle pene eseguite in detenzione; oltre che della custodia cautelare in carcere. Vale la pena
sottolineare, a tale proposito, il ruolo importante che i singoli direttori penitenziari devono assumere
nella definizione di progetti di esecuzione penale che siano orientati ai principi che ho in linea
generale richiamato. Coordinati i diversi apporti e le diverse sollecitazioni che scaturiscono dalle
professionalità degli operatori e soprattutto valorizzando il ruolo della Polizia penitenziaria.
A garanzia della omogeneità culturale dei due Dipartimenti - l‟uno orientato all‟esecuzione penale
esterna e l‟altro a quella inframuraria - il Decreto di riordino prevede una matrice culturale unica
per la formazione degli operatori; così come dei rispettivi dirigenti. L‟unicità dell‟ambito della
formazione dovrà essere garanzia di una costruzione culturale orientata in modo armonico, pur con
le necessarie diversificazioni. Le linee riformatrici tracciate producono, infatti, significative ricadute
organizzative e formative del personale, a cominciare dal superamento della troppo rigida
distinzione tra compiti di sicurezza e compiti di trattamento.
È doveroso sottolineare, in questo contesto, che la polizia penitenziaria, che ha il più diretto contatto
con la quotidianità dei detenuti, ha mostrato di condividere la necessità di un cambiamento del
modello di detenzione. Ponendo, così, fine a limitati ed episodici interventi, dettati dall‟esigenza di
risolvere delle emergenze. In un modello di vigilanza cosiddetta dinamica, la polizia penitenziaria
assume così il nuovo ruolo di osservatore di prossimità; un depositario di un patrimonio di
conoscenze utile alla valutazione nel percorso trattamentale. Queste linee di riforma troveranno
espressione, sul piano legislativo, nell‟attuazione della delega che ho richiamato e che interviene su
ben nove punti strategici dell‟ordinamento penitenziario. L‟obiettivo finale, insomma, è ripensare il
carcere anche come luogo di tutela di diritti e di dignità delle persone.
Entro queste coordinate si è aperta appunto l‟esperienza degli Stati Generali dell‟esecuzione penale:
una larga consultazione che ho voluto avviare per raccogliere proposte, osservazioni, critiche. Ma,
soprattutto, per far dialogare soggetti diversi, accumunati dall‟essere, a vario titolo, coinvolti
nell‟analisi del sistema dell‟esecuzione penale e nella sua attuazione. Eppure spesso distanti nel
linguaggio e nei modelli di lettura del sistema.
L‟iniziativa che ha dato vita agli Stati Generali ha inteso, così, sperimentare un metodo innovativo,
caratterizzato da un‟attenzione multifocale alla realtà dell‟esecuzione penale.
La consultazione si è articolata in 18 tavoli, che hanno esaminato i diversi aspetti dell‟esecuzione
penale, dall‟architettura delle carceri per l‟organizzazione degli spazi in modo funzionale ad indurre
un certo modello di quotidianità, alla ricostruzione di un sistema organizzativo complesso, come è
quello dell‟esecuzione penale. Il tutto passando attraverso la discussione sulla dignità della persona
ed il rispetto dei diritti, sulla autodeterminazione responsabile della persona detenuta,
sull‟affettività, sulla giustizia riparativa e tanto altro ancora. Ciascun tavolo ha avuto una
composizione variegata, con la presenza di almeno un docente universitario, un magistrato, un
avvocato, un rappresentante del volontariato, un garante territoriale, un direttore d‟Istituto, alcuni
operatori tra educatori, poliziotti penitenziari, assistenti sociali, dirigenti.
Non ci siamo limitati ai protagonisti diretti della realtà carceraria, ma abbiamo coinvolto esperti di
diverse discipline, che hanno consentito un linguaggio comune al servizio del medesimo obiettivo.
Una consultazione, dunque, tesa a promuovere, alimentare e sostenere l‟elaborazione scientifica,
normativa e organizzativa e, al contempo, finalizzata ad incidere profondamente sulla percezione
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collettiva dei temi della pena e del carcere. Anche di quella che ne hanno i detenuti stessi, talvolta
direttamente consultati.
Certamente non posso in questa sede riassumere tutti gli esiti elaborati in piena autonomia dagli
oltre duecento componenti dei tavoli, nei sei mesi di alacre lavoro condotto, e che saranno
attentamente valutati dalle competenti articolazioni ministeriali. Ma voglio quantomeno fare un
cenno alle singole tematiche affrontate.
Il primo tavolo, dedicato allo spazio della pena, ha studiato soluzioni architettoniche per
l‟adeguamento delle strutture esistenti, la rimodulazione di quelle in corso di costruzione e la
progettazione di nuovi istituti, ispirandosi a un modello di detenzione corrispondente alle Regole
penitenziarie europee, e discutendo con i detenuti stessi le soluzioni possibili.
Proprio il modello di quotidianità detentiva è stato il tema affrontato dal secondo tavolo che ha
sviluppato la riflessione sulla razionalizzazione dei circuiti penitenziari.
Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo tavolo hanno dedicato uno studio approfondito alle
esigenze delle donne detenute - specie di quelle madri - dei minorenni autori di reato, all‟attenzione
specifica da riservare ai detenuti vulnerabili e agli stranieri. Particolare riflessione hanno riguardato
la tutela delle relazioni familiari, la cura da riservare ai bambini con genitori detenuti. In questo
contesto di attenzione alle relazioni affettive, trova naturale inserimento il tema del diritto ad
un‟adeguata espansione dell‟affettività, anche all‟interno della vita reclusa.
I tavoli 8 e 9 hanno affrontato le aree che qualificano la quotidianità della vita in carcere al fine di
rendere il tempo recluso significativo e non vuoto: il lavoro, la formazione professionale,
l‟istruzione, l‟espressione culturale e sportiva.
I tavoli 10 ed 11 hanno approfondito i cruciali temi del diritto alla salute, del disagio psichico e il
delicato settore delle misure di sicurezza.
L‟esecuzione penale esterna, le pene non detentive e la giustizia riparativa sono state esaminate da
ogni possibile angolazione dai tavoli 12, 13 e 14, anche attraverso lo studio comparativo con gli
altri sistemi europei.
La formazione degli operatori penitenziari, rivisitata nell‟ottica dell‟individuazione di un nuovo
modello trattamentale individualizzato e responsabilizzante ed il ruolo degli enti locali nel processo
di reinserimento, sono stati alcuni tra i temi oggetto di studio dei tavoli 15, 16 e 17.
Il tavolo 18, infine, ha analizzato le modalità con cui le strutture amministrative dell‟esecuzione
penale possono offrire il migliore supporto a questo nuovo modo di interpretare le pene.
Come è evidente, la pluralità dei temi affrontati offre la possibilità di una riflessione a tutto raggio
per rispondere alla cruciale domanda del come rispondere al reato affinché tale risposta sani la
lacerazione che il reato ha determinato nel tessuto sociale e aiuti il prevenire del ripetersi.
Ora che i risultati del lavoro dei tavoli sono stati pubblicati, si apre una consultazione ancora più
ampia, rivolta soprattutto all‟opinione pubblica, che potrà sviluppare ed arricchire ulteriormente la
discussione avviata. Il lavoro, ribadisco, è stato svolto nella più assoluta autonomia dei protagonisti,
e potrà rappresentare un patrimonio utile all‟esercizio della delega per la riforma dell‟ordinamento
penitenziario per converso non ha alcuna paternità da parte del Ministero finché non sarà oggetto di
una proposta specifica che verrà sottoposta al Parlamento.
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Ma per questo, ho ritenuto doveroso venire ad illustrare le linee del percorso intrapreso e la
direzione lungo cui ci si è incamminati, innanzitutto in Parlamento.
Il ragionamento molto semplice è questo: noi dovremmo tenerne conto per farvi delle proposte, voi
tenetene conto per analizzare le proposte che vi faremo perché credo che sia uno strumento di
lettura utile per tutti e che offra un parametro di valutazione che è inconsueto, rispetto al modo
stesso in cui si analizzano i testi normativi, ma che credo sia adeguato a un passaggio storico, nel
senso che se noi siamo in grado di esercitare effettivamente la delega, è una riforma che non si
realizza dal 1975.
In fondo, il convincimento dal quale parto, naturalmente può anche non essere condiviso e,
probabilmente, non lo sarà, è che l‟attenzione rivolta alle componenti critiche della nostra società è
un modo di essere attenti alla collettività nel suo insieme.
Abbiamo raccolto anche posizioni molto distanti dal nostro sentire, ma credo sia stato utile. E
soprattutto è stato utile che il carcere sia stato sottoposto ad una discussione, è una
raccomandazione che temo non troverà accoglimento, che non è stata lo strumento della propaganda
politica. Perché il carcere è quel che è, anche perché spesso viene utilizzato per la propaganda
politica; cioè, ne viene utilizzato l‟aspetto di carattere simbolico e non viene analizzato l‟elemento
di carattere funzionale. Se ne discute per il messaggio che dà alla società, che naturalmente è una
parte importante della sua funzione, non se ne discute analizzandolo nel come funziona, nel cosa
produce.
E la raccomandazione che cerco di fare a tutte le forze politiche, anche a quelle che hanno le
posizioni le più distanti dalle mie, è di provare a fare una discussione, questa volta, sul come
funziona, cioè su come riusciamo a smontare un meccanismo e riusciamo a ricostruirlo, in funzione
degli obiettivi che credo non possano dividerci. Non soltanto quello di corrispondere alle
indicazioni contenute nella Costituzione, ma anche a quello, effettivamente, di garantire sicurezza,
perché la considerazione dalla quale vorrei partire è questa: non c‟è stata una proporzionalità tra
l‟utilizzo del carcere, l‟investimento sul carcere e l‟aumento di sicurezza nella società.
Probabilmente, non perché il carcere non serva a garantire sicurezza ma perché, questo carcere non
è in grado di garantire sicurezza. Quindi si tratta probabilmente di affrontare insieme il modo in cui
questo obiettivo si riesce a raggiungere effettivamente, sapendo che è un passaggio non semplice
perché naturalmente, quando parliamo di carcere, parliamo della condizione del nostro corpo
sociale, rispetto al quale ciascuno di noi fa valutazioni in ragione anche dell‟impostazione ideologia
e culturale profondamente diverse.
Quello che credo si stia superando è l‟idea di un utilizzo del carcere come strumento per affrontare
e risolvere problemi di carattere sociale. È una tentazione storica. Nella mia relazione sullo stato
della giustizia, ho citato un discorso che fece Filippo Turati in Parlamento, molto tempo fa, e
l‟attitudine non le conseguenze è rimasta nel corso del tempo molto simile a quella: l‟idea che
alcuni fenomeni di carattere sociale si possano contrastare attraverso l‟utilizzo del carcere. Le
patologie che quei fenomeni sociali si possano contrastare con il carcere. Quei fenomeni non si
eliminano con il carcere. Mi sembra un‟evidenza quasi lapalissiana, però non sempre è
sufficientemente colta anche nella produzione di carattere normativo.
Il tentativo questa volta è di non ripetere gli stessi errori, riducendo per quanto possibile il tasso di
propaganda e di ideologia, che - ripeto - ritengo sia inevitabile si sprigioni quando si discute di un
tema così simbolico e così appetibile da questo punto di vista e che, però, se va oltre quella soglia di
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guardia rischia di produrre gli elementi che paga la collettività nel suo insieme, non i detenuti. I
detenuti hanno pagato nel corso del tempo un prezzo più o meno alto, talvolta più del dovuto e
talvolta meno del dovuto.
Il problema fondamentale dal quale partire è che la collettività ha pagato un prezzo alto in termini di
sicurezza e di mancato utilizzo ottimale delle risorse e di mancato rispetto di alcune indicazioni che
stanno alla base del nostro patto fondamentale, cioè la Carta costituzionale.
Vi ringrazio.
Andrea Orlando Ministro della Giustizia
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Stati Generali dell'Esecuzione Penale
aggiornamento: 5 febbraio 2016
Tavolo 17 - Processo di reinserimento e presa in carico
territoriale
Il Tavolo si occupa di individuare strumenti legislativi e organizzativi utili ad avviare effettivi
percorsi inclusivi che accompagnino il reinserimento sociale di chi ha scontato una pena, stabilendo
rapporti continui con gli Enti e i servizi territoriali per facilitare sia la fase di preparazione al
rilascio, sia quella di presa in carico esterna una volta che questo sia avvenuto.
Coordinatore Claudio Sarzotti, docente Università degli studi di Torino
Partecipanti / Gruppo di lavoro
Alessandro Bruni - Psicoterapeuta, psicoanalista
Cinzia Calandrino - Direttore ufficio rapporti con le regioni dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria
Lucia Castellano - Consigliere della Regione Lombardia
Eros Cruccolini - Garante diritti dei detenuti del Comune di Firenze
Riccardo De Facci - Rappresentante "Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza"
Daniela De Robert - Giornalista, presidente associazione "Vic-caritas onlus"
Antonietta Fiorillo - Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze
Francesca Paola Lucrezi - Direttore istituto penitenziario Brescia Verziano
Tommaso Minervini - Capo area giridico pedagogica Bari e Altamura
Renato Vigna - Avvocato
Perimetro tematico
La fase della esecuzione penale è caratterizzata da una variegata serie di difficoltà, sia
per la persona in esecuzione che per l'istituzione penitenziaria. Altre questioni
importanti (lavoro, abitazione, assistenza sanitaria...) subiscono per contro una sorta di
ibernazione, una vera e propria rimozione, salvo ripresentarsi in tutta la loro
drammaticità all'approssimarsi del fine pena.
Se la pena deve tendere al reinserimento nella società occorre progettare e articolare
tutta l'esecuzione penale in funzione di questo reinserimento, tracciando un percorso
graduale che riesca ad anticipare e per quanto possibile risolvere i problemi che
inevitabilmente sorgeranno nella fase post-penitenziaria e mettendo in campo tutte le
risorse disponibili.
In particolare, occorre che il territorio di cui la persona tornerà a far parte sia
consapevole dei suoi compiti e se ne faccia carico responsabilmente.
Il Tavolo esaminerà i problemi afferenti alla presa in carico della persona in esecuzione
penale e nella fase immediatamente successiva alla pena, al fine di attuare politiche
realmente inclusive e risocializzanti.
La legge 328/00 affida alle Regioni e agli Enti locali un ruolo di programmazione,
coordinamento ed attuazione delle politiche sociali, per una rimozione degli ostacoli
che impediscono la piena parità delle persone nella vita sociale, culturale ed
economica. Questo ruolo spesso non viene assunto da chi ne avrebbe competenza.
Compito del Tavolo sarà, quindi, svolgere una ricognizione di tipo normativo per
delimitare precisamente i campi d'azione dei vari attori sociali.
Si individueranno gli strumenti legislativi e organizzativi utili ad avviare percorsi di
reale sinergia fra amministrazione penitenziaria, in particolare Esecuzione Penale
Esterna, amministrazioni locali, rappresentanti del mondo economico e produttivo,
delle realtà di terzo settore e del volontariato.
Particolare attenzione si dovrà dare alle persone che scontano l'ultima fase della pena,
per operare un progressivo e sicuro reinserimento nella vita sociale.
Il Tavolo ipotizzerà anche percorsi di formazione congiunta e di confronto fra le varie
professionalità concorrenti alla realizzazione del processo di reinserimento, ivi
compreso il volontariato, ai fini di un più efficace conseguimento degli obiettivi
individuati.
Si dovrà tenere particolarmente conto del fatto che sul tema affidato al tavolo insiste un
criterio direttivo della legge di delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario
(art. 26, lett.f).
Abstract della relazione
Rispetto al perimetro tematico originariamente assegnato, il tavolo ha enfatizzato l’affermazione
secondo la quale “se la pena deve tendere al reinserimento nella società occorre progettare e
articolare tutta l’esecuzione penale in funzione di questo inserimento”. Di qui la scelta di
affrontare temi che apparentemente sembrano esulare dalla stretta definizione di tale perimetro, ma
che in realtà vanno a porre le premesse per efficaci percorsi di reinserimento sociale per le
persone a fine pena.
Ciò che va ribadito è il principio secondo il quale la responsabilità della progettazione e della
realizzazione di tali percorsi non è prerogativa della sola Amministrazione penitenziaria, ma
deve essere posta a carico di tutti gli attori sociali (pubblici e privati) che operano sul
territorio. Questo principio, se concretamente realizzato, potrebbe consentire di superare due
orientamenti istituzionali e socio-culturali quanto mai deleteri per il raggiungimento degli
obiettivi costituzionali della pena: da un lato, quello di chiusura e autoreferenzialità
dell’amministrazione penitenziaria, storicamente avvezza a considerare tutto ciò che proviene
dall’esterno come elemento di disturbo delle dinamiche infra-carcerarie, e, dall’altro, quello di
indifferenza e disinteresse delle istituzioni locali e degli operatori economici, i quali tendono a
non percepire come parte della loro mission organizzativa quella di contribuire alle attività di
reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale.
Occorre abbattere, in altri termini, quelle mura che non sono solo materiali, ma anche e soprattutto
culturali e istituzionali, che separano ancora l’esecuzione penale dalla società dei cittadini non
sottoposti a sanzione penale. In tale prospettiva, è essenziale che rimangano attivi e siano
potenziati tutti i canali di comunicazione tra interno ed esterno e che il campo dell’esecuzione
penale sia continuamente contaminato da istanze provenienti dall’impegno della società civile nei
processi di reinserimento sociale delle persone a fine pena. Si tratta di contaminare il sistema
penitenziario con elementi di inclusione sociale che occorre sollecitare nell’ambito della
società dei cittadini liberi. Come noto, l’attuale periodo storico non è certo favorevole a stimolare
tali istanze inclusive, ma ciò non deve far recedere dalla necessità di favorirle e di farle crescere nel
tessuto culturale del Paese prima ancora che in quello sociale ed economico.
Decisive, da questo punto di vista, tutte le iniziative che tendano ad incidere sui modi di percepire
l’esecuzione penale da parte dell’opinione pubblica. Sappiamo come nell’attuale fase storica
delle democrazie “mediatiche” il decisore politico sia (per certi aspetti anche giustamente)
preoccupato del consenso e quindi degli orientamenti di quella che è stata chiamata “l’emozione
pubblica”. Una politica penitenziaria che non voglia limitarsi ad uno sterile esercizio accademico
sui principi trattamentali deve fare i conti con l’immaginario collettivo che riguarda l’esecuzione
penale e più in generale le varie forme di criminalità.
Essenziale in tale prospettiva coinvolgere il pubblico dei non addetti ai lavori (in particolare le fasce
di popolazione giovanile) con strumenti di comunicazione accattivanti (cinema, fiction televisive,
fotografia, allestimenti museali interattivi, teatro, musica etc.), ma che al tempo stesso sappiano
veicolare un messaggio culturale orientato a far conoscere correttamente e in tutta la sua
complessità il mondo dell’esecuzione penale. Un modo diverso di presentare tale universo che sia
in grado anche di inoculare nell’opinione pubblica elementi culturali in grado di immunizzare i
cittadini dalla nefasta influenza di quelle campagne mediatiche di “panico morale” tanto
frequenti in tempi di populismo penale.
La disapplicazione di molti articoli dell’ordinamento penitenziario che si è constatata non appare
causata da carenze del testo normativo, ma da questioni che fanno riferimento a dinamiche
istituzionali e socio-culturali che vanno affrontate con scelte mirate di politica penitenziaria. Di
qui la scelta del tavolo di concentrare l’attenzione sui piani d’azione, nella prospettiva di fornire al
decisore politico gli elementi per individuare i problemi e indicare le possibili scelte operative.
I nodi critici individuati fanno riferimento a questioni organizzative interne all’amministrazione
penitenziaria, a questioni di cultura professionale degli operatori penitenziari e sociali (pubblici e
del privato sociale), al superamento di dinamiche interistituzionali che perpetuano la separazione
del carcere dalla società esterna. In particolare, si rileva la difficoltà del Dipartimento
dell'Ammministrazione penitenziaria (nelle sue varie articolazioni territoriali) di agire attraverso il
paradigma del lavoro di rete che, come noto, implica flessibilità organizzativa e apertura culturale
da parte di tutti gli attori che fanno parte della rete stessa. Nella prospettiva di una nuova politica
penitenziaria le modifiche normative vanno quindi realizzate non tanto a livello di principi giuridici
da inserire nell’O.P., ma piuttosto a livello di quella micro-normatività interna al Dipartimento
dell'Ammministrazione penitenziaria in cui si annidano le maggiori resistenze, di tipo culturale e
corporativo, al mutamento. È in tale contesto, infatti, che occorrerà introdurre quegli elementi di
innovazione organizzativa derivanti dal paradigma del cd. New Public Management che hanno
negli ultimi anni profondamente mutato il profilo delle pubbliche amministrazioni di molti Paesi
europei, ma che stentano ancora a penetrare nella cultura professionale dell’amministrazione
penitenziaria italiana.
Obiettivi
1. Disamina ordinamento penitenziario del 1975 e normative affini all’esecuzione penale
2. 1. Ruolo degli Enti locali nelle politiche di reinserimento
2. Progetti e percorsi virtuosi e disseminazione buone prassi
3. Soluzioni normative e amministrative per maggior impulso agli Uffici esecuzione penale
esterna
4. 1. Percorsi di formazione congiunta
2. Interventi economici a favore di iniziative di reinserimento sociale
5. Incremento nell’opinione pubblica della percezione dell'esecuzione penale come fattore di
sicurezza
6. 1. Disponibilità del terzo settore, del privato sociale e del volontariato
2. Contenuti normativi per un più ampio ricorso al volontariato e del privato sociale
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DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
PROVVEDITORATO REGIONALE DEL LAZIO
Ufficio delle Provveditore
Prot.
Il!
1~1111111111111 Il\l lii ll\~\l \11111
PR09-0063116-2015
Al Signor Presidente
della Regione Lazio
E,p.c,
Al Dipartimento
dell'Amministrazione
Penitenziaria
Ufficio del Capo Dipartimento
Ufficio per i rapporti con le
Regioni
Al Dipartimento
dell'Amministrazione
Penitenziaria
Direzione Generale dei Detenuti
e del Trattamento
OGGETTO: Garante per le persone sottoposte a limitazione della libertà personale della
Regione Lazio.
Il Garante per le persone sottoposte a limitazione della libertà personale della
Regione Lazio, istituito con Legge Regionale n. 31 del 6 Ottobre 2003, è organo imprescindibile per
Via S. Francesco di Sales n. 35 - 00165 Roma
Telefono 06-688181 fax 06-68136102 / 06-68818251 e-mail: relazioni [email protected]
DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
PROVVEDITORATO REGIONALE DEL LAZIO
Ufficio delle Provveditore
il raggiungimento degli obiettivi posti dalla Costituzione all'art. 27, che questa Amministrazione
persegue.
I diritti fondamentali della persona ristretta, il diritto alla salute, all'istruzione, alla
formazione professionale, alla cultura, allo sport, alla socializzazione, alle relazioni familiari, al
reinserimento nel mondo del lavoro, trovano maggiore garanzia e tutela grazie alla preziosa
collaborazione di questa figura che si affianca quotidianamente alle istituzioni, e a quella di chi
scrive in particolare, per la peculiare soluzione dei problemi che i detenuti lamentano.
La funzione di favorire l'incontro e l'interscambio tra la realtà interna ed esterna al sistema
di detenzione, la possibilità di prevedere percorsi formativi volti a sostenere concretamente il
reinserimento dei detenuti, e le reali opportunità lavorative fornite agli stessi, è di essenziale
interesse per l'Amministrazione Penitenziaria.
E così anche il ruolo di promotore, nei confronti degli organi regionali, di interventi
legislativi e/o amministrativi, per assicurare gli strumenti idonei, necessari al miglioramento delle
condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari e la tutela dei diritti, primo tra tutti quello alla
salute.
La perdurante attesa della nomina del nuovo Garante, ad alcuni mesi dal termine del
mandato precedente, ha determinato gravi effetti negativi sullo sviluppo della progettualità rivolta
alla popolazione detenuta.
In particolare, le Convenzioni stipulate con i Poli Universitari di Roma tre e di Tor Vergata che riguardano 106 detenuti iscritti ai corsi di laurea permettendo loro di avere una serie di
facilitazioni nel loro percorso di studio - sono ormai scadute e non sono state rinnovate.
L'importante progetto "Università in carcere con la teledidattica", in vigore dal 2006, che
solitamente veniva rinnovato annualmente, quest'anno non è stato convalidato e vi è il rischio
concreto che non possa ripetersi. Su questo erano state investite molte attese, anche sulla scorta
dell'impegno assunto a seguito delle indicazioni fornite dal Ministero della Giustizia che nel 2011
Via S. Francesco di Sales n. 35 - 00165 Roma
Telefono 06-688181 fax 06-68136102 / 06-68818251 e-mail: relazioni [email protected]
DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
PROVVEDITORATO REGIONALE DEL LAZIO
Ufficio delle Provveditore
aveva segnalato il progetto "Teledidattica e Università in carcere" quale esperienza innovativa da
replicare anche nelle altre regioni italiane.
A seguito della sottoscrizione del protocollo d'intesa sottoscritto tra il Ministero della
Giustizia, Regione Lazio, Tribunale di Sorveglianza ed ANCI, nessun tavolo tecnico è stato fino ad
oggi istituito come previsto nel documento.
La situazione è critica per ciò che riguarda i finanziamenti regionali a sostegno dei diritti
della popolazione detenuta.
Attraverso la consultazione degli atti pubblicati sul sito istituzionale nel Bollettino Ufficiale
del 06.08.2015 supplemento n. 2 della Regione Lazio, si è appreso della deliberazione di revoca del
precedente atto della Giunta regionale del 26 maggio 2015 n. 242 con la quale si stabilivano i criteri
guida per la concessione di finanziamenti per iniziative a sostegno dei diritti dei detenuti.
La deliberazione del 26 maggio u.s. indicava le risorse disponibili pari a 586.187 ,60 a valere
sul bilancio di precisione dell'esercizio finanziario 2015 di cui alla L.R. 8 giugno 2007 n. 7 per
interventi a favore dei detenuti che allo stato non sembrerebbero utilizzabili.
Al fine di giungere a tale deliberazione questo Provveditorato aveva avviato iniziative
formali con gli Assessorati regionali competenti, ed in particolare con quello Pari Opportunità,
Autonomie Locali e Sicurezza per lo sviluppo di progetti finalizzati al miglioramento delle
condizioni di vita dei soggetti in esecuzione penale della Regione Lazio in attuazione della Legge
regionale n. 7/2007.
In particolare, nel mese di marzo dell'anno in corso era stato definito, attraverso una
ricognizione su tutte le strutture penitenziarie del Lazio, il piano per le iniziative tratta mentali per il
2015 con la Direzione delle Politiche Sociali, Autonomie, Sicurezza e Sport- Area Politiche di
Polizia Locale e Sicurezza Penitenziaria della Regione, concordando gli ambiti di intervento; in
particolare la genitorialità, la mediazione linguistica culturale e processi di risocializzazione,
peraltro recepiti pienamente dai criteri guida allegati alla deliberazione in esame.
Via S. Francesco di Sales n. 35 - 00165 Roma
Telefono 06-688181 fax 06-68136102 / 06-68818251 e-mail: relazioni [email protected]
DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
PROVVEDITORATO REGIONALE DEL LAZIO
Ufficio delle Provveditore
Non è intervenuta fino ad oggi alcuna comunicazione da parte dell'Assessorato competente
per quanto sopra concordato.
Hanno subito una interruzione le iniziative del Garante, definite dal Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria come "buona prassi", volte alla istituzione dei tavoli tecnici per
il miglioramento dei processi assistenziali legati alla cura della popolazione detenuta con
conseguente adozione delle Carte dei Servizi da parte delle AA.SS.LL.
Per tali ragioni si auspica che possa essere ripresa presto l'attività dell'Ufficio del Garante per lo svolgimento delle finalità enunciate dall'art. 1 della Legge Regionale n 31/2003 - che, nello
spirito di partecipazione che caratterizza tale figura, contribuisce sostanzialmente al raggiungimento
degli scopi costituzionalmente esplicitati.
Certa di una positiva attenzione che la S.V. vorrà porre al problema,
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/:
Il Proytedi~re
Maria Clcf/eia/Di Paolo
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