- SinistraXMilano
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La scelta di dedicare uno dei tavoli tematici della due giorni fondativa di SinistraXMilano, svoltasi presso lo spazio Olinda il 12 e 13 novembre scorsi, al tema “Gli autori di reato e la città, tra reclusione e sanzioni di comunità” va ricondotta al modo in cui entro la carta valoriale del movimento appena approvata in assemblea è affrontata la questione della sicurezza, concepita «non come un diritto fine a sé stesso, bensì come un bisogno umano la cui soddisfazione si ottiene attraverso la realizzazione di una somma di diritti» (il diritto al lavoro, alla casa, all’istruzione, alla salute, alla socialità, a vivere in un luogo dignitoso): elemento-cardine è la convinzione che la risposta corretta alla diffusa domanda di sicurezza non vada cercata in misure repressive ed emergenziali ma debba tradursi «in azioni politiche volte a depotenziare ogni occasione di scontro e contrasto sociale, e in azioni tangibili di riqualificazione e cura delle comunità e degli spazi degradati, nonché di reinserimento nel contesto civile di chi viene privato della libertà per aver commesso reati». Uno degli obiettivi di quanti hanno organizzato il tavolo è appunto collocare fra i principali elementi identitari di SinistraXMilano la questione dei diritti dei cittadini ristretti in quanto responsabili di reati con i quali hanno infranto il patto sociale. Il tavolo è quindi pensato come momento di avvio di un percorso che porti alla costituzione di un comitato tematico che lavori in un confronto continuo con gli ‘addetti ai lavori’ nell’accezione più ampia del termine (dalle associazioni di volontariato alle cooperative sociali, dalle Direzioni delle strutture penitenziarie alle Istituzioni e al DAP – Lombardia), giovandosi del rapporto diretto con la Sottocommissione carceri del Comune di Milano, presieduta da Anita Pirovano. Proprio Anita, Consigliere comunale di SXM, ha aperto i lavori del tavolo con un appello ai presenti e a chiunque si appresta ad affrontare con noi questo percorso affinché si formulino proposte concrete sulle sanzioni di comunità, ossia sulle misure penali alternative alla detenzione. Lucia Castellano, Dirigente generale dell'Amministrazione Penitenziaria, ha dedicato il suo intervento alle trasformazioni in atto in tema di esecuzione penale, interna, ma soprattutto esterna al carcere. Questa seconda opzione si scontra spesso con quanti hanno la sensazione che, quando vi si fa ricorso, la rottura del patto sociale ad opera di chi compie reati non abbia conseguenze, o almeno non abbastanza. Ora, è indubbio che a ogni infrazione delle leggi debba corrispondere una sanzione; occorre tuttavia un ventaglio di risposte punitive diverse, tramite cui trasferire in misura crescente l’esecuzione penale fuori dal carcere, con un reinserimento progressivo del reo nella società. Realizzare un carcere riformato è possibile – è già accaduto e accade – attraverso una contaminazione continua e costante, in tutti i campi (cultura, formazione, sport, lavoro, tempo libero), fra città penitenziaria e città metropolitana; ma nel contempo si possono e debbono attuare sanzioni alternative, “di comunità”, che lascino cioè l’autore di reato nella società, come avviene con l’istituto della messa alla prova (un tempo valido solo per i minori), spostando l’attenzione dall’infrazione compiuta alla persona che ne è responsabile. Il primo scopo delle leggi che hanno accresciuto il ricorso a misure alternative è l’abbattimento della recidiva: produrre maggiore sicurezza sociale, cosa che però richiede la volontà e la capacità di dare contenuti concreti alle sanzioni di comunità. E a questo riguardo è importante sottolineare il rapporto virtuoso che può instaurarsi tra Comune e istituzione penitenziaria per quanto concerne il reperimento di risorse lavorative e abitative. Proprio da Milano si debbono far partire una serie di azioni da narrare e proporre come modello per l’intero Paese. In apertura del suo intervento, anche Alessandra Naldi, da tre anni e mezzo Garante dei diritti delle persone private della libertà per il Comune di Milano, ha ricordato quanto in tempi recenti si sia parlato della necessità del superamento della centralità del carcere nel sistema penale italiano e come molti passi siano stati fatti per privilegiare l'accesso alle pene non detentive, così da limitare il ricorso eccessivo alla detenzione. La domanda da porsi è cosa significhi esattamente questo processo dal punto di vista della persona/autore di reato o accusata di reato e in attesa di giudizio. È noto e ampiamente denunciato come il carcere tradizionale sia spesso una scuola di criminalità, per effetto della convivenza forzata tra grande criminalità e responsabili di reati minori. Altrettanto risaputo è il fatto che la carcerazione abbia effetti devastanti sul corpo, sulla psiche e sulle relazioni sociali delle persone detenute; in carcere la convivenza e le pessime condizioni igienicostrutturali delle strutture facilitano l'insorgere e la diffusione di malattie. Quasi ovunque si ricorre in misura del tutto eccessiva a psicofarmaci per compensare il pesante impatto della carcerazione ma anche per contenere i comportamenti e la possibile aggressività; di solito, al momento della scarcerazione le terapie farmacologiche vengono bruscamente interrotte, con gravi conseguenze sulla salute fisica e mentale degli interessati. Le misure penali di comunità hanno proprio lo scopo di evitare gli effetti negativi della carcerazione, o quanto meno di mitigarli, quando si è in presenza di misure alternative concesse dopo un periodo di detenzione. Per funzionare, però, tali misure richiedono una presa in carico forte da parte del sistema di welfare. La grande maggioranza degli autori di reato provengono infatti da situazioni di precarietà economica e sociale, spesso anche di grave emarginazione; sono persone a cui manca tutto – lavoro, casa, capitale umano e sociale – e solo intervenendo sulle loro condizioni di vita è dato contrastare efficacemente la recidiva. Quindi, per permettere l'applicazione su larga scala delle misure penali non detentive occorre un coinvolgimento a 360° della comunità territoriale e del sistema dei servizi sociali nei riguardi delle persone sottoposte a provvedimenti penali, che sono a tutti gli effetti cittadini della nostra città. La seconda parte del tavolo ha visto, oltre a una serie di domande da parte dei presenti (una cinquantina), due interventi che hanno illustrato altrettante iniziative concrete volte ad affrontare le questioni poste dai precedenti relatori. Il regista Giuseppe Scutellà, fondatore e anima – insieme all’attrice Lisa Mazoni – di Puntozero, ha illustrato brevemente le attività di questa associazione non-profit che produce spettacoli teatrali e opere cinematografiche e da vent’anni si sforza contrastare il fenomeno del disagio sociale e della devianza giovanile, realizzando azionimirate al coinvolgimento attivo dei giovani e degli adolescenti in iniziative destinate ad incidere in modo positivo sul loro percorso di crescita personale, sociale e professionale. Giuseppe ci ha parlato in particolare del lavoro svolto con i ragazzi del carcere minorile “Beccaria” (i cui ospiti hanno un’età compresa fra i 14 e i 25 anni, per chi ha compiuto il reato prima dei 18) e del progetto Puntozero Teatro Beccaria, al cui centro è una nuova idea di teatro, interno al “Beccaria” ma che apra le porte alla città: il carcere deve essere un luogo di interesse per i cittadini, far vedere loro cosa avviene all’interno. L’esperienza fatta creando una compagnia teatrale con i ragazzi del Beccaria è tesa a offrire loro percorsi lavorativi e soluzioni abitative, così da contribuire ad ridurre i rischi di recidiva. Se Scutellà ha avuto il merito di richiamare la nostra attenzione sul tema delicatissimo del penale minorile – su cui ancora molto resta da fare anche a Milano – Valeria Verdolini, Presidente di Antigone Lombardia, ha presentato la campagna condotta da Antigone perché nel giro di qualche anno si arrivi a investire il 20% del Bilancio dell'Amministrazione penitenziaria nelle misure alternative. Nel suo intervento Valeria ha preso le mosse da alcune critiche e perplessità sollevate da chi insiste sugli effetti distorsivi delle misure alternative; in particolare, il cosidetto "net widening", ossia l'allargamento dello spettro del controllo sociale che, non sempre, ha capacità deflattiva sulla domanda penale. Tuttavia, la riflessione sulla recidiva proposta dagli studi di Mastrobuono e Terlizzese (2015) evidenzia come sia centrale ricucire la relazione con lo Stato e con i diritti nel percorso di pena degli autori di reato. Uno Stato che si fa carico degli autori di reato senza che la risposta sia solo la detenzione ottiene una maggiore riduzione della recidiva. Il primo passo da compiere in tale direzione è avere misure commisurate e più in grado di raccogliere le fragilità della popolazione coinvolta nella sfera del penale oggi. Per questo, la campagna promossa da Antigone spinge per l'aumento della spesa per le misure alternative dal 5% odierno ad almeno il 20% entro il 2020, anche alla luce del fatto che attualmente la popolazione coinvolta in queste misure è di circa 31.000 persone, a fronte delle 54.000 detenute. Stefano Simonetta (moderatore del tavolo)