E no, Scalfari: lascia stare Catilina

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E no, Scalfari: lascia stare Catilina
E no, Scalfari: lascia stare Catilina - Massimo Fini
Credevo che Scalfari fosse almeno un buon conoscitore di storia latina. Se infatti nei suoi pezzi,
in genere infarciti di nomi di banchieri e finanzieri con cui il direttore di Repubblica, da buon
radical chic con il cuore a sinistra ma il portafoglio ben sistemato a destra, intrattiene da sempre
proficui rapporti, c'è mai qualche riferimento culturale esso riguarda, oltre a qualche sporadica
citazione dalla Recherche (che peraltro non ha letto, se l'è fatta sunteggiare dal suo amico
Visentini che è un proustologo convinto), personaggi della storia e della letteratura della Roma
antica. Adesso però il Nostro rivela di avere, anche in questo campo, una cultura da bigino.
Nella sua rituale articolessa domenicale Scalfari, per sostenere la tesi, un poco azzardata, che
la destra in Italia è sempre stata eversiva, afferma che essa ha avuto come modello e imprinting
la figura di Lucio Sergio Catilina di cui tratteggia un ritratto, di demagogo, illusionista e
indebitato, che ricalca, guarda caso, il personaggio di Silvio Berlusconi. Questo paragone non è
oltraggioso solo per Catilina ma per la più elementare verità storica. Se Catilina fu un eversore
fu un eversore di sinistra, non di destra. Esponente di punta, insieme al più giovane Cesare, del
partito democratico, Catilina, nonostante provenisse da una delle più nobili e antiche famiglie
quirite, la gens Sergia, aveva assunto la causa del proletariato romano e, più in generale, di
quei settori della società del tempo, liberi, schiavi, donne, giovani, che non avevano voce nè
rappresentanza politica. Il suo scontro con Cicerone è lo scontro fra il rappresentante dei grandi
latifondisti italici e la massa dei diseredati, degli emarginati, dei disoccupati che proprio la
politica di rapina degli aristocratici, dimentichi delle antiche virtù e ormai dediti solo all'accumulo
parassitario di denaro, aveva ridotto in completa miseria e di cui Catilina prese le difese. Infatti
la bagarre si scatenò attorno alla proposta di legge agraria del tribuno Servilio Rullo (alle cui
spalle c'era Catilina) che prevedeva una redistribuzione delle terre, nell'equa misura di dieci
iugeri a testa, a favore di coloro che non ne avevano alcuna. Si trattava di terre che
appartenevano allo stato e quindi la lex Rullia non ledeva in alcun modo il diritto di proprietà, ma
i latifondisti, attivando il misirizzi Cicerone, vi si opposero strenuamente perché molti di loro, nel
frattempo, le avevano occupale arbitrariamente e le sfruttavano con il lavoro degli schiavi.
Catilina è stato il primo rivoluzionario di sinistra apparso sulla scena della storia, difensore degli
interessi dei ceti deboli contro quelli del grande capitale parassitario. Se Scalfari ha qualche
dubbio vada a leggersi le analisi, in proposito, di Vilfredo Pareto.Scalfari, sempre consultando il
suo Bignami, afferma anche che Catilina per arrivare al consolato «comprò i questori, corruppe i
consoli» e aggiunge, forse confondendolo con Nerone, che «promise lavoro e giochi per tutti». È vero esattamente il contrario. E cioè che per sbarrare a Catilina la strada del consolato gli
aristocratici ricorsero a tutti i mezzi. Nel 66 a.C. la candidatura di Catilina fu stoppata da
un'accusa di estorsione per la sua attività di governatore in Africa. L'accusa era stata presentata
fuori tempo per cui Catilina fece ricorso e lo vinse. Ma ormai i termini per la candidatura erano
scaduti. Nel 65, sempre inseguito dall'accusa di estorsione, non poté presentarsi. Nel 64 fu
assolto con formula piena e si ricandidò al consolato, ma il Senato, con una legge ad hoc,
provvide a togliergli gran parte della base elettorale. Ciò nonostante Catilina finì terzo, primo dei
non eletti. Infine nel 63 l'aristocrazia, pur di sbarrargli la strada, ricorse a degli autentici brogli a
favore del suo avversario, Murena Brusoli di cui lo stesso Cicerone dà involontariamente conto
nella sua orazione Pro Murena. Fu solo a questo punto che Catilina, esasperato, decise di
ricorrere alle armi. Abbandonato da Cesare che, fiutato il vento, aveva tirato indietro il piedino,
Catilina morì in battaglia, a Fiesole, nel 62, «compiendo insieme» come scrive Sallustio che non
gli è certo favorevole «il dovere del soldato valoroso e del generale abile». Il suo discorso alle
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truppe prima dello scontro, privo di qualsiasi retorica, e che verrà ripreso, in altri frangenti, da
Winston Churchill, rimane una pagina straordinaria e commovente. Ora, io capisco benissimo
che Scalfari preferisca Cicerone a Catilina. Troppe cose lo rendono vicino all'avvocato di
Arpino: la retorica, il parlar rotondo, il trombonismo, la tartuferia, la difesa degli interessi
consolidati e del denaro, il trasformismo e, soprattutto, l'intima e profonda vigliaccheria. Ma
Scalfari non può falsificare la storia fino al punto di catalogare un rivoluzionario come Catilina
da eversore di destra solo per andare in culo a Silvio Berlusconi che di battaglie conosce solo
quelle combattute, a suon di miliardi, di prepotenze e di truffe, sui campi di calcio.
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