Tribunale di Rovereto 15 marzo 2007

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Tribunale di Rovereto 15 marzo 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il TRIBUNALE di ROVERETO
SENTENZA
nella causa civile rubricata sub n. 1052/04 r.g.c. promossa con ricorso in
opposizione ex art. 98 L.F.
da
UNIVERSAL PICTURES INTERNATIONAL No 2 BV,
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO ACADEMY PICTURES S.R.L
[…]
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con istanza depositata nella cancelleria fallimentare del Tribunale di
Rovereto il 13 dicembre 2003 (doc. n. 9 del fascicolo della società
opponente), la società UNIVERSAL PICTURES INTERNATIONAL no 2 BV (di
seguito: UNIVERSAL PICTURES) con sede a Baarn (Paesi Bassi), in persona
degli amministratori delegati Joseph Eskes e Nicolas Aart Doornberg,
chiedeva al Tribunale Fallimentare di Rovereto l’ammissione del credito
chirografario di € 179.933,00 nello stato passivo del fallimento “Academy
Pictures s.r.l.” (di seguito: ACADEMY PICTURES), dichiarato dal Tribunale di
Rovereto con sentenza 07/2003 del 20.10.2003.
Affermava nel ricorso la società istante che:
- in forza di contratto di licenza e distribuzione dd. 17.05.1995, la società
ACADEMY PICTURES, quale licenziatario autorizzato alla distribuzione in
Italia del film “Backbeat”, si era impegnata a pagare alla società UNIVERSAL
PICTURES –allora- denominata Manifesto Film Sales BV” (di seguito
indicata, per brevità, come: MANIFESTO)- la somma di British pounds (di
seguito GBP) 250000 “come corrispettivo minimo ed anticipo non
rimborsabile”; il 10% della somma doveva essere pagata alla firma del
contratto, il 20% all’inizio della fotografia, il 20% all’ultimazione della
fotografia ed il 50% con la ricevuta da parte di un laboratorio italiano
dell’internegativo della pellicola;
- l’internegativo della pellicola era successivamente reso disponibile “come
da fattura del 15.12.93 (Doc. 3) ed avviso del 25.03.1994 (doc. 4)”; sino
“allora” ACADEMY PICTURES versava il 50% del corrispettivo, pari a GBP
125000;
- nonostante l’avviso di disponibilità dell’internegativo, ACADEMY PICTURES
non pagava il corrispettivo contrattuale residuo di GBP 125000;
- richiamando la clausola contrattuale in base alla quale, “in caso di
mancato pagamento a seguito di diffida con termine di 10 giorni”, la
MANIFESTO “avrebbe potuto risolvere il contratto” e, in caso di risoluzione,
ACADEMY PICTURES” avrebbe dovuto saldare a favore di MANIFESTO tutte
le somme già maturate”, la società concedente “era costretta a risolvere il
contratto con lettera dd. 22 Dicembre 1994”.
Sulla base di tali affermazioni, la società concedente, nel frattempo divenuta
UNIVERSAL PICTURES, domandava al fallimento di ACADEMY PICTURES il
residuo corrispettivo contrattuale di GPB 125.000,00.
La domanda di insinuazione nello stato passivo, reso esecutivo con decreto
30.06.04, era respinta dal giudice delegato sul presupposto che la stessa
richiesta di pagamento fosse stata già respinta dal Tribunale di Roma con
sentenza non ancora passato in giudicato.
[…]
Tanto premesso UNIVERSAL PICTURES si doleva che il Tribunale avesse
respinto l’ammissione allo stato passivo del suo diritto di credito ed
affermava che:
- il suo credito, “come peraltro incidentalmente riconosciuto dal Tribunale di
Roma”, trova appunto fondamento nell’art. 15 punti 2.3. del contratto di
distribuzione, in base al quale ACADEMY PICTURES, dopo avere versato
acconti per complessivi GBP 125.000, si era obbligata a pagare l’ulteriore
importo di GBP 125.000 (pari al 50% del corrispettivo totale) all’atto della
ricezione dell’internegativo della pellicola, circostanza questa pacificamente
verificatasi;
- che in virtù dello stesso contratto (punti 15.2.2. e 15.2.3.) le parti
avevano stabilito che, in caso di risoluzione dello stesso, UNIVERSAL
PICTURES avrebbe non solo legittimamente trattenuto gli importi pagati da
ACADEMY PICTURES a titolo di acconto ma avrebbe pure avuto diritto a
ricevere “tutti gli importi dovuti a norma di contratto”;
- ACADEMY PICTURES non aveva versato, nonostante ripetute sollecitazioni,
la somma di GBP 125.000 dovuta in seguito alla consegna dell’internegativo
mentre aveva solo consegnato precedenti acconti per GBP 1250.000;
[…]
Alla prima udienza, fissata per il 4 ottobre 2004, si costituiva in giudizio la
curatela del fallimento ACADEMY PICTURES che:
[…]
nel merito, per l’ipotesi di rigetto delle eccezioni preliminari, la curatela
avanzava ex art. 1384 c.c. istanza di riduzione della somma richiesta da
UNIVERSAL PICTURES, da qualificarsi come penale, osservando che
l’obbligazione principale è stata in parte eseguita ed affermando che
l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo; sosteneva sul punto
la curatela che ACADEMY PICTURES si era determinata a sottoscrivere un
contratto che prevedeva a favore del produttore del film un minimo
garantito “considerevolmente elevato” di GBP 250.000 perché il sig. Powell
della MANIFESTO aveva prospettato “una produzione di straordinario
impegno produttivo e dalle eccezionali caratteristiche artistiche” e perché,
“trattandosi di un film sulla vita di uno dei membri del complesso musicale
“Beatles” quegli aveva garantito “che la colonna sonora del film avrebbe
incluso delle registrazioni inedite dei primi brani dei Beatles e che, pertanto,
il film sarebbe potuto divenire l’evento cinematografico musicale della
stagione”; mentre, a produzione eseguita, ACADEMY PICTURES dovette
constatare che il film “era assolutamente privo delle musiche inedite dei
Beatles” con la conseguenza che esso si rivelò “un enorme insuccesso sia di
pubblico che di critica, tanto da non esser selezionato in alcuno dei Festival
cinematografici” e da dovere essere ritirato dai circuiti commerciali,
nonostante gli sforzi fatti da ACADEMY PICTURES per promuoverlo.
[…]
Con ordinanza del 4 Luglio 2005 il Collegio, investito della decisione della
causa, ne disponeva la rimessione in istruttoria, ritenendo che la clausola
contrattuale n. 15.2.3. invocata da parte UNIVERSAL PICTURES –clausola
che, in lingua inglese, suona come segue: In event of termination of this
agreement by the Licensor pursuant to this agreement … The Licensee shall
pay to the Licensor the bilance of all osutstanding sums payable to the
Licensor under this Agreement- dovesse essere qualificata alla luce del
diritto inglese e del Galles applicabile al contratto per volontà delle parti in
forza del punto 20.1 dello stesso accordo. Il Collegio osservava che, sempre
in base al diritto inglese, dovesse essere valutata la richiesta di riduzione
della penale avanzata da parte resistente e nominava quindi un consulente
tecnico “di diritto inglese” secondo quanto previsto dalla legge di diritto
internazionale privato 31 MAGGIO 1995 n. 218 art. 14, in base alla quale
l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice che può
anche interpellare esperti o istituzioni specializzate.
L’esperto era individuato nella persona del prof. Franco Ferrari, docente
ordinario di diritto internazionale presso l’università di Verona.
[…]
Nella memoria ex art. 183 c.p.c. la curatela del fallimento poneva una serie
di questioni “rilevabili d’ufficio” in relazione alle quali modificava le proprie
conclusioni; in particolare:
- eccepiva il giudicato in punto del diritto applicabile alla controversia,
perché il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 2486/02 R.G., relativa allo
stesso rapporto, aveva fatto applicazione del diritto italiano;
- affermava che il diritto italiano dovesse in ogni caso trovare applicazione,
perché, essendo la fattispecie soggetta alla Convenzione di Roma del 19
Giugno 1980 sulle legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, avrebbe
dovuto trovare applicazione anche l’art. 7 della suddetta Convenzione sulle
nome di “applicazione necessaria”; sosteneva che la norma di applicazione
necessaria dovesse essere individuata nello articolo 1384 c.c. relativa alla
riduzione della penale, “specie dopo la nota sentenza delle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione nr. 18128/2005 che ha sancito la possibilità per il
giudice di ridurre d’ufficio la clausola penale e ciò sia con riferimento alla
penale manifestamente eccessiva sia con riferimento all’ipotesi in cui la
riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte
eseguita”; affermava, dunque, la curatela che il carattere cogente ed
imperativo dell’art. 1384 c.c. si dovesse evincere dal fatto che l’articolo
introduce una norma “avente lo scopo di contemperare l’autonomia
contrattuale avuto riguardo a principi di equità (,,,) nell’interesse
dell’ordinamento”, come riconosciuto dalla Suprema Corte di Cassazione con
l’affermazione che la norma è posta “per evitare che l’autonomia
contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutele soggettiva delle parti
appare meritevole di tutela”; con specifico riferimento al caso di specie, e
quindi dell’applicazione del criterio di collegamento dell’art. 7 della
Convenzione di Roma, la curatela sosteneva inoltre come non vi sia “dubbio
che la situazione dedotta in giudizio presenti uno stretto legame con l’Italia:
basti considerare che oltre al fatto della residenza in Italia della
concessionaria, il film era destinato ad essere distribuito in Italia e nelle
parti di lingua italiana degli stati limitrofi, così come la lingua autorizzata
per il doppiaggio o la sottotitolatura del film era solo quella Italiana”; in
subordine parte opposta sosteneva che dovesse comunque trovare
applicazione il criterio residuale di cui al punto 7 para. 2 della citata
Convenzione, atteso il carattere imperativo della previsione dell’art. 1384
c.c.;.
- eccepiva, poi, la curatela che, quand’anche la fattispecie concreta fosse
soggetta, in base alla previsione pattizia contenuta nel contratto, alla legge
inglese, la clausola 15.2.3. del contratto dd. 17.05.1993 dovesse essere
ritenuta nulla o inefficace, alla luce della consulenza tecnica del prof.
Ferrari, perché si trattava di clausola qualificabile, in base al diritto inglese,
come penalty clause;
- eccepiva infine la difesa del fallimento che il potere del giudice italiano di
procedere alla riduzione della clausola penale, nell’ipotesi che questa fosse
qualificata in base al diritto inglese come liquidated damages clause,
dovesse discendere dall’applicazione dei principi internazionali “anche di
matrice comunitaria” perché il “il potere di ridurre d’ufficio la clausola
penale o, genericamente, le sanzioni previste a carico della parte
inadempiente oltre che principio riconosciuto in tutti i paesi di diritto
continentale” trova riscontro anche all’articolo 7.4.13 dei Principi dei
contratti internazionali del 1994 dell’UNIDROIT, ove è previsto che: “In ogni
caso, nonostante qualsiasi patto contrario, la somma stabilita può essere
ridotta ad un ammontare ragionevole ove essa sia manifestamente
eccessiva in relazione al danno derivante dall’inadempimento ed alle altre
circostanze”.
Con memoria depositata il 3 Marzo 2006, replicava UNIVERSAL PICTURES
alle nuove questioni sollevate dalla curatela fallimentare, di cui eccepiva
l’inammissibilità proprio perché nuove e che contestava nel merito.
[…]
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione proposta da UNIVERSAL PICTURES è fondata e merita
accoglimento.
[…]
La clausola contenuta al punto 15.2.3. del contratto dd. 17.05.1993 deve
pertanto essere prima qualificata e poi applicata secondo il diritto inglese e
del Galles, prescelto dalle parti.
[…]
Quale che sia l’esatta traduzione della clausola 15.2.3. è del tutto chiaro, in
base al contratto –ed è comunque riconosciuto dalla stessa parte
opponente- che essa è invocabile in ogni ipotesi testuale di risoluzione
convenzionale del contratto.
I casi di risoluzione convenzionale del contratto – quelle che per il nostro
diritto verrebbero definiti come casi di clausola risolutiva espressa- sono
elencati nei punti da 15.1.1. a 15.1.5 del contratto stesso come segue (nella
traduzione del prof. Ferrari):
15.1.1. ove qualsiasi pagamento dovuto da parte del Concessionario ai
sensi del presente contratto non sia effettuato entro 10 giorni dalla richiesta
scritta di pagamento effettuata da parte Concedente;
15.1.2. ove, pur fatta salva la previsione di cui alla clausola 15.1.4.,
qualsiasi ulteriore inadempimento del presente accordo da parte del
Concessionario non venga sanato entro 20 giorni dalla contestazione scritta
da parte del Concedente di tale inadempimento;
15.1.3. ove il Concessionario sia messo in liquidazione o acceda ad una
procedura concorsuale, o si renda insolvente, o cerchi di concludere
qualsivoglia accordo con i propri creditori, ovvero sia soggetto a qualsiasi
procedura esecutiva, che possa colpire qualsiasi dei beni del concessionario,
o il Concessionario interrompa anche temporaneamente la propria attività
quale distributore del Film, ovvero la propria attività in generale per un
periodo superiore ai 30 giorni;
15.1.4. ove il Concessionario si renda inadempiente alla clausola 14 del
presente contratto,
15.1.5. ove il Concessionario rifiuti di accettare la consegna di qualsiasi
prodotto per il quale abbia ricevuto avviso da parte del Concedente.
Risulta dunque chiaro che le parti si accordarono nel senso che il
concessionario sarebbe stato obbligato a pagare il cd. minimo contrattuale
garantito -e quindi l’intero corrispettivo contrattuale preteso da UNIVERSAL
PICTURES pari a GBP 250000- in qualsiasi ipotesi testuale di
inadempimento contrattuale (clausole 1, 2, 4 e 5) o di riduzione della
garanzia patrimoniale di solvenza (clausola n. 3) a prescindere dalla gravità
dell’inadempimento e non invece, come sostenuto da UNIVERSAL
PICTURES, a consentire al concedente di trattenere i diritti già maturati in
relazione allo stato di esecuzione del contratto.
La funzione concreta della clausola qui controversa è spiegata dal
consulente prof. Ferrari quale “ulteriore rimedio” (rispetto alle -per
intendersi- clausole risolutive espresse del sistema interno) “a favore del
concedente nell’ipotesi di materializzazione di una delle situazioni sopra
descritte” (pag. 6 della perizia).
Quanto alla natura giuridica della clausola spiega il prof. Ferrari che essa
potrebbe essere ascritta, in considerazione della sua concreta struttura,
alternativamente o:
- alla categoria giuridica della penalty clause del diritto anglosassone, che è
nozione “non coincidente con quella di clausola penale del diritto italiano
(assimilabile, per converso, alla nozione di “clause pènale” nota
nell’ordinamento francese ovvero di “Vertragsstrafe nota nell’ordinamento
tedesco) perché “il concetto di penalty contiene una nozione valutativa della
fattispecie, che è invece assente nel concetto di clausola penale la cui
valenza è puramente descrittiva. La nozione, che si trova in tutti gli
ordinamenti europeo-continentali, infatti, vale a descrivere qualsiasi
fattispecie in cui le parti predeterminano nel contratto la somma di denaro
che il soggetto inadempiente sarà tenuto a corrispondere all’altra parte
nell’ipotesi di inadempimento alle proprie obbligazioni contrattuali. La
nozione, invece, non comporta un pregiudizio circa la validità e/o efficacia
della clausola in questione, che dovrà pertanto essere sottoposta ad un
giudizio caso per caso al fine di stabilirne la validità ed efficacia nella
fattispecie concreta. (..) Diversa è la situazione nell’ambito del common law
inglese, dove la nozione di penalty esprime di per sé una connotazione
negativa e viene pertanto comunemente utilizzata per descrivere una
fattispecie unenforceable (ossia inefficace e/o invalida);
- oppure alla “speculare nozione di liquidate damages. Entrambe le nozioni
si riferiscono ad ipotesi in cui le parti hanno convenuto la corresponsione di
una somma di denaro in caso di inadempimento del contratto. La nozione
utilizzata, tuttavia, contiene già in sé la valutazione circa la validità della
clausola, di modo che si parlerà di penalty per descrivere una clausola
invalida con cui le parti predeterminano la somma che il soggetto
inadempiente è tenuta a corrispondere al verificarsi dell’inadempimento e si
parlerà di liquidated damages nel caso di clausola valida con cui le parti
predeterminano tale somma di denaro” (pagine 7 ed 8 della perizia).
Osserva inoltre il prof. Ferrari che, nel caso di specie, la clausola era stata
associata dalle parti ad un’ulteriore previsione in danno della parte
inadempiente (nel diritto anglosassone talvolta indicata anche come
forfeiture clause, vedi pag. 8 della perizia), ossia alla clausola –sub. n.
15.2.2. del contratto- con la quale le parti avevano stabilito che il
concedente, sempre in caso di ricorrenza di una delle situazioni di
inadempimento ovvero diminuzione della garanzia di solvenza -sopra
indicate- da parte del concessionario, avrebbe avuto il diritto di trattenere le
somme già versate dal concessionario a titolo di deposit (nel concreto i
125.000 GBP già versati da ACADEMY PICTURES in corso di esecuzione del
rapporto e di cui il Tribunale di Roma ha ordinato la restituzione in seguito
alla pronuncia di risoluzione del contratto con statuizione poi impugnata da
UNIVERSAL PICTURES avanti alla Corte d’Appello di Roma). Tale clausola che, nella traduzione in lingua italiana del prof. Ferrari, è del seguente
tenore: il concedente tratterrà, a proprio uso e beneficio, tutte le somme
ricevute o dovute al Concedente ai sensi del presente contratto”- può
assumere rilievo, secondo il prof. Ferrari, “ai fini della complessiva
valutazione del contratto e, in particolare, della qualificazione della clausola
ulteriore come penalty clause o come liquidated damages clause” atteso che
essa già stabilisce una sanzione a carico della parte inadempiente ossia il
diritto della parte non inadempiente a trattenere “una somma versata ab
origine a titolo di caparra (per utilizzare una nozione propria del diritto
italiano)”.
[…]
Il prof. Ferrari ha infatti chiarito che caso Dunlop LTD. V. new Garage Ltd. la
House of Lords, supremo organo giurisdizionale per le Corti d’Inghilterra e
Galles, “ebbe modo, anche sulla base di decisioni precedenti, di enunciare le
quattro regole fondamentali che governano tutt’ora la materia. In
particolare (pagine 8 e 9 della consulenza):
1. anche se le espressioni penalty” o “liquidated damages” usate dalle parti
possono prima facie essere intese per il loro significato letterale,
l’espressione utilizzata non è risolutiva e la corte è tenuta a valutare caso
per caso se nella fattispecie ci si trovi di fronte ad una penalty ovvero una
liquidated damages clause;
2. l’essenza di una penalty è rappresentata da una previsione contrattuale
di un obbligo di pagamento di una somma di denaro stipulata in terrorem
della parte inadempiente; diversamente, l’essenza di una liquidated
damages clause può essere rinvenuta in un accordo con il quale le parti
ragionevolmente predeterminano secondo buona fede il verosimile
ammontare dei danni nell’ipotesi di inadempimento;
3. la questione riguardante la qualificazione di una clausola come penalty
oppure liquidated damages clause è una questione d’interpretazione da
risolvere sulla base del contenuto specifico di tutte le circostanze concrete
relative a ciascun contratto da valutare al tempo della stipulazione della
clausola e non già al tempo dell’inadempimento”.
4. alcuni criteri valutativi possono aiutare il giudice nel caso concreto, tra i
quali possono assumere rilievo, con riferimento al caso di specie i seguenti
(vedi C.T.U. pagina 10 e note 8 e 10):
i. “la clausola dovrà essere considerata una penalty se risulta eccessiva e
sproporzionata nell’ammontare rispetto al maggior danno ipotizzabile al
tempo della stipula dell’accordo come conseguenza dell’inadempimento (in
questo senso già Clydebank Engineering adn Shipbuilding Co. V. Don Jose
Ramos Ysquierdo y Castaneda (1905) AC 6, House of Lords”);
ii. “la clausola dovrà (semplicemente) presumersi una penalty se una stessa
somma è pattuita quale risarcimento per inadempimenti di una qualunque
di diverse obbligazioni suscettibili di causare danni di diversa entità. (nello
stesso senso già Wbster v. Bosanquet (1912) AC 394, House of Lords; per
una recente applicazione di tale principio di veda Philips Hong Kong Ltd v.
Attorney General of Hong Kong (1993) 61 BLR 41) .
L’ampia casistica giurisprudenziale esistente, tuttavia, dimostra come le
corti siano inclini a considerare una clausola come penalty soltanto in casi
eclatanti di clausola stipulata in terrorem (ciò quantomeno in ipotesi di
contratto conclusi tra le parti con potere contrattuale equilibrato), di modo
che particolare rilevanza nel giudizio da rendere in relazione alla singola
clausola assume il giudizio (,,) in forza del quale la clausola dovrà essere
considerata una penalty se risulta eccessiva e sproporzionata
nell’ammontare rispetto al maggior danno ipotizzabile al tempo della stipula
dell’accordo come conseguenza dell’inadempimento” (pagina 11 della
consulenza).
Muovendo dalle conclusioni del prof. Ferrari, la curatela fallimentare ha, in
corso di causa, modificato le proprie conclusioni, sostenendo la nullità
ovvero l’inefficacia della clausola pattuita dalle parti perché si tratterebbe di
una penalty clause conclusa in terrorem della parte licenziataria; nel caso
concreto, applicando i principi derivanti dal caso Dunlop, la natura di
penalty clause discenderebbe dai seguenti fatti (pagina 7 della comparsa
conclusionale) :
a) perché il pagamento dell’importo di cui al punto 15.2.3 è stato previsto
per tutta una serie di inadempimenti di obbligazioni del tutto diverse e
suscettibili di causare danni non determinati e persino di dubbia
sussistenza, inadempimenti invocabili a giudizio insindacabile della società
concedente e, dunque, senza la possibilità di valutare la effettiva gravità
dell’inadempimento;
b) il suddetto obbligo a carico di ACADEMY PICTURES appare
manifestamente eccessivo, sproporzionato ed irragionevole rispetto al
danno ipotizzabile per la MANIFESTO, a favore della quale era già stato
previsto nel contratto, a fronte dell’inadempimento della prima, non solo il
diritto di trattenere tutte le somme percepite ed il riacquisto di tutti i diritti
sul film ma anche (punto 15.2.4) la possibilità di dar corso a proprio
beneficio a tutti gli accordi conclusi dal concessionario o nel suo interesse;
c) inoltre la previsione integra un’obbligazione manifestamente eccessiva
anche considerata l’epoca di stipula del contratto (si tratta di circa €
3600000,00, una somma assai consistente nell’anno 1993), la tipologia del
film (non vi partecipavano attori noti, non era noto il regista) e le limitazioni
territoriali allo sfruttamento del film e da ultimo le effettive qualità del film
stesso, rivelatosi privo delle caratteristiche promesse e quindi un
insuccesso.
[…]
Gli argomenti sostenuti dalla curatela non sono però, a giudizio del Collegio,
sufficienti per qualificare la clausola conclusa dalle parti come una penalty
clause.
Invertendo l’ordine degli stessi osserva il Tribunale che la clausola penale
non è “eccessiva e sproporzionata nell’ammontare rispetto al maggior
danno ipotizzabile al tempo della stipula dell’accordo come conseguenza
dell’inadempimento” (argomento b); si deve, infatti, osservare che le parti
si limitarono a liquidare anticipatamente un danno che corrisponde al “lucro
cessante minimo” che MANIFESTO avrebbe potuto domandare, a titolo di
risarcimento, in caso di inadempimento del contratto da parte di ACADEMY
PICTURES. La clausola contrattuale contestata contempla infatti l’obbligo di
pagamento a carico del licenziatario del corrispettivo contrattuale minimo
stabilito pattiziamente per la produzione e consegna dell’internegativo del
film da parte di MANIFESTO .
La “clausola penale” rappresenta pertanto una tipica liquidazione anticipata
del danno che la società MANIFESTO avrebbe comunque ottenuto qualora
avesse esercitato un’ordinaria azione di risarcimento del danno per
inadempimento contrattuale.
Tale considerazione basta a far ritenere che non si versi in uno dei “casi
eclatanti di clausola stipulata in terrorem” nei quali, secondo il consulente
prof. Ferrari, la giurisprudenza anglosassone ha ravvisato una penalty
perché, nel caso di specie, la misura della somma di denaro stabilita dalle
parti quale sanzione per l’inadempimento non è certamente “ eccessiva e
sproporzionata nell’ammontare rispetto” al “danno ipotizzabile al tempo
della stipula dell’accordo come conseguenza dell’inadempimento” (pagina
11 della consulenza)..
A fronte della suddetta constatazione viene a perdere forza anche la
doglianza proposta sub lettera b) dal Fallimento che, cioè, la clausola debba
essere qualificata come penalty perché la “sanzione” fu prevista come
conseguenza di svariate ipotesi, anche non gravi, di inadempimento
contrattuale (punti da 15.1.1. a 15.1.5 del contratto). Si deve infatti
osservare che la pattuizione di una clausola penale, non sproporzionata
nell’ammontare, fu previsto dalle parti in relazione a ben precise situazioni
di inadempimento che prevedevano una “costituzione in mora” ovvero un
avviso da parte del creditore e quindi una possibilità per il debitore di
sanare l’inadempimento (vedi punti 15.1.1, 15.1.2 e 15.1.5); non si tratta
pertanto di “un caso eclatante” di clausola penale prevista per
l’inadempimento di una qualsiasi obbligazione contrattuale ma di una penale
proporzionata al danno potenziale del creditore stabilita in relazione a
specifiche ipotesi di inadempimento, che presupponevano, in ogni caso, la
costituzione in mora del debitore.
Che non si trattasse di casi di “inadempimento non grave” è poi dimostrato
dal fatto che il contratto è stato dichiarato risolto dal Tribunale di Roma
sulla base della legge italiana, che presuppone la gravità
dell’inadempimento, senza che la decisione del Tribunale di Roma fosse
impugnata dal fallimento.
Per quanto riguarda, infine, l’argomento fondato sull’insuccesso del film
(lettera c), insuccesso che la curatela aveva chiesto di poter provare, si
tratta di argomento irrilevante perché esso attiene al momento esecutivo
del contratto –in relazione al quale non sono state proposte domande od
eccezioni riconvenzionali- mentre il giudizio sulla natura della clausola è
riferito anche nella giurisprudenza inglese (caso Dunlop cit.) al momento
genetico del vincolo e quindi di formazione della volontà.
Non sussistendo altri elementi che possano condurre a ritenere che la
clausola contestata possa essere qualificata come penalty clause, non resta
che qualificarla
in base al diritto inglese come liquidated damages clause come tale valida e
non riducibile.
La riducibilità non può essere affermata nemmeno ai sensi dell’art. 7 della
Convenzione di Roma, invocata dal fallimento.
Nella prospettiva delle norme di applicazione necessaria si deve guardare al
secondo comma dell’articolo 7, che riguarda le norme in vigore nel paese
del giudice che disciplinano imperativamente il caso concreto
indipendentemente dalla legge che regola il contratto, e non al comma
prima, pure invocato dalla curatela, che concerne le norme imperative di
Paesi la cui legge non è né quella del giudice adito (lex fori) né la legge
regolatrice del contratto ai sensi delle disposizioni della Convenzione stessa
(lex causae) .
Ebbene, si può anche concordare con la curatela sul fatto che la norma
dell’art. 1384 c.c., alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione
civile a sezioni unite (nr. 18125/05) vada qualificata come norma
inderogabile ed imperativa, volta a porre dei limiti pubblicistici all’autonomia
privata.
Ritiene tuttavia il Collegio che l’esigenza posta a base dell’art. 1384 c.c. sia
già considerata e sottoposta a regola dal diritto inglese e del Galles in modo
da tutelare la parte debole del rapporto: tale regolamentazione si rinviene
proprio nella distinzione tra penalty clause e liquidates damages clause . Nel
caso di clausole stipulata in terrorem della parte debole l’ordinamento
italiano reagisce con la riduzione della penale; nel caso invece del diritto
inglese con la nullità della clausola (tamquam non esset).
Alla prevedibile replica che diverso è il grado di intensità della protezione
accordato tra i due ordinamenti, per cui in quello inglese e del Galles, a
differenza di quello interno, è pretesa una violazione “eclatante”
dell’equilibrio contrattuale, il Tribunale replica che, se l’interpretazione
dell’articolo 7 si spingesse fino a far ritenere che debba trovare applicazione
la norma imperativa interna non solo nei casi in cui lo stesso interesse,
tutelato dal diritto interno, non è già protetto dall’ordinamento straniero ma
anche in quelli in cui diversa è l’intensità della protezione e diversi sono i
rimedi giuridici accordati dai due sistemi, si finirebbe per neutralizzare
l’efficacia della scelta della legge applicabile, perché differenze nella
regolamentazione della protezione di uno stesso interesse in diversi
ordinamenti giuridici sono ineliminabili.
Ad abundantiam si dovrebbe osservare che la penale non sarebbe
comunque riducibile nel sistema interno perché, come sopra detto, la
clausola penale è proporzionata al danno patito da UNIVERSAL PICTURES.
Nelle considerazioni che precedono resta assorbita l’ultima eccezione del
fallimento, basata sulla lesione dell’ordine pubblico, atteso che tale lesione
presuppone addirittura la violazione di valori fondamentali dell’ordinamento
interno.
L’opposizione va pertanto accolta.
La soccombenza del fallimento ne comporta la condanna alle spese di lite.
Attesa la complessità delle questioni controverse, il giudice ritiene equo
compensare tra le parti il 50% delle spese di lite, ponendo il restane 50% a
carico del fallimento soccombente.
Le spese di C.T.U. restano a carico del fallimento, perché la parte vincitrice
non può essere condannata a sopportare spese di lite.
P.Q.M.
In accoglimento dell’opposizione proposta da UNIVERSAL PICTURE
INTERNATIONAL NO 2 BV ammette allo stato passivo del fallimento
ACADEMY PICTURE s.r.l. il credito chirografario € 179933,00, pari, all’atto
della insinuazione, a GBP 125000 ed ordina al curatore fallimentare di
procedere alla relativa annotazione in calce allo stato passivo.
Condanna il fallimento a rifondere all’opponente il 50% delle spese di lite
che liquida, tale 50% in complessivi € 5943,10 di cui € 2777,00 per diritti di
procuratore, € 3000,00 per onorari di avvocato, il resto per spese.
Compensa il restante 50% delle spese di lite
Pone a carico del fallimento le spese della consulenza tecnica d’ufficio.
Rovereto, 15 Marzo 2007
IL GIUDICE ESTENSORE
(Dott. Luca PERILLI)
IL PRESIDENTE
(Dott.ssa Simona CATERBI)