Nel contratto di agenzia la clausola risolutiva espressa non si

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Nel contratto di agenzia la clausola risolutiva espressa non si
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23/02/2016
Nel contratto di agenzia la clausola
risolutiva espressa non si applica
automaticamente
di Vittorio De Luca e Giovanni Iannacchino
Nelle corti di merito si va affermando l'orientamento che, nel contratto di agenzia, riduce
l'efficacia della clausola risolutiva espressa, la quale non può legittimamente operare senza una
preventiva necessaria indagine giudiziale circa la sussistenza di una giusta causa di recesso per
escludere il diritto dell'agente al preavviso.
Un esempio a questo riguardo è la sentenza 218/2013 della Corte d'appello di Milano, con cui è
stato rigettato il ricorso proposto dalla società preponente la quale chiedeva la revisione della
decisione di primo grado del tribunale di Milano, con cui è stato dichiarato illegittimo il recesso
fondato su una clausola risolutiva espressa.
La Corte d'appello ha aderito all'orientamento di Cassazione, inaugurato dalla pronuncia
10934/2011, in tema di clausola risolutiva espressa, (articolo 1456 del codice civile ), nel contratto
di agenzia. Nella prassi negoziale dei contratti di agenzia sono molto diffuse le clausole
risolutive espresse che consentono al preponente di far cessare con effetto immediato il
rapporto qualora la controparte abbia violato determinate obbligazioni individuate dalle parti
stipulanti.
Si tratta di un istituto che consente alle parti di definire a priori alcune ipotesi pattizie di giusta
causa di recesso dal contratto. La giurisprudenza si è sempre dichiarata unanimemente a favore
dell'apponibilità di questo tipo di clausola al contratto di agenzia (si vedano per esempio le
sentenze di Cassazione 197/1987, 4369/1997, 8607/2002), generalmente riferita al
raggiungimento di specifici e predeterminati obiettivi di vendita (cosiddetta clausola di
produzione minima).
La Corte di appello di Milano ha statuito che l'interruzione di un contratto di agenzia in virtù di
una clausola risolutiva espressa presuppone una preventiva indagine circa l'esistenza di un
inadempimento dell'agente che integri gli estremi della giusta causa di recesso. Ciò, pur in
presenza di una clausola risolutiva espressa legittimamente inserita nel contratto. Pertanto, a
parere della Corte, qualora tale verifica dovesse dare esito negativo, all'agente deve essere
riconosciuta l'indennità di mancato preavviso.
La Corte di Appello ha inoltre confermato che la valutazione operata dalle parti in merito alla
gravità dell'inadempimento con riferimento alle obbligazioni contrattuali contenute nella
clausola va verificata caso per caso al fine di escludere il diritto dell'agente all'indennità di
cessazione del rapporto, anche in applicazione dell'articolo 1751 del codice civile .
Per la verifica in ordine alla gravità dell'inadempimento, richiamando l'indirizzo
giurisprudenziale, il giudice di secondo grado ha ritenuto che possa essere utilizzata per
analogia la definizione di giusta causa prevista per il lavoro subordinato (si vedano le sentenze
di Cassazione 20497/2008, 3595/2011, 3869/2011).
L'orientamento che si va affermando anche nelle corti di merito appare in contrasto con la
dottrina che vorrebbe escludere qualsivoglia indagine da parte del giudice sulle ragioni alla base
del recesso, in quanto la valutazione circa la gravità delle medesime, in virtù dell'articolo 1456
del codice civile, sarebbe operata e condivisa a priori dalle parti del contratto.
Analogamente, la decisione riguarda anche il diritto dell'agente all'indennità di cessazione del
rapporto. La valutazione compiuta dalle parti al momento della conclusione del contratto non è
infatti considerata decisiva dalla giurisprudenza maggioritaria per l'esclusione dell'agente dal
relativo diritto.
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