La solitudine di Hillary Clinton - 23-10-2016

Transcript

La solitudine di Hillary Clinton - 23-10-2016
23/29 settembre 2016
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
n. 1172 • anno 23
America Latina
Prove di pace
in Colombia
internazionale.it
Joseph Stiglitz
Un piano migliore
per il Giappone
4,00 €
Attualità
Il nuovo colosso
Bayer-Monsanto
La solitudine
di Hillary
Clinton
È competente e preparata,
ma molti elettori la
considerano falsa e poco
trasparente
PI, SPED IN AP, DL 353/03 ART 1, 1 DCB
VR• aut ,
• be ,
•f ,
•d
,
• uk ,
• ch , chf • ch ct
,
chf • pte cont ,
•e ,
23/29 settembre 2016 • Numero 1172 • Anno 23
“Il libro della natura è un po’ come la Bibbia:
ognuno ci legge quello che vuole”
Sommario
frANs de WAAl A pAgiNA
La settimana
23/29 settembre 2016
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
modelli
n. 1172 • anno 23
America Latina
Prove di pace
in Colombia
internazionale.it
Joseph Stiglitz
Un piano migliore
per il Giappone
4,00 €
Attualità
Il nuovo colosso
Bayer-Monsanto
La solitudine
di Hillary
Clinton
È competente e preparata,
ma molti elettori la
considerano falsa e poco
trasparente
iN copertiNA
La solitudine di Hillary Clinton
È competente e preparata, ma molti elettori la considerano
falsa e poco trasparente (p. 42). Foto di Charles Ommanney
(Contour by Getty images)
Giovanni De Mauro
P.S. Delle elezioni negli Stati Uniti e della
candidatura di Hillary Clinton si parlerà al
festival di Internazionale a Ferrara il 2 ottobre
con Ida Dominijanni, Katha Pollitt e Rebecca
Traister, che ha scritto l’articolo di copertina
di questa settimana.
AttuAlità
20 Colossi modiicati
The Wall Street
Journal
AfricA
e medio orieNte
24 Libia
Middle East Eye
europA
26 Russia
Gazeta
Americhe
28 Stati Uniti
The New York Times
AsiA e pAcifico
30 Giappone
The Japan Times
visti dAlgi Altri
34 L’indagine
36
scieNzA
66 Solidali
per natura
Evonomics
portfolio
in miniatura
Jojakim Cortis e
Adrian Sonderegger
del Kashmir
indiano
Al Jazeera
l’occidente
è sicuro per le
aziende
The Economist
Die Zeit
cultura
viAggi
78 Il villaggio
delle note
El País
grAphic
jourNAlism
80 Italia
Anna Brandoli
e Renato Queirolo
98 La nuova
iNdiA
108 Neanche
ritrAtti
colombiA
60 La nuova rivolta
ecoNomiA
e lAvoro
76 Jason Njoku
82 Creatività
Le Monde
per i igli senza
ovuli
Science
70 La storia
italiana sulle navi
cariche di droga
The New York Times
Il successo
bangladese
in Italia
Inter Press Service
52 Prove di pace
scieNzA
102 È ancora presto
Arte
senza conini
Vulture
84
Cinema, libri,
musica, video, arte
Le opinioni
16
Domenico Starnone
25
Amira Hass
38
Gideon Levy
40
Joseph Stiglitz
86
Gofredo Foi
88
Giuliano Milani
92
Pier Andrea Canei
94
Christian Caujolle
101 Tullio De Mauro
pop
musica classica
in Cina
Madeleine Thien
100 Lo sport
americano è
socialista
Derek Thompson
le rubriche
16
Posta
19
Editoriali
111
Strisce
113
L’oroscopo
114
L’ultima
Articoli in formato
mp3 per gli abbonati
le principali fonti di questo numero
Al Jazeera È una rete televisiva satellitare con sede in Qatar. L’articolo a pagina 60 è uscito il 30 agosto 2016 con il titolo Kashmir: a story of deiance amid grief. The Wall Street Journal È il più importante quotidiano economico inanziario statunitense. L’articolo a pagina 20 è uscito
il 14 settembre 2016 con il titolo Behind the Monsanto deal, doubts about the gmo revolution. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
9
internazionale.it/sommario
Humans of New York è un progetto di
Brandon Stanton. Dal 2010 pubblica online
ritratti fotograici di persone che vivono a
New York. Ogni ritratto ha anche un breve
testo, di solito la trascrizione di una
conversazione sulla loro vita. Qualche giorno
fa è stato il turno di Hillary Clinton.
“Non sono Barack Obama. Non sono Bill
Clinton. Entrambi si comportano con una
naturalezza che piace molto alle persone. Ma
sono sposata con uno dei due e ho lavorato
per l’altro, e so quanto lavorano duramente
per essere naturali. Non è qualcosa che gli
viene automatico. Studiano e ripetono quello
che devono dire. Non è che cercano di essere
qualcun altro. Ma è impegnativo presentare
se stessi nel modo migliore possibile. Devi
comunicare in modo che la gente dica: ‘Ok,
l’ho capita’. E questo può essere più diicile
per una donna. Infatti chi sono i tuoi modelli?
Se vuoi candidarti al senato, o diventare
presidente, la gran parte dei tuoi modelli di
riferimento sono maschili. E quello che
funziona per loro non funziona per te. Le
donne sono viste attraverso una lente diversa.
Non è un male. È solo un dato di fatto. Ed è
molto divertente. Vado a questi eventi e ci
sono dei maschi che parlano prima di me, e
insistono con il loro messaggio, e gridano che
dobbiamo vincere le elezioni. E alle persone
piace un sacco. E io voglio fare la stessa cosa.
Perché ci tengo a questa roba. Ma ho
imparato che non posso essere altrettanto
appassionata nei miei interventi. Mi piace
agitare le braccia, ma apparentemente questo
spaventa la gente. E non posso urlare. Viene
percepito come ‘troppo forte’ o ‘troppo
stridulo’, ‘troppo questo’ o ‘troppo quello’.
Che è bufo, perché sono sempre convinta
che invece alle persone in prima ila sta
piacendo”. u
Immagini
Zona di pericolo
New York, Stati Uniti
17 settembre 2016
Nel quartiere di Chelsea, a Manhattan,
poco dopo l’esplosione di una bomba
che ha causato 31 feriti, la sera del 17 settembre. Due giorni dopo un altro ordigno è esploso nei pressi della stazione di
Elizabeth, in New Jersey, mentre un robot della polizia provava a disinnescarlo. La polizia ha arrestato un sospettato,
Ahmad Khan Rahami, 28 anni, cittadino statunitense di origini afgane. Secondo le prove raccolte dall’Fbi, Rahami preparava l’attentato da mesi e si era
ispirato al terrorismo jihadista. Foto di
Spencer Platt (Getty Images)
Immagini
Opposizione
Kinshasa, Rdc
19 settembre 2016
Le proteste contro il presidente Joseph
Kabila sono degenerate in scontri tra i
manifestanti e le forze dell’ordine, che
in due giorni hanno provocato la morte
di almeno 32 persone. Le sedi del partito
al potere e dei tre principali partiti di opposizione sono state incendiate e diversi
commissariati sono stati attaccati. Il 20
settembre era il termine per convocare
le elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo, previste per
novembre. L’opposizione accusa Kabila
di voler rinviare il voto per restare al potere anche dopo la scadenza del suo
mandato, a dicembre. Foto di Eduardo
Soteras (Afp/Getty Images)
Immagini
A ritmo di birra
Monaco, Germania
18 settembre 2016
Un padiglione della 183 a edizione
dell’Oktoberfest, che quest’anno si svolge dal 17 settembre al 3 ottobre, giorno
in cui si festeggia la riuniicazione della
Germania. È l’evento più importante
della città della Baviera e la festa popolare più grande del mondo, con milioni
di visitatori ogni anno e milioni di barili
di birra consumati. L’Oktoberfest nacque nel 1810, durante i festeggiamenti
per le nozze tra il principe ereditario
Ludwig di Baviera e la principessa Therese di Sassonia-Hildburghausen. Nel
novecento più di venti edizioni della festa furono cancellate a causa delle guerre. Foto di Matthias Balk (Epa/Ansa)
[email protected]
La pace nei Balcani
è di nuovo in pericolo
u Nell’articolo di Paul Mason
(Internazionale 1171) viene citata la clausola di mutua difesa
contenuta in un articolo del
trattato di Lisbona. L’autore
parla dell’obbligo dei paesi
dell’Unione europea di intervenire in caso di richiesta di
aiuto da parte di uno stato
membro. C’è un’inesattezza:
l’articolo in questione, il 42,
parla sì di obbligo di intervenire, ma dice anche che “ogni
impegno di assistenza non deve pregiudicare il carattere
speciico delle politiche di sicurezza e di difesa di ogni stato
membro”. Questo lascia ogni
stato quasi totalmente libero
di far cadere nel vuoto tale richiesta. Come è successo, per
esempio, con la Francia dopo
gli attentati di Parigi.
Francesco Valenza
Fumo in vista
u La foto di Alberto Saiz
dell’incendio in Spagna (Internazionale 1170), oltre a testimoniare la gravità dell’accadu-
to, sembra un’allegoria del
mondo in cui viviamo: una
manciata di individui che
dall’alto osserva la terra andare in fumo, nel fresco della
propria piscina.
Simone Panati
Un reddito per tutti
u Riguardo i tre articoli sul
reddito minimo (Internazionale 1168), sono d’accordo che la
ricchezza si debba ridistribuire, ma si fa tassando i ricchi e
aumentando l’assistenza sociale per i più poveri, non con il
reddito di base. Non è una
questione di destra o di sinistra, ma di economia. A pagina
45 si legge: “Con un reddito di
base, chi lavora guadagna di
più”. Vero. Nell’equazione che
spiega il mercato del lavoro si
dimostra che con un reddito
minimo le imprese devono offrire salari più alti perché i lavoratori siano incentivati ad
alzarsi dal divano e andare a
lavorare. Ma salari più alti si
traducono in prezzi più alti.
Nel medio periodo l’unico risultato è un carico maggiore
sulle spalle dei contribuenti
per inanziare la manovra. Il
reddito minimo genera inlazione, incentiva il lavoro nero
e costa tantissimo. Mi sembra
che l’unica obiezione sollevata
in questi articoli sia che i poveri stiano con le mani in mano.
Povero, questo sì (e senza fondamento), come argomento.
Andrea Calenda
u Nel numero 1171, a pagina
56 : “È normale che i sedimenti teneri tremino di più della
roccia consolidata” e non “che
i terreni sedimentosi tremino
più di quelli rocciosi”.
Errori da segnalare?
[email protected]
PER CONTATTARE LA REDAZIONE
Telefono 06 441 7301
Fax 06 4425 2718
Posta via Volturno 58, 00185 Roma
Email [email protected]
Web internazionale.it
INTERNAZIONALE È SU
Facebook.com/internazionale
Twitter.com/internazionale
Flickr.com/internaz
YouTube.com/internazionale
Instagram.com/internazionale
Una questione privata
“I bambini che crescono in
famiglie molto religiose tendono a essere meno altruisti
di quelli che provengono da
famiglie non religiose o atee”.
Questa è la conclusione di
una ricerca condotta su un
campione di 1.170 bambini
tra i 5 e i 12 anni provenienti
da sei paesi (Canada, Cina,
Giordania, Turchia, Stati Uniti e Sudafrica) e pubblicata su
Current Biology lo scorso anno. Tra le prove a cui sono
16
stati sottoposti i bambini
c’erano quella sulla propensione a condividere adesivi
con compagni di scuola di etnie diverse o quella sulla scelta del tipo di punizione da inliggere a dei coetanei che si
erano comportati male. “Benché i genitori religiosi fossero
molto più propensi degli altri
a descrivere i loro igli come
empatici e attenti alla giustizia”, commenta la rivista Le
Scienze, “i risultati dei test
sui bambini hanno indicato
l’opposto”. Da genitore ateo,
sto crescendo i miei igli
nell’idea che la scelta di essere religiosi o meno si fa da
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Domenico Starnone
Oltre
la ringhiera
Errata corrige
Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli
Come comportarsi con dei
ragazzini che prendono in
giro mio iglio di sei anni
che non crede in dio?–Katia
Parole
adulti, e loro sanno che quando il bambino di turno comincia a interrogare tutti i compagni di classe per sapere chi
crede in dio e chi no (e quindi
chi andrà in paradiso e chi no),
loro devono rispondere: “In
casa nostra non parliamo della
fede degli altri, perché è una
questione privata”. Mia iglia
mi ha preso talmente in parola
che durante una drammatica
discussione su Babbo Natale
ha zittito tutti dicendo:
“Ognuno è libero di crederci o
no. La religione è una questione privata”.
[email protected]
u L’orlo del precipizio è una
metafora sempre viva. E non
parliamo del precipizio e del
precipitare. Italo Calvino quasi sessant’anni fa ne cavò
un’immagine molto eicace.
Riguardava gli scrittori e la loro diicoltà crescente di fare
romanzi sullo stato delle cose.
Thomas Mann – diceva Calvino – aveva capito quasi tutto
sporgendosi da una ringhiera
estrema dell’ottocento, mentre noi oggi guardiamo il
mondo precipitando nella
tromba delle scale. Parole del
1957, ma che durano. Il precipizio infatti non accenna a inire e forse non volano più giù
soltanto gli scrittori. C’è un’altra igurina, di minori pretese,
impegnata in una letteraria
caduta a capoitto: di professione è spazzacamino. Sta in
una vignetta citata da Nabokov nelle sue Lezioni di letteratura, e precipitando dall’ultimo piano trova il modo di notare in un’insegna un errore
d’ortograia e di rammaricarsi
che nessuno l’abbia ancora
corretto. La caduta dello spazzacamino integra il precipizio
calviniano e riguarda un po’
tutti noi che continuiamo a
volare giù per la tromba delle
scale. Non solo abbiamo perso per sempre la ringhiera,
non solo disperiamo di riguadagnare l’altezza, ma forse
non abbiamo nemmeno più
voglia di prendere nota d’alcunché, iguriamoci di un errore. È magniica l’attenzione
al dettaglio, ma a che serve, se
non si trova il modo di interrompere la caduta?
Editoriali
Il punto più basso per la Siria
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto
Direttore Giovanni De Mauro
Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Editor Daniele Cassandro (cultura), Carlo Ciurlo
(viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente
(opinioni), Camilla Desideri (America Latina),
Simon Dunaway (attualità), Francesca Gnetti,
Alessandro Lubello (economia), Alessio
Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino
(Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio
Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero
Zardo (cultura, caposervizio)
Copy editor Giovanna Chioini (web,
caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco
Romano (coordinamento, caporedattore),
Giulia Zoli
Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa
Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web)
Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio),
Valeria Quadri, Marta Russo
Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli,
Andrea Fiorito, Stefania Mascetti (caposervizio),
Martina Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo,
Giulia Testa
Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli,
Alberto Emiletti
Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci,
Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara
Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori
sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli.
Giuseppina Cavallo, Stefania De Franco, Andrea
De Ritis, Andrea Ferrario, Federico Ferrone,
Sonia Grieco, Giusy Muzzopappa, Francesca
Rossetti, Fabrizio Saulini, Irene Sorrentino,
Andrea Sparacino, Claudia Tatasciore, Bruna
Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna
Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott
Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno
collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini,
Francesco Boille, China Files, Sergio Fant,
Andrea Ferrario, Anita Joshi, Andrea Pira, Fabio
Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour,
Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie,
Guido Vitiello
Editore Internazionale spa
Consiglio di amministrazione Brunetto Tini
(presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot
(vicepresidente), Alessandro Spaventa
(amministratore delegato), Giancarlo Abete,
Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro,
Giovanni Lo Storto
Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma
Produzione e difusione Francisco Vilalta
Amministrazione Tommasa Palumbo,
Arianna Castelli, Alessia Salvitti
Concessionaria esclusiva per la pubblicità
Agenzia del marketing editoriale
Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312
[email protected]
Subconcessionaria Download Pubblicità srl
Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15,
37131 Verona
Distribuzione Press Di, Segrate (Mi)
Copyright Tutto il materiale scritto dalla
redazione è disponibile sotto la licenza Creative
Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Signiica che può
essere riprodotto a patto di citare Internazionale,
di non usarlo per ini commerciali e di
condividerlo con la stessa licenza. Per questioni
di diritti non possiamo applicare questa licenza
agli articoli che compriamo dai giornali stranieri.
Info: [email protected]
Registrazione tribunale di Roma
n. 433 del 4 ottobre 1993
Direttore responsabile Giovanni De Mauro
Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì
21 settembre 2016
Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832
Pubblicazione online ISSN 2499-1600
PER ABBONARSI E PER
INFORMAZIONI SUL PROPRIO
ABBONAMENTO
Numero verde 800 156 595
(lun-ven 9.00-19.00),
dall’estero +39 041 509 9049
Fax 030 777 23 87
Email [email protected]
Online internazionale.it/abbonati
LO SHOP DI INTERNAZIONALE
Numero verde 800 321 717
(lun-ven 9.00-18.00)
Online shop.internazionale.it
Fax 06 442 52718
Imbustato in Mater-Bi
The Guardian, Regno Unito
Dopo aver visto tante atrocità è diicile essere
ancora sconvolti dagli orrori della guerra in Siria.
Mese dopo mese i crimini si accumulano. I civili
sono stati attaccati con armi chimiche e hanno
imparato a temere i barili bomba dell’esercito e
l’artiglieria dei ribelli. Le strutture mediche sono
state colpite ripetutamente. Cinque anni di guerra civile hanno ucciso mezzo milione di persone
e hanno costretto milioni di siriani a fuggire.
Ma la distruzione di un convoglio delle Nazioni Unite che portava aiuti umanitari ad Aleppo, il 20 settembre, è stato uno dei punti più bassi toccati dal conlitto. Il convoglio era stato autorizzato e aveva chiari segni d’identiicazione.
Se l’attacco è stato intenzionale, come sembra
probabile, si tratta di un crimine di guerra. Probabilmente Damasco pensava di avere mano libera dopo il bombardamento statunitense che il
17 settembre ha ucciso più di sessanta soldati.
Ma il governo siriano sembra fare aidamento
soprattutto sulla sua impunità: non ha nessun
motivo di credere che qualcuno gli chiederà conto delle sue azioni.
Questo episodio sembra aver decretato la ine di un cessate il fuoco che era stato raggiunto
dopo lunghi negoziati e aveva oferto qualche
speranza di un passo avanti. Russia e Stati Uniti
continuano a dire che l’accordo non è morto, ma
ormai è diicile prendere sul serio l’idea di una
tregua in Siria. Nessuno può essere ottimista sui
tentativi di ristabilirla, e nessuno è ansioso di
metterla alla prova tentando una nuova consegna di aiuti.
Eppure i negoziati tra il segretario di stato
americano John Kerry e il ministro degli esteri
russo Sergei Lavrov restano l’unica strada percorribile. Barack Obama, che un tempo tracciava
linee rosse sull’uso di armi chimiche, può solo
ribadire il suo appello alla “diplomazia dura”.
Con l’avvicinarsi della ine del suo mandato, gli
Stati Uniti hanno ancora meno peso nel rapporto
con Mosca: la loro unica speranza è che la Russia
sia più preoccupata dall’idea di dover trattare
con Hillary Clinton.
Nel frattempo, l’occidente potrebbe almeno
fare qualcosa per quelli che sono fuggiti dal conlitto, sia accogliendoli sia aiutando i paesi che
hanno preso in carico la maggior parte dei profughi. Altrettanto importante è l’impegno a giudicare prima o poi il governo siriano per le sue
azioni, non solo perché i siriani meritano giustizia, ma per proteggere i civili nei conlitti futuri.
Se i crimini di guerra non possono essere evitati,
devono essere almeno puniti. u as
La vera alternativa tedesca
Gereon Asmuth, Die Tageszeitung, Germania
La sinistra ha sempre avuto un problema: è troppo critica. Con la destra e l’estrema destra, e in
qui sono tutti d’accordo. Ma diventa ancor più critica quando se la prende con il resto della sinistra.
È questione di dettagli, ma anche di visione d’insieme. Così il Partito socialdemocratico tedesco
(Spd) litiga con la Linke, la Linke con i Verdi e i
Verdi con l’Spd. E poi, quando può, l’Spd si coalizza con l’Unione cristianodemocratica (Cdu).
Come in Meclemburgo-Pomerania, dove l’Spd
ha deciso di rimanere al ianco del partito della
cancelliera Angela Merkel piuttosto che schierarsi con la Linke.
Per questo dopo le elezioni per il parlamento
del land di Berlino bisogna quasi ringraziare Alternativ für Deutschland (Afd): l’entrata in parlamento dei populisti di estrema destra ha infatti il positivo efetto collaterale di rendere impossibile l’ormai classica grande coalizione, e di
obbligare inalmente l’Spd, i Verdi e la Linke a
unire le forze, perché ogni altra alleanza sarebbe
politicamente impraticabile.
Il fantomatico progetto rosso-rosso-verde,
annunciato da anni in diversi piani strategici,
sembra inalmente prendere forma. E stavolta
non in una piccola realtà periferica come la Turingia, dove la Linke è addirittura alla testa di
una coalizione. Berlino è la capitale, e lo sarà anche nel 2017, quando si terranno le elezioni legislative. Se una coalizione di sinistra riuscisse a
insediarsi a Berlino, si troverebbe davanti una
grande responsabilità. Non si tratta solo di pianiicare la costruzione di nuove case popolari per
contrastare l’aumento degli aitti, di ampliare la
rete di piste ciclabili e neanche di difendere la
tanto criticata società aperta berlinese. Si tratta
soprattutto di dimostrare che è possibile: che
un’alleanza di sinistra guidata dall’Spd può governare. E può essere la vera alternativa per la
Germania. u nv
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
19
Attualità
Colossi
modiicati
L’acquisto della Monsanto
da parte della Bayer è il segnale
di una crisi del dominio
degli ogm nell’agricoltura
statunitense
L’
ondata di fusioni miliardarie avvenute recentemente nel settore agricolo nasconde un cambiamento nell’agricoltura degli Stati Uniti,
dove il dominio delle colture geneticamente modiicate è in crisi. Da quando sono
state introdotte nelle aziende agricole statunitensi vent’anni fa, le sementi geneticamente modiicate sono diventate come i
cellulari: fanno mille cose e sono onnipresenti. Gli scienziati hanno introdotto geni
che consentono alle colture di respingere
gli insetti, di sopravvivere a potenti erbici-
Da sapere
Sida industriale
Fatturato dei principali gruppi agrochimici
mondiali, 2015, miliardi di dollari
Fonte: Neue Zürcher Zeitung
23,1
Pesticidi
Sementi
Monsanto
14,8
14,6
5,8
Bayer
ChemChina
Syngenta
20
Dow
DuPont
Basf
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
di o a una minore irrigazione e di produrre
oli con pochi grassi saturi, spazzando via i
tradizionali metodi di coltivazione. Secondo le stime del dipartimento dell’agricoltura statunitense (Usda), quest’anno il 94 per
cento delle coltivazioni di soia e il 92 per
cento di quelle di mais provengono da semi geneticamente modiicati.
Oggi, però, per gli agricoltori è sempre
più diicile giustiicare i costi crescenti degli organismi geneticamente modificati
(ogm) a fronte dei margini di guadagno
sempre più miseri. La spesa per le sementi
è quasi quadruplicata dal 1996, quando la
Monsanto diventò la prima azienda a lanciare le varietà modiicate. Negli ultimi tre
anni, invece, i prezzi dei principali prodotti
agricoli sono diminuiti, e nel 2016 molti
agricoltori hanno cominciato a perdere
soldi.
L’uso della biotecnologia in agricoltura
ha mostrato anche altri limiti. Alcune erbe
infestanti, per esempio, stanno sviluppando una resistenza ai pesticidi, costringendo gli agricoltori a spendere di più per una
gamma più ampia di prodotti chimici. Alcuni di loro stanno tornando alle sementi
tradizionali, visto che quelle modiicate
rendono sempre meno. “Con quello che
paghiamo oggi per le sementi modiicate
non riusciamo a guadagnarci”, dice Joe
Logan, un agricoltore dell’Ohio. La scorsa
primavera Logan ha caricato la sua seminatrice con sementi di soia che costano 85
dollari al sacco, quasi cinque volte di più
rispetto a vent’anni fa. Per l’anno prossimo
sta pensando di seminare molti dei suoi
campi di mais e soia con sementi non modiicate.
Questa situazione ha scatenato una serie frenetica di accordi tra i principali fornitori di sementi e di pesticidi del mondo.
Il 15 settembre l’azienda chimica e farma-
BLOOMBerG/Getty IMAGeS
Jacob Bunge, The Wall Street Journal, Stati Uniti
Foto di Jasper Juinen
ceutica tedesca Bayer ha annunciato l’accordo per l’acquisto della statunitense
Monsanto. L’operazione, che ha un costo
complessivo di 66 miliardi di dollari (59
miliardi di euro), darà vita a una delle più
grandi aziende agrochimiche del mondo.
Intanto i due colossi della chimica DuPont
e Dow Chemichals stanno lavorando a una
fusione da cui potrebbero nascere un gruppo agrochimico e altre due aziende. A febbraio, inoltre, la multinazionale svizzera
Syngenta, che produce semi e prodotti chimici per l’agricoltura, ha accettato un’offerta da 43 miliardi di dollari dalla China
National Chemical Corp. In passato la Syngenta aveva riiutato un’oferta della Monsanto.
La ine del boom
I gruppi del settore agrochimico stanno
cercando di abbattere i costi e sfruttare
economie di scala per afrontare la diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli,
che ha costretto i produttori di sementi,
Da sapere
La grande fusione
u Il 14 settembre 2016 il colosso chimico e
farmaceutico tedesco Bayer ha comprato la
Monsanto, multinazionale statunitense di
biotecnologie agrarie che produce sementi
geneticamente modiicate, per 66 miliardi di
dollari (59 miliardi di euro). L’accordo prevede
che il gruppo tedesco paghi 57 miliardi di
dollari e si accolli tutti i debiti della Monsanto,
pari a 9 miliardi di dollari. È la più grande
acquisizione estera mai realizzata da
un’azienda tedesca.
u Dopo quattro mesi di trattative, la Monsanto
ha accettato l’oferta della Bayer di pagare 128
dollari per ogni azione, il 44 per cento in più
rispetto al prezzo registrato in borsa il 9
maggio, il giorno in cui la Bayer ha lanciato la
sua prima oferta. L’azienda tedesca pagherà
una penale di due miliardi di dollari in caso di
fallimento dell’operazione.
u La fusione darà vita a un gruppo che
controllerà circa il 30 per cento del mercato
globale delle sementi e dei pesticidi.
u L’amministratore delegato della Bayer,
Werner Baumann, ha afermato che la fusione
porterà beneici “agli azionisti, ai clienti, ai
dipendenti e alla società in generale”. Diversi
gruppi di agricoltori hanno invece espresso
preoccupazioni legate a un possibile aumento
dei prezzi e a una diminuzione della varietà
delle sementi disponibili.
Financial Times, Bloomberg
Una serra della Monsanto a Bergschenhoek, nei Paesi Bassi, 7 luglio 2016
sostanze chimiche per le colture, fertilizzanti e macchine agricole a ristrutturazioni
e a tagli al personale. “Il boom è inito”,
hanno decretato gli analisti della Sanford
C. Bernstein in uno studio pubblicato nel
2015, mentre le mietitrebbiatrici attraversavano i campi del midwest assicurando
un altro raccolto record, dopo due annate
eccezionali consecutive.
Dopo una serie di raccolti molto abbondanti, i prezzi delle due principali colture
statunitensi sono crollati. Secondo l’Usda,
gli agricoltori statunitensi quest’anno guadagneranno complessivamente 9,2 miliardi di dollari in meno rispetto al 2015, e il 42
per cento in meno rispetto al 2013. In base
alle previsioni dell’Usda, i prezzi del mais,
della soia e del grano resteranno molto
bassi per il prossimo decennio. Bernstein
prevede che le aziende produttrici di sementi avranno grosse diicoltà a imporre
aumenti di prezzo superiori all’inlazione
nei prossimi tre o cinque anni.
La premessa delle sementi ogm era
semplice: le piante, progettate per crescere
con l’aiuto di un unico erbicida contro ogni
tipo di erbacce, avrebbero permesso agli
agricoltori di comprare meno prodotti chimici; le colture che secernono da sole tossine in grado di uccidere gli insetti avrebbero ridotto la dipendenza dai pesticidi.
Mais, soia e cotone erano mercati naturali
che occupavano milioni di ettari negli Stati
Uniti.
La Monsanto e altri produttori di sementi potevano imporre un prezzo più alto
per sementi geneticamente modificate
dette Roundup ready, cioè progettate per
resistere alla famosa marca di erbicidi
dell’azienda. Le aziende avrebbero diviso i
ricavi con gli agricoltori, che in teoria
avrebbero risparmiato sui prodotti chimici
e sulla manodopera. Alla ine la Monsanto
ha scelto una formula di base che sarebbe
diventata uno standard del settore: per
ogni dollaro che le sementi ogm facevano
risparmiare agli agricoltori, l’azienda si sarebbe tenuta 33 centesimi sotto forma di
“tarifa tecnologica” addebitata su ciascun
sacco di sementi. In seguito la Monsanto
ha presentato semi di soia progettati per
sopravvivere al glifosato, il versatile erbicida usato per le colture Roundup ready, e
sementi di cotone in grado di respingere
vermi devastanti.
Jim Kline, presidente della Kline Family
Farms, un’azienda che coltiva mais, soia e
grano a Hartford City, nell’Indiana, prova
sentimenti contrastanti: “Penso che tutto
questo abbia distrutto il mestiere di agricoltore”. Kline ricorda che i suoi vicini avevano
a lungo cercato di combattere le erbacce
prima di piantare colture sviluppate in laboratorio e ottenere nel giro di poco tempo
impeccabili campi verde smeraldo. Grazie
alle sementi geneticamente modiicate, la
famiglia Kline poté assumere dipendenti
che non sapevano individuare le erbacce
mentre spuntavano, e questo consentì
all’azienda di espandersi e di coltivare il
quadruplo degli ettari rispetto agli anni novanta.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
21
Attualità
BLooMBeRG/Getty IMAGeS
Semi in una fabbrica della Monsanto a Enkhuizen, nei Paesi Bassi, il 7 luglio 2016
Questa strategia fu redditizia per la
Monsanto, che nel 2000 avviò la separazione dalla società madre, la Pharmacia,
per creare un’azienda interamente dedicata all’agricoltura. La Monsanto faceva proitti vendendo le sue sementi e concedendo l’uso di geni modiicati ad altre aziende
produttrici di sementi come la DuPont e la
Syngenta. Dal momento che molte colture
biotecnologiche sono state progettate per
resistere al glifosato introdotto dalla Monsanto negli anni sessanta, l’azienda statunitense ha anche acquisito molti clienti per
il suo erbicida di punta.
Gli invasori
All’inizio degli anni 2000 negli Stati Uniti
crescevano colture geneticamente modiicate su più della metà degli ettari coltivati a
soia e su più di un quarto di quelli coltivati a
mais. Questo sistema aveva costi sempre
più alti. Secondo i dati dell’Usda, nel 2006
il costo medio delle sementi di soia era più
che raddoppiato rispetto al decennio precedente, mentre i prezzi del mais da semina
erano aumentati del 63 per cento. Nello
stesso periodo dai campi sono cominciati
22
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
ad arrivare segnali allarmanti. Gli scienziati hanno confermato che alcune erbe infestanti, come il caglio e il loglio rigido, avevano sviluppato una resistenza al glifosato,
spuntando in mezzo ai campi pieni di germogli. Un anno prima sarebbero state seccate dall’erbicida. Invasori più problematici
come alcune specie di amaranto hanno sviluppato una resistenza al glifosato, cominciando a sofocare le colture. Queste “supererbacce” obbligavano gli agricoltori a riempire le loro taniche di spray di erbicidi
più vecchi e forti, come il dicamba e il 2,4 D,
e in alcuni casi ad aggredire le erbacce a colpi di zappa.
In molti casi i raccolti hanno smesso di
tenere il passo con i prezzi sempre più alti
delle sementi. Secondo l’Usda, in media
negli ultimi dieci anni gli agricoltori statunitensi hanno registrato un aumento della
soia coltivata per ogni ettaro di appena il 4
per cento, restando indietro rispetto all’aumento dei prezzi delle sementi. I raccolti di
mais sono cresciuti del 21 per cento.
Jim Zimmerman, un agricoltore che
coltiva mais, soia e grano a Rosendale, nel
Wisconsin, è convinto che il boom delle
biotecnologie abbia cambiato in meglio
l’agricoltura, nonostante alcuni problemi.
Grazie al mais e alla soia resistenti al
Roundup, Zimmerman ha potuto risparmiare decine di migliaia di dollari di carburante per trattori e di manodopera che
avrebbe dovuto usare per eliminare le erbacce se fosse stato costretto ad arare i suoi
campi e fare altri trattamenti. Zimmerman, inoltre, sostiene di aver protetto il
suo terreno dall’erosione. I risparmi negli
anni gli hanno consentito di mandare i igli
all’università. La prossima primavera pensa di piantare ancora sementi modiicate.
Robert Fraley, il responsabile della tecnologia della Monsanto che ha contribuito
a sviluppare le prime colture geneticamente modiicate dell’azienda negli anni ottanta, è convinto che gli agricoltori resteranno
fedeli agli ogm. “Anche in condizioni economiche diicili, come quelle degli ultimi
due anni, gli agricoltori continuano a comprare sementi modiicate perché risparmiano sugli insetticidi e su altri costi”, ha
spiegato.
Kyle Stackhouse, che coltiva circa 647
ettari di mais e soia a Plymouth, nell’India-
Da sapere
Proprietà incrociate
u Tra gli aspetti notevoli dell’afare BayerMonsanto c’è il fatto che “le due aziende hanno
importanti proprietari in comune”, scrive la
Süddeutsche Zeitung. Il fondo statunitense
Blackrock possiede il 7 per cento della Bayer e
con il 5,75 per cento è il secondo azionista della
Monsanto. Vanguard è il primo azionista della
Monsanto e il quarto della Bayer. Il terzo
azionista di entrambi i gruppi è Capital Group.
“Secondo gli esperti, è esagerato dire che i
fondi siano i registi dell’afare, ma potrebbero
aver inluenzato le decisioni dei dirigenti”.
na, ha smesso di credere nei semi ogm.
Dopo aver destinato tutti i suoi campi di
soia e quasi i tre quarti di quelli di mais alle
varietà modiicate, dieci anni fa si è accorto che queste sementi non producevano
raccolti abbastanza abbondanti da giustiicarne il prezzo. “I tratti genetici non ci riempivano le tasche”. Stackhouse di solito
spende per ogni ettaro circa 53 dollari di
sementi di soia e 40 di pesticidi, in confronto agli 83 dollari che spenderebbe in
sementi di soia ogm e ai 24 dollari per altri
prodotti chimici legati alle colture. In questo modo, secondo le sue stime, ha un vantaggio di 14 dollari per ogni ettaro.
Stackhouse ormai ha abbandonato le colture ogm da tre anni.
Rinunce e ripensamenti
Secondo l’Usda, dal 2013 il mondo ha prodotto milioni di tonnellate in più di mais,
soia e grano rispetto a quelle consumate.
Dal picco toccato nel 2012 – 8 dollari al bushel (27,216 chili di grano) – i prezzi del
mais si sono dimezzati nel 2014 e da allora
continuano a oscillare tra i 3,5 e i 4 dollari al
bushel. Alla ine di agosto hanno toccato i
3,01 dollari. I prezzi della soia sono crollati
del 46 per cento rispetto al picco del 2012.
La Monsanto prevede prezzi più alti per le
sue sementi più nuove ed eicaci, mentre
con ogni probabilità abbasserà i prezzi delle versioni più vecchie. Ma in generale i
prezzi aumenteranno “di pochissimo”, ha
precisato Robert Fraley, responsabile tecnologico della Monsanto.
Alla Beck’s Hybrid, un’azienda privata
che produce sementi ad Atlanta, nell’Indiana, il direttore della ricerca Kevin Cavanaugh aferma che gli agricoltori stanno
diventando più furbi nell’acquisto di sementi geneticamente modiicate. Secondo
Cavanaugh molti di loro la prossima primavera rinunceranno alle sementi progettate per scacciare la diabrotica del mais, un
insetto che può provocare gravi danni alla
coltura, ma che non rappresenta un grande
problema in molte zone della parte orientale del midwest, dove Beck’s vende le sementi.
Le varietà modificate rappresentano
ancora l’86 per cento circa delle sementi di
mais vendute dalla Beck’s, ma dal 2014 la
percentuale di sementi non modiicate è
aumentata del 17 per cento. “Gli agricoltori dicono ‘non vedo un valore suiciente o
una presenza di insetti infestanti tale da
giustificare l’uso di queste tecnologie’”,
racconta Cavanaugh.
La Stine Seed, un’azienda di Adel,
nell’Iowa, ha aumentato la sua produzione
di sementi di mais non modiicate in risposta al calo della domanda di ogm. Secondo
Myron Stine, il presidente dell’azienda,
“gli agricoltori rinunciano a certe caratteristiche genetiche perché sono troppo costose”.
La settimana scorsa Jim Kline, l’agricoltore dell’Indiana, stava riparando una mietitrebbiatrice in vista del raccolto di mais di
quest’anno. Ogni piantina contiene geni
che la proteggono dal Roundup e dai vermi
che attaccano le radici. Ha già prenotato le
sementi per l’anno prossimo, quando prevede di seminare solo due terzi dei suoi
campi di mais con sementi geneticamente
modiicate. “I prezzi dei prodotti scendono
ogni giorno”, dice Kline. Dato che l’agricoltura biotecnologica non funziona più come
un tempo, si chiede, “perché spendere tutti
questi soldi?”. u gim
Da sapere
Prezzi divergenti
Variazione dei prezzi dei semi di soia e delle
piante di soia, percentuale
Fonte: The Wall Street Journal
300
Semi
200
100
0
Piante
-100
1996
2006
2016
L’opinione
Tanti perdenti
pochi vincitori
Jost Maurin, Die
Tageszeitung, Germania
a Bayer, il gruppo tedesco che produce farmaci e sementi, ha comprato la concorrente statunitense
Monsanto. Questa fusione è un pericolo
per tutti: già ora il 60 per cento del mercato mondiale delle sementi è nelle mani di
appena sei aziende. Il nuovo gruppo diventerà il leader indiscusso del settore
con una quota di mercato del 30 per cento. Finora la Bayer e la Monsanto avevano
rivaleggiato per produrre il seme più eiciente. In futuro la competizione sarà ridotta e si registrerà un calo dell’innovazione.
I primi a risentirne saranno gli agricoltori che usano sementi geneticamente
modiicate: per loro ci saranno meno scelta e prezzi più alti. Eppure il mondo avrebbe un gran bisogno di semi per adattare
l’agricoltura al cambiamento climatico e
sfamare la popolazione mondiale in crescita. Senza contare che, se vengono prodotti meno semi, la diversità delle specie
di piante coltivate sarà a rischio.
Quest’acquisizione penalizzerà anche
gli europei, contrari alla coltivazione di
organismi geneticamente modiicati. La
Monsanto resta il più grande produttore al
mondo di semi modiicati. Ora l’ingegneria genetica diventerà molto importante
anche per la Bayer, e il colosso tedesco sarà pronto a fare pressioni in Europa in favore delle specie vegetali geneticamente
modiicate.
Anche i dipendenti delle due aziende,
inine, potrebbero pagare un caro prezzo.
Alcune igure professionali saranno sovrapponibili e verranno tagliate. Come in
ogni grande fusione, c’è inoltre il rischio
che qualcosa vada storto a causa delle differenze tra le due culture aziendali.
Gli unici a guadagnarci sono gli azionisti della Monsanto, i dirigenti e i loro partner nelle banche e negli studi legali. Loro
incasseranno i 66 miliardi di dollari sborsati dalla Bayer. Tanti soldi, che la nuova
azienda prenderà dai consumatori, dagli
agricoltori e dai dipendenti. u nv
L
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
23
Africa e Medio Oriente
Da sapere
ABDULLAH DoMA (AFP/GETTy IMAGES)
Zueitina, 14 settembre 2016
Frustrazione e rabbia
in Libia
Tom Westcott, Middle East Eye, Regno Unito
Dopo la conquista dei terminal
petroliferi da parte delle forze
legate al parlamento di Tobruk,
i cittadini sono scesi in piazza
denunciando la debolezza del
governo di unità nazionale
ra il 16 e il 18 settembre in Libia ci
sono state contestazioni contro il
governo di unità nazionale di
Tripoli e contro la missione delle
Nazioni Unite. A Bengasi una bomba è
esplosa, senza provocare vittime, vicino al
luogo delle proteste e in risposta sono scesi
in strada anc0ra più manifestanti. Tra loro
c’era Mohammed al Mahdani al Fahri, ministro dell’interno del governo di Tobruk,
nell’est del paese.
In alcune città i manifestanti hanno condannato la comunità internazionale per
come ha reagito alla conquista di quattro
terminal petroliferi da parte delle forze del
generale Khalifa Haftar, fedeli al governo di
Tobruk, tra l’11 e il 13 settembre.
Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Germania, Italia e Francia hanno difuso una
dichiarazione congiunta in cui ribadiscono
T
24
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
che il governo di unità nazionale è “l’unico
amministratore” del petrolio libico e chiedono il ritiro di tutte le forze militari. Questa nota ha scatenato un’ondata di rabbia in
tutta la Libia, dove in molti vedono la gestione militare dei porti come una via, a
lungo attesa, per far ripartire le esportazioni
petrolifere, la principale fonte di reddito del
paese. Dall’estate del 2013 ino alla conquista di Haftar, i terminal erano bloccati dalla
milizia Petroleum facilities guard, guidata
da Ibrahim Jadhran, con perdite per la Libia
pari a più di cinquanta miliardi di dollari.
Secondo alcune fonti vari governi hanno
versato milioni di dollari a Jadhran per fargli
togliere il blocco.
Capitale in crisi
L’incapacità di afermarsi del governo di
unità nazionale è stata al centro anche della
protesta del 17 settembre nella capitale Tripoli, segnata da difficoltà economiche e
sociali.
Da mesi la Libia sofre una grave crisi di
liquidità, e le persone sono costrette a fare
la ila fuori dalle banche per giorni per ritirare al massimo 400 dinari (260 euro). Il 12
settembre, durante l’Eid al Adha, la festa
del sacriicio, le temperature hanno supera-
11-13 settembre 2016 Le forze al comando del
generale Khalifa Haftar, legate al parlamento di
Tobruk, prendono il controllo di quattro
terminal petroliferi: Al Sidra, Ras Lanouf,
Zueitina e Brega.
18 settembre Ricominciano a Sirte gli scontri
tra il gruppo Stato islamico (Is) e il governo di
unità nazionale, che a metà agosto aveva preso
il controllo di gran parte della città.
19 settembre Il ministero degli esteri italiano
fa sapere che a Ghat, nel sud della Libia, sono
stati rapiti due italiani e un canadese,
dipendenti di un’azienda che si occupa della
manutenzione dell’aeroporto della città. Il
rapimento non viene rivendicato.
to i 40 gradi e le interruzioni di elettricità
sono durate fino a dodici ore al giorno.
“Questo governo ha già fallito. Se non è in
grado di fornire denaro e servizi di base alla popolazione della capitale, come può
sperare di garantire pace e sicurezza?”, si
lamenta Hamed, un imprenditore di 59 anni. Secondo lui il governo usa i problemi
sociali come diversivi “per far dimenticare
la corruzione dei politici, che vogliono solo
mettere le mani sui soldi di Gheddai, ancora congelati in conti esteri”. Taher, 30
anni, direttore di un centro di formazione
professionale, ha spiegato che anche i singoli individui hanno “qualche responsabilità in questo disastro: molte persone non
pagano le tasse e le bollette, sprecano cibo,
corrente e carburante e buttano la spazzatura per strada”.
Gli studenti universitari sono costretti
a preparare gli esami nel caldo sofocante
di giorno e a lume di candela di notte. Sara,
22 anni, studente di medicina, racconta
che “la vita è diventata davvero dura qui e
tutti cercano un modo per andarsene. È
molto triste, per noi la famiglia è tutto, ma
vogliamo poter studiare e costruirci un futuro, e sembra che in Libia questo non sia
possibile”. u sg
SIRIA
Non c’è
tregua
Il 19 settembre l’esercito siriano
ha dichiarato conclusa la tregua
che era entrata in vigore una settimana prima, accusando i ribelli di non averla rispettata, scrive
Al Bawaba. Poco dopo è stato
colpito un convoglio che trasportava aiuti umanitari vicino
ad Aleppo e venti persone sono
morte. Gli Stati Uniti hanno accusato del raid la Russia, che però ha smentito. L’Onu ha sospeso temporaneamente l’invio di
aiuti in Siria. Il 21 settembre
quattro operatori umanitari siriani sono morti in un bombardamento vicino ad Aleppo. Il 18
settembre un attacco statunitense a Deir Ezzor aveva ucciso
circa sessanta soldati siriani.
RDC
Violenze
a Kinshasa
JUNIOR D. KANNAH (AfP/GEtty)
Il 19 e il 20 settembre a Kinshasa
gli oppositori del presidente Joseph Kabila si sono scontrati con
le forze dell’ordine (nella foto).
Le sedi dei tre principali partiti
di opposizione sono state incendiate e almeno 32 persone sono
morte, riferisce Le Congolais.
L’opposizione accusa Kabila di
voler rinviare le elezioni presidenziali, previste per novembre,
per restare al potere oltre il suo
mandato, che scade a dicembre.
La legge impedisce a Kabila, al
potere dal 2001, di ricandidarsi,
ma il presidente non sembra disposto a farsi da parte.
Burundi
EGITTO
Contro
gli attivisti
La ricerca della verità
Iwacu, Burundi
“Contestata, accusata di essere
ineicace e inopportuna, la
commissione per la verità e la
riconciliazione non riesce a unire il
Burundi”, scrive Iwacu. Lanciata a
marzo dopo un’attesa di molti anni, la
commissione ha il compito di
documentare le violenze avvenute nel
paese tra il 1962 e il 2008, quando
ebbero ine i massacri legati alla guerra civile scoppiata nel
1993. Ma è stata accusata dall’opposizione e dalla società
civile di essere uno strumento al servizio del potere, dato
che è stata istituita da Pierre Nkurunziza, il presidente che
ad aprile del 2015 aveva annunciato di volersi candidare a
un terzo mandato, scatenando molte proteste. Il
presidente della commissione, Jean-Louis Nahimana,
spiega che l’istituzione è stata lanciata in un momento in
cui il paese stava sprofondando in una nuova crisi e questo
“non ha favorito la ricerca della verità perché gli interessi
sono rivolti altrove”. Il 20 settembre un’indagine dell’Onu
ha concluso che tra aprile 2015 e giugno 2016 il governo ha
commesso “gravi violazioni dei diritti umani” e ha
avvertito del pericolo di “crimini contro l’umanità e di
genocidio” in Burundi. u
Il 17 settembre un tribunale egiziano ha ordinato il congelamento dei beni di cinque noti attivisti per i diritti umani e tre organizzazioni non governative.
L’accusa è di aver usato inanziamenti esteri per danneggiare
la sicurezza nazionale, spiega il
Daily News Egypt. tra gli attivisti coinvolti c’è anche Hossam
Bahgat, giornalista ed ex direttore dell’Egyptian initiative for
personal rights.
IN BREVE
Giordania Il 20 settembre si
sono svolte nel paese le elezioni
legislative. Lo scrutinio ha segnato il ritorno dei fratelli musulmani, la principale forza di
opposizione.
Egitto Il 21 settembre almeno
30 migranti sono morti nel naufragio della loro imbarcazione al
largo delle coste egiziane. Circa
150 persone sono state soccorse.
Secondo alcune testimonianze,
a bordo c’erano però tra le trecento e le seicento persone.
Da Venezia Amira Hass
Dipinti verbali
Il 20 settembre, sull’imbarcazione che da Venezia mi portava in aeroporto, il cielo nuvoloso era colorato di rosa scuro.
Il volto di uno dei passeggeri,
un ragazzo, si è illuminato. Ha
aperto il suo zaino e ha tirato
fuori un quaderno per disegnare, poi una scatola piccola
ed elegante che usava come
tavolozza, poi un pennello sottile che ha immerso in una
boccetta. Il traghetto stava accelerando, le nuvole cambiavano forma e il rosa diventava
sempre più grigio. Il ragazzo
ha dato un’occhiata fuori e poi
ha cominciato a dipingere.
Non ha immortalato tutto questo. Non avrebbe potuto. Ha
dipinto un attimo fuggente di
realtà, e soprattutto le sue impressioni, il suo innamorarsi
del movimento delle onde e
delle nuvole.
Non so perché, ma il ragazzo mi ha ricordato le tante persone di cui ho raccontato le
storie in tutti questi anni, dipingendole e a volte scolpendole. I miei dipinti verbali hanno sempre mostrato la mia
rabbia, lo so, ma voglio credere che le persone di cui ho par-
lato siano emerse come soggetti e non come oggetti sfruttati da un’arrivista. La strumentalizzazione è uno dei rischi più grandi per un giornalista. Io ricordo tutte quelle persone nei momenti più diicili
della loro vita. Questa, in fondo, è la triste natura del giornalismo che parla di violenza
di stato. Oggi quei momenti
sono passati. Ma quanti di loro
(temo pochi, purtroppo) hanno poi vissuto momenti migliori? Quanti meriterebbero
un colore allegro, se dovessi ridipingere la loro storia? u as
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
25
Europa
sensi grazie anche all’astensione. A quanto
pare gli elettori russi non hanno bisogno
delle elezioni e non sono interessati al parlamento. Il risultato del voto comunque è il
segno di una crisi politica: per catturare l’interesse dei cittadini bisogna fare un gesto
strepitoso.
Un seggio elettorale nel villaggio di Mitsulevka, il 18 settembre 2016
OLEG KLIMOV (AP/ANSA)
Cambiamenti ai vertici
Il voto per la duma
non ha sorpreso nessuno
Michail Zacharov, Gazeta.ru, Russia
Alle elezioni legislative del 18
settembre Russia unita, il partito
del presidente Vladimir Putin,
ha ottenuto la maggioranza
assoluta dei seggi. L’astensione
però è stata altissima
i solito alla vigilia delle elezioni
per il rinnovo della duma, il
parlamento russo, nessuno si
aspetta delle sorprese. Ma poi,
quando vengono resi noti i risultati, i motivi
per meravigliarsi sono sempre molti. Alle
elezioni del 18 settembre l’unica sorpresa è
stata che quasi tutte le previsioni sono state
confermate, sia quelle di chi simpatizza per
il potere sia quelle degli esperti che lo criticano. Molti osservatori avevano deinito il
Partito liberaldemocratico di Vladimir
Žirinovskij la “seconda scelta”. E in efetti la
formazione ha ottenuto un buon risultato, a
un passo dai comunisti.
Gli esperti avevano anche detto che
Russia unita (il partito di Vladimir Putin)
avrebbe ottenuto la metà dei voti nella quota eletta in base al sistema proporzionale e
circa duecento seggi nelle circoscrizioni
D
26
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
uninominali. Ci si aspettava che il partito
avrebbe avuto una maggioranza di seggi
suiciente per approvare modiiche alla costituzione. È andata proprio così.
Chi ha seguito la campagna elettorale
era convinto che i toni noiosi avrebbero
portato a una bassa aluenza alle urne, favorendo i candidati vicini al potere, proprio
com’è successo. Anche se il gioco della
“bassa affluenza” è pericoloso: possono
scegliere di non votare non solo gli elettori
fedeli al potere, ma anche quelli più critici,
come avvenne nel 2013 nelle elezioni locali
di Mosca, quando il blogger e attivista Aleksej Navalnyj ottenne il 27 per cento dei con-
Da sapere
Il nuovo parlamento russo
Dati provvisori, 93 per cento dei voti scrutinati
Seggi
Russia unita
343
Partito comunista
42
Partito liberaldemocratico
39
Russia giusta
23
Altri
3
Fonte: Gazeta
Il 18 settembre si è consumato anche l’ennesimo fallimento dei cosiddetti iloccidentali, che in Russia di solito sono deiniti liberali. Non sono stati capaci di spiegare agli
elettori perché avrebbero dovuto votare per
loro. Gli elettori “di qualità”, come i leader
dell’opposizione chiamano i loro sostenitori, non saranno rappresentati in parlamento. I deputati semplificheranno ulteriormente la loro retorica, come in un dibattito
televisivo dove si grida molto ma non si dice
niente di sensato. La volgarità della classe
politica è la norma nella maggior parte delle
democrazie, ma è comunque un preoccupante segnale di deterioramento. Gli Stati
Uniti sono riusciti a convivere in modo paciico con il Tea party e lo stesso avverrà in
Russia con gli ormai usurati slogan degli
implacabili “falchi di Žirinovskij”.
I risultati del voto lasciano intendere
che la duma rimarrà fedele al presidente
Putin e al governo, ma serve una precisazione. Il parlamento sarà molto più “regionale”. I deputati eletti nei collegi uninominali
non sideranno il potere federale, ma la lobby delle regioni si è raforzata. Gli eletti in
questi collegi dovranno tenere conto degli
interessi se non dei loro elettori almeno dei
gruppi dirigenti della singola regione e dei
rispettivi uomini d’afari. Quando si tratterà
di dimostrare “l’amore per Putin” o l’entusiasmo per l’annessione della Crimea –
aspetti che non toccano interessi reali – la
duma rimarrà unanime come la è stata ino
a oggi. Ma sarà interessante vedere cosa
succederà se il ministero delle inanze taglierà sussidi importanti per le regioni.
Inine le elezioni per la duma saranno
l’occasione per fare vari cambiamenti ai
vertici del potere esecutivo. Già si dice che
il portavoce del parlamento, Sergej
Naryškin, sarà sostituito. E sembra che ci
saranno altri avvicendamenti rilevanti.
Tutte questioni che non saranno risolte dalla volontà del popolo, ma dalla più ordinaria
politica dei quadri. Tradotto in parole povere, Putin deciderà a suo insindacabile giudizio, quindi azzardare delle previsioni è molto più diicile. u af
BELGIO
Minorenni
ed eutanasia
Una leader per l’Ukip
Bournemouth, 16 settembre 2016
L’Afd cresce
anche a Berlino
Il 18 settembre a Berlino si è votato per il rinnovo del governo
locale. La Spd si è confermata
primo partito della capitale tedesca con il 21,7 per cento dei
voti, il 6,6 per cento in meno rispetto alle elezioni del 2011. La
Cdu della cancelliera Angela
Merkel si è fermata al 17,8 per
cento, perdendo il 5,5 per cento
rispetto al 2011. La Süddeutsche Zeitung spiega che il
sindaco uscente, il socialdemocratico Michael Müller (nella foto), potrà continuare a governare formando un’alleanza con i
Verdi e la Linke (sinistra radicale). Ma il risultato più eclatante è
quello dei populisti dell’Alternative für Deutschland (Afd), arrivati al 13,9 per cento. La nuova
afermazione dell’Afd, dopo
quella nel land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore il 4 settembre, è stata favorita da una
campagna elettorale incentrata
sugli attacchi alla politica di
apertura ai profughi di Merkel.
“La stessa cancelliera si è presa
la responsabilità della sconitta
e ha ammesso alcuni errori nella
politica migratoria”.
Le elezioni a Berlino
Spd
Voti in
percentuale,
2016
Variazione in
percentuale
rispetto al 2011
21,7
-6,6
Cdu
17,8
-5,5
Linke
15,6
+3,9
Verdi
15,3
-2,3
Afd
13,9
+13,9
Altri
15,7
Fonte: Süddeutsche Zeitung
DANIEL LEAL-OLIVAS (AFP/GEtty IMAGES)
GERMANIA
Il 16 settembre Diane James, 56 anni, è stata eletta leader
del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip).
Prende il posto di Nigel Farage, che ha lasciato l’incarico
dopo la vittoria nel referendum del 23 giugno sull’uscita
del paese dall’Unione europea. James, eurodeputata, ex
donna d’afari e funzionaria della sanità pubblica, è
un’ammiratrice del presidente russo Vladimir Putin e della
sua politica nazionalista, scrive il Daily Telegraph.
Sostenitrice della linea dura nei confronti degli immigrati,
è contraria all’ipotesi di rimanere nel mercato unico
europeo dopo il divorzio con Bruxelles. u
BOSNIA ERZEGOVINA
Il referendum
dei serbi
Milorad Dodik, presidente della
Repubblica serba, una delle due
entità che compongono la Bosnia Erzegovina, ha stabilito
che il 25 settembre si svolgerà
un referendum per confermare
la scelta del 9 gennaio come
giorno di festa nazionale. La
corte costituzionale bosniaca
aveva bocciato la data perché
corrisponde al giorno del 1992
in cui fu proclamata la Repubblica del popolo serbo: l’annuncio precedette la sanguinosa
guerra degli anni novanta, un
evento divisivo per il paese. La
comunità internazionale, con
l’importante eccezione della
Russia, ha chiesto a Dodik di ri-
nunciare al referendum. Il primo ministro serbo Aleksandar
Vučić, che riceverà Vladimir
Putin alla vigilia della consultazione, non ha sostenuto esplicitamente il referendum, preferendo mantenere un basso proilo. “Dodik ha indetto il referendum per distrarre gli abitanti
dalla disastrosa situazione economica nella Repubblica Serba”, scrive Oslobođenje.
Un malato terminale minorenne è morto il 17 settembre in
Belgio ricorrendo all’eutanasia.
Lo ha rivelato il quotidiano
iammingo Het Nieuwsblad
citando il presidente della commissione nazionale di controllo
e valutazione sull’eutanasia. Si
tratta del primo caso in Belgio,
unico paese al mondo in cui la
legge permette a un paziente
minorenne colpito da una malattia “grave e incurabile” di
mettere ine a “soferenze isiche e psicologiche costanti e insopportabili”, purché ne abbia
fatto richiesta e i genitori siano
d’accordo. “È un caso eccezionale”, spiega La Libre Belgique. “Lo dimostra il fatto che
nei due anni e mezzo dall’entrata in vigore della legge non era
mai successo”.
GIORGOS MOUtAFIS (REUtERS/CONtRAStO)
thOMAS tRUtSChEL (PhOtOthEk/GEtty)
Regno Unito
IN BREVE
Grecia Il 19 settembre un incendio volontario scoppiato nel
campo di Lesbo (nella foto) ha
costretto circa cinquemila migranti a fuggire. La polizia ne ha
arrestati nove accusati di aver
provocato gli scontri.
Francia Il 20 settembre sono
cominciati a Calais i lavori di costruzione di un muro che servirà
a impedire l’accesso al porto ai
migranti che vogliono raggiungere il Regno Unito. Il muro, che
sarà lungo un chilometro e alto
quattro metri, dovrebbe essere
completato entro la ine dell’anno. I lavori sono inanziati da
Londra.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
27
Americhe
Minaccia
sopravvalutata
Agenti dell’Fbi a New York, il 18 settembre 2016
I
n un mondo razionale i crimini maldestri di Ahmad Khan Rahami sarebbero la dimostrazione che, a quindici
anni di distanza dall’11 settembre, la
minaccia terroristica negli Stati Uniti è ormai simile a un incendio boschivo: un evento che si veriica periodicamente e provoca
qualche danno prima che gli esperti spengano le iamme. E invece, a causa della copertura dell’evento fatta dalle tv, da alcuni
giornali e siti web, siamo riusciti a trasformare quest’evento in una bomba atomica.
Quando la notizia dell’esplosione si è difusa, Donald Trump, con il solito opportunismo, ha detto: “Nessuno sa cosa sta succedendo, ma viviamo in un’epoca difficile.
Dobbiamo essere duri”.
Non voglio minimizzare gli eventi del 18
settembre, in cui sono rimaste ferite 31 persone. Ma penso che le goffe modalità
dell’attentato e la rapidità con cui il presunto colpevole è stato arrestato siano la prova
che il livello della minaccia terrorista negli
Stati Uniti è molto basso. Per questo mi sento al sicuro. Almeno ino a quando accendo
la tv: a quel punto comincio a farmi prendere dal panico. Probabilmente succede a
molti altri statunitensi.
Come spiega Bryan Burrough nel libro
Days of rage, l’attuale ondata di violenza non
è lontanamente paragonabile a quella registrata dall’Fbi tra il 1971 e il 1972. All’epoca
in 18 mesi ci furono 2.500 attentati denunciati, ma il paese non perse la testa e nessuno sfruttò la paura a ini politici. Visto che la
paura non è razionale, le persone che puntano sulla razionalità non riusciranno mai a
convincere l’opinione pubblica che gli americani hanno più probabilità di morire nuotando in piscina, correndo per andare al
supermercato o a causa dell’obesità che per
un attacco terroristico. Oggi ogni atto a
sfondo terroristico è percepito come un assalto alla patria, anche quando non provoca
grossi danni. La paura è comprensibile, ma
ha comunque conseguenze devastanti sulla
psicologia e sulla politica nazionale. u as
Jack Shafer è un giornalista di Politico che
si occupa di mezzi d’informazione.
28
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
STEPHANIE KEITH (GETTY IMAGES)
Jack Shafer, Politico,
Stati Uniti
La polizia indaga sulle bombe
a New York e nel New Jersey
M. Santora e A. Goldman, The New York Times, Stati Uniti
A
hmad Khan Rahami, l’uomo
che secondo le autorità statunitensi ha fatto esplodere una
bomba a New York il 18 settembre, causando il ferimento di 31 persone,
pianiicava gli attentati da mesi. Aveva fatto una prova pochi giorni prima e si è ispirato a “fratello Osama bin Laden” e ad altri
terroristi internazionali. Rahami, un cittadino statunitense di 28 anni di origine afgana, è stato arrestato il 19 settembre in
New Jersey dopo una breve sparatoria con
la polizia, e il giorno seguente è stato formalmente accusato di vari reati, tra cui
l’uso di armi di distruzione di massa.
Controlli precedenti
La bomba esplosa il 18 settembre nel quartiere di Chelsea, a Manhattan, è stata abbastanza potente da sollevare per più di
trenta metri un cassonetto d’acciaio. Le inestre di ediici a più di cento metri dal luogo dell’esplosione sono andate in frantumi,
e alcuni frammenti dell’ordigno sono stati
recuperati a quasi duecento metri di distanza.
Nello stesso giorno in cui sono state
formulate le accuse, si è difusa la notizia
che due anni fa il padre di Rahami aveva
detto alla polizia di temere che il iglio fos-
se un terrorista. L’Fbi aveva avviato dei
controlli, che però non avevano fatto emergere elementi che giustiicassero un’indagine più approfondita.
Nella provvedimento della procura si
legge che Rahami era motivato da un’ideologia estremista e si fa riferimento al taccuino che l’uomo aveva con sé quando è
stato ferito dalla polizia a Linden, nel New
Jersey, prima di essere arrestato. Bucato da
un proiettile e macchiato di sangue, il diario contiene dei passaggi contro gli interventi militari degli Stati Uniti in Iraq e in
Afghanistan.
In un messaggio scritto a mano, Rahami prega di non essere catturato prima di
aver portato a compimento i suoi attacchi.
“Il mio cuore prega il meraviglioso saggio
Allah”, scrive, “di non portarmi via il jihad.
Lo imploro”. Inoltre nel diario Rahami dice di ispirarsi ad Anwar al Awlaki, un jihadista ucciso da un attacco di droni statunitensi in Yemen nel 2011, e a Nidal Hasan, il
soldato che nel 2009 uccise tredici persone nella base militare di Fort Hood, in
Texas.
Secondo le autorità, Rahami pianiicava l’attentato almeno da giugno, e aveva
acquistato su eBay molti dei materiali usati per costruire le sue armi. u gim
FABIO VIEIrA (FOTOruA/NurphOTO/GETTy)
Stati Uniti
meSSIco
Stui
I neri protestano a charlotte del presidente
Il 15 settembre, il giorno prima
dei festeggiamenti per l’indipendenza messicana, migliaia
di persone si sono riunite a Città
del Messico (nella foto) per chiedere le dimissioni del presidente
Enrique peña Nieto, del partito
rivoluzionario istituzionale
(conservatore). “Collettivi di cittadini, organizzazioni indipendenti, gruppi giovanili e i familiari delle persone scomparse”,
scrive SinEmbargo, “chiedono
la rinuncia del presidente perché pensano che la soluzione alla corruzione e all’impunità nel
paese non possa arrivare dai
partiti”. u Il 14 settembre
Tomás zerón, capo dell’indagine sulla sparizione dei 43 studenti della scuola di Ayotzinapa,
avvenuta il 26 settembre 2014,
si è dimesso dall’incarico.
accuse
a lula
Il 14 settembre la procura di Curitiba ha accusato l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva (nella foto), 71 anni, la moglie Marisa Leticia e altre sei persone di
corruzione e riciclaggio di denaro. Lula è anche accusato di essere a capo dello schema di corruzione e tangenti all’interno
della compagnia petrolifera statale petrobras. In conferenza
stampa, scrive la rivista Carta
Capital, l’ex presidente brasiliano ha dichiarato di essere innocente e ha ribadito che le accuse hanno l’unico obiettivo di
distruggere la sua carriera politica. “Se dimostrerete la mia colpevolezza, sconterò la pena”, ha
detto Lula.
Il 20 settembre a Charlotte, in North Carolina, ci sono stati
degli scontri tra i poliziotti e i manifestanti che
protestavano per la morte di Keith Scott, un nero di 43 anni
ucciso da Brentley Vinson, un agente nero. La polizia ha
sostenuto che Scott era armato, mentre i familiari della
vittima afermano che l’uomo stava leggendo un libro
nella sua auto ed era disarmato. Quattro giorni prima a
Tulsa, in Oklahoma, Terence Crutcher, un nero di
quarant’anni, era stato ucciso da Betty Shelby, una
poliziotta bianca. “In due video difusi dalla polizia si vede
che Crutcher era disarmato e non rappresentava una
minaccia per gli agenti”, scrive The Nation. u
canada
StatI UnItI
Una legge
pericolosa
“Il 16 settembre la lobby delle
armi ha ottenuto una vittoria
preoccupante”, scrive il New
York Times. Il parlamento del
Missouri, controllato dai repubblicani, ha votato per eliminare
le restrizioni in vigore sul possesso di armi: “Dal 2017 i cittadini potranno portare armi nascoste senza una licenza e senza
aver frequentato un corso di addestramento”. Inoltre il provvedimento introduce il principio
stand your ground: chi si sente
minacciato non ha il dovere di
evitare lo scontro e ha il diritto
di usare la forza.
cura
alternativa
Il 13 settembre il governo canadese ha approvato un provvedimento che permetterà ai medici di prescrivere eroina alle persone tossicodipendenti che non
rispondono alle terapie convenzionali. La decisione del governo reintroduce una pratica che
in Canada è stata possibile ino
al 2013, quando il governo conservatore ha deciso di vietarla.
“Il provvedimento del primo
ministro Justin Trudeau è un altro passo avanti per cancellare
le norme punitive sull’abuso di
droga volute dal precedente governo”, scrive il Toronto Star.
Ad aprile Trudeau ha annuncia-
to un piano per legalizzare la
vendita di marijuana e ha creato una commissione incaricata
di stabilire come la cannabis
dovrà essere venduta e tassata.
La Cnn riporta il parlare di
Eugenia Oviedo-Joekes, docente associata alla scuola di salute
pubblica all’università della
British Columbia: “Anche se
non sempre aiuta le pazienti a
superare la tossicodipendenza,
la cura basata sull’eroina riduce
il rischio di morti per overdose
e di malattie per infezioni ematiche. I dati dimostrano che in
Canada sono in aumento le
morti causate dagli oppioidi.
Questo è dovuto soprattutto alla crescente difusione del Fentanyl, un analgesico oppioide
che è da 30 a 50 volte più potente dell’eroina”.
yurI COrTEz (AFp/GETTy IMAGES)
braSIle
JEFF SINEr (ThE ChArLOTTE OBSErVEr/Ap/ANSA)
Charlotte, 20 settembre 2016
In breve
Cuba Il 20 settembre il tribunale di Tampere, in Finlandia, ha
condannato cinque pallavolisti
della nazionale cubana a pene
ino a cinque anni di prigione
per aver stuprato una ragazza
all’inizio di luglio.
Stati Uniti Il presidente Barack
Obama ha annunciato il 15 settembre la creazione di una riserva naturale marina di 12.700
chilometri quadrati nell’oceano
Atlantico.
Venezuela Il 17 settembre il paese ha assunto per tre anni la
presidenza del Movimento dei
non allineati durante una conferenza sull’isola Margarita.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
29
Asia e Paciico
trebbe enfatizzare il suo ruolo di madre
(ma inora ha evitato di farlo). La sua lea­
dership, secondo kawakami, rappresenta
“un rinnovamento signiicativo” dell’im­
magine del Pdg e potrebbe far crescere un
consenso che langue sotto il 10 per cento.
Ma secondo yoshiaki kobayashi, docente
di scienze politiche all’università keio, la
carta femminile non basterà a dare la svol­
ta. anche abe, infatti, con la sua womenomics, ha già annunciato diversi provvedi­
menti per favorire le donne, compresi
quelli su cui Renhō ha puntato di più: au­
mentare il numero delle parlamentari e ri­
durre drasticamente un vecchio sistema di
agevolazioni iscali coniugali che inora ha
tenuto le donne lontane dal lavoro a tempo
pieno.
ShIGeyukI INakuMa (kyodo NewS/aP/aNSa)
Renhō a Tokyo, 15 settembre 2015
Strategia per il futuro
Sarà una donna a guidare
i democratici giapponesi
Tomohiro Osaki, The Japan Times, Giappone
Nel tentativo di riguadagnare
consensi, per la prima volta il
principale partito d’opposizione
ha eletto leader una donna. Ma
per Renhō, 48 anni, sono già
cominciate le diicoltà
l 15 settembre il Partito democratico
(Pdg), la principale forza d’opposi­
zione in Giappone, ha fatto una scel­
ta storica aidando per la prima volta
a una donna il ruolo di leader. Renhō, 48
anni, due igli e un passato da modella e
presentatrice tv, era la vicepresidente
uscente del Pdg, e dovrebbe dare una svol­
ta decisiva all’immagine di un partito che
non si è più ripreso dalla crisi nucleare di
Fukushima del 2011, quando era al gover­
no. Renhō rappresenta una scelta radicale
per il Giappone anche perché è iglia di un
taiwanese e di una giapponese e, come si è
saputo poco prima che fosse eletta, ha la
doppia cittadinanza, cosa non permessa
dalla legge giapponese. La notizia della
doppia cittadinanza ha scatenato un puti­
ferio, anche perché Renhō, dopo aver ini­
zialmente negato, ha ammesso di aver
I
30
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
tentato invano di rinunciare alla cittadi­
nanza taiwanese e di voler tentare di nuo­
vo, dimostrando, secondo i suoi avversari,
poca furbizia. Renhō, che usa da sempre
solo il nome, ha vinto con 503 voti su 849
promettendo di rilanciare il Pdg e farne
un’alternativa credibile al Partito liberal­
democratico (Pld) di Shinzō abe. In parti­
colare ha parlato di maggiori investimenti
in servizi per i cittadini e nell’istruzione,
incluse scuole materne gratuite e salari più
alti per il personale degli asili nido.
La sua elezione segna una rottura con la
tradizione dei leader di partito in Giappo­
ne, uomini e in gran parte anziani, in un
momento in cui la politica e l’economia co­
minciano a fare spazio alle donne. a parte
pioniere come Takako doi, che guidò il
Partito socialdemocratico dal 1986 al 1991,
e poi tra il 1996 e il 2003, le donne in ruoli
dirigenziali sono una rarità nella politica
giapponese. di recente hanno fatto ecce­
zione la parlamentare del Pld Tomomi Ina­
da, oggi ministra della difesa, e yuriko koi­
ke, eletta governatrice di Tokyo. Secondo
kazuhisa kawakami, docente di scienze
politiche alla International university of
health and welfare di Ōtawara, per marca­
re la diferenza rispetto ad abe, Renhō po­
un altro punto debole di Renhō è che è una
deputata della camera alta, il ramo meno
inluente del parlamento. anche se a que­
sti deputati tecnicamente è consentito di­
ventare primo ministro, nessuno di loro ha
mai ottenuto quell’incarico. Renhō ha già
detto che si candiderà alla camera bassa,
per trovarsi in una posizione migliore per
detronizzare abe. Quanto alla linea politi­
ca, gli osservatori si aspettano che Renhō
continui sulle orme del suo predecessore,
katsuya okada. La leader dei democratici
ha ribadito gli appelli di okada alla salva­
guardia della costituzione paciista, che
abe vuole modiicare, ma si è detta pronta
a discutere eventuali emendamenti con la
coalizione di governo. ha escluso la possi­
bilità di un governo di coalizione con il Par­
tito comunista ma, nel caso di voto antici­
pato, sarebbe disposta a un’alleanza elet­
torale, una strategia discussa ma sostenuta
da okada. Renhō, al terzo mandato come
parlamentare nella camera alta, nel 2010
era stata ministra con il compito di ridare
vitalità al governo.
Madre di due gemelli, è molto popola­
re. ha ottenuto più di un milione di prefe­
renze risultando la più votata alle elezioni
per la camera alta nel suo distretto di To­
kyo a luglio. I suoi appelli a favore del rin­
giovanimento del partito tuttavia non han­
no fatto breccia nell’elettorato: in base
all’ultimo sondaggio della Nhk, il grado di
popolarità del Pdg a settembre è sceso
all’8,3 per cento rispetto al 9 per cento di
agosto. La fusione con il partito Ishin no to
(Partito dell’innovazione) a marzo, poi,
non ha aiutato. u gim
asia e paciico
Mongolia
corea deL sud
abuso di fonti
anonime
La capitale più inquinata
Quando pubblicano notizie sulla Corea del Nord, i mezzi d’informazione sudcoreani citano
troppo spesso fonti anonime,
scrive Hankyoreh. Proteggere
le fonti è un dovere, ma il fatto
che molte volte le notizie si rivelano false fa sorgere qualche
dubbio. Il 10 febbraio, per esempio, il ministero dell’uniicazione disse ai giornalisti che Pyongyang aveva messo a morte un
generale dell’esercito, Ri Yonggil. Quel giorno la presidente
Park Geun-hye aveva reagito al
test missilistico nordcoreano di
tre giorni prima annunciando la
chiusura deinitiva del polo industriale di Kaesong, cogestito
dalle due Coree. La notizia su
Ri, smentita tre mesi dopo, era
stata probabilmente costruita
ad arte per far aumentare l’indignazione verso la Corea del
Nord e distogliere l’attenzione
dall’annuncio di Park.
The Diplomat, Giappone
L’inverno si avvicina e Ulan Bator, la
capitale più fredda del mondo, dove
le temperature arrivano a 35 gradi
sotto lo zero, si prepara a sei mesi di
gelo. Ma oltre alla neve l’inverno
porterà una coltre densa di polveri
sottili sulla città, una delle più
inquinate del mondo con una
concentrazione di pm 2,5 che supera
anche di duecento volte il livello di guardia
dell’Organizzazione mondiale della sanità. A Ulan Bator
il problema si presenta soprattutto d’inverno. Mentre a
Pechino e New Delhi l’inquinamento è un misto di
emissioni industriali e urbane, nella capitale mongola
l’80 per cento della quantità media di particolato deriva
dalle decine di migliaia di stufe a carbone usate nelle ger
(iurte), le tende dei nomadi che si sono stabiliti in città.
Nei quartieri di ger vivono 800mila persone, il 60 per
cento degli abitanti della capitale, e si calcola che ogni
anno arrivino dalle zone rurali 50mila nuovi immigrati in
più. L’impatto sanitario dell’inquinamento dell’aria è
pesante: il 10 per cento della mortalità in città è attribuita
alle polveri sottili. I tentativi fatti inora per migliorare le
cose sono falliti, scrive The Diplomat. ◆
Rodrigo Duterte
NOeL CeLIS (AfP/GettY IMAGeS)
cina
La povertà
non diminuisce
Sui social network cinesi sono
chiamate “formiche nell’era
della prosperità”, persone escluse dai beneici della crescita
economica. Gli utenti di Weibo
leggono alla luce delle disparità
economiche il fatto di cronaca
fiLippine
La vendetta
di duterte
32
Chongqing, 2012
ReUteRS/CONtRAStO
Il 19 settembre Leila de Lima, a
capo della commissione giustizia del senato che aveva aperto
un’inchiesta sugli omicidi sommari in corso nelle filippine, è
stata rimossa dopo aver interrogato un testimone secondo cui il
presidente Rodrigo Duterte aveva ordinato più di mille omicidi
e ha ucciso almeno una persona, scrive Al Jazeera.
giappone
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
nera di cui tutti parlano in Cina:
il caso di Yang Gailan, ragazza
che in un villaggio rurale del
Gansu ha ucciso i quattro igli e
poi si è suicidata. Nel 2013 alla
famiglia di Yang fu revocato un
sussidio perché i 4mila yuan
(circa 500 euro) che il marito le
mandava ogni anno dalla città
erano superiori ai 2.300 yuan
che segnano la soglia di povertà.
Nel 2014 82 milioni di cinesi vivevano con meno di 1 dollaro al
giorno. Le amministrazioni locali stanno mettendo in pratica
diverse misure per alleviare la
povertà. Il caso di Yang mostra
però i limiti di tali strategie, scrive Caijing in un commento sul
suo sito poi rimosso. Pesano fattori come la corruzione, la scarsa chiarezza dei dati e il fatto
che non si considerano le varie
forme della povertà.
sempre meno
sesso
Il governo giapponese, già alle
prese con un tasso di natalità ai
minimi termini, deve fare i conti
con un fenomeno emerso negli
ultimi anni e confermato da un
rapporto appena pubblicato. Il
70 per cento degli uomini celibi
tra i 18 e i 34 anni e il 60 per cento delle donne nubili della stessa
fascia d’età sono single. Di questi, il 42 per cento dei maschi e il
44,2 per cento delle femmine è
vergine. Lo rivela l’Istituto giapponese di ricerca sulla popolazione e la sicurezza sociale, che
pubblica un rapporto – limitato
agli eterosessuali – ogni cinque
anni dal 1987. Allora la percentuale di single era del 48,6 e del
39,5 per cento. Il numero di persone che non ha mai avuto rapporti sessuali è cresciuto rispetto al 2010, quando tra le persone
non sposate il 36,2 per cento degli uomini e il 38,7 per cento delle donne si dichiarava vergine,
scrive il Japan Times.
in breve
Afghanistan Il 18 settembre
otto poliziotti afgani sono morti
per errore in un raid aereo statunitense a tarin Kot, capoluogo
della provincia dell’Uruzgan,
nel sud del paese.
Filippine Il 17 settembre il
gruppo islamista Abu Sayyaf ha
liberato l’ostaggio norvegese
Kjartan Sekkingstad. Potrebbe
essere stato pagato un riscatto.
Sekkingstad era stato rapito insieme a due canadesi, che poi
erano stati decapitati.
GIANNI CIPrIANO PEr ThE NEw YOrk TIMES
Visti dagli altri
L’indagine italiana
sulle navi cariche di droga
Rukmini Callimachi e Lorenzo Tondo,
The New York Times, Stati Uniti
Dal 2013 la guardia di inanza
sequestra nel Mediterraneo
tonnellate di hashish che
raggiungono l’Europa passando
per i territori controllati
dal gruppo Stato islamico
li investigatori italiani del gruppo operativo antidroga erano
abituati a quantiicare il lusso
di hashish proveniente dal Marocco e diretto in Europa usando come unità di misura i motoscai. Per questo quando
il 12 aprile 2013 il maresciallo della guardia
di inanza Francesco Amico ha ricevuto la
soiata su un mercantile carico di hashish
G
34
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
nelle acque internazionali a sud della Sicilia
ha capito subito che c’era qualcosa di insolito. Il mercantile viaggiava centinaia di
chilometri a est rispetto alla rotta più veloce
verso la Spagna. La notizia, oltre a essere
insolita, era clamorosa: quando il mercantile Adam è stato intercettato da due navi da
guerra italiane, gli agenti hanno trovato un
equipaggio di siriani terrorizzati e 15 tonnellate di hashish. Una quantità mai vista prima. “C’era talmente tanta droga che non
sapevamo dove metterla”, spiega Amico,
che ha aspettato l’arrivo della nave nel porto di Trapani. “Abbiamo dovuto aittare un
magazzino”.
Quel giorno gli investigatori italiani erano incappati in una nuova rotta del narcotraico, che si estende a est lungo la costa
del Nordafrica fino alla Libia, in un’area
contesa da gruppi armati tra cui lo Stato
islamico (Is). L’Adam è stata la prima di venti navi intercettate lungo questa rotta ino a
dicembre del 2015. In questo periodo sono
state sequestrate complessivamente 280
tonnellate di hashish per un valore di 2,8
miliardi di euro. Secondo le cifre dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, è circa metà della droga
sequestrata in tutta Europa nel 2015.
Poi, però, le soiate sono diminuite e i
blitz si sono interrotti. L’indagine italiana,
che successivamente ha coinvolto altri paesi europei e la Drug enforcement administration (Dea, l’agenzia federale antidroga
statunitense), non è riuscita a intercettare
altre navi su questa rotta, anche se le autorità sono convinte che il traico continui.
Gli investigatori italiani hanno cercato
di capire che ine fanno le navi mercantili e
Nella foto in alto: una valigia di iuta
con cento pacchi di hashish, una
parte delle 13 tonnellate sequestrate
il 3 dicembre 2015 dalla guardia
di inanza di Palermo a bordo
della motonave Munzur
si sono trovati davanti a un mistero che solleva interrogativi interessanti, ma ofre poche risposte.
Di sicuro il viaggio della droga non termina in Libia. I produttori marocchini hanno l’abitudine di irmare la droga con un
logo: uno scorpione o il simbolo del dollaro.
Questo ha permesso di seguire le tracce dei
carichi dopo la partenza dalla Libia, lungo
la rotta via terra che attraversa l’Egitto e i
Balcani per arrivare in Europa. Ma gli investigatori non hanno ancora scoperto dove
inisce la droga una volta superato il conine
europeo. Grazie agli interrogatori e alle intercettazioni ambientali, sanno che la rotta
passa per un territorio che ino a poche settimane fa era rivendicato dal gruppo Stato
islamico, che ha l’abitudine di tassare i carichi di droga e altri prodotti in Siria e in Iraq.
Per questo gli investigatori italiani sospettano che il gruppo Stato islamico o qualche altra organizzazione stiano beneiciando del traico di droga tassando i carichi. E
che il caos in Libia dia ai traicanti di droga
la possibilità di seguire una rotta insospettabile. I gruppi armati che si trovano in Libia
sono stati coinvolti direttamente? Le indagini continuano.
“Una volta raggiunta la Libia, perdiamo
le tracce della droga”, spiega il tenente colonnello Giuseppe Campobasso, comandante del gruppo operativo antidroga della
Guardia di inanza di Palermo.
vuote, fatta eccezione per la droga.
“Queste navi possono trasportare migliaia di tonnellate di merce, ma nella maggior parte dei casi i carichi non superavano
le venti tonnellate. Veniva usata solo una
piccola parte della nave”, spiega.
Il fatto che i contrabbandieri fossero disposti a usare le navi in modo così ineiciente – è come usare un autotreno per trasportare un pacchetto di sigarette, spiega
Catania – ci fa capire quale sia il valore del
carico. Considerando che nelle strade europee l’hashish si vende a 10mila euro al chilo,
il valore del carico dell’Adam può essere stimato attorno ai 150 milioni di euro. In seguito sono stati scoperti carichi ancora più
grandi, come quello del mercantile Aberde-
280
di hashish sequestrate sulle navi
intercettate nel Mediterraneo dal 12 aprile
2013 al dicembre del 2015 per un valore
di 2,8 miliardi di euro
en, intercettato nell’estate del 2014 con un
carico di hashish del valore stimato di 420
milioni di euro.
Dopo aver intercettato l’Adam, gli investigatori italiani hanno interrogato l’equipaggio, che ha sempre detto di non essere a
conoscenza della presenza di hashish nelle
591 buste di plastica trovate sul ponte della
nave.
Dalle trascrizioni degli interrogatori
emerge che il comandante della nave ha
detto agli investigatori di essere convinto di
trasportare aiuti umanitari, caricati sulla
nave dall’equipaggio di un motoscafo che si
La tassa per il passaggio
Da sapere La rotta dell’hashish
ThE NEw yorK TIMES
Per anni gli investigatori italiani avevano
collaborato con le autorità spagnole per intercettare i carichi di hashish provenienti
dal Marocco, circa cento chili alla volta, su
imbarcazioni che, una volta superato lo
stretto di Gibilterra, si fermavano in Spagna
per poi raggiungere i porti italiani controllati dalle maie. Nel 2007 la Spagna ha cominciato a installare telecamere lungo la costa
meridionale ma, almeno all’inizio, il traico di hashish è proseguito con le stesse modalità. L’Europa aveva gli occhi puntati sul
traico di droga a bordo di piccole imbarcazioni provenienti da sud, e all’inizio nessuno aveva fatto caso alle grandi navi mercantili che allungavano la loro rotta verso est.
Giacomo Catania, ispettore della guardia di inanza incaricato di immagazzinare
la droga coniscata, racconta un’altra stranezza: le enormi navi mercantili intercettate – alcune erano più lunghe di un campo da
calcio ed erano progettate per trasportare
container o grandi quantità di auto – erano
tonnellate
era avvicinato al largo delle coste marocchine e lo aveva convinto a prendere a bordo le
buste. Per saperne di più gli investigatori
hanno sistemato alcune cimici nelle celle
dove erano stati rinchiusi i sei componenti
dell’equipaggio. È così che Francesco Amico ha cominciato a individuare i contorni
della rotta della droga lungo la costa della
Libia. Dopo la morte del leader libico Muhammar Gheddai, nel 2011, diversi tratti
costieri della Libia nella regione orientale
della Cirenaica sono diventati terreno di
scontro tra diverse milizie. Nel 2014 sul
campo era presente anche il braccio libico
del gruppo Stato islamico, che in momenti
diversi ha assunto il controllo delle città di
Bengasi, Derna e soprattutto Sirte, ormai
parzialmente riconquistata dalle forze governative.
Le autorità italiane sono convinte che
queste città erano tutte destinazioni per alcuni carichi di droga, anche se in diverse
navi sequestrate il dispositivo dove viene
inserita la rotta alla partenza indicava come
meta il porto libico di Tobruk, controllato
da un gruppo ribelle che combatte l’Is.
Gli inquirenti sono convinti che almeno
in alcuni casi, l’Is abbia imposto una tassa in
cambio del passaggio della droga. Questa
ipotesi combacia con le pratiche commerciali del gruppo Stato islamico in Siria e Iraq,
dove, secondo il centro studi britannico Ihs
country risk, l’anno scorso il 7 per cento degli introiti dell’organizzazione è arrivato
dalla produzione, dalla tassazione e dalla
vendita di droga.
Ma gli inquirenti ammettono di non avere certezze sul ruolo del gruppo dell’Is nel
trasporto dell’hashish.
“Nessuno ha occhi sul campo per poter
dire di sapere”, spiega Masood Karimipour,
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
35
Visti dagli altri
Senza limiti
Da qualche mese l’indagine italiana è in fase di stallo. Molti dei suggerimenti arrivavano dai servizi segreti francesi, che dopo
gli attacchi terroristici hanno concentrato le
loro indagini sulla sicurezza nazionale.
Quando le soiate sono inite, si sono conclusi anche i blitz della guardia di inanza.
Nel 2016 nessuna imbarcazione è stata intercettata lungo la nuova rotta della droga,
anche se gli inquirenti sono convinti che la
tratta sia ancora usata.
Gli investigatori italiani sono preoccupati dall’incertezza sull’identità dei gruppi
che controllano la rotta.
“Se fosse tutto controllato dalla maia
sapremmo come afrontare la situazione,
perché conosciamo bene cosa nostra”, spiega Agnello. La maia siciliana per anni ha
controllato il traico di hashish in arrivo dal
Marocco attraverso la Spagna. Quando si
parla del possibile coinvolgimento di gruppi
terroristi, invece, gli investigatori italiani
sono “spaventati, perché quella gente non
ha limiti. Fanno cose che sarebbero inconcepibili per un maioso”. u as
36
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Roma, un negozio in via Casilina
MASSIMO SIRAGUSA (CONtRAStO)
rappresentante per il Medio Oriente e il
Nordafrica dell’Uicio delle Nazioni Unite
per il controllo della droga e la prevenzione
del crimine. “Al massimo possiamo dire
che i terroristi controllano tutto ciò che
passa sui loro territori, incluso il traico di
droga e armi”.
Analizzando le intercettazioni delle
conversazioni in carcere tra i membri
dell’equipaggio dell’Adam, Amico e i suoi
colleghi hanno cominciato a chiedersi se la
droga facesse parte di un commercio più
ampio che potrebbe comprendere anche le
armi. Gli investigatori hanno scoperto che
l’Adam era partita da Cipro, dove aveva caricato quattro container di mobili diretti a
Bengasi. Dopo aver scaricato i container, la
nave ha fatto rotta verso il Marocco, dove
ha caricato 15 tonnellate di hashish ed è ritornata in Libia.
Alcuni commenti dell’equipaggio hanno spinto Amico a credere che quelli che
venivano chiamati mobili fossero in realtà
armi, un’idea condivisa anche da due dei
magistrati che indagano sulla vicenda. “La
Libia non è un paese dove si consuma
hashish”, spiega Maurizio Agnello, sostituto procuratore della direzione distrettuale
antimaia di Palermo. “Quindi il carico di
droga è sicuramente una forma di pagamento, una sorta di moneta”.
Il successo
bangladese in Italia
Dominique Von Rohr e Rose Delaney,
Inter Press Service, Thailandia
È una delle poche comunità
inserite nel mercato del lavoro.
Sono soprattutto proprietari
di minimarket, operai
e venditori ambulanti
Roma non c’è strada senza un
minimarket gestito da bangladesi. Sono diventati ormai parte
integrante del panorama urbano. Quasi come i bar. Al punto che si fa fatica a credere che in così poco tempo siano
arrivati a gestire una parte fondamentale
dei commerci della città.
I bangladesi vendono frutta e verdura,
altri generi alimentari e prodotti per l’igiene. Le insegne dai colori vivaci, con la scritta “aperto”, sono accese anche la domenica, quando in Italia la maggior parte dei
negozi resta chiusa.
Grazie all’espansione di questi piccoli
esercizi commerciali, i migranti bangladesi
hanno ottenuto quello che nessun’altra comunità di migranti in Italia è riuscita a ottenere: sono riusciti a occupare una nicchia di
A
mercato nell’economia italiana, attirando
clienti bangladesi e italiani e ofrendo tutto
l’anno orari di apertura prolungati. Hanno
trovato il modo di avere successo in un paese straniero, imparando una lingua molto
lontana dal bengali, che afonda le radici
nel sanscrito. Non solo: riescono anche a
mantenere le famiglie in Bangladesh mandando soldi a casa ogni mese.
Nella maggior parte dei casi il viaggio
che devono fare per arrivare in Italia è rischioso, come per tutti i migranti non regolari. Il tipo di vita che li aspetta è lontana
dall’immagine idilliaca dell’Europa che
viene raccontata in Bangladesh. Nel loro
viaggio incontrano la povertà e la soferenza. “Sono emigrato perché in Bangladesh
non c’è lavoro”, spiega Amit, commesso in
un negozio a Roma sud. “Mio cugino mi ha
detto delle possibilità di lavorare in Italia e
non ci ho pensato due volte a partire”.
L’esodo dal Bangladesh è cominciato
nel 1971, quando il paese è diventato indipendente dal Pakistan. Negli anni settanta
l’aumento del prezzo del petrolio ha favorito l’industrializzazione in Medio Oriente,
che a sua volta ha incentivato un nuovo si-
stema migratorio: la manodopera veniva
presa soprattutto in Nordafrica e nell’Asia
meridionale e sudorientale. Oggi come allora sono la povertà e l’alto tasso di disoccupazione a spingere molti bangladesi a migrare: “Dai maschi tutti si aspettano che
migrino nelle grandi città o all’estero per
migliorare le condizioni economiche della
famiglia”, spiegava nel 2014 Mizanur Rahman, ricercatore esperto di studi sulle migrazioni della National university of Singapore intervistato da Al Jazeera.
Con il passare degli anni i bangladesi
hanno cominciato a emigrare in Europa,
non essendo più disposti a tollerare le diicili condizioni lavorative in Medio Oriente.
Nonostante l’assenza
di legami storici
o culturali tra
Bangladesh e Italia,
la comunità
bangladese continua
a crescere
Politiche migratorie
Alla ine del 1989 a Roma vivevano circa
trecento bangladesi. Nel giro di pochi mesi
questo gruppo è diventato venti volte più
numeroso. Da allora la comunità è cresciuta ulteriormente, anche in seguito alla migrazione irregolare. Secondo l’Istat, nel
2009 in Italia vivevano 11mila bangladesi
con documenti non veriicati. Stime più aggiornate suggeriscono che oggi potrebbero
essere settantamila. “Ho attraversato India, Thailandia, Russia e Spagna. In ogni
aeroporto ho pagato circa 150 euro a funzionari che mi hanno lasciato passare. Mi avevano detto che negli aeroporti di alcuni paesi questa forma di corruzione avrebbe
funzionato benissimo”, dice Amit.
Dopo il Regno Unito, l’Italia è il paese
che ospita la più grande comunità bangladese in Europa, circa 122mila persone. Nonostante l’assenza di legami storici o culturali tra Bangladesh e Italia, la comunità
bangladese continua a crescere. Il fenomeno potrebbe rientrare nel più ampio processo di globalizzazione che spinge alcuni
gruppi etnici a stabilirsi in altre parti del
mondo in cerca di maggiori opportunità
economiche.
Fino agli anni ottanta l’Italia non ha attuato alcuna politica eicace sull’immigrazione e la regolamentazione dell’ingresso
di stranieri nel paese è cominciata solo nel
1986. Nel 1990 la legge Martelli (legge 28
febbraio 1990, n. 39) ha oferto ai migranti
l’opportunità di mettersi in regola. Grazie a
questa legge 217mila migranti sono emersi
dalla condizione di irregolarità e hanno
avuto la possibilità di entrare nel mercato
del lavoro italiano. Questo provvedimento
ha incentivato la migrazione verso l’Italia e
ha favorito i ricongiungimenti familiari.
I bangladesi di solito partecipano
all’economia italiana in tre modi: come dipendenti, come venditori ambulanti o come imprenditori. A Roma lavorano soprattutto nel settore del commercio o nell’edilizia. Spesso fanno i commessi ai banchi del
mercato o distribuiscono giornali. I venditori ambulanti, ormai frequenti per le strade di Roma, vendono accendini, fazzoletti
Lavoro
La morte dell’operaio egiziano
u Il quotidiano egiziano Daily News Egypt
pubblica un articolo sulla morte di Abd Elsalam
Ahmed Eldanf, 53 anni, operaio egiziano della
Gls (General logistics systems) di Piacenza che
nella notte tra il 14 e il 15 settembre è stato investito da un tir dell’azienda mentre stava facendo un picchetto davanti alla Gls. Secondo il
quotidiano, durante la protesta i lavoratori avevano deciso di impedire ai camion dell’azienda
di lasciare lo stabilimento ino a quando non si
fosse trovato un accordo tra i vertici della Gls e i
sindacati sulla sorte di alcuni lavoratori. “In risposta alla decisione dei lavoratori, uno dei dirigenti dell’azienda ha ordinato all’autista di un
camion di fare uscire il tir dallo stabilimento
per sidare i lavoratori. Poi il camion ha investito involontariamente l’operaio”, ha dichiarato
al quotidiano Mahmoud Awad, capo della diaspora egiziana. In una conferenza stampa la
procura di Piacenza ha dato una versione diversa, dopo aver sentito gli agenti di polizia presenti sul posto e visto le immagini delle telecamere a circuito chiuso, afermando che non
c’era “nessun blocco in atto” e che si è trattato
di un incidente. L’autista del tir è accusato di
omicidio stradale. Il 17 settembre un corteo organizzato dall’Unione sindacale di base (Usb)
ha percorso le strade di Piacenza per protestare
contro la morte dell’operaio.
di carta, deodoranti per automobili, iori,
giocattoli o bigiotteria. Gli imprenditori
aprono soprattutto minimarket o internet
cafè. “Ho cominciato a lavorare in Italia
come venditore ambulante, vendendo giocattoli. Adesso lavoro nel negozio di mio
cugino, lui gestisce l’attività”, spiega Amit.
Il sogno di Amit è risparmiare abbastanza per poter tornare a casa. Con i soldi guadagnati a Roma spera di avere inalmente
una vita agiata in Bangladesh. “Una vita
migliore di quella che facevo prima di venire qui”, precisa Amit.
Tuttavia i soldi che guadagna Amit solo
in parte vanno a inire nei suoi risparmi. Come molti altri suoi concittadini, ne manda
un po’ in Bangladesh: “Mando ogni mese
soldi a casa, per i miei genitori e per la famiglia di mia moglie”, spiega.
Struttura gerarchica
Il governo del Bangladesh, consapevole
del valore delle rimesse inviate dai suoi cittadini che vivono all’estero, incoraggia i
lavoratori fuori dal paese a usare i canali
uiciali per i trasferimenti. Per questo ha
istituito il Wage earner’s scheme (Wes), un
programma che ofre tassi di cambio favorevoli ai bangladesi che vivono all’estero.
Secondo i dati della banca centrale del
Bangladesh, tra il 2000 e il 2010 i bangladesi hanno mandato quasi un miliardo di
dollari dall’Italia.
La comunità bangladese a Roma è molto unita. Tuttavia negli ultimi anni ha assunto una struttura gerarchica ed è diventato più diicile per i nuovi arrivati stabilirsi nella capitale e ottenere un lavoro al di
fuori dell’economia sommersa che comporta per lo più la vendita per strada. “La
nostra comunità è cresciuta molto ed è diventata sempre più competitiva. Alcuni
bangladesi sono invidiosi di quelli che hanno avviato delle attività e sono riusciti ad
avere successo, come nel caso di mio cugino”, dice Amit.
Amit e sua moglie non immaginano un
futuro a Roma, anche se con il negozio di
alimentari riescono a mantenere le rispettive famiglie. “Qui l’istruzione è troppo costosa e non vogliamo che i nostri igli studino in italiano”. Se non riuscirà a tornare in
Bangladesh con tutta la famiglia, Amit ci
manderà i igli una volta che avranno compiuto cinque anni, così potranno andare a
scuola in Bangladesh e studiare in inglese.
Lui e sua moglie non hanno dubbi: “Torneremo a casa” . u gim
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
37
Le opinioni
Gli aiuti americani a Israele
inanziano l’occupazione
Gideon Levy
arack Obama è un cattivo presidente per
Israele. Se gli aiuti militari che ha approvato per il prossimo decennio sono i più
generosi di sempre, è il peggior presidente statunitense di sempre per Israele. L’ultima cosa di cui questo paese ha
bisogno sono altre armi, che provocheranno altra violenza. Ma Obama è il presidente di un paese dove in
ogni casa c’è un piccolo salvadanaio di latta in cui ogni
cittadino deve lasciare qualche moneta per aiutare i
poveri israeliani indifesi.
Trecento dollari per ogni contribuente statunitense per i prossimi dieci anni. Non per afrontare i gravi
problemi sociali degli Stati Uniti. Non per aiutare i paesi davvero in diicoltà (provate a immaginare cosa si
potrebbe fare in Africa con 38 miliardi di dollari). Ma
per fornire armi a un esercito che è tra i più equipaggiati al mondo, e il cui principale nemico sono delle
ragazze armate di forbici. Per inanziare un esercito
che al momento non deve fronteggiare nessun vero
esercito. L’esercito di un paese la cui sfacciataggine ha
B
Trentotto miliardi di dollari per i
prossimi dieci anni. Non per
afrontare i problemi sociali
degli Stati Uniti. Non per aiutare i
paesi in diicoltà. Ma per armare
un esercito il cui nemico sono
delle ragazze armate di forbici
pochi uguali al mondo, e che sida regolarmente gli
Stati Uniti e il resto della comunità internazionale.
Quel che è peggio, questo paese riceverà un altro
omaggio gratuito senza dover dare niente in cambio.
Il denaro servirà unicamente a comprare altre armi,
che scateneranno ulteriori atti d’aggressione. Questo
è l’accordo e non c’è stato nessun vero dibattito in proposito, né in Israele né negli Stati Uniti.
In America sono in pochi a chiedersi in che modo un
simile esborso di denaro pubblico possa favorire gli interessi nazionali. Ma lasciamo gli Stati Uniti agli statunitensi. In Israele l’unica domanda è se gli americani
possano essere ulteriormente spremuti. Per fortuna gli
aiuti siano limitati a 38 miliardi di dollari. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe detto ai
vertici delle forze armate che ora possono “sbizzarrir-
38
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
si”. Altri fondi gli permetterebbero di sbizzarrirsi ancora di più. Parte del denaro sarà usata per i sistemi di difesa, ma un’altra parte servirà per inanziare l’occupazione e per pagare violente azioni dimostrative nella
Striscia di Gaza e in Libano, oltre a inutili e megalomani
esercitazioni contro pericoli immaginari.
“La portaerei statunitense nel Mediterraneo”,
com’è stato deinito Israele, continuerà a sganciare
bombe e a sparare proiettili, a volte senza alcuna limitazione, in nome dei contribuenti statunitensi. È questo che vuole Obama? Perché questo è il risultato delle
sue scelte. Il sostegno statunitense a Israele, che non
ha uguali al mondo, fa apparire ancora più ridicoli gli
ammonimenti lanciati da Washington, dato che Israele continua a sidarli. Le proteste statunitensi, lo sdegno del dipartimento di stato, la rabbia della Casa
Bianca: sono tutte sciocchezze. Gli insediamenti illegali, le violazioni del diritto internazionale, i crimini, i
raid e le guerre che gli Stati Uniti denunciano con tanta solerzia, nascono tutti da questa sua “portaerei”.
Gli Stati Uniti sono direttamente responsabili di ogni
casa costruita negli insediamenti illegali, di ogni donna o bambino uccisi nella Striscia di Gaza. Obama è il
padrino dell’occupazione.
Gli israeliani non dovrebbero essere grati agli Stati
Uniti per la loro generosità, perché questa sta distruggendo Israele. Cosa se ne fa Israele di altre armi? Perché ha bisogno di fare la guerra ai poveracci della Striscia di Gaza e ai giovani della Cisgiordania? Un capo di
stato israeliano coraggioso e onesto avrebbe detto “no
grazie” molto tempo fa. Non abbiamo bisogno di questo denaro. L’esercito israeliano è già troppo grande
per i suoi bisogni. Ma il rituale continua: gli Stati Uniti
pagano, Israele occupa e bombarda, come se non ci
fosse nessun’altra cosa da fare.
È una vittoria di Pirro per Israele. Ed è una vittoria
personale per Netanyahu: tutte le accuse di aver rovinato il rapporto con gli Stati Uniti sono totalmente infondate. Le relazioni non sono mai state migliori: basta guardare le cifre. Non è cambiato niente nel rapporto tra i due paesi, ed è una vergogna. Con amici del
genere non c’è bisogno di nemici. Israele può continuare ad agire indisturbato, l’assegno è in bianco e a
pagarlo saranno gli Stati Uniti, senza alcuna condizione, per almeno altri dieci anni. Può esserci una notizia
peggiore di questa per Israele? u f
GIdeon Levy
è un giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Ha’aretz.
Le opinioni
Un piano migliore
per il Giappone
Joseph Stiglitz
ono passati venticinque anni da quando la l’inflazione, non sarebbe un motivo sufficiente per
bolla speculativa del Giappone si è sgon- scartarla ma solo per procedere con cautela.
Il secondo modo con cui il Giappone potrebbe eviiata: al “decennio perduto” ne è seguito
un altro. Parte delle critiche rivolte alla tare un’impennata dei tassi d’interesse dipende dal
politica economica giapponese sono im- fatto che in realtà lo stato è in gran parte indebitato con
motivate. La crescita non è di per sé un se stesso. A Wall street molti non capiscono che l’importante è il debito netto, ovvero quello
obiettivo: dovremmo interessarci di più
allo standard di vita. In Giappone la po- Il Giappone è ancora che lo stato deve al resto della società.
Se lo stato rimborsasse il denaro che depolazione è diminuita più che in altri la terza economia
ve a se stesso nessuno noterebbe la difpaesi avanzati e la produttività è cresciu- mondiale. Una
ferenza, ma chi pensa solo al rapporto
ta. La crescita della produzione per per- politica economica
tra debito e pil nominale si sentirebbe
sona in età da lavoro, soprattuto dal mirata ad alzare
più tranquillo.
2008, è stata più elevata che negli Stati lo standard di vita
Se dopo tutto questo la domanda fosUniti e molto più alta che in Europa.
darebbe impulso
se ancora insuiciente, il governo poEppure i giapponesi credono che si
alla domanda
trebbe ridurre le tasse ai consumatori,
possa fare di meglio. Il Giappone ha proe alla crescita
aumentare i crediti d’imposta sull’inveblemi sia con l’oferta sia con la domanstimento, aumentare gli aiuti alle famida, nell’economia reale come nella inan- economica globale
glie a basso reddito e investire ancora di
za. Per afrontarli ha bisogno di un programma economico più eicace rispetto a quello adot- più in tecnologia e istruzione, inanziandosi con emistato negli ultimi anni, che non è riuscito a raggiungere sioni di denaro. Ma il Giappone non ha solo un problel’inlazione programmata, ripristinare la iducia dei ma di domanda: i dati sulla produzione mostrano anche un problema di oferta, soprattutto nel settore dei
consumatori o stimolare la crescita.
Tanto per cominciare, una carbon tax accompagna- servizi, che non dimostra la stessa ingegnosità dell’inta da una “inanza verde” potrebbe attirare enormi dustria manifatturiera giapponese. Una nicchia che il
investimenti per rinnovare l’economia. Un simile im- Giappone potrebbe occupare è lo sviluppo di tecnolopulso bilancerebbe gli efetti recessivi dovuti alla pres- gie per i servizi, come gli strumenti diagnostici per la
sione iscale e alla diminuzione del valore delle attività medicina.
Il primo ministro Shinzō Abe ha adottato un proinquinanti. Il denaro raccolto con la carbon tax potrebbe essere usato per ridurre il debito pubblico oppure gramma molto diverso, sostenendo il Partenariato
per inanziare investimenti nel settore tecnologico o transpaciico (Tpp) con gli Stati Uniti e altri dieci paesi
nell’istruzione, anche con misure studiate per miglio- della regione. Secondo Abe il Tpp favorirebbe le tanto
rare la produttività del settore dei servizi. Questi inve- attese riforme nel settore agricolo (anche se dall’altra
stimenti avrebbero l’efetto di stimolare l’economia e parte del Paciico nessuno pensa che l’accordo aiuterebbe gli Stati Uniti ad abbandonare le loro politiche
permetterle inalmente di uscire dalla delazione.
Molti osservatori esterni sono preoccupati per il agricole distorsive). In realtà simili riforme avrebbero
debito giapponese, che è facilmente gestibile con i efetti limitati sul pil, per il semplice motivo che l’agribassi tassi d’interesse attuali, ma che non lo sarebbe se coltura è responsabile di una minima parte della proi tassi dovessero risalire a livelli più normali. Anche se duzione nazionale giapponese. D’altra parte, Abe fa
è diicile che questo possa succedere presto, per tute- bene a proporre misure che puntano a integrare maglarsi il Giappone potrebbe adottare due tipi di misure. giormente le donne nella forza lavoro e possono auPer prima cosa, potrebbe scambiare parte del suo de- mentare la produttività e stimolare la crescita.
Anche dopo un quarto di secolo di stagnazione, il
bito con delle perpetuity, obbligazioni che non vengono mai ripagate e fruttano un piccolo rendimento an- Giappone rimane la terza economia mondiale. Una
nuale. Secondo alcuni una misura simile sarebbe inla- politica economica mirata ad alzare il tenore di vita
zionistica, ma in un’economia alla rovescia come darebbe impulso alla domanda e alla crescita econoquella giapponese l’inlazione è esattamente quello di mica globale. Inoltre, allo stesso modo in cui ha condiviso i suoi prodotti e le sue tecnologie innovative con il
cui c’è bisogno.
In alternativa, il governo potrebbe trasformare il resto del mondo, il Giappone potrebbe esportare polidebito in denaro liquido, che non genera tassi d’inte- tiche economiche di successo, e le stesse misure poresse: la temuta monetizzazione del debito pubblico. trebbero contribuire a migliorare lo standard di vita
Anche se questa misura comporterebbe più rischi per anche in altri paesi sviluppati. u f
S
40
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
JOSEPH STIGLITZ
insegna economia
alla Columbia
university. È stato
capo economista
della Banca mondiale
e consulente
economico del
governo statunitense.
Nel 2001 ha vinto il
premio Nobel per
l’economia.
In copertina
Le fatiche di H
Rebecca Traister, New York Magazine, Stati Uniti
n uno spogliatoio dell’università
di Bridgeport, in Connecticut, le
persone fanno la ila per farsi fotografare con Hillary Clinton prima
che pronunci il suo discorso nella
palestra. Ci sono tanti giovani, e la
candidata chiacchiera tranquillamente con
loro. Ma a un certo punto rimane solo una
famiglia, e l’atmosfera cambia completamente. Francine e David Wheeler sono lì
con i igli Nate, di 13 anni, e Matty, che ha 17
mesi e gattona sul pavimento. Hanno portato un fascio di fotograie dell’altro iglio,
Benjamin, che nel 2012, a sei anni, è morto
nella sparatoria alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown. David sventola le foto di Benjamin davanti a Clinton con l’insistenza di un padre disperato che vuole evitare che altri genitori debbano mostrare ai
politici le foto dei loro igli uccisi.
Clinton si china verso l’uomo come se
volesse discutere con lui un piano d’azione.
Parla con un tono di voce basso e serio. “Per
batterli dobbiamo essere organizzati e concentrati come lo sono loro”, dice. “Saremo
spietati e determinati. Loro sono bravissimi
a spaventare la gente dicendogli ‘vi toglieranno le armi’. Dobbiamo avere lo stesso
fervore. Il fervore è più importante dei numeri”. Clinton spiega a Wheeler la diferenza tra le leggi statali e quelle federali, e accenna alla sentenza della corte suprema
che nel 2008 ha esteso il diritto al possesso
di armi deinendola “una decisione terribile”. Sembra sul punto di esplodere dal desiderio di dire a quella famiglia che troverà un
modo per mettere ine alla violenza causata
dalle armi, anche se è chiaro che il vero problema di quei genitori – la perdita del loro
secondo iglio – è irrisolvibile. Quando Mat-
I
42
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
ty comincia a toccarsi il pannolino, Clinton
si mette a ridere, dicendo che il bambino ha
bisogno di essere cambiato oppure crede di
essere un giocatore di baseball. È afettuosa
ed empatica ma senza essere melensa. Per
lei il modo migliore di mostrare rispetto per
le soferenze degli altri è trovare qualcosa
da fare, oltre che da dire. “Farò tutto quello
che posso”, dice ai Wheeler. “Tutto quello
che posso”.
Quando la famiglia esce dalla stanza,
Clinton e i suoi collaboratori si avviano silenziosamente lungo il corridoio che conduce alla palestra. Mentre camminano,
Hillary porge a Huma Abedin, la sua assistente, una foto di Benjamin Wheeler. Non
dice una parola ma issa Abedin negli occhi,
per essere sicura che guardi il viso del bambino prima di mettere via la foto. Il gruppo
si ferma all’ingresso della palestra, dove ci
sono 1.200 persone entusiaste che invocano Clinton. Lei si gira inaspettatamente
verso di me, e io borbotto: “Non so come
faccia”. “Sì”, risponde guardandomi dritto
negli occhi. “È veramente difficile”. Poi
scarta una pastiglia per la gola e se la mette
in bocca. Si stringe le mani e le guarda per
qualche secondo. Alza la testa e comincia
ad avanzare tra le persone del pubblico, che
sollevano i cellulari e sventolano cartelli
con la scritta “I’m with her”, io sto con lei.
Alza la mano e saluta la folla sorridendo:
“Buonasera Bridgeport!”.
Arrivati a questo punto, l’idea che esista
una versione di Hillary Clinton che non conosciamo è poco plausibile. Spesso abbiamo la sensazione di sapere anche troppo su
di lei. È in circolazione da così tanto tempo,
la sua storia, fatta di intrighi politici e drammi personali, è stata raccontata così tante
ASHLey GILBerTSON (VII/LuzPHOTO)
La candidata democratica alla presidenza degli
Stati uniti è competente e preparata, ma molti elettori
la considerano falsa e poco trasparente. una
diidenza nata anche dal fatto che Clinton negli anni
ha costruito un muro tra se stessa e il mondo esterno
volte, che sembra quasi il personaggio di un
romanzo. Per i suoi avversari è Lady Macbeth, per i suoi sostenitori è Giovanna d’Arco. Da giovane, quando la odiavo, spesso la
paragonavo a Darth Vader. Più che una
donna la consideravo una macchina in cui il
lato oscuro prevaleva su quello umano. Og-
Hillary Clinton
Hillary Clinton a New York, giugno 2015
gi la vedo come Leia Organa: non più una
principessa ribelle ma una donna che ormai
ha fatto malvolentieri pace con il suo scapestrato compagno e la sua controversa pettinatura ed è tutta presa dalla campagna contro i fascisti del Primo ordine.
Per Clinton, che non riesce a farsi vede-
re semplicemente come un essere umano,
tutte le allusioni epiche sono un ostacolo. È
a disagio con la stampa e gofa sul podio.
Per capire chi è veramente bisogna guardarla con la coda dell’occhio, in un momento in cui non sta cercando di essere, o di
vendere, “Hillary Clinton”. E durante una
campagna presidenziale questi momenti
sono rari. Se ne è visto uno durante l’undicesima ora dell’udienza davanti alla commissione sugli attentati di Bengasi del 2012,
quando Clinton è scoppiata a ridere in risposta a una domanda stupida. Le persone
che le sono più vicine sostengono di vedere
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
43
In copertina
ma di Clinton non sono solo i maschi bianchi. E neanche il fatto che non sappiamo
quali siano i suoi hobby.
La netta separazione tra la vita pubblica
e quella privata dipende molto dal fatto che
lei stessa ha alzato un muro tra le due. Per
fare un esempio: alla base dell’interminabile vicenda dell’uso di un account di posta
privato ai tempi in cui era segretaria di stato
c’è il suo patologico desiderio di privacy.
Per tutta la sua carriera Clinton ha dovuto
imparare a essere riservata. E ora come si fa
a convincerla che per avere successo dovrebbe semplicemente mettere tutte le carte in tavola e sperare di essere trattata in
modo giusto? Non è detto che succederebbe. Ci sono molti motivi – interni, esterni,
storici – per cui Clinton si comporta in un
questa versione di lei ogni giorno, e di trovarla simpatica. Dicono che nei rapporti
diretti è diversa, divertente, afettuosa e intelligente. Per chi la conosce è diicile capire perché il resto dell’America non la veda
nello stesso modo.
Diagnosi sessista
44
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
“Amo i romanzi gialli
in cui la protagonista
è una donna. Sono
rilassanti”
certo modo con le persone e per cui suscita
certe reazioni. Ma così perdiamo qualcosa
di lei. La convinzione di trovarmi davanti a
una persona competente, affascinante e
capace di suscitare entusiasmo spariva appena uscivo dalla sua cerchia ristretta: a
quel punto sembrava che la sua candidatura
fosse un fallimento, che il messaggio fosse
confuso e che il numero delle persone a cui
non piaceva fosse spaventosamente alto.
Stando vicino a lei si ha la sensazione che la
campagna elettorale sia in mani sicure, appena ci si allontana si comincia a temere per
il futuro del paese.
Dopo il comizio di Bridgeport, Clinton
ha deciso di tornare nello spogliatoio dove
aveva incontrato la famiglia Wheeler. In
mezzo alla stanza c’era un enorme divano
Da sapere
Verso l’8 novembre
Possibilità di vittoria di Clinton e Trump alle
elezioni presidenziali. La previsione si basa sui
sondaggi realizzati a livello nazionale e statale, %
100
Clinton
80
FoNTE: THE NEW YoRk TIMES
Ho passato alcuni giorni con Clinton nell’ultimo periodo delle primarie democratiche,
e ho cominciato a capire perché la sua candidatura sembra così confusa e sconnessa.
Non ho avuto la sensazione di essere davanti a una persona incapace. L’ho vista fare
la politica delle piccole cose – stringere mani, chiacchierare del più e del meno, ricordare i dettagli di questioni locali – come
un’atleta olimpionica. Non ho visto un robot, ma una donna capace di scambi diretti,
attenti, spesso commoventi: con i Wheeler,
con gli operatori sanitari dell’assistenza domiciliare, con i rappresentanti sindacali e
con i giovani genitori. Ho visto un breve
lampo di irritazione nei suoi occhi davanti a
un sottopancia sulla rete Msnbc che diceva
“Bernie Sanders può vincere”, e uno sguardo di materno rimprovero mentre sgridava
Nick Merrill, il suo addetto stampa, per non
aver gettato via la sua bottiglietta d’acqua
vuota. L’ho vista ballare con una bambina
di due anni di nome Hillary. Dal pulpito di
due chiese nere di Filadelfia l’ho sentita
proclamare, con gioia sincera, che “questo
è il giorno che ha fatto il Signore”, e ho visto
i volontari della sua campagna elettorale
nella sede di Brooklyn saltellare dalla felicità all’idea che avrebbero stretto la mano
alla candidata.
Ma quello che vede il resto degli Stati
Uniti è molto diverso. I sondaggi dicono
che Clinton, come il candidato repubblicano Donald Trump, è impopolare. In parte
questo è dovuto al fatto che sta afrontando
una campagna elettorale particolarmente
dura. Ma Clinton ha sempre avuto un problema ad apparire “simpatica”, fin da
quando era la moglie del presidente, forse
anche da prima.
Tempo fa David Brooks, opinionista del
New York Times, ha scritto che Clinton non
piace alla gente perché è una stacanovista
che “si presenta solo come un curriculum”,
non mostra niente della sua vita interiore,
dei suoi interessi e dei suoi hobby. C’è un
bel po’ di sessismo nella diagnosi di Brooks:
la donna ambiziosa che lavora sodo è sempre stata disprezzata perché non è abbastanza umana. Inoltre, secondo un sondaggio del Washington Post, gli elettori democratici che apprezzano meno la candidata
sono i giovani maschi bianchi. Ma il proble-
74
60
40
26
20
Trump
0
Giu
Lug
Ago
20 settembre 2016
grigio. Non aveva un buon odore, ma era
comodo. E Clinton, che prima di prendere
l’aereo per Bridgeport aveva cominciato la
giornata nella sua casa di Chappaqua, nello
stato di New York, e poi aveva parlato nelle
chiese di Filadelia, si è distesa per riposare
un po’. Nelle rare interviste che concede, di
solito ripete sempre le stesse cose, ma quel
giorno sembrava un po’ più sciolta, forse
perché non viveva un momento così rilassante da mesi. Era il ine settimana tra le
primarie di New York e quelle in Pennsylvania, Connecticut, Maryland, Delaware e
Rhode Island (ne avrebbe vinte quattro su
cinque). Le era piaciuto fare campagna elettorale a New York, uno stato che conosce
bene e dove è conosciuta. Ed era rimasta
abbastanza vicina a Chappaqua da poter
tornare a casa quasi tutte le sere. “Il bello
della costa orientale”, mi ha detto Matt
Paul, che fa parte della squadra della comunicazione di Clinton, “è che può dormire
nel suo letto”.
Quando è nel raggio di un paio d’ore di
macchina da casa, Clinton cerca di passarci
la notte, spesso con il marito Bill. A volte
tornano da un evento insieme, a volte separatamente, ma la routine è sempre la stessa.
“Torniamo a casa e ci sediamo in cucina a
parlare. Magari mangiamo o beviamo qualcosa di poco sano”, mi ha raccontato Clinton. Le cose poco sane di solito sono birra e
vino. “Guardiamo la televisione, una delle
centinaia di serie tv che abbiamo registrato
e inalmente riusciamo a vedere”. Le loro
preferite sono House of cards, Madam secretary e The good wife (in pratica quelle che
parlano di loro), ma anche Downtown Abbey
e Ncis. “Poi andiamo a letto e leggiamo un
po’ prima di dormire”.
La generazione che ha marciato
I cinici convinti che Bill e Hillary Clinton
siano uniti solo da un patto faustiano non
crederanno a queste scenette domestiche.
Eppure quelli che li conoscono confermano
che il loro rapporto non solo è sincero, ma
anche fondamentale per entrambi. “Pensandoci bene”, mi ha detto una persona
dello staf di Clinton, “due come loro hanno
ben poche persone con cui parlare, parlare
veramente, che si tratti di politica o delle
loro emozioni”. Un collaboratore di Bill
Clinton mi ha detto che se passa tanto tempo lontano da Hillary, l’ex presidente diventa scontroso e intrattabile, soprattutto ora
che sta invecchiando.
Hillary Clinton ha 68 anni e di persona
sembra una nonna. Quando mi racconta
quello che legge mi ricorda mia madre e
tante altre donne che conosco appassionate
DARCY PADILLA (Vu/KARMA PRESS PHoto)
Bill Clinton durante la convention democratica, 28 luglio 2016
di romanzi gialli. Cita i libri di Jaqueline
Winspear che hanno come protagonista
Maisie Dobbs e la serie di Donna Leon ambientata a Venezia. “Ho letto così tanto nel
corso della mia vita che ora ho voglia di
qualcosa di più facile”, mi ha raccontato.
“Mi piacciono molte scrittrici, amo i romanzi sulle donne, i gialli in cui la protagonista è una donna. Sono rilassanti”.
Naturalmente Clinton non è la nonnina
delle storie per bambini di Beatrix Potter.
Le nonne di oggi appartengono a quella
generazione di donne che sono state le prime a laurearsi in massa e a marciare, prima
in piazza e poi negli uici. Nel 1947, l’anno
di nascita di Clinton, non c’erano donne al
senato. Lei ricorda che da bambina il venerdì tornava a casa di corsa da scuola per
leggere Life, dove scoprì la storia di Margaret Chase Smith, la prima donna eletta in
entrambe le camere del congresso, e rimase “sorpresa che una donna avesse fatto
una cosa del genere”.
Quando uscì dalla facoltà di giurisprudenza di Yale molte persone intorno a lei,
compreso il suo idanzato Bill, pensavano
che potesse, e dovesse, tentare la carriera
politica. Qualche anno prima, quando frequentava il college femminile di Wellesley,
aveva tenuto un discorso che era stato citato proprio da Life. Poi aveva lavorato come
volontaria nel centro di assistenza legale di
New Haven e per la sottocommissione di
Walter Mondale che indagava sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati, aveva passato un anno ad accompagnare i medici nelle loro visite allo Yale-New Haven
hospital nell’ambito di una ricerca sugli
abusi sui minori, e aveva cominciato a collaborare con Marian Wright Edelman, attivista per i diritti dei minori. Nel 1973 pubblicò un articolo molto apprezzato sui diritti
dei bambini, e nel 1974 lavorò per la commissione che stava mettendo sotto accusa
Richard Nixon. Erano pochi i giovani, uomini o donne, che potevano vantare un curriculum simile.
Come è noto, Bill Clinton dovette proporsi varie volte prima che lei accettasse di
sposarlo e trasferirsi in Arkansas. Negli ultimi anni lui ha cominciato a raccontare una
versione diversa della storia: la pregò di non
sposarlo e di presentarsi alle elezioni a New
York o a Chicago, e lei rispose che era
un’idea ridicola: era troppo radicale, nessuno l’avrebbe votata. “Non credo che me
l’abbia detto quando chiese di sposarmi”,
mi ha risposto con un sorriso quando ho accennato a questa versione della storia. “Ma
ripeteva spesso che dovevo entrare in politica”. E non era l’unico. L’insistenza dei suoi
amici nasceva, secondo lei, dal fatto che
“ero molto interessata alla politica e non
c’erano molte ragazze come me. Questo
colpiva l’immaginazione della gente”. Ma a
quei tempi Clinton si considerava semplicemente “un’avvocata che usava la sua preparazione giuridica per indagare, ricercare,
denunciare”. In altre parole pensava, come
avevano fatto generazioni di altre donne
ambiziose, che dovesse rendersi utile e non
diventare una protagonista.
Anche se lentamente, per le donne si
stavano aprendo spazi in politica. Margaret
Chase Smith si era presentata alle presidenziali nel 1964, Shirley Chisholm nel 1972.
Nel 1984 il candidato democratico Walter
Mondale scelse Geraldine Ferraro come
candidata alla vicepresidenza. “Fu un grande momento per me”, mi ha detto Clinton.
“Ero presente alla convention perché Bill
era governatore. Fu entusiasmante”. Quando la campagna elettorale era passata da
Little Rock, in Arkansas, Clinton aveva portato la iglia Chelsea a conoscere Ferrero.
Ma non prese sul serio la possibilità di
entrare in politica ino al 1998, quando il
partito democratico di New York le propose
di presentarsi alle elezioni del senato per
sostituire Daniel Patrick Moynihan. Era un
momento diicile. Moynihan aveva annunciato il suo ritiro solo un mese prima del
voto del congresso sull’impeachment di Bill
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
45
In copertina
DARCY PADILLA (VU/KARMA PRESS PHoTo)
Sostenitrici di Hillary Clinton a New York, il 18 aprile 2016
Clinton. “Uscivamo da due mandati alla
Casa Bianca”, mi ha detto Hillary Clinton.
“Non ero sicura di volermi mettere in quella
situazione”. Le piace raccontare la storia di
come alla ine si è convinta. A un raduno di
atlete intitolato “Dare to compete”, il coraggio di competere, la giovane capitana di
una squadra di basket, Soia Totti, le disse:
“Signora Clinton, abbia il coraggio di competere”. Quell’esortazione la fece rilettere:
“Mi chiesi: non è che ho solo paura?”.
Aveva buoni motivi per avere paura.
Nel 1999, anche se non era mai stata impegnata in prima persona in politica, Clinton
aveva ormai imparato cosa signiicava la
competizione per una donna: nel 1980,
quando Bill Clinton perse le elezioni per il
secondo mandato da governatore dell’Arkansas, avevano dato la colpa della sconitta all’eccessiva indipendenza di sua moglie, che poco dopo smise di farsi chiamare
con il suo cognome (Rodham) e prese quello del marito; per farsi perdonare le sue
frasi sul fatto che la carriera viene prima
della vita domestica dovette cominciare a
fare biscotti; tutto quello che succedeva in
famiglia, a cominciare dalle distrazioni del
marito, veniva spiegato con la sua presunta
spietatezza.
Quando le ho chiesto perché le donne
ambiziose sono considerate pericolose,
46
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Clinton ha risposto: “Per paura che l’ambizione prevalga su tutto il resto: i rapporti
umani, il matrimonio, i igli, la famiglia, la
casa e tutti gli altri aspetti della vita che sono importanti per me e per la maggior parte
delle donne che conosco”. Poi ha tirato in
ballo uno stereotipo molto difuso: “Siamo
abituati a pensare che l’ambizione delle
donne si manifesti in modi che non approviamo, o che troviamo sgradevoli”. Ha accennato anche a qualcosa di più brutto e di
cui è più diicile parlare. “Penso sia anche
una questione di competizione. Se vai avanti tu, non ci sarà spazio per alcuni di noi, e
questo non è giusto”. Mi ha raccontato la
storia di quando lei e una compagna di college si presentarono all’esame di ammissione alla scuola di legge di Harvard. “Eravamo in quell’enorme aula cupa. C’erano
centinaia di candidati, ma poche ragazze.
Mentre io e la mia amica aspettavamo che
cominciasse la prova, i ragazzi intorno a noi
ci dissero: ‘Cosa pensate di fare? Come osate toglierci un posto?’. Non la inivano più”.
Clinton e la sua amica restarono stupefatte.
Nel college femminile di Wellesley avevano
passato quattro anni al sicuro da queste dinamiche di genere. “Mi ricordo che un ragazzo disse: ‘Se tu sarai ammessa alla facoltà di legge e io no, dovrò andare in Vietnam,
e se mi ammazzeranno sarà colpa tua’”.
“Quegli attacchi viscerali”, ha continuato Clinton, “pieni di paura, ansia e insicurezza” condizionano il modo in cui gli Stati
Uniti vedono le donne ambiziose. Clinton
pensa che oggi il sessismo sia meno violento che nel 2008, ma continua a incontrare
persone che le dicono: “L’ammiro veramente, mi piace molto, ma non so se me la
sento di votare per una donna”. Poi ha aggiunto: “Spetta a voi giornalisti capire e interpretare queste cose. Io cerco di tirare
avanti, di sopportare e sopravvivere”. Si è
messa a ridere, come se avesse detto una
battuta spiritosa.
Proposte noiose
Su YouTube c’è un video del 2007 che i collaboratori di Clinton guardano quando vogliono farsi una risata. La candidata sta
pronunciando un discorso. Dietro di lei ci
sono delle bandiere degli Stati Uniti, che a
un certo punto cadono. Mentre aiuta a raccoglierle, Clinton non può fare a meno di
dare un consiglio agli organizzatori: “Penso
che queste basi non siano abbastanza pesanti, vedete di risolvere il problema”.
Clinton è una specialista nell’individuare problemi e suggerire soluzioni. Sembra
che non ci sia crisi, nemmeno la più insigniicante, che sfugga alla sua attenzione, nulcontinua a pagina 48 »
L’analisi
C’è un problema
con i giovani
Philip Elliott, Time, Stati Uniti
Per vincere, Hillary Clinton
dovrà conquistare gli
elettori che inora l’hanno
criticata di più
am Miller, la leader degli studenti democratici della Ohio
university, ad Athens, si è resa
conto che c’era un problema
diverse settimana fa, durante un’iniziativa nel campus in vista della ripresa dell’anno accademico. Aveva allestito un banchetto su un prato per reclutare nuovi iscritti in questo campus
ai piedi degli Appalachi. Ma a un certo
punto ha notato che il banchetto accanto al suo, allestito dai repubblicani,
era molto più afollato. “C’erano tantissime persone che andavano da loro”, ricorda Miller.
È stato il primo segnale d’allarme.
Hillary Clinton, la candidata democratica alle presidenziali, era in vantaggio nei sondaggi rispetto a Donald
Trump, il candidato repubblicano, ma
faceva fatica a motivare e a portare
dalla sua parte gli elettori giovani che
nel 2008 e nel 2012 sono stati lo zoccolo duro della coalizione per Barack
Obama. Nel 2012 Obama conquistò il
60 per cento dei voti degli elettori sotto i trent’anni. Secondo un sondaggio
realizzato a settembre da Cbs News e
New York Times, solo il 48 per cento
degli statunitensi in questa fascia d’età
sostiene Clinton, mentre il 29 per cento sostiene Trump il 21 per cento dichiara di voler sostenere un terzo candidato o restare a casa.
Gli studenti dell’Ohio university, un
campus particolarmente progressista
in uno stato che potrebbe essere decisivo a novembre, non hanno problemi a
spiegare quello che emerge dai sondaggi. Nessun candidato inora è stato in
grado di conquistarli, e questo è un elemento pericoloso soprattutto per Clin-
S
ton, la cui strategia per arrivare alla Casa
Bianca consiste nel tenere insieme la coalizione di Obama. “Obama era una fonte
d’ispirazione. Era circondato da una sorta
di aura”, dice Anthony Eliopoulos, un sostenitore di Clinton originario di Lorain,
in Ohio. “Lei è più tranquilla. Non è così
appariscente”. Oggi negli Stati Uniti i millennials, gli elettori nati tra l’inizio degli
anni ottanta e la metà degli anni novanta,
sono più numerosi dei baby boomers, nati
tra il 1945 e il 1964. E, se dobbiamo credere ai sondaggi condotti sia a livello nazionale sia nei singoli stati, questi elettori
stanno sfuggendo di mano a Clinton.
I democratici stanno adottando una
strategia aggressiva per invertire la tendenza. Nell’ultima settimana i più importanti esponenti del partito si sono impegnati in prima persona per convincere gli
elettori sotto i trent’anni a votare per Clinton: il presidente Obama, la irst lady Michelle Obama, il candidato alla vicepresidenza Tim Kaine e la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren.
In un’intervista concessa alla Nbc, Kaine ha ammesso le diicoltà di Clinton e ha
elencato cinque temi su cui la campagna
elettorale dovrebbe concentrarsi per conquistare gli elettori più giovani: i costi dei
college, la lotta ai cambiamenti climatici,
il diritto all’aborto, i diritti lgbt e la riforma
dell’immigrazione. Anche Bernie Sanders, avversario di Clinton nelle primarie,
sta facendo campagna a sostegno della
candidata. Di recente ha invitato i suoi sostenitori a non restare a casa a novembre e
di resistere alla tentazione di votare per un
candidato indipendente. “Pensateci bene
prima di esprimere un voto di protesta,
perché il prossimo presidente sarà Hillary
Clinton o Donald Trump”, ha detto durante un’intervista in tv prima di andare in
Ohio per sostenere la causa di Clinton nei
campus di Akron e Columbus. “Pensate a
com’è il paese e chiedetevi se vi sentireste
tranquilli con quattro anni di Trump”.
Clinton le sta provando tutte: i suoi as-
sistenti le hanno insegnato a scattare i
selie, ha reclutato centinaia di volontari giovani in tutto il paese e il 15 settembre ha anche partecipato a una teleconferenza con un gruppo di millennials.
Ma è un’impresa diicile. Durante
una serie di interviste condotte con sedici studenti nei campus di Athens e di
Columbus, molti hanno detto di apprezzare l’idea di una donna alla presidenza, anche se per loro questa non è la
questione principale. Rispetto ai loro
genitori hanno più a cuore l’ambiente e
i diritti gay, vogliono una soluzione per
la fallimentare gestione dell’immigrazione e detestano qualunque tipo di discriminazione. Tuttavia, molti non conoscono gli aspetti della storia di Clinton che combaciano con i loro punti di
vista. Dopo tutto, la maggior parte di
questi ragazzi è troppo giovane per ricordarsi degli anni novanta, quando
Clinton era una irst lady avanti rispetto ai suoi tempi. Inoltre molti di loro
hanno fatto proprie le critiche di Sanders nel corso delle primarie.
Il male minore
Un lunedì sera di non molto tempo fa
Miller era impegnata a dare il benvenuto ai nuovi volontari in un uicio del
Partito democratico poco fuori dal
campus. Bisognava discutere le strategie per registrare nuovi elettori. Mentre
gli altri studenti si stavano scatenando
nella prima notte di frenesia nelle confraternite dall’altra parte della strada,
gli aspiranti volontari erano in attesa di
ricevere istruzioni su come fare proseliti per conto di Clinton. Jazzmine
Hardges, una ragazza di vent’anni che
studia comunicazione e ilosoia e viene da Kent, in Ohio, ha lasciato i suoi
contatti su un foglio vicino all’uscita,
così gli attivisti della campagna potranno contattarla per chiederle di fare la
volontaria o, quanto meno, per ricordarle di andare a votare. Hardges ha
detto di avere un’ottima opinione di
Clinton, ed era sorpresa che gli altri ragazzi della sua età la pensassero diversamente. “Ha tanta esperienza”, ha
detto. Poi ha tirato fuori l’argomentazione che la squadra di Clinton spera
possa funzionare se le altre strategie
dovessero fallire: “Per questo paese
qualsiasi democratico sarebbe meglio
di Trump, o di un qualsiasi altro repubblicano”. ◆ gim
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
47
In copertina
48
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
troppo pragmatiche e noiose. Dopotutto la
storia della politica e dei movimenti di sinistra è sempre stata fatta da donne che si occupano degli aspetti più noiosi e uomini che
pronunciano discorsi esaltanti. Non sono
state Dorothy Height, Rosa Parks, Pauli
Murray, Diane Nash o Anna Hedgeman –
tutte grandi attiviste, avvocate o organizzatrici – a tenere i grandi discorsi sulla scalinata del Lincoln memorial a Washington.
Clinton si considera una che lavora, non
una che fa discorsi. Durante una delle nostre conversazioni le ho detto che l’attrice
comica Samantha Bee l’aveva descritta come “un cavallo da soma
a cui bisogna sempre dare un lavoro da fare”. I suoi occhi si sono
illuminati. “Quando sono arrivata al senato ho detto subito che
non ero un cavallo da parata”, mi ha ricordato. Sembra che sia la cosa di cui è più orgogliosa al mondo.
Ma all’elettorato non interessa che un
candidato alla presidenza sia un gran lavoratore. Le persone sono più ispirate dalla
retorica. Anche Clinton l’ha usata, per
esempio nel discorso che tenne a Pechino
quando era irst lady, in cui disse che “i diritti delle donne sono diritti umani”, o in
quello pronunciato durante le primarie del
2008, in cui ammise di essere stata sconitta da Barack Obama e parlò di “18 milioni di
crepe” nel soitto di vetro (18 milioni erano
le persone che avevano votato per lei e il
soitto di vetro era la barriera invisibile che
impediva a una donna di essere eletta presidente). In entrambi i casi aveva deciso di
Da sapere
Candidati a confronto
Risposte in percentuale, 9-13 settembre 2016
Il candidato è onesto e aidabile?
Sì
Clinton
No
33
Trump
63
35
60
Ha il giusto temperamento e la giusta personalità
per essere un buon presidente?
Sì
55
Clinton
Trump
31
No
44
64
Condividete gli stessi valori?
Sì
Clinton
fONtE: tHE NEW yORK tIMES
la che pensi di non dover controllare. Quando dedica le sue energie alle questioni più
importanti, la sua capacità di vedere tutti i
collegamenti e la sua conoscenza di ogni
singolo aspetto possono sembrare una parodia dell’ipercompetenza femminile.
In due comizi in Kentucky l’ho sentita
esporre le sue proposte per aiutare le famiglie. Il discorso era strutturato più o meno
così: gli Stati Uniti hanno bisogno di un sistema nazionale di permessi per motivi familiari retribuiti perché troppe donne non
ricevono neanche un giorno di paga quando
partoriscono. Non esiste una legge federale sui permessi per malattia retribuiti, tanti genitori di
figli adottati non hanno diritto
neanche a un giorno, e i igli e le
iglie delle persone anziane non
possono assistere i genitori. Il paese ha anche bisogno di introdurre programmi di
assistenza a domicilio, grazie ai quali chi ha
appena avuto un bambino può imparare a
prendersene cura e a prepararlo a frequentare la scuola con buoni risultati. In questo
modo si può cominciare a risolvere il problema delle disparità di reddito in dai primi
anni. È necessario anche aumentare i salari,
perché due terzi delle persone che percepiscono il salario minimo sono donne. Questo
inluisce sulla vita delle famiglie, sia quelle
formate da un solo genitore sia quelle in cui
entrano due stipendi e, se si aggiunge l’alto
costo dell’assistenza all’infanzia, impedisce alle donne di godere degli stessi beneici degli uomini, di risparmiare per pagarsi il
college e di mettere da parte qualcosa per
quando andranno in pensione. I lavoratori
che percepiscono il salario minimo attualmente spendono dal 20 al 40 per cento del
loro reddito per l’assistenza all’infanzia,
mentre quella spesa non dovrebbe andare
oltre il 10 per cento, e inoltre bisognerebbe
aumentare i salari degli insegnanti della
scuola materna ed elementare, che in alcuni posti sono pagati meno degli addestratori di cani e hanno anche loro una famiglia da
mantenere. Per fare tutto questo bisogna
raforzare i sindacati e rendere l’assistenza
sanitaria più accessibile, modiicando anche la riforma sanitaria voluta da Obama.
Clinton ha una visione olistica dei problemi e delle possibili soluzioni – incentivi
iscali, sussidi, aumenti salariali – che dimostra grande competenza. Ma non è qualcosa
che può essere riassunto in uno slogan da
scrivere su una maglietta. E non fa efetto
sulla folla di un comizio. Non si può neanche spiegare in tv, perché non è semplice
come dire “università gratis!”.
Spesso le donne sono accusate di essere
No
57
40
Trump
35
62
Può portare un cambiamento radicale nel sistema
politico?
Sì
Clinton
Trump
No
60
36
48
48
puntare sul signiicato simbolico del suo
essere donna, cosa che di solito preferisce
non fare.
Qualche anno fa Lissa Muscatine, l’autrice dei suoi discorsi, mi ha detto che si
scontravano spesso su questo punto ai tempi in cui Clinton era irst lady. “Io le dicevo
che non stava sfruttando il potere simbolico
della sua posizione, e lei rispondeva: ‘Non
servirebbe a cambiare il sistema e a lasciare
un segno duraturo’”. Muscatine replicava
che “a volte si può innescare il cambiamento anche con un atto simbolico”.
Ho chiesto a Clinton se il fatto di essere
considerata un simbolo la mette ancora a
disagio. “No”, ha risposto. “Ora sono più
matura e ho capito che il simbolismo può
essere eicace, quindi lo accetto. Ma in in
dei conti essere la prima donna presidente
non mi basta. Cosa ho fatto per migliorare
veramente la vita di qualcuno? Ci sono più
posti di lavoro? Il reddito della popolazione
è aumentato? Abbiamo fatto progressi sul
salario minimo? A che punto siamo con la
parità salariale? Cosa stiamo facendo per la
prima infanzia?”. Era tornata in modalità
lavoro. “Sono una persona a cui interessano
i risultati, perché penso che sia questo che
conta per la gente”.
Qualche segreto
Naturalmente, alla base dei problemi della
candidatura di Clinton non c’è solo la sua
ambivalenza nel gestire il suo ruolo potenzialmente storico. C’è anche un atteggiamento difensivo che non le permette di apparire sincera, un intenso desiderio di riservatezza che impedisce agli elettori di avere
la sensazione di conoscerla: un grande problema in un’era in cui i social network hanno reso più importante che mai il rapporto
personale con gli elettori. La riluttanza di
Clinton a esporsi nasce in parte dal suo carattere e in parte dalla sua esperienza. Una
vita passata sotto i rilettori le ha insegnato
che esporsi spesso equivale a permettere
agli altri di farti a pezzi. Non bisogna dimenticare che la sua identità come personaggio pubblico si è formata durante il periodo di rigetto del femminismo, negli anni
ottanta e novanta, quando riiutandosi di
stare in cucina si poteva scatenare una
guerra culturale.
Se Clinton sofre di una sorta di disturbo
post-traumatico da stress politico che la
rende cauta e chiusa, questo è in gran parte
dovuto al rapporto con la stampa. Odia i
giornalisti. Un gruppo di giovani reporter la
segue in tutti i comizi, e lei non gli concede
quasi nulla. Diversamente da altri candidati, non viaggia sullo stesso aereo dei repor-
DarCY PaDILLa (Vu/KarMa PrESS PHOTO)
Gli uici della campagna di Clinton a Des Moines, gennaio 2016
ter. Ogni tanto beve qualcosa con loro, ma
non con la frequenza e la facilità di suo marito, le cui conversazioni informali con la
stampa erano leggendarie.
La maggior parte dei giornalisti che
viaggia con i candidati è troppo giovane per
ricordare che Clinton è stata nel mirino della stampa in dall’inizio: è stata accusata di
essere troppo radicale, troppo femminista,
troppo indipendente, troppo inluente, pericolosa, subdola e bruttissima. Lei e i suoi
collaboratori sanno che ormai non possono
far cambiare idea alla stampa, perché la sua
storia è già stata scritta. Per fare un esempio: all’inizio di maggio il New York Times
ha pubblicato un articolo in cui sosteneva
che Clinton stava corteggiando i repubblicani scontenti della candidatura di Donald
Trump, portando i sostenitori di Bernie
Sanders a esclamare: ecco, l’avevamo detto
che era una cripto-repubblicana. L’articolo
accennava solo brevemente al fatto che
qualche giorno prima Clinton aveva presentato il suo piano per aumentare i fondi
pubblici per l’assistenza all’infanzia e i salari delle persone che si prendono cura dei
bambini, una proposta che non molto tempo fa sarebbe stata considerata il sogno delle femministe degli anni settanta.
Naturalmente la riluttanza dei mezzi
d’informazione a deinire “molto progres-
siste” alcune delle proposte di Clinton è
dovuta al fatto che lei stessa evita di presentarle in questi termini. Forse perché ha ancora paura, dopo tanti anni, di essere considerata una nazi-femminista di sinistra. O
forse perché le manca la capacità che hanno
molti politici, a cominciare da suo marito e
da Obama, di assecondare fazioni opposte
riuscendo a sembrare sinceri agli occhi di
entrambe. Clinton è una pessima attrice e
non è una grande oratrice: tende a fare dichiarazioni mal formulate che rendono fumoso il messaggio che vuole trasmettere o
addirittura fanno passare il messaggio opposto. I suoi discorsi in campagna elettorale
sono stati spesso basati su bizzarre metafore infrastrutturali come “abbattere barriere” e “costruire scale di opportunità”.
La diidenza della stampa è il prezzo
che Clinton paga per il fatto di non avere un
rapporto più disteso e amichevole con i
giornalisti: non le concedono mai il beneicio del dubbio, non sono mai flessibili e
comprensivi nei suoi confronti. Non è simpatica come il vicepresidente Joe Biden, che
con le sue gafe riesce a ofendere intere nazioni ma alla ine se la cava sempre.
“Indubbiamente il suo percorso è più
diicile di quello di altri politici”, mi ha detto frustrato Nick Merrill, l’addetto stampa
di Clinton. “Tutti danno per scontato che
abbia sempre qualcosa da nascondere”.
Ed è proprio questo il problema. Tutti
danno per scontato che Hillary nasconda
qualche segreto. È un circolo vizioso paranoide. Clinton e il suo staff pensano che
tutti ce l’abbiano con lei, e il loro comportamento diventa un ulteriore incentivo ad
avercela con lei. Ma a un certo punto il rapporto di causa-efetto non ha più importanza. L’atteggiamento difensivo, la riservatezza e le sue reazioni aggressive quando è in
diicoltà sono i suoi veri punti deboli. Tutto
sta nel vedere se possono essere superati
dai suoi punti forti, soprattutto durante una
campagna elettorale contro un candidato
come Trump, i cui difetti sono così enormi.
C’è un’inevitabilità da ilm nel fatto che
il rivale di Clinton sia Trump, un candidato
che ha il sostegno di tutti i maschi bianchi
arrabbiati per il fatto che le donne e i neri
hanno più potere. Trump è l’antitesi del
pragmatismo di Clinton, della sua natura
prudente, della sua ampia conoscenza delle istituzioni e di come muoversi al loro
interno. È naturale che una donna che vuole entrare nella Casa Bianca debba scontrarsi con un uomo aggressivo che è stato
protagonista di un reality show ed è stato
capace di parlare del suo pene durante un
dibattito.
Quando l’ho incontrata, a maggio, ClinInternazionale 1172 | 23 settembre 2016
49
In copertina
ton era così iduciosa in vista dello scontro
con Trump che già pensava a quello che
avrebbe dovuto fare dopo l’insediamento
alla Casa Bianca. “Non voglio concentrarmi troppo sulla campagna, preferisco concentrarmi sulla preparazione. Ci sono tante
cose da preparare”, mi ha detto. Poi ha fatto
un elenco: la riforma dell’immigrazione, le
leggi per la parità di salario tra uomini e
donne, i permessi retribuiti per motivi familiari. Ma mi ha detto anche che una volta
eletta vorrebbe mettere da parte le vecchie
strategie, rinunciare alla prassi secondo cui
il presidente sceglie un tema da afrontare
per primo e lavorare invece con il congresso
su vari temi per un paio d’anni. “Voglio preparare in dall’inizio quello su cui intendo
lavorare e dare al congresso la possibilità di
muoversi su più fronti”. Naturalmente questo sarà possibile se i democratici riusciranno a conquistare la maggioranza al senato.
come se mi sidasse a contestare la sua affermazione. “Non vincerete mai in Texas”,
ho detto. Lei ha sorriso ed è rimasta impassibile. “Se i neri e i latinos andranno a votare
possiamo farcela”, ha risposto con decisione, praticamente leccandosi le labbra.
Un’ora dopo ha pronunciato il suo discorso. Fuori pioveva a dirotto, dentro era
tutto uno scintillio di luci. Presto in West
Virginia i seggi si sarebbero chiusi e avrebbero regalato a Bernie Sanders ulteriore
slancio. Ma davanti a quella folla estatica,
Clinton era esultante: “Mi tireranno addosso di tutto, anche il lavello della cucina. Ma
La trappola del magnetismo
ho un messaggio per loro: lo fanno da venticinque anni, e sono ancora in piedi”. La folla ha lanciato grida di approvazione. “Non
vedo l’ora di sidare Trump nei dibattiti del
prossimo autunno”, ha detto nel microfono
con un tono di voce che era molti decibel
più alto del necessario. “Abbiamo idee diverse? Certo”, ha proseguito. “Questo è sano e normale. Ci sono tanti modi diversi per
raggiungere i propri obiettivi, ma non lo si
fa denigrando la gente. Noi non siamo così.
Ed è ora di dire basta”.
Guardandola mi sono chiesta se dopo
tutti questi anni Clinton possa ancora diventare un’attrice più disinvolta. Per certi
versi sembra che sia necessario,
non solo per vincere, ma per governare. Dopotutto, un presidente deve avere a che fare con la
gente. Non può vincere le elezioni e poi andarsi a nascondersi dietro a una scrivania. Non basta avere un piano, bisogna saperlo vendere al paese. Obama ha dimostrato di saper usare i mezzi
d’informazione per trasmettere ai cittadini
il suo messaggio. Ma lui è un abile oratore.
Anche Bill Clinton lo era. Perino George
W. Bush a suo modo era carismatico.
Ma se oggi un uomo che sputa odio e
volgarità e non ha idea di come funziona il
governo può diventare un candidato plausibile alla presidenza perché è magnetico,
mentre una donna capace che conosce bene la politica è in diicoltà perché è poco
magnetica, forse allora dovremmo riconsiderare l’importanza del magnetismo. Vale
la pena di chiedersi ino a che punto il carisma, per come lo abbiamo deinito inora,
sia un tratto prettamente maschile. Una
La sera delle primarie in West Virginia, che
sarebbero state vinte da Sanders, Clinton è
arrivata allo stadio del baseball di Louisville
in anticipo rispetto all’ora stabilita per il comizio. È raro che arrivi in anticipo da qualsiasi parte, e si stava godendo un momento
di solitudine in uno dei lussuosi palchi dello
stadio, guardando il campo di baseball e
sorridendo.
“Mi piace molto il baseball”, ha detto tra
sé e sé.
Abbiamo parlato un po’ della festa della
mamma, che aveva trascorso con la nipote
Charlotte, e del fatto che Chelsea e Marc
Mezvinsky avrebbero saputo il sesso del loro secondo iglio solo al momento della nascita. Ha criticato l’ospedale che avevamo
appena visitato e il tentativo del governatore repubblicano di smantellare il sistema
sanitario del Kentucky, uno dei migliori del
paese. Ha detto che era un peccato che la
rabbia degli elettori nei confronti di Obama
nelle elezioni di metà mandato del 2012 rischiasse di far perdere ai cittadini i beneici
della riforma sanitaria per cui il presidente
aveva tanto combattuto.
Le ho chiesto perché stesse dedicando
tante attenzioni al Kentucky, uno stato tradizionalmente repubblicano. I suoi occhi si
sono illuminati, come se non vedesse l’ora
di parlare delle sorprendenti possibilità offerte dalla mappa elettorale nel voto di novembre. “Quali pensa che siano gli stati repubblicani che torneranno in gioco?”, le ho
chiesto accennando alla possibilità che i democratici conquistino la Georgia, dove
hanno vinto l’ultima volta nel 1991. “Il Texas!”, ha esclamato, spalancando gli occhi,
50
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Possiamo andare oltre
l’immagine di un
grande uomo che fa
grandi discorsi?
donna può riuscire a conquistare un paese
come siamo abituati a vederlo fare da un
uomo? Anche se sia i conservatori sia i progressisti cercano di sminuire l’importanza
del “fattore femminile”, sarebbe impossibile, e disonesto, non riconoscere che il genere è un elemento centrale, significativo,
complicato e spesso invisibile in queste elezioni. È uno dei fattori che hanno plasmato
Hillary Clinton, e che inluiscono sul modo
in cui la vediamo oggi. A prescindere da
quello che le persone pensano di lei, queste
elezioni sollevano una serie di importanti
domande su come gli statunitensi vedono
la leadership e su cosa pensano delle donne
che cercano di conquistarla.
Possiamo allargare la nostra idea del carisma e andare oltre l’immagine di un grande uomo che fa grandi discorsi? Ed Rendell,
ex governatore democratico della Pennsylvania, pensa che una volta eletta Clinton
dovrebbe cercare di trasformare la presidenza in base alla sua personalità. “È il presidente che sceglie come comunicare”, mi
ha detto Rendell. “Se fossi il capo del suo
staf le proporrei di partecipare al maggior
numero di interviste televisive possibile e la
farei parlare invece che leggere un discorso.
Le organizzerei incontri nelle città durante
tutto il mandato. L’ha mai vista nelle piccole sale comunali? Hillary non è il tipo da
grandi folle, ma in quei contesti è quasi
spettacolare”.
Ho ripensato a una tavola rotonda in un
asilo a cui avevo assistito a Lexington, in
Kentucky. Clinton aveva incontrato decine
di genitori con igli che frequentavano quella scuola. Jessica McClung, una
ragazza madre che non riusciva a
laurearsi perché doveva occuparsi del iglio piccolo, era così nervosa all’idea di incontrarla, prima
che cominciasse la discussione,
che non riusciva neanche a parlare. Hillary
ha capito subito la situazione e si è rivolta a
lei guardandola negli occhi come l’avevo
vista fare con i Wheeler: “Non sia nervosa.
Parli con me, mi guardi, faccia un respiro
profondo, si dimentichi di tutto questo”, le
ha detto indicando le telecamere, gli uomini dei servizi segreti, tutta la gente che l’accompagna dovunque vada, e che lei stessa
fatica tanto a dimenticare. “Parli semplicemente con me”. u bt
L’AUTRICE
Rebecca Traister è una giornalista statunitense. Il suo ultimo libro, All the single ladies, sarà
pubblicato in Italia da Fandango il 29 settembre. Traister sarà al festival di Internazionale a
Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre.
Colombia
Prove
di pace
Marie Delcas, Le Monde, Francia
Foto di Álvaro Ibarra Zavala
omenica 28 agosto i
guerriglieri colombiani
hanno messo da parte
la tuta mimetica: l’occasione era speciale e
t u t t i i n do s sava n o
un’impeccabile camicia bianca. Erano accanto al loro capo, Rodrigo Londoño Echeverri detto Timochenko, che ha letto il discorso davanti alle telecamere: “In qualità
di comandante dello stato maggiore delle
Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc, estrema sinistra), ordino a tutte
le nostre unità e a tutti i combattenti uomi-
LE MONDE
D
52
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
ni e donne di rispettare il cessate il fuoco
deinitivo e di mettere ine alle ostilità contro lo stato colombiano a partire da questa
sera a mezzanotte”. Il conlitto interno alla
Colombia è inito dopo 52 anni. Oggi Timochenko e tutti i suoi principali collaboratori hanno i capelli brizzolati.
Il 26 agosto, due giorni prima del discorso del leader delle Farc, il presidente
colombiano Juan Manuel Santos aveva ordinato all’esercito la ine delle ostilità contro la guerriglia. Il 24 agosto il governo di
Bogotá e i rappresentanti delle Farc avevano annunciato di aver chiuso deinitivamente le trattative per l’accordo di pace.
“‘L’aggettivo più appropriato per descrivere quest’accordo è ‘storico’”, afferma
Humberto De la Calle, il capo negoziatore
per il governo. De la Calle ha un’aria felice
ma stanca: i negoziati, che si sono svolti
all’Avana, sono durati 44 mesi.
Nel suo discorso Timochenko si è rivolto all’esercito colombiano: “Oggi più che
mai ci rammarichiamo per i morti e i dolori
provocati dalla guerra. Vogliamo abbracciarvi e cominciare a lavorare per una nuova Colombia”. Le Farc hanno messo da
parte la retorica e l’arroganza rivoluzionaria? In ogni caso il loro tono è cambiato.
L’ultimo grande movimento guerrigliero
dell’America Latina sta per scomparire e
ha garantito che parteciperà alla vita democratica del paese.
Raramente i conlitti iniscono con au-
GETTy REPORTAGE
Dopo l’intesa per il disarmo deinitivo e il cessate
il fuoco tra il governo e la guerriglia delle Farc,
i colombiani si preparano al referendum del
2 ottobre tra speranze, paure e scetticismo
spici così ottimistici. Le Nazioni Unite e
l’Unione europea, i governi di Washington, Caracas e Parigi, il leader cubano Raúl
Castro e il papa Francesco hanno dato tutti
il loro contributo entusiastico al processo
di pace colombiano.
Negoziare la resa
L’accordo di pace sarà irmato il 26 settembre a Cartagena, sulla costa settentrionale
del paese. La irma darà il via al processo di
smobilitazione dei combattenti. I ribelli
dovranno raggrupparsi in 28 zone di normalizzazione, le cosiddette Zonas veredales transitorias de normalización. E nell’arco di sei mesi dovranno consegnare le loro
Colombia, luglio 2016. Preparativi per una festa in un accampamento delle Farc, nel dipartimento di Cauca
armi ai funzionari delle Nazioni Unite che
terranno sotto controllo le zone. Poi potranno tornare alla vita civile.
In Colombia però il fronte degli scettici
è ancora numeroso: “I guerriglieri delle
Farc sono dei narcoterroristi assassini”,
dice Álex Gómez, 22 anni, studente di economia in un’università privata di Bogotá.
“Dovrebbero essere tutti al cimitero o in
prigione. Non dovrebbero apparire in tv né
tantomeno sedersi in parlamento”, aggiunge. Al referendum che si terrà il prossimo 2 ottobre il ragazzo voterà no per respingere l’accordo.
Santos vuole che l’intesa dell’Avana sia
sottoposta al voto popolare nella speranza
di convincere i cittadini più reticenti. Tra
questi c’è l’ex presidente Álvaro Uribe,
leader della destra radicale, secondo cui
l’accordo consegnerà la Colombia al “castrocomunismo”. Lui vorrebbe “una pace
senza impunità”.
Se confesseranno i crimini commessi
in passato, i guerriglieri, compresi i principali leader dell’organizzazione, non andranno in prigione. Potranno anche partecipare attivamente alla vita politica. “Nessun movimento armato ha mai negoziato
la propria resa per inire in prigione”, ha
spiegato il presidente Santos. I crimini di
guerra e i crimini contro l’umanità saranno
puniti con pene “restrittive della libertà”
che possono durare ino a otto anni. Una
volta riconvertite in un movimento politico, le Farc avranno diritto a un minimo di
dieci seggi in parlamento per due legislature consecutive, a partire dal 2018.
Sui social network il referendum è al
centro di uno scontro acceso tra chi è a favore e chi si oppone alla pace. Sul suo account Twitter Iván Márquez, il capo negoziatore per le Farc, ha postato alcune foto
del papa, immagini di bambini che si abbracciano e un prato in iore al tramonto.
Tuttavia i guerriglieri ci tengono a sottolineare che “le Farc continueranno a lottare
contro il sistema capitalistico e per la giustizia sociale”.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
53
Colombia
“È la prova che non possiamo idarci di
loro: sono di sinistra”, dice con tono esasperato Álex, che a quanto pare non crede
per niente nella pace. Le élite urbane ormai
si sono abituate a un conlitto armato che si
è consumato nelle campagne e che non solo non ha impedito gli afari, ma ha anche
permesso di demonizzare l’avversario e, in
molti casi, perino di sbarazzarsene (la Colombia detiene il triste primato delle uccisioni di sindacalisti e leader contadini).
Il 28 agosto Silvina, una donna di 68 anni che lavora come collaboratrice domestica e vive nella periferia di Bogotá, ha ascoltato commossa il discorso di Timochenko e
l’annuncio del cessate il fuoco deinitivo.
“Ormai avevo perso la speranza di poter
assistere a questo momento”, dice la donna. Suo padre, un contadino, fu ucciso negli
anni cinquanta durante il periodo noto come la Violencia, quando i gruppi dirigenti
del Partito conservatore e del Partito liberale, che si contendevano il potere e le terre
della Colombia, misero a ferro e a fuoco
tutto il paese. Per sopravvivere molti contadini scelsero la lotta clandestina: una parte
di loro non lasciò mai la foresta e nel 1964
fondò le Farc. Nello stesso periodo nacquero anche altri movimenti guerriglieri:
l’Esercito di liberazione nazionale (Eln, castrista), l’Esercito popolare di liberazione
(maoista), il Movimento armato Quintín
Lame e il Movimento 19 aprile, che faceva
guerriglia urbana.
La geograia della Colombia ha giocato
a favore dei combattenti: montagne alte
simili a quelle dell’Afghanistan si accompagnano a una giungla che ricorda quella
del Vietnam. Circondata da due oceani e
attraversata da tre cordigliere, la Colombia
è un paradiso per i gruppi guerriglieri di
ogni ideologia.
“La guerra mi ha portato via due igli”,
racconta Silvina. “Il più grande si unì alla
guerriglia e fu ucciso in combattimento nel
1995. Quello più piccolo invece fu ucciso
dai paramilitari di estrema destra tre anni
dopo”. Lei e suo marito decisero di scappare e di abbandonare le loro terre. In totale
più di sette milioni di colombiani sono stati costretti a lasciare le loro case a causa del
conlitto civile. Silvina ricorda i suoi igli e
il suo orto ogni giorno. “Ma oggi”, dice,
“c’è spazio solo per la gioia”. Il 2 ottobre
Silvina voterà “sì, mille volte sì”.
Contrariamente a quello che pensa l’ex
presidente Uribe, le Farc hanno dovuto accettare molti compromessi e riconoscono
la legittimità dello stato colombiano.
L’economia colombiana, molto liberista,
non è stata toccata. “La riforma agraria ne-
54
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
goziata con la guerriglia avrebbe potuto
essere stata scritta dalla Banca mondiale”,
ironizza un diplomatico occidentale che
lavora a Bogotá. Le Farc si sono impegnate
a cooperare alla distruzione delle coltivazioni illegali e alla rimozione delle mine. I
leader del gruppo guerrigliero hanno anche promesso di pagare un risarcimento
alle famiglie delle vittime. A loro volta i militari potranno beneiciare dell’indulgenza
della giustizia di transizione. Il grande vincitore di quest’accordo di pace è lo stato
colombiano.
La guerra mi ha cercato
Le Farc, oggi attive in poco meno di un
quarto dei dipartimenti della Colombia,
hanno sempre mantenuto segreto il numero dei loro affiliati. Secondo il ministero
della difesa, i combattenti in attività sono
ottomila. A questi bisogna aggiungere i militanti civili. A marzo Juan Manuel Santos
Da sapere
I dati del conlitto
u Le Forze armate rivoluzionarie della
Colombia (Farc) sono il gruppo guerrigliero
più numeroso e antico del paese. Nascono nel
1964 come braccio armato del Partito
comunista colombiano. Combattono le
disuguaglianze seguendo un’ideologia
marxista-leninista e chiedono più diritti per i
contadini.
u L’esercito e il ministero della difesa della
Colombia stimano che facciano parte
dell’organizzazione guerrigliera circa settemila
combattenti attivi, sostenuti da almeno
ottomila civili.
u Le Farc oggi sono uno dei gruppi ribelli più
ricchi del mondo. Si inanziano con il
narcotraico, le tasse che fanno pagare nei loro
territori, i sequestri e le estorsioni.
u Il 24 agosto 2016 il presidente della Colombia
Juan Manuel Santos annuncia la conclusione
dei negoziati con le Farc, cominciati nel 2012 a
Cuba. I guerriglieri s’impegnano ad
abbandonare la lotta armata, rispettare lo stato
di diritto e deporre le armi per trasformarsi in
una forza politica.
u Il 29 agosto entra in vigore il cessate il fuoco
bilaterale e deinitivo che mette ine alla lotta
armata delle Farc.
u La pace si irmerà il 26 settembre nella città
colombiana di Cartagena. Il 2 ottobre si terrà
un referendum in cui i cittadini dovranno
decidere se accettare o respingere l’accordo
di pace tra il governo e i guerriglieri.
u Il conlitto civile interno alla Colombia,
durato 52 anni, ha provocato quasi 220mila
vittime, di cui più dell’80 per cento civili. Gli
sfollati a causa della guerra sono sette milioni.
Bbc, Centro nacional de memoria histórica
ha parlato di 17mila persone. Secondo Jorge Restrepo, direttore del Centro di risorse
per l’analisi dei conlitti (Cerac), “lo studio
delle statistiche ufficiali sul numero dei
guerriglieri uccisi in combattimento e su
quello dei disertori fa pensare che i guerriglieri siano in realtà molti di più”. Più di un
terzo degli ailiati delle Farc sono donne.
Ma cosa sono davvero le Farc? Un movimento di autodifesa contadino? Una guerriglia rivoluzionaria? Un gruppo di traicanti di cocaina? Un potere locale? Un anacronismo politico? Un insieme di uomini e
donne sinceramente convinti che il loro
impegno possa cambiare il mondo? Un
gruppo armato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche? Probabilmente
sono un po’ tutte queste cose insieme.
“Non ho scelto la guerra, è stata lei a venirmi a cercare”, diceva il fondatore delle
Farc Pedro Marín, più noto come Manuel
Marulanda Vélez. Il vecchio guerrigliero,
soprannominato Tiroijo (tiro preciso), morì nel 2006 senza aver mai visto una città.
Le Farc hanno vissuto a lungo di estorsioni: sotto la minaccia delle armi costringevano i proprietari terrieri a versare un’imposta rivoluzionaria detta vacuna, il vaccino. “Siamo una guerriglia rurale, non sappiamo rapinare le banche”, si giustiicò una
volta un guerrigliero delle Farc. La foresta è
diventata il loro habitat naturale, e oggi i
combattenti sono spesso i igli o i nipoti dei
vecchi guerriglieri.
Dopo la caduta del muro di Berlino, nel
novembre del 1989, il governo colombiano
sperò nella progressiva scomparsa dei movimenti armati, per lo più rimasti ancorati
alla logica della guerra fredda. Diversi
gruppi guerriglieri negoziarono la loro
smobilitazione, ma non lo fecero né le Farc
né l’Eln. Impermeabili ai cambiamenti
mondiali, questi movimenti di guerriglia
non solo continuarono a esistere, ma si arricchirono. Si misero a compiere rapimenti per chiedere un riscatto, portando il conlitto nelle città e seminando il terrore. Poi
arrivò il traico di cocaina, ancora più redditizio dei rapimenti, che avrebbe rappresentato per le Farc un’inesauribile fonte di
ricchezza.
All’inizio degli anni novanta, dopo lo
smantellamento del cartello di Medellín di
Pablo Escobar, le Farc assunsero il controllo parziale delle coltivazioni di coca e dei
laboratori clandestini, le installazioni rudimentali dove la foglia verde viene trasformata in polvere bianca. I milioni guadagnati con la gestione della droga avrebbero
potuto ridurre le Farc a una semplice organizzazione criminale, ma i guerriglieri non
GETTy REPoRTAGE
Una cerimonia religiosa nel dipartimento di Caquetá, controllato dalle Farc, aprile 2016
abbandonarono mai la loro ambizione di
conquistare il potere né la ferrea disciplina
e le pratiche staliniste, con i consigli di
guerra che punivano in modo implacabile
chi infrangeva le regole.
Nelle zone rurali i nemici principali erano sempre l’esercito e la polizia. Con il progressivo consolidamento dell’organizzazione, le basi militari e le stazioni di polizia
diventarono gli obiettivi di azioni sempre
più sanguinose. In alcune regioni per colpire un obiettivo le Farc erano capaci di riunire un migliaio di combattenti. Il gruppo
continuò a raforzarsi in tutto il paese, così
come i suoi nemici: dalla metà degli anni
novanta si moltiplicarono anche i gruppi
paramilitari di estrema destra, quindi i
massacri, le torture e il reclutamento forzato. Con il passare del tempo la guerra civile s’intensiicò trasformando la Colombia in un regno dell’orrore.
Tutti i tentativi fatti negli anni di negoziare con i guerriglieri non ottennero nessun risultato. Il progetto più recente fu avviato dal governo di Andrés Pastrana nel
1999, ma fallì dopo tre anni di sforzi inutili.
La guerriglia approittò di quel periodo per
riarmare le sue truppe, e il governo per modernizzare il suo esercito con il generoso
sostegno di Washington. Il Plan Colombia,
avviato nel 2000 dall’amministrazione
statunitense di Bill Clinton, portò al paese
latinoamericano quasi dieci miliardi di
dollari di aiuti militari per combattere il
narcotraffico e mettere fine al conflitto
interno.
Nel 2002 i colombiani, al contrario di
quello che succedeva in altri paesi del Sudamerica dove i cittadini davano iducia ai
leader di sinistra, elessero alla presidenza
Álvaro Uribe, ex governatore del dipartimento di Antioquia, che aveva promesso
di condurre una guerra a oltranza contro le
Farc. I danni collaterali. di questa lotta senza quartiere furono molti. Centinaia di poliziotti e militari, accusati di reati e di crimini compiuti durante il conflitto, oggi
sono in prigione. Le violazioni dei diritti
umani commesse dall’esercito colombiano, meno note di quelle delle Farc, rimangono in gran parte sconosciute all’opinione
pubblica internazionale.
Nonostante tutto, dagli anni sessanta a
oggi la Colombia ha mantenuto in vita le
istituzioni democratiche ed è rimasta una
fedele alleata degli Stati Uniti.
Juan Manuel Santos era ministro della
difesa durante il secondo mandato di Uribe, dal 2006 al 2010. Grazie a quest’esperienza, l’attuale presidente della Colombia
si era reso conto che lo stato non avrebbe
potuto vincere la guerra. Senza dubbio
l’aviazione e gli elicotteri Black Hawk offerti dagli statunitensi avevano dato
all’esercito colombiano un evidente vantaggio. L’ofensiva militare aveva costretto
i guerriglieri a ritirarsi dai centri urbani e
dalle principali vie di comunicazione. In
alcuni casi li aveva spinti al di là del conine, in Ecuador e in Venezuela. Ma anche se
indeboliti, gli ultimi guerriglieri resistevano e i bombardamenti non erano più una
strategia eicace. Il paese era in una situazione di stallo.
Prime scissioni
Così nel 2010, appena eletto presidente
della repubblica, Santos ha preso segretamente contatto con le Farc. I negoziati sono stati resi pubblici solo nel 2012. Il presidente colombiano ha voluto che i colloqui
con la guerriglia avvenissero all’estero,
lontano dalle telecamere. Nel frattempo
ha mantenuto una forte pressione militare
nel paese per rendere i combattenti più disponibili al compromesso.
Tuttavia, per evitare possibili dissensi
interni, i rappresentanti delle Farc hanno
negoziato a lungo e con ostinazione, smentendo le previsioni di chi li credeva pronti a
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
55
Colombia
GEtty REPoRtAGE (2)
Colombia, luglio 2016. Una festa tra i guerriglieri nel dipartimento di Cauca
concludere un accordo in tempi brevi.
L’applicazione dell’accordo non sarà
facile, soprattutto perché nel paese la violenza politica è endemica. Secondo i dati
delle Nazioni Unite, dall’inizio del 2016
sono state uccise 63 persone tra difensori
dei diritti umani, attivisti di sinistra e leader contadini. E molte altre hanno ricevuto
minacce di morte.
A metà degli anni ottanta, durante la
presidenza di Belisario Betancur, un primo
tentativo di negoziare con le Farc portò alla
creazione del partito politico Unión patriótica (Up, sinistra). Il bilancio fu catastroico: due candidati presidenziali, decine di parlamentari e più di tremila militanti dell’Up furono uccisi. Una delle sfide
maggiori che dovrà afrontare il paese dopo la irma dell’accordo di pace sarà proprio garantire la sicurezza dei guerriglieri
smobilitati.
Un altro motivo di preoccupazione è
rappresentato dall’Eln, il secondo gruppo
guerrigliero del paese, che per ora non
sembra intenzionato a seguire l’esempio
delle Farc: le trattative con il governo sono
state avviate il 30 marzo, ma non hanno
portato a nulla. Nato poco dopo le Farc, il
gruppo guerrigliero castrista è meno centralizzato e ha ancora circa duemila com-
56
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
battenti. Alcuni temono che gli imprevedibili elenos vogliano passare alla storia come
gli ultimi rivoluzionari dell’America Latina, anche a costo di rimetterci la pelle.
Poi ci sono le milizie al servizio dei narcotraicanti, dette bacrim, che sono le eredi delle Autodifese unite della Colombia, i
paramilitari smobilitati nel 2006. Più discrete politicamente, queste bande operano con modalità maiose. Secondo le Nazioni Unite, nel 2015 le piantagioni di coca
nel paese sono aumentate del 39 per cento,
raggiungendo i 96mila ettari. Da più di
trent’anni la Colombia si contende con il
Perù il primato tra i paesi esportatori di cocaina.
Inine, l’accordo di pace ha provocato
delle prevedibili scissioni. All’inizio di giugno un “primo fronte” dissidente delle
Farc ha annunciato il suo riiuto di deporre
le armi. Questo fronte, che opera nel sudest amazzonico del paese, alla frontiera
con il Brasile, è molto coinvolto nel traico
di droga. Dall’Avana la direzione delle Farc
ha subito sconfessato il gruppo dissidente.
La coesione e la disciplina, che hanno sempre caratterizzato l’organizzazione, riusciranno a sopravvivere anche in tempi di
pace? Altre unità potrebbero decidere di
rimanere nella foresta o tornarci se il rein-
serimento nella vita civile fosse troppo dificile.
Il futuro si deciderà nelle zone rurali,
dove lo stato è praticamente assente e le
reticenze dei proprietari terrieri sono forti.
Secondo lo specialista di questioni agrarie
Alejandro Reyes Posada, il principale pericolo da ora in poi sarà che “i grandi proprietari terrieri prendano iniziative di tipo
paramilitare per difendersi se sentiranno
che il loro patrimonio e i loro privilegi sono
minacciati”.
Riconciliare un paese martoriato da più
di cinquant’anni di violenza non è facile,
soprattutto quando le disuguaglianze sociali bloccano lo sviluppo, la corruzione
indebolisce le istituzioni, le terre continuano a essere nelle mani di pochi e i ricchi
non sono disposti a pagare le tasse. In base
all’ultimo censimento agrario lo 0,4 per
cento dei proprietari si divide il 40 per cento delle terre del paese. Dall’altra parte, il
70 per cento dei piccoli proprietari possiede solo il 5 per cento delle terre.
La Colombia rimane uno dei dieci paesi
con le più forti disuguaglianze del mondo.
Come ha detto l’ex guerrigliero salvadoregno Joaquín Villalobos: “La pace non permette di raggiungere il paradiso, aiuta solo
a uscire dall’inferno”. u adr
Colombia, luglio 2016. Guerriglieri e civili al lavoro nei campi nel dipartimento di Cauca
Non mi sento
una vittima
Héctor Abad Faciolince, El País, Spagna
“La storia della mia famiglia
mi ha insegnato che la pace
passa per il racconto della
verità. La rabbia non serve”.
Parla Héctor Abad Faciolince
o capito la storia recente
del mio paese, la Colombia, attraverso le storie
familiari. Quando si ha
una famiglia numerosa,
la inzione è quasi inutile: in una famiglia
grande succede di tutto, almeno una volta.
Queste storie mi consentono di rilettere su
quello che è successo e sta succedendo in
Colombia, per poi prendere una decisione
che è politica ma anche di vita, perché non
è dettata dall’ideologia ma dall’immagina-
H
zione: cerco d’immaginare come potremmo vivere meglio, più tranquilli, senza ucciderci così tanto, con meno soferenza.
Per spiegare perché sono favorevole
all’accordo di pace raggiunto dal governo
di Juan Manuel Santos e dalla guerriglia
delle Farc, e perché me ne rallegro tanto,
cercherò di partire ancora una volta da una
storia familiare. Non ho mai provato simpatia per le Farc. Il marito di una delle mie
sorelle, Federico Uribe (non ha nessuna
parentela con l’ex presidente della Colombia Álvaro Uribe), è stato sequestrato due
volte dalla guerriglia. La prima volta dal
Frente 36 delle Farc, 28 anni fa, quando lui
ne aveva 35. Undici anni dopo un altro
gruppo lo ha rapito di nuovo. I guerriglieri
che lo sorvegliavano sui monti erano così
giovani che chiamavano “nonno” un uomo
di 46 anni. Federico non era e non è una
persona ricca. Forse aveva il cognome sbagliato. Non era neanche povero, e non sarebbe strano se i più poveri l’avessero considerato molto ricco.
Mio cognato (ora ex cognato, perché in
tutte le famiglie ci sono dei divorzi) aveva
120 mucche da latte in un paesino a 2.600
metri di altezza nella zona orientale del dipartimento di Antioquia. Dopo aver passato un mese sotto sequestro e aver pagato la
quota iniziale del riscatto per essere rilasciato, ha dovuto continuare a pagare il resto della somma richiesta in comode rate
mensili, per altri 36 mesi. La guerriglia gli
ha concesso tre anni di tempo per pagare.
Vi chiederete: perché non si è rivolto alla
polizia, all’esercito o alle autorità locali?
Lui vi risponderebbe: “Scusate se mi viene
da ridere”.
Lo stato assente
Nelle zone rurali della Colombia lo stato
era del tutto assente, e lo è ancora oggi. Se
Federico non avesse pagato quelle rate, non
avrebbe potuto far uscire il latte dallo stabilimento, e quel latte gli dava da vivere. Se
non avesse pagato, lo avrebbero potuto uccidere sul lavoro o avrebbero potuto sequestrare uno dei suoi igli, i miei nipoti. In assenza di uno stato che controllasse il terriInternazionale 1172 | 23 settembre 2016
57
Colombia
torio e difendesse i cittadini, l’unica possibilità era pagare. O, come altri allevatori,
chiedere protezione a un gruppo paramilitare in cambio di una rata mensile più o meno uguale. Federico Uribe non è una di
quelle persone che godono nel veder uccidere, e i paramilitari uccidevano senza fare
domande. E poi i paramilitari avevano ucciso suo suocero, cioè mio padre, e non era
il caso di allearsi con altri assassini.
Federico il 2 ottobre voterà no al referendum sulla pace. “Non sono contrario
alla pace”, mi ha detto, “ma voglio che
quella gente passi almeno due anni in carcere. Durante il mio sequestro hanno ucciso due persone”. Lo capisco, lo stimo e non
penso che sia un nemico della pace, ma non
sono d’accordo con lui. Anche se capisco il
suo punto di vista, spero che lui capisca la
mia decisione di votare per il sì.
Comprendo la sua posizione sull’impunità. Tuttavia credo di avere il diritto di dire
che non m’interessa se i guerriglieri delle
Farc non iniranno in carcere. Quando l’ex
presidente Álvaro Uribe concluse l’accordo
di pace con i paramilitari scrissi che non mi
interessava che gli assassini di mio padre
passassero anche solo un giorno dietro le
sbarre. Tutto quello che chiedevo era che
raccontassero la verità; poi per quanto mi
riguardava potevano essere lasciati morire
di vecchiaia.
Molti errori
Dei 28mila paramilitari che accettarono di
smobilitarsi durante il governo di Uribe in
pochissimi pagarono con il carcere, e non
per volontà del presidente, ma su ordine
della corte costituzionale. Nessuno ci mostrò il testo del patto di Ralito (l’accordo
con i paramilitari), nessuno portò noi vittime nella zona dei dialoghi per raccontare ai
paramilitari il dolore che ci avevano causato e dargli il benvenuto nella vita civile, come avremmo voluto fare io e la mia famiglia. Inine l’accordo non fu sottoposto a un
referendum. Non è una lamentela, ma un
paragone. Santos ha pubblicato il testo –
lunghissimo, farraginoso, ma utile – dell’accordo dell’Avana, ha fatto partecipare ai
colloqui di pace alcuni familiari delle vittime e ora lo sottopone al verdetto del popolo. Sono stato invitato a quei colloqui ma
non sono voluto andare, perché non mi
sento più una vittima.
Anche nel caso delle Farc accetto che ci
sia un’alta dose d’impunità in cambio della
verità. Per i crimini più atroci, tra cui il sequestro, l’impunità non sarà totale. Se confesseranno prima dell’inizio del processo, i
responsabili sconteranno ino a otto anni di
58
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
restrizione effettiva della libertà, non in
carcere, ma alle condizioni che stabilirà il
tribunale speciale per la pace. Se la confessione avverrà durante il processo, sconteranno otto anni di prigione. Se non confesseranno e saranno dichiarati colpevoli, la
pena sarà di vent’anni di carcere.
L’intesa raggiunta all’Avana è sicuramente molto generosa verso le Farc. Certo
sarebbe stato meglio se i guerriglieri avessero accettato di passare almeno due anni
in carcere, come voleva mio cognato. Ma
questo è quanto di meglio il governo sia riuscito a ottenere dopo quattro anni di diicili negoziati con una guerriglia che non era
del tutto sconitta.
La Colombia è il paese
latinoamericano che
spende di più per
la sicurezza
Quando parlo con gli spagnoli c’è sempre qualcuno che fa un paragone con l’organizzazione basca dell’Eta, per afermare
che lo stato non può essere accondiscendente con i terroristi né può perdonarli.
Non credo che i due casi siano simili o paragonabili. Le Farc sono nate in un paese violento, pieno di disuguaglianze e ingiustizie.
Questo non le giustiica, ma spiega in parte
il loro furore. La guerriglia ha avuto ino a
20mila combattenti e a un certo punto ha
ottenuto il controllo di Mitú, la capitale del
dipartimento del Vaupés. Ha
esercitato il suo dominio come
uno stato alternativo che distribuiva “giustizia” e risolveva problemi locali in ampie zone rurali.
Le Farc sono state una guerriglia spietata e sanguinaria, che credeva fermamente nell’ultima religione del ventesimo secolo, il comunismo marxista-leninista. Penso che la guerriglia abbia commesso errori atroci nella lotta armata, nella sua
ideologia e nelle azioni di terrore. Ma in più
di cinquant’anni di scontro con lo stato non
è stato possibile sconiggerla con le armi.
La Colombia è il paese latinoamericano
che spende di più per la sicurezza e ha
l’esercito più numeroso. Spendiamo in armi più che per la salute o l’istruzione.
Abbiamo avuto un presidente, Álvaro
Uribe, la cui maggiore ossessione era sterminare la guerriglia che aveva ucciso suo
padre. Uribe indebolì le Farc, ma non le
sconisse. Nel 2010 il suo ministro della difesa, Juan Manuel Santos, è arrivato al potere e, vista la debolezza delle Farc, ha fatto
alla guerriglia la stessa oferta che le avevano fatto tutti i presidenti prima di lui: avviare i colloqui per raggiungere un accordo di
pace. Alla ine le Farc hanno accettato di
abbandonare le armi e trasformarsi in un
partito politico in cambio di garanzie di sicurezza e di una minima rappresentanza in
parlamento alle prossime elezioni.
Prevenire il dolore futuro
In tutte le famiglie c’è qualche invidioso: si
è gelosi anche tra fratelli. Per questo mi
sembra comprensibile e umano che i due
presidenti precedenti (Andrés Pastrana e
Uribe) siano gelosi del fatto che Santos sia
riuscito dove loro hanno fallito. È anche
comprensibile che vogliano nascondere
l’invidia denunciando l’impunità. Ma sono
sicuro che se al potere ci fossero loro farebbero alle Farc la stessa oferta. Invece Belisario Betancur, un presidente molto più
anziano, cattolico e conservatore, che ne ha
viste di tutti i colori ed è ormai molto al di là
del bene e del male, un presidente che stava
per firmare la pace con la guerriglia
trent’anni fa ma poi fu sabotato dall’estrema destra attraverso lo sterminio dei leader
di sinistra e di un intero partito politico,
l’Unión patriótica, voterà sì.
La storia della mia famiglia mi ha insegnato a rilettere sulla soferenza, la giustizia e l’impotenza, sull’umiliazione e la rabbia, sulla vendetta e il perdono. Scrivere
dell’ingiustizia commessa contro mio padre mi ha curato dal bisogno di voler vedere nella realtà la rappresentazione della
giustizia, un carcere per gli assassini. In qualche modo sento
di aver fatto giustizia raccontando la storia così com’è andata.
Sicuramente se mio cognato
avesse potuto parlare del suo sequestro oggi sarebbe più tranquillo e farebbe parte del gruppo favorevole al sì. È per
questo che dopo aver scritto di Federico,
gli chiedo: vivere in un paese in cui i tuoi
sequestratori sono liberi e fanno politica
non è meglio che vivere in un paese dove
quelle stesse persone si aggirano intorno
alla tua casa, minacciando i tuoi igli e i
tuoi nipoti?
La pace non si fa per ottenere una giustizia piena, ma per dimenticare il dolore
passato, diminuire il dolore presente e prevenire le soferenze future. u fr
L’AUTORE
Héctor Abad Faciolince è uno scrittore e
giornalista colombiano nato a Medellín nel
1958. L’ultimo libro pubblicato in Italia è
L’oblio che saremo (Einaudi 2014).
India
GETTY IMAGES
Srinagar, 26 luglio 2016
La nuova rivolta
del Kashmir indiano
Elizabeth Puranam, Al Jazeera, Qatar. Foto di Yawar Nazir
L’uccisione di un leader separatista ha scatenato la rabbia dei giovani kashmiri e la
risposta violenta della polizia. Portando la tensione nello stato a livelli pericolosi
60
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
A
bdul Rehman Mir ha trasformato in rabbia il dolore per la morte del iglio. È seduto sul pavimento del soggiorno
nella piccola casa di famiglia a Tengpora, un quartiere di Srinagar,
la capitale estiva del Kashmir indiano, intorno a lui ci sono una trentina di vicini. Suo
iglio Shabir, 24 anni, è stato ucciso dalla
polizia il 10 luglio, due giorni dopo l’inizio
delle proteste di massa contro le forze di sicurezza indiane che avevano ucciso il giovane leader ribelle Burhan Wani. Gli amici
lo incoraggiano a parlare, ma Mir è riluttante. “A cosa serve parlarne?”, dice. “Voglio
solo giustizia. Qualunque cosa succeda dopo, non m’importa”. Uno dei vicini di casa
cerca di calmarlo. “Oggi è successo a tuo
iglio, ma domani potrebbe toccare al mio.
Noi siamo con te”.
Mir comincia ad aprirsi, raccontando
che la sera del 10 luglio la sua famiglia stava
bevendo il tè davanti alla tv dopo essere tornata a casa dalla vicina moschea. A un tratto
Mir ha sentito delle urla. Da una inestra ha
visto alcuni poliziotti sfondare le inestre al
piano terra. Hanno fatto irruzione sparando
gas lacrimogeno, racconta. “Gli ho chiesto
perché ci sparavano: ‘Cosa abbiamo fatto?
Siamo a casa nostra, non siete musulmani
come noi?’”, ricorda. La polizia ha picchiato
lui e sua moglie, Shahazada Banu, 47 anni,
e quando Shabir ha cercato di intervenire
“gli hanno sparato allo stomaco. Lui ha cercato di scappare dalla inestra ma gli agenti
l’hanno inseguito e gli hanno sparato un secondo colpo allo stomaco. Ha fatto qualche
passo e poi è caduto”, racconta Mir issando
la parete. “È morto tra le mie braccia”.
Shabir era il secondo di cinque igli, lavorava come piastrellista ed era lui a mantenere la famiglia. Nel quartiere dicono che
la sera della morte di Shabir non c’erano
manifestazioni davanti alla casa dei Mir,
ma alcuni ragazzi che stavano protestando
poco lontano erano arrivati da quelle parti
per cercare rifugio dalle forze di sicurezza.
La famiglia Mir ha provato a presentare
al commissariato locale una denuncia contro un alto funzionario di polizia che, dicono, aveva sparato a Shabir, ma la polizia
l’ha respinta. L’alta corte dello stato ha
quindi avviato un’indagine per oltraggio
contro l’ispettore capo e il sovrintendente
capo della polizia per essersi riiutati di accogliere la denuncia. Ma qualche giorno
dopo la corte suprema ha revocato l’accusa
e ordinato una nuova indagine. Il corpo di
Shabir è stato riesumato ed è stata fatta
un’autopsia, ma i risultati non sono ancora
noti. L’ispettore capo della polizia, Syed
Javaid Mujtaba Geelani, si è rifiutato di
commentare.
Gli attivisti per i diritti umani denunciano l’impunità garantita alle forze di sicurezza. “I governi che si sono succeduti a New
Delhi hanno reso impossibile ottenere giustizia”, dice Khurram Parvez, coordinatore
del programma della Coalizione della società civile del Jammu e Kashmir (Jkccs).
“La violenza perpetrata nel Jammu e
Kashmir è istituzionale”, aggiunge Parvez,
che con la sua organizzazione documenta
le violazioni dei diritti umani nello stato e
fornisce assistenza legale alle vittime (Parvez è stato arrestato il 15 settembre a Srinagar senza un motivo preciso). In un suo rapporto la Jkccs ha documentato 313 casi di
presunti abusi commessi da mille poliziotti
e agenti delle forze di sicurezza tra il 1990 e
il 2015. Nessuno dei sospettati, ha spiegato
Parvez, è stato processato.
L’origine della crisi
Shabir è una delle novanta persone uccise
nelle più gravi proteste antigovernative degli ultimi sei anni. Tra le vittime ci sono anche sette uomini delle forze di sicurezza. I
disordini sono scoppiati l’8 luglio, dopo
l’uccisione di Burhan Wani, 22 anni, un leader dei ribelli diventato molto popolare grazie ai social network. La storia di Wani è
ormai una leggenda. Era un liceale di 15 anni con ottimi voti quando le forze di sicurezza avvicinarono lui e suo fratello Khalid.
Khalid comprò agli agenti delle sigarette,
come gli avevano chiesto, ma questi lo picchiarono comunque e gli fracassarono la
bici. Wani interruppe gli studi e si unì al
gruppo armato Hizbul mujahideen, che si
batte per l’adesione del Kashmir al Pakistan
ed è considerato un’organizzazione terroristica da India, Stati Uniti e Unione europea.
Khalid è stato ucciso dalle forze di sicurezza
nel 2015 perché pare avesse reclutato uomini per conto di Burhan, ma la sua famiglia
dice che è stato torturato e ucciso perché
era il fratello di un leader ribelle.
Decine di migliaia di persone hanno assistito ai funerali di Wani, mentre i manifestanti si sono riversati per le strade. “Wani
recluterà più gente dalla tomba che da vivo”, dice Umair Gul, che studia i gruppi armati dell’India all’università Jamia millia
islamia di New Delhi. In tutto il Kashmir il
nome del leader ribelle ricorre nei graiti
sui muri delle case e risuona dagli altoparlanti delle moschee che difondono canzoni
per celebrarlo. Nella zona di Nowhatta, nel
centro di Srinagar, un giovane manifestante di 19 anni spiega: “Burhan Wani non era
un terrorista, era un combattente per la libertà. Per noi kashmiri era quello che Gandhi è stato per voi”.
Nella stessa zona Faizan, studente universitario di 19 anni, fa parte di un gruppetto che sta tirando pietre contro le forze di
sicurezza. Quando gliene chiediamo il motivo risponde: “Per la libertà”. Arrivano perino bambini di quattro anni, che gli uomini
più anziani guardano sorridendo. “Non c’è
altra soluzione”, dice Faizan. “È dal 1947
che commettono crimini contro di noi. Tanti ragazzi sono stati uccisi o feriti. Le forze di
sicurezza stanno dalla parte di New Delhi,
entrano nelle nostre moschee, rompono le
nostre inestre, entrano nelle nostre case
mentre preghiamo, picchiano le nostre madri, le nostre sorelle. Vogliamo vendicarci”.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
61
India
Una ventina di paramilitari delle Forze centrali di completamento (Crpf ), dotati di
scudi per proteggersi dai sassi, sono il bersaglio di Faizan, a un centinaio di metri di
distanza. Il viceispettore Hari Om dice:
“Non capiscono la situazione. Queste persone che inneggiano al Pakistan hanno dimenticato la storia. Il Pakistan le attaccò e
noi arrivammo qui per proteggerle. Anche
oggi siamo qui per difenderli”.
Le parole del poliziotto rispecchiano
l’opinione prevalente in India sulla storia
del Kashmir e la linea attuale del governo. Il
partito nazionalista indù Bharatiya janata
party (Bjp), che è al potere a New Delhi, nel
2014 è entrato a far parte della coalizione di
governo del Jammu e Kashmir, a maggioranza musulmana, per la prima volta nella
storia dello stato. Ha l’appoggio della popolazione indù, che è la maggioranza nella
parte meridionale, il Jammu. Nirmal Singh,
del Bjp, è il vice primo ministro dello stato.
“Il Pakistan non accetta che il Kashmir sia
parte integrante dell’India”, dice.
Inseparabile
La regione del Kashmir, abitata da una
maggioranza musulmana, è stata divisa tra
India e Pakistan ma è rivendicata da entrambi i paesi da quando questi ottennero
l’indipendenza dai britannici, nel 1947.
Quando gli chiediamo cosa pensa dei graffiti con frasi come “Cani indiani andate
via”, il viceispettore Hari Om risponde garbatamente: “Potrebbe essere la propaganda di un altro paese per disorientare la gente”, riferendosi al Pakistan. “Ma anche i
politici locali inculcano idee sbagliate nei
bambini”, aggiunge con un cenno del capo
in direzione dei manifestanti. “Guardate,
c’è un bambino di cinque anni che lancia
sassi, un altro di appena tre anni!”.
Il governo indiano definisce spesso il
Kashmir un suo atoot ang, una sua parte inseparabile. Ma la maggior parte degli abitanti dello stato sembra pensarla diversamente. Nella sua edicola parzialmente distrutta, nell’area di Lal Chowk, al centro di
Srinagar, il quarantenne Ahmed Mizgar dice di aver perso un sacco di soldi dall’inizio
delle proteste. “Il governo di New Delhi dichiara che siamo una parte integrante dello
stato, ma non ci considera suoi cittadini.
Non si cura di chi vive qui. Vuole la terra,
non la gente”, dice avvilito.
Lal Chowk di solito la domenica pomeriggio brulica di attività, ma dopo l’uccisione di Wani il governo ha imposto un rigido
coprifuoco per tenere la gente lontana dalle
strade. L’autostrada che collega la valle del
Kashmir al resto dell’India è stata chiusa. Il
62
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
telefono e i collegamenti a internet sono
stati tagliati o funzionano a intermittenza. I
negozi restano chiusi tutto il giorno. Quando inisce il coprifuoco i bambini escono a
giocare per strada o vanno in bicicletta, gli
anziani si avventurano a comprare il giornale; gruppi di uomini giocano a carrom sui
marciapiedi, ma non vogliono farsi fotografare perché, dicono, potrebbe dare l’impressione che in Kashmir sia tornata la normalità. “Il governo impone il coprifuoco
sostenendo che la situazione è un problema
di ordine pubblico. Non è vero. È una questione politica. Devono risolverla politicamente, parlare con noi, e invece ci uccidono
e ci fanno del male”, dice Mizgar.
Dall’8 luglio almeno 8.500 persone sono
state ferite da fucili che sparano centinaia
di minuscole sfere d’acciaio con un solo colpo. L’ospedale Shri maharaja Hari Singh di
Srinagar è pieno di feriti e inora quasi cinquecento persone sono state curate per gravi lesioni agli occhi. Mohammed, 18 anni,
giace immobile in un letto con il torso cri-
Da sapere
Territorio conteso
1947 Alla ine del suo dominio sul
subcontinente indiano, il Regno Unito lo divide
tra due stati: l’India, a maggioranza indù, e il
Pakistan, a maggioranza musulmana. Tra i due
paesi scoppia la guerra per il Kashmir.
1948 Una risoluzione del Consiglio di sicurezza
dell’Onu chiede un referendum sullo status del
territorio conteso, il ritiro delle truppe
pachistane e la riduzione di quelle indiane. Si
arriva al cessate il fuoco ma il Pakistan non si
ritira. Il Kashmir, quindi, viene diviso in due.
1951 Alle elezioni nel Jammu e Kashmir vince la
parte favorevole all’annessione all’India. Da
allora per New Delhi il referendum chiesto
dall’Onu è superluo.
1972 Alla ine della terza guerra per il Kashmir,
viene stabilita la line of control e India e Pakistan
s’impegnano a trattare per risolvere le dispute.
Ancora oggi le relazioni tra i due paesi si basano
su questo accordo.
1987 Comincia la rivolta dei giovani kashmiri
contro New Delhi. Tre anni dopo una legge dà
poteri speciali all’esercito in Kashmir.
vellato di piccoli fori dove il giorno prima
sono entrati i pallini. Ha lo sguardo isso al
soitto. Le lastre accanto al suo letto mostrano che ha diversi pallini nel cuore, nei
polmoni e nello stomaco. Suo cugino Amir,
vent’anni, racconta che Mohammed stava
lanciando pietre contro le forze di sicurezza
durante le proteste nel villaggio di Imam
Sahib nel distretto di Shopian, quando gli
agenti lo hanno colpito. Aggiunge che il cugino non ha la forza di parlare. Quando
chiediamo se tornerà a protestare, Amir risponde per lui: “Cos’ha da perdere?”.
Mirare agli occhi
Come Mohammed, anche il diciottenne
Mehraj stava lanciando pietre contro le forze di sicurezza. Ha il volto coperto di ferite,
gli occhi pesti e goni. Nessuno dei feriti con
cui abbiamo parlato vuole rivelarci il suo
vero nome per paura di essere identiicato.
I medici non sanno se Mehraj perderà la vista all’occhio destro, completamente chiuso per il goniore. “Se Dio vuole e il mio occhio guarisce, tornerò a manifestare”, dice
il ragazzo. I letti nel reparto di oftalmologia
sono pieni di giovani con gli occhiali da sole. Il dottor Yusef, 27 anni, spiega che delle
migliaia di ferite da pallini trattate dall’8
luglio, “la maggior parte sono sopra la vita:
al petto, alla testa e agli occhi. Hanno volutamente mirato agli occhi”, spiega.
Il portavoce dei paramilitari delle Crpf,
Rajesh Yadav, dice che usano i fucili solo
quando non possono fare altrimenti. “I soldati non sono qui per colpire civili innocenti. Il Crpf si è attenuto alla massima moderazione. Se qualcuno viene ferito o ci sono
vittime, è solo perché si stavano avvicinando troppo al campo militare”, aggiunge.
“Cercano di ferire qualcuno, di rubare le
armi e di dare fuoco ai bunker. Solo in quel
caso vengono usati i fucili a pallini”. Yadav
sostiene che negli scontri siano rimasti feriti tra i 1.600 e i 1.800 poliziotti, ma non ci ha
permesso di incontrarli. Secondo il dottor
Yusef, che ci ha chiesto di non rivelare il suo
nome completo, le ferite non fermeranno i
manifestanti. “Abbiamo pazienti con l’intestino perforato che ci chiedono quando potranno tornare per le strade”, racconta. A
diferenza di Mohammed e Mehraj, che riconoscono di aver lanciato sassi contro le
forze di sicurezza, molti pazienti dicono che
stavano manifestando paciicamente, che
erano semplici passanti o che si trovavano
in casa, come la famiglia Mir, quando sono
stati colpiti da pallini o proiettili.
Nelle regioni meridionali del Kashmir,
dove si trova gran parte dei ribelli superstiti,
le proteste sono più violente. La città di Bij-
GEtty IMAGES
Srinagar, 2 settembre 2016
behara, nel distretto di Anantnag, è accanto
all’autostrada. I dimostranti hanno allestito
posti di blocco con mucchi di pietre, tronchi
e ilo spinato per tenere lontani gli agenti e i
mezzi d’informazione. Centinaia di ragazzi
e uomini arrabbiati lanciano pietre e insulti
contro un grosso contingente di soldati e
poliziotti. Il sibilo dei lacrimogeni lacera
l’aria. La rabbia è palpabile su entrambi i
fronti. Un uiciale dell’esercito aferra per
il colletto il nostro fotografo e gli chiede di
cancellare le foto. Un altro urla: “State distruggendo la reputazione dell’India
all’estero!”.
Atif Hassan, un negoziante di trent’anni, dice di essere stato arrestato o fermato
quasi sessanta volte dopo le proteste del
2008 contro la decisione di New Delhi di
espropriare alcuni terreni per destinarli a
un sito di pellegrinaggio indù. Per i kashmiri quell’esproprio era un tentativo di insediare gli indù nella valle e cambiarne la demograia. Hassan è stato arrestato anche
durante le proteste del 2010, scoppiate dopo che tre uomini erano stati uccisi per mano dell’esercito indiano che li aveva dichiarati terroristi, ma che poi risultarono innocenti. Quando gli chiediamo perché ha
continuato a protestare, Hassan risponde:
“Dobbiamo perdere qualcosa se chiediamo
qualcosa. Noi chiediamo la libertà. Chiediamo quello che ci avevano promesso nel
1947. Quand’ero un ragazzo avevo paura di
loro, ma ora no. Adesso siamo oltre la paura”. Hassan vuole la libertà dall’India e la
possibilità di scegliere sull’annessione al
Pakistan. “Se osservate l’andamento delle
proteste in Kashmir, non fanno che intensiicarsi. I kashmiri sono sempre più disperati”, ha detto Khurram Parvez. “Un tempo,
se le forze di sicurezza sparavano per le
strade, la gente non usciva di casa per intere
giornate. Oggi le persone attaccano le stazioni di polizia, i campi dell’esercito. L’India
ha sfruttato la paura come un’arma, ma ne
ha abusato. E adesso la gente non si lascia
più intimorire”.
In tutto il Jammu e Kashmir lo slogan
che si sente più spesso è “Hum kya Chahte?
Azadi!” (Cosa vogliamo? La libertà!), ma il
problema di chi rivendica il diritto di scegliere tra continuare a far parte dell’India,
annettersi al Pakistan o diventare indipendenti è che il governo indiano non intende
concedere quel diritto. Il Partito democratico del popolo (Pdp), che governa lo stato
insieme al Bjp, non sembra disposto a negoziare. “Un referendum non è tra le nostre
priorità”, dice un portavoce del Pdp, Nayeem Akhter. “Uno slogan non è una soluzio-
ne”. Gli fa eco il vice primo ministro Nirmal
Singh: “Il referendum non è accettabile a
nessuna condizione. Questa è la posizione
del Bjp, del governo del Jammu e Kashmir e
di tutti i partiti principali, compreso il partito del Congress e la National conference”.
Il movimento che si batte per il diritto del
Kashmir all’autodeterminazione attraverso
un plebiscito è l’All parties Hurriyat conference, un’alleanza di gruppi politici separatisti creata nel 1993. L’Hurriyat gode di un
vasto consenso nella regione, ma non ha
mai governato perché non riconosce i diritti della costituzione indiana sul Kashmir.
Mirwaiz Umar Farooq è il capo della fazione Hurriyat awami action. Farooq, che
era rimasto coninato nella sua casa di Srinagar dall’8 luglio, a ine agosto è stato formalmente arrestato. I leader separatisti
come Farooq sono messi spesso agli arresti
domiciliari nel tentativo di tenerli lontani
dai loro sostenitori. Parlando al telefono
dalla sua casa di Srinagar, Farooq dice: “Il
governo indiano non vuole riconoscere che
quello del Kashmir è un problema politico
perché non vuole trovarsi in diicoltà, dal
momento che gli argomenti politici del governo di New Delhi sono molto deboli. Per
questo insiste nel deinire le proteste ‘terrorismo’, ‘estremismo’, ‘fondamentalismo
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
63
India
islamico’. Forse il governo preferisce trattare con una resistenza armata invece che
con una resistenza pacifica. Non hanno
600mila soldati per combattere cento militanti. Hanno truppe per combattere la
popolazione, perché è lì che risiede il vero
potere”, aggiunge. Malgrado la popolarità
di Hurriyat, gran parte dei kashmiri ha
ignorato il suo appello a boicottare le elezioni statali del 2014, che hanno avuto
un’aluenza molto alta. Secondo la coalizione Pdp-Bjp, è la prova che i kashmiri
preferiscono la loro alternativa di “dialogo” all’appello dei separatisti per il referendum. Secondo Farooq, “votando alle
elezioni, i cittadini si esprimono sulle questioni di tutti i giorni: infrastrutture, strade,
acqua, elettricità, ospedali. Non è mai un
voto politico”, sostiene Farooq. Quando gli
chiediamo perché Hurriyat non partecipa
alle elezioni invece di proclamare scioperi
e proteste, lui risponde: “Se si tratta di elezioni il cui unico obiettivo è formare un
governo che ratiichi le pretese dell’India
sul Kashmir, ovviamente per Hurriyat è un
problema perché ha sempre ribadito di
non riconoscerle. Anche le risoluzioni
dell’Onu sono molto chiare: nessuna elezione in Kashmir può sostituirsi all’autodeterminazione”. Su una cosa il governo e
Hurriyat sono d’accordo: entrambi temono che le cose possano solo peggiorare.
Il Pdp per tradizione è sempre stato il
difensore dei diritti umani nel Kashmir indiano. A detta di Akhter, il partito ha “galvanizzato le persone che vivevano nella
zona grigia, che credevano nei metodi paciici ma non nella costituzione”. Ma con
l’aumentare del numero di morti e feriti, la
popolarità del Pdp sembra in declino. “Il
nostro timore è che le persone che si erano
reintegrate nel sistema democratico possano ricadere nello stesso vortice, e allora
sarà più diicile recuperarle”, dice Akhter.
E Farooq riflette: “Negli anni novanta,
quando nacque il movimento, tra i giovani
c’erano rabbia e alienazione. Ma nella generazione di oggi c’è un odio assoluto per
l’India, e questo sta spingendo i ragazzi
verso l’estremismo. Tutti i giovani kashmiri s’identificano con la storia di Burhan
perché ognuno di loro ha soferto per mano delle forze di sicurezza indiane. In questo contesto una nuova generazione di
giovani istruiti viene messa con le spalle al
muro, è spinta a impugnare il fucile e a ricorrere ancora una volta alla violenza, che
ovviamente noi non vogliamo”.
L’esercito indiano forse ha sofocato la
rivolta armata, ma le grida delle persone
comuni sono più forti che mai. u gc
64
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Attualità
Alta tensione tra New Delhi
e Islamabad
Un commando pachistano ha
attaccato una base militare
indiana in Kashmir, scatenando
una guerra di accuse reciproche
l 18 settembre un commando di quattro uomini armati ha preso d’assalto
una base militare a Uri, a un centinaio
di chilometri da Srinagar e vicino alla line
of control, al conine che divide il Jammu e
Kashmir dal Pakistan, uccidendo 18 soldati indiani. Dopo qualche ora di combattimento a fuoco, i quattro miliziani sono
stati uccisi. È il più grave attentato avvenuto in Kashmir negli ultimi anni e, anche
se non è chiaro a quale organizzazione appertenesse il commando, si sa che proveniva dal Pakistan. Secondo l’esercito indiano il mandante sarebbe il gruppo terrorista pachistano Jaish-e-Mohammed. L’attacco ha scatenato una guerra di accuse
reciproche tra New Delhi e Islamabad.
L’India ha puntato il dito contro il Pakistan, accusandolo di essere dietro l’attentato. Il ministro dell’interno indiano Rajnath Singh ha alzato i toni scrivendo su
Twitter che “il Pakistan è uno stato terrorista e dovrebbe essere riconosciuto come
tale e isolato”. Islamabad ha respinto tutte
le accuse liquidandole come “irresponsabili e infondate”.
The Hindu ha parlato esplicitamente
di “terrorismo di stato come linea politica” di Islamabad. Mentre sull’attentato è
stata aperta un’inchiesta e in India è nato
un dibattito acceso su come il governo dovrebbe rispondere a Islamabad, New Delhi ha deciso di isolare diplomaticamente
il Pakistan in tutte le sedi internazionali.
Anche se dall’opinione pubblica indiana
arravino molti appelli per un’azione militare e l’esercito ha chiesto al primo ministro Narendra Modi di prendere in con-
I
Il governo di New Delhi
ha deciso di isolare
diplomaticamente
il Pakistan in tutte le sedi
internazionali
siderazione “attacchi oltre il conine”, la
risposta diplomatica rappresenta l’unica
opzione valida per il governo di New
Delhi. L’esperto di difesa Ajai Shukla, intervistato dalla Bbc, spiega che “il governo Modi ha inasprito la retorica contro il
Pakistan ma non si è dotato contemporaneamente delle capacità militari e strategiche per rispondere con la forza agli attacchi terroristici”. New Delhi non ha le risorse d’intelligence per sferrare attacchi
mirati in territorio pachistano, anche perché il sistema di difesa aerea di Islamabad
è molto potente.
Nel frattempo il 19 settembre il primo
ministro pachistano Nawaz Sharif è volato a New York per partecipare all’assemblea generale delle Nazioni Unite, dove ha
richiamato l’attenzione sulla situazione
nel Kashmir indiano. Gli Stati Uniti, condannando l’attentato di Uri, hanno chiesto
a Islamabad maggiore impegno contro il
terrorismo. Al coro di solidarietà nei confronti dell’India si è aggiunto anche l’Afghanistan, che rivolge al vicino Pakistan la
stessa accusa che gli muove New Delhi:
non controlla (o addirittura appoggia) i
terroristi. Il quotidiano pachistano Dawn
parla di una “campagna difamatoria del
governo indiano per dipingere la rivolta
dei kashmiri come terrorismo ispirato dal
Pakistan”. L’india potrebbe alzare la tensione al conine per distogliere l’attenzione dalle atrocità che commette nel
Kashmir, continua il quotidiano, “quindi
Islamadab deve usare tutto il suo potere
diplomatico senza che i kashmiri si sentano abbandonati”.
Intanto una cinquantina di docenti
universitari, attivisti e scrittori, tra cui
Arundhati Roy, hanno irmato un appello per la liberazione di Khurram Parvez,
attivista della Coalizione della società civile del Jammu e Kashmir, arrestato “a
scopo preventivo” il 15 settembre. Il giorno prima Parvez era stato fermato all’aeroporto di New Delhi mentre era in partenza per Ginevra, dove avrebbe dovuto
partecipare alla sessione della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani. Nell’appello si legge che “l’arresto di
Parvez è indicativo del livello raggiunto
dalla repressione nel Kashmir indiano”. u
Scienza
Solidali
per natura
Frans de Waal, Evonomics, Stati Uniti
Foto di Joanna Tarlet-Gauteur
L’
amministratore delegato
della Enron, che attualmente è in prigione, applicava la logica del gene
egoista ai suoi dipendenti, innescando una
di quelle profezie che si autoavverano. Partendo dal presupposto che le molle principali della specie umana fossero l’avidità e la
paura, Jefrey Skilling produceva dipendenti spinti da queste motivazioni. Nel 2001 la
Enron è implosa proprio sotto il peso della
meschinità dei suoi metodi, anticipando
quello che sarebbe successo al resto
dell’economia mondiale negli anni successivi. Skilling, che era un ammiratore della
teoria genocentrica dell’evoluzione sostenuta da Richard Dawkins, si rifaceva alla
selezione naturale classiicando i suoi dipendenti su una scala da uno (il migliore) a
cinque (il peggiore). Tutti quelli che prendevano cinque venivano licenziati dopo
essere stati umiliati su un sito in cui appariva anche la loro fotograia. A causa di questo sistema le persone erano sempre pronte
a tagliarsi la gola a vicenda, e di conseguenza l’azienda era caratterizzata da una spaventosa disonestà all’interno e da uno spietato sfruttamento all’esterno.
Il vero problema era il modo in cui Skilling vedeva la natura umana. Il libro della
natura è un po’ come la Bibbia: ognuno ci
legge quello che vuole, dalla tolleranza
all’intolleranza, dall’altruismo all’avidità.
66
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Ma sarebbe importante capire che, anche
se i biologi non smettono mai di parlare di
competizione, questo non signiica che la
incoraggino. E se deiniscono i geni egoisti,
non vuol dire che lo siano davvero. I geni
non possono essere più “egoisti” di quanto
un iume possa essere “furioso” o i raggi del
sole “dolci”. I geni sono frammenti di dna,
al massimo possono autopromuoversi, perché i geni di maggior successo aiutano il
loro portatore a difondere più copie di sé.
Come molti prima di lui, Skilling aveva
preso alla lettera la metafora del gene egoista, pensando che se i nostri geni sono così,
allora lo siamo anche noi. Il suo errore è
comprensibile perché, per quanto Dawkins
non intendesse dire questo, non è facile separare il mondo dei geni da quello della psicologia umana se la nostra terminologia li
sovrappone continuamente.
Tenere separati questi due mondi è dificile per chiunque sia interessato a capire
cosa signiichi l’evoluzione per la società.
Dato che procede per eliminazione, l’evoluzione è indubbiamente un processo spietato, ma non è detto che anche i suoi prodotti
debbano esserlo. Molti animali vivono in
comunità e si aiutano a vicenda, e questo
signiica che non sempre rispettano la legge
del più forte: anche i forti hanno bisogno
dei deboli. È un principio che può essere applicato alla nostra specie, se diamo agli esseri umani la possibilità di esprimere il loro
lato collaborativo. Come Skilling, troppi
PICTuRETANk
Molti economisti e imprenditori afermano
che è la concorrenza a muovere il mondo, perché
gli esseri umani sono egoisti. In realtà siamo
anche collaborativi ed empatici
economisti e politici ignorano e sofocano
quest’aspetto. Modellano la società umana
sulla perpetua lotta che, secondo loro, esiste in natura e che in realtà è solo una proiezione. Come prestigiatori, gettano i loro
pregiudizi ideologici nel cappello della natura e poi ne tirano fuori quello che vogliono
per dimostrare che la natura è d’accordo
con loro. Ovviamente la competizione esiste, ma non è l’unica molla che fa agire gli
esseri umani.
Ho studiato questo problema sia come
biologo sia come primatologo. Qualcuno
penserà che un biologo non dovrebbe iccare il naso nei dibattiti politici, ma la biologia è già entrata a farne parte ed è diicile restarne fuori. I fanatici della competizione non resistono alla tentazione di evocare il processo evolutivo. Perino Gordon
Gekko, lo speculatore senza scrupoli interpretato da Michael Douglas in Wall street, il
ilm di Oliver Stone del 1987, lo cita nel suo
famigerato discorso sull’avidità: “Il punto
è, signore e signori, che l’avidità, non trovo
una parola migliore, è valida, l’avidità è
giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiariica, penetra e cattura l’essenza dello spirito
evolutivo”.
Lo spirito evolutivo? Nelle scienze sociali la natura umana è rappresentata dalla
vecchia formula hobbesiana dell’homo homini lupus, un’afermazione discutibile sulla nostra specie, basata su supposizioni sbagliate a proposito di un’altra specie. Ma lo
spirito evolutivo produce solo avidità, come
sostiene Gekko? Questo modo di pensare
non lo troviamo solo nei personaggi di fantasia. In un editoriale del 2007 sul New York
Times, David Brooks metteva in ridicolo i
programmi sociali del governo statunitense: “Dal contenuto dei nostri geni, dalla
natura dei nostri neuroni e da tutto quello
che abbiamo imparato dalla biologia evoluzionistica, si deduce chiaramente che in
natura regnano la competizione e il conlitto d’interessi”. Ai conservatori piace tanto
pensarlo, ma la suprema ironia della loro
storia d’amore con l’evoluzione è quanto
poco interessa a queste persone sapere cosa
sia veramente.
Durante il dibattito per le presidenziali
del 2008, tre candidati repubblicani alzarono la mano alla domanda “chi non crede
all’evoluzione?”. I conservatori statunitensi
sono darwinisti sociali, non veri darwinisti.
Secondo il darwinismo sociale è sbagliato
aiutare i poveri e gli ammalati, perché la na-
tura vuole che sopravvivano con i loro mezzi o soccombano. Se ci sono persone che
non hanno un’assicurazione sanitaria peggio per loro, dicono, purché ce l’abbiano
quelle che se la possono permettere. Jon
Kyl, un senatore dell’Arizona, è andato perfino oltre, suscitando scalpore sui mezzi
d’informazione e proteste nel suo stato: ha
votato contro una legge che obbligava le polizze sanitarie a coprire le spese per la maternità. Lui non ne aveva mai avuto bisogno, ha spiegato.
La logica secondo cui la competizione è
positiva per tutti è diventata molto popolare
da quando Ronald Reagan e Margaret
Thatcher ci hanno assicurato che il libero
mercato avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Ma da quando è scoppiata la crisi economica ovviamente quest’idea va molto
meno di moda. Ai paladini del libero mercato piace pensare che ogni individuo sia
un’isola, ma non siamo fatti di puro individualismo. Anche l’empatia e la solidarietà
fanno parte della nostra evoluzione, e non
sono un’acquisizione recente, sono tratti
vecchi come il mondo che condividiamo
con altri mammiferi.
Molti grandi progressi sociali – la democrazia, la parità di diritti, la previdenza sociale – sono stati resi possibili dalla solidarietà. I rivoluzionari francesi inneggiavano
alla fraternité, Abraham Lincoln faceva appello alla compassione e Theodore Roosevelt definiva la solidarietà “il fattore più
importante per realizzare una vita politica e
sociale sana”.
La ine dello schiavismo ne è un esempio. Viaggiando nel sud degli Stati Uniti,
Lincoln aveva visto gli schiavi in catene e,
come aveva scritto a un amico, quest’immagine lo aveva tormentato. Era stato il
sentimento di pietà a spingere lui e molti
altri a combattere lo schiavismo. Oppure
prendiamo il dibattito sull’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. Qui l’empatia ha un
ruolo importante e inluenza il modo in cui
guardiamo alle sofferenze delle persone
che sono state emarginate dal sistema o rimaste senza l’assicurazione perché hanno
perso il lavoro. Pensate al termine stesso:
non la chiamiamo “industria” sanitaria ma
“assistenza” sanitaria, proprio perché riguarda l’interesse umano per gli altri.
Fuori dal contesto
Ovviamente non è possibile comprendere
la natura umana fuori dal contesto del mondo naturale, e qui entra in gioco la biologia.
Se osserviamo la nostra specie senza lasciarci accecare dai progressi tecnici degli
ultimi millenni, ci rendiamo conto che siaInternazionale 1172 | 23 settembre 2016
67
Scienza
mo creature fatte di carne e ossa con un cervello che, sebbene tre volte più grande di
quello di uno scimpanzé, non contiene parti diferenti. Può anche darsi che il nostro
intelletto sia superiore, ma tutti i nostri bisogni fondamentali possono essere osservati nei nostri parenti più stretti. Anche loro,
come noi, lottano per il potere, amano il
sesso, cercano sicurezza e afetto, uccidono
per difendere il loro territorio e attribuiscono valore alla iducia e alla collaborazione.
Noi usiamo i cellulari e gli aerei, ma la nostra psiche è essenzialmente quella di un
primate sociale.
Anche senza afermare che gli altri primati sono esseri morali come noi, non è
diicile riconoscere nel loro comportamento i princìpi fondamentali della moralità.
Questi princìpi sono riassunti in una regola
aurea che trascende tutte le culture e le religioni: “Non fare agli altri quello che non
tendono alla prosocialità e hanno il senso
della giustizia. Gli scimpanzé aprono spontaneamente una porta per permettere a un
compagno di accedere al cibo. Lo abbiamo
veriicato mettendo due scimmie una vicino all’altra, separate ma a vista. Una di loro
doveva contrattare con noi usando piccoli
gettoni di plastica. Il momento critico arrivava quando gli ofrivamo la possibilità di
scegliere tra due gettoni che avevano significati diversi: uno era “egoista” e l’altro
“prosociale”. Se la scimmia che stava contrattando sceglieva il gettone egoista, poteva scambiarlo con un pezzetto di mela, ma
la sua compagna non riceveva niente. Se
invece sceglieva l’altro, entrambe le scimmie ottenevano un premio. Con il tempo le
scimmie hanno imparato a dare la preferenza al gettone prosociale. La scelta non
era dovuta alla paura di possibili rappresaglie, perché abbiamo visto che gli esemplari
Dopo che uno scimpanzé è stato
attaccato, un compagno va
ad abbracciarlo e lo tiene stretto ino
a quando non smette di guaire
vorresti fosse fatto a te”. La massima fonde
l’empatia (l’attenzione per i sentimenti degli altri) con la reciprocità (se gli altri seguiranno la stessa regola, anche tu sarai trattato bene). Senza l’empatia e la reciprocità,
osservate anche negli altri primati, la moralità umana non potrebbe esistere.
Dopo che uno scimpanzé è stato attaccato, un compagno va ad abbracciarlo e lo
tiene stretto ino a quando non smette di
guaire. La tendenza a consolare è così forte
che un secolo fa Nadia Kohts, una scienziata russa che aveva allevato un piccolo scimpanzé, disse che se scappava sul tetto della
casa, c’era un solo modo per farlo scendere:
sedersi e singhiozzare ingendo di sofrire.
La scimmietta scendeva subito e si precipitava ad abbracciarla.
La tendenza a consolare è stata ampiamente studiata sulla base di centinaia di
casi, perché tra le scimmie è un comportamento difuso e prevedibile. Anche la reciprocità è facilmente osservabile: in genere
gli scimpanzé condividono il cibo con i
compagni che poco prima li hanno aiutati a
pulirsi il pelo o li hanno assistiti in una lotta
di potere. Una molla importante è anche il
desiderio sessuale. Sono stati osservati maschi che correvano gravi rischi entrando
nella piantagioni per prendere delle papaie
da regalare alle femmine fertili.
È stato dimostrato anche che i primati
68
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
dominanti erano anche i più generosi. Probabilmente anche per loro aiutare gli altri
era una gratiicazione in sé.
Da altri studi è emerso che i primati sono disposti a eseguire un compito in cambio
di un cetriolo ino a quando non vedono che
qualcun altro viene ricompensato con un
grappolo d’uva, che è più buona. Cominciano ad agitarsi, gettano a terra il cetriolo e
scendono in sciopero. Il cetriolo non gli piace più, semplicemente perché hanno visto
che un compagno ha qualcosa di meglio.
Nessun dubbio
Molte persone, tuttavia, preferiscono credere nella natura violenta degli animali.
Quando si tratta di comportamenti negativi
non abbiamo mai nessun dubbio sulla continuità tra gli esseri umani e gli altri animali:
quando le persone si massacrano e si uccidono le chiamiamo bestie, mentre a noi
stessi preferiamo attribuire tratti più nobili.
Ma nello studio della natura umana questa
è una strategia sbagliata, perché non tiene
conto di metà della nostra storia. Anche il
lato più gradevole del nostro comportamento è frutto dell’evoluzione.
Tutti sanno come i mammiferi reagiscono alle nostre emozioni e come noi reagiamo alle loro. Questo crea quel tipo di legame che spinge milioni di noi a condividere
la propria casa con cani e gatti. Gli studi
sull’empatia degli animali sono sempre più
numerosi, compresi quelli su come i roditori partecipano al dolore dei loro simili.
Quando vedono sofrire uno di loro, i topi di
laboratorio diventano più sensibili al dolore. Il contagio avviene tra i topi che vivono
nella stessa gabbia, ma non tra quelli che
non si conoscono. È un pregiudizio tipico
anche dell’empatia umana: più siamo vicini
a una persona, più siamo simili a lei e più
facilmente proviamo empatia.
L’empatia trova le sue radici nella mimica corporea più elementare, non nelle regioni più alte del cervello né nella capacità
d’immaginare come ci sentiremmo se fossimo al posto di un altro. È legata alla sincronizzazione dei corpi, alla tendenza a
correre quando gli altri corrono o a sbadigliare quando sbadigliano.
Alcuni ricercatori dell’università di Kyoto hanno mostrato alle scimmie del loro laboratorio un filmato in cui comparivano
degli scimpanzé selvatici che sbadigliavano. Poco dopo anche gli scimpanzé del laboratorio hanno cominciato a sbadigliare.
Con i nostri scimpanzé noi siamo andati
ancora oltre. Invece di mostrargli dei veri
scimpanzé, gli facciamo vedere il disegno
animato tridimensionale di una testa simile
a quella di una scimmia che sbadiglia. A
quel punto le nostre scimmie spalancano la
bocca, chiudono gli occhi e ciondolano la
testa, come se stessero per addormentarsi.
La contagiosità dello sbadiglio dimostra
il potere della sincronia inconscia, profondamente radicata in noi come in altri animali. La sincronia si esprime imitando piccoli movimenti del corpo, come uno sbadiglio, ma si veriica anche su scala più ampia.
Non è diicile capire il suo valore ai ini della sopravvivenza. Se un uccello fa parte di
uno stormo e vede un compagno prendere
improvvisamente il volo, anche se non ha il
tempo di capire cosa sta succedendo prende subito il volo anche lui. Se non lo facesse
potrebbe cadere in pasto a un predatore.
Il contagio serve anche a coordinare le
attività, aspetto cruciale per tutte le specie
che si spostano. Se i miei compagni stanno
mangiando decido di farlo anch’io, perché
una volta ripartiti non potrò più farlo. L’individuo che non si sintonizza con gli altri lo
fa a proprio discapito, come il viaggiatore
che non va in bagno come gli altri quando il
pullman fa una sosta.
La selezione naturale ha prodotto animali altamente sociali e collaborativi. Da
solo un lupo non può abbattere una grossa
preda, e sappiamo che nella foresta gli
scimpanzé rallentano se c’è un compagno
che non riesce a stare al passo a causa di una
PICTuRETAnk
ferita o di un piccolo ammalato. Allora perché accettiamo l’idea della natura violenta
quando abbiamo le prove del contrario?
La cattiva biologia esercita un fascino
irresistibile. Chi pensa che la vita sia solo
competizione e ritiene che i forti debbano
sopravvivere a spese dei deboli abbraccia il
darwinismo come supporto alla sua teoria.
Dipinge l’evoluzione quasi come qualcosa
di divino. John D. Rockefeller era arrivato
alla conclusione che la crescita di una grande impresa fosse “semplicemente il prodotto delle leggi della natura e di Dio”.
Tendiamo a pensare che l’economia sia
stata uccisa da chi corre rischi insensati,
dalla mancanza di regolamentazione o dalla bolla del mercato immobiliare, ma il problema è molto più profondo. Il vero colpevole è stato il fascino della cattiva biologia,
che ha prodotto una grossolana sempliicazione della natura umana. La confusione
tra come opera la selezione naturale e il tipo
di creature che ha prodotto ha portato a negare quello che tiene unite le persone. La
società stessa è stata vista come un’illusione. Thatcher diceva: “La società non esiste,
esistono solo i singoli uomini e donne, e le
famiglie”. Gli economisti dovrebbero rileggere le opere di Adam Smith, che vedeva la
società come un’enorme macchina in cui
gli ingranaggi girano senza sforzo grazie
alla virtù, mentre il vizio li fa inceppare. La
macchina non può funzionare bene se tutti
i cittadini non condividono un forte senso
della comunità. Smith considerava l’onestà,
la moralità, la solidarietà e la giustizia compagne essenziali della mano invisibile del
mercato.
Invece di credere a certe false idee sulla
natura, perché non prestiamo più attenzione a quello che sappiamo davvero sulla natura umana e sul comportamento delle specie che ci sono più vicine? Il messaggio della
biologia è che siamo animali destinati a vivere in gruppo e profondamente sociali,
crediamo nella giustizia e siamo abbastanza collaborativi da essere diventati i padroni
del mondo. La nostra grande forza sta pro-
prio nella nostra capacità di andare oltre la
competizione. Perché non costruire la società in modo tale da esprimere questa forza a tutti i livelli? Invece di mettere gli individui gli uni contro gli altri, dovremmo attribuire più importanza alla dipendenza
reciproca. E per quelli che continuano a
guardare alla biologia per trovare una risposta, la domanda fondamentale che dovrebbero porsi è: perché la selezione naturale ha
plasmato il nostro cervello in modo da farci
sentire in sintonia con gli altri esseri umani,
sofrire quando sofrono e gioire quando
gioiscono? Se nella vita contasse solo sfruttare i nostri simili, l’evoluzione non avrebbe
prodotto l’empatia. Ma lo ha fatto, e le élite
economiche e politiche dovrebbero sbrigarsi a prenderne atto. u bt
L’AUTORE
Frans de Waal è un biologo e primatologo
olandese. Il suo ultimo libro uscito in Italia
è Il bonobo e l’ateo. In cerca di umanità fra i
primati (Rafaello Cortina 2013).
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
69
Portfolio
La storia
in miniatura
Jojakim Cortis e Adrian Sonderegger hanno
ricreato alcune delle fotograie più famose di tutti
i tempi. Per ricordare che un’immagine non va mai
confusa con la realtà, scrive Christian Caujolle
70
Internazionale 1167 | 19 agosto 2016
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
71
tutte le foto: © JoJAKIM CoRtIS & ADRIAN SoNDeReGGeR
Portfolio
l titolo della serie è chiaro, Icons,
ed è irmato da Jojakim Cortis e
Adrian Sonderegger. Anche i titoli delle immagini sono espliciti,
per esempio Making of “Tiananmen” (by Stuart Franklin, 1989),
del 2013, per la foto del ragazzo cinese che
afronta una colonna di carri armati, vista
mille volte su giornali, libri e poster. È un
titolo strettamente informativo: ci dice che
l’immagine rappresenta il making of, il processo di fabbricazione, di un’immagine
preesistente che si può inserire nella categoria delle icone. In realtà quello che vediamo è una ricostruzione in scala ridotta,
fatta con dei modellini di carri armati, del-
I
72
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
la scena che si svolse in piazza tiananmen
a Pechino il 5 giugno 1989 e che fu immortalata da un video e da almeno tre foto. la
scena di un uomo solo, in piedi davanti al
primo carro armato, che mise in diicoltà
il pilota, costretto a girare a sinistra, poi a
destra e inine a fermarsi bloccando l’intera colonna.
l’immagine di riferimento, il documento storico, la conosciamo tutti, torna alla
nostra memoria ed è quella che in un primo
momento ci sembra di riconoscere. Ma subito dopo notiamo i bordi dell’immagine e
gli elementi di contorno di una foto che è
diventata un simbolo. Vediamo in basso a
destra dei pezzi di plastica, oggetti ben no-
ti a chi costruisce modellini in scala, poi
una matita, del nastro adesivo, un accendino, dei pezzi di carta, delle frecce adesive
rimaste inutilizzate, insomma, il tipico disordine di un laboratorio per il bricolage.
Sono elementi che permettono di capire le
reali dimensioni delle cose e che provocano una tensione tra quello che conosciamo,
quello che crediamo, quello che guardiamo
e quello che vogliamo credere. In altre parole, ci accorgiamo che stiamo guardando
un’immagine familiare nel momento in cui
viene fabbricata.
la serie fotograica, brillante e spesso
venata di umorismo, vuole ricordarci che
qualunque immagine è comunque una
fabbricazione, e che sarebbe sbagliato e
pericoloso confonderla con la realtà. La
creazione in studio, i modellini, il gioco di
scala e la presenza di strumenti professionali (per esempio i treppiedi dei rilettori,
che non hanno niente a che vedere con
l’universo dei documenti di attualità) insinuano dei dubbi su quello che vediamo. Di
fatto, non possiamo più affermare che
l’immagine di cui vediamo il processo di
fabbricazione ci darà un’informazione,
qualcosa di “vero” o di “falso”. Si tratta
semplicemente di un’immagine ricostruita e illuminata, che, senza riprodurre fedelmente la fotograia originale, ne mette
in evidenza alcuni elementi, mostrando
ovviamente il punto di vista (prima di tutto
isico) dell’operatore. Tutto questo è realizzato con una precisione maniacale ma al
tempo stesso con il sorriso.
Senza dirlo in modo esplicito, Cortis e
Sonderegger lo confessano indirettamente con la prima immagine che hanno ricreato, Rhein II di Andreas Gursky, del 1999.
Si tratta di una grande fotograia in formato orizzontale (360 centimetri per 190),
uno degli scatti più astratti della star tedesca, che mostra il Reno mentre scorre tra
campi verdi sotto un cielo coperto, venduta all’asta nel 2011 per la cifra record di 4,3
milioni di dollari.
“Abbiamo studiato fotograia alla scuo-
Alle pagine 70-71: Making of
“Tiananmen” (by Stuart Franklin,
1989), 2013. Qui sopra, a sinistra:
Making of “Nessie” (by Marmaduke
Wetherell, 1934), 2013. A destra:
Making of “9/11” (by John Del Giorno,
2001), 2013.
la di belle arti di Zurigo (Zhdk) e ci siamo
diplomati nel 2006”, raccontano Cortis e
Sonderegger. “Avevamo già cominciato a
collaborare e dopo la scuola abbiamo continuato a lavorare insieme, cercando degli
incarichi anche commerciali per mantenerci. Poi nell’estate del 2012 abbiamo deciso di fare qualcosa di più personale, che
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
73
Portfolio
Sopra: Making of “AS11-40-5878” (by
Edwin Aldrin, 1969), 2014. Qui
accanto: Making of “Concorde” (by
Toshihiko Sato, 2000), 2013. Nella
pagina accanto, in alto: Making of
“Olympia München” (by Ludwig
Wegmann, 1972), 2014. In basso:
Making of “Five soldiers silhouette at
the battle of Broodseinde” (by Ernest
Brooks, 1917), 2013.
ci appassionasse veramente. Ci è venuta
l’idea di rimettere in scena a modo nostro
quella che era diventata la fotograia più
costosa del mondo. Volevamo copiare anche altre foto da collezionisti, ma presto ci
siamo resi conto che non sarebbe stato
semplice realizzarle. Molte di queste fotograie infatti rappresentano delle persone,
e ricrearle come modellini è molto diici-
74
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
le, spesso troppo diicile, se non si vuole
cadere nel ridicolo. Quindi abbiamo deciso di allargare il campo e di lavorare sulle
fotografie icona, in particolare su quelle
che eravamo in grado di ricostruire”.
Così è arrivata la prima fotografia di
Joseph Nicéphore Niépce, del 1826 o 1827,
e più di recente quella particolarmente riuscita dell’uomo che salta dietro la Gare
Saint-Lazare di Henri Cartier-Bresson. In
seguito i due fotograi svizzeri hanno realizzato una versione verticale del soitto
rosso di William Eggleston (ancora
dell’ironia, ma questa volta più graiante),
e altre icone della storia della fotograia,
come il soldato colpito a morte di Robert
Capa. Ma anche foto che, come l’incidente
del Concorde, le maree nere, l’uccisione
del presidente Kennedy, appartengono
alla nostra memoria non per questioni
estetiche ma perché sono legate a eventi di
rilevanza globale.
In questo modo due famiglie di icone si
mescolano, si articolano e finiscono per
creare una piccola storia della fotograia,
ricostruita dai due giovani artisti. Il loro
obiettivo è creare quaranta immagini da
raccogliere in un libro già in programma
per il 2018, ma dovranno afrontare molti
ostacoli. In questo momento stanno ricreando il Flatiron building di Edward J. Steichen e devono ancora risolvere il problema
degli alberi in primo piano, ma prima o poi
troveranno una soluzione. Al contrario,
temono di non riuscire a riprodurre la fotograia icona di Nick Ut, quella della bambina vietnamita in fuga dal suo villaggio
dopo i bombardamenti al napalm dell’esercito statunitense: “Ci sono troppe persone,
alcune delle quali in primo piano. È troppo
diicile. Il risultato potrebbe essere grottesco. E non possiamo correre il rischio che
gli spettatori si mettano a ridere”.
Questo lavoro, che s’inserisce nel ilone
di rilettura della fotograia e della sua storia, ci dice che ogni immagine è una costruzione, prima di tutto mentale e poi
materiale. I fotograi che lavorano sul terreno dicono spesso che nella realtà trovano immagini che sono già nella loro mente.
Cortis e Sonderegger traggono ispirazione
da una storia della fotograia che ha creato
una memoria collettiva forte, che tiene insieme forma, avvenimenti, scritture e punti di vista. Senza essere distruttori o farci la
morale, hanno trovato il tono giusto per
farci rilettere sulla natura di questa memoria illusoria. E hanno ragione. u adr
Da sapere
La mostra
u Una selezione di
fotograie tratte da
Icons di Jojakim
Cortis e Adrian
Sonderegger è in
mostra ino al 2
ottobre al Théâtre de
verdure e al Jardin du
rivage durante il
Festival images di
Vevey, la principale
biennale di arti visive
svizzera (images.ch).
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
75
Ritratti
Jason Njoku
Vedo nero
Andrzej Rybak, Die Zeit, Germania. Foto di Benedikte Kurzen
Ha fondato il primo servizio
di streaming africano per
distribuire i ilm di
Nollywood, l’industria
cinematograica nigeriana.
E ha scoperto un mercato
dal potenziale enorme
ason Njoku si scusa per il ritardo. Si lascia cadere su un divano nell’open space, accanto alle lunghe ile di scrivanie dei
suoi collaboratori, e si asciuga
la fronte imperlata di sudore.
“Mi ci è voluta un’ora e mezza per un tragitto che in genere faccio in venti minuti”, dice. “Certe volte questa città mi manda fuori
di testa”. Njoku, imprenditore, è un uomo
robusto di 36 anni. È cresciuto a Londra e il
suo accento britannico lo dimostra. “Sono
a Lagos ormai da sei anni, e continuo a sentirmi sempre un po’ perso”, dice.
Nella capitale nigeriana le ile di auto
possono essere lunghe chilometri, ma gli
afari superano ogni ingorgo. Da due anni la
Nigeria ha scavalcato il Sudafrica ed è la più
grande economia del continente. L’industria è in rapida crescita, anche quella cinematograica. Dalla ine degli anni novanta
il settore è in continua crescita: oggi dà lavoro a circa un milione di persone e produce
duemila ilm all’anno, più di Hollywood. La
fabbrica dei sogni nigeriana rappresenta
l’1,4 per cento dell’economia nazionale. E
ha un nome: Nollywood.
Njoku è in prima linea in questo settore.
In meno di sei anni è diventato il più importante distributore online di ilm nigeriani.
La sua azienda, Irokotv, è una sorta di
Netlix locale. Nel 2015 sulla sua piattaforma sono state fatte trecento milioni di ricer-
J
76
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
che da utenti di tutto il mondo. Irokotv detiene i diritti per lo streaming di seimila ilm
nigeriani, molti più di qualunque concorrente, e ha ricevuto circa 35 milioni di dollari di investimenti, una cifra che non ha pari
tra le altre startup africane.
Njoku non porta felpe con il cappuccio
da nerd. Preferisce gli abiti tradizionali nigeriani: una camicia grigio chiaro senza
colletto e pantaloni di cotone leggeri. Ma
una cosa lo accomuna alle grandi aziende
tecnologiche californiane: prima di diventare milionario, Njoku ha avuto un’ininità
di idee e altrettanti fallimenti. Quando studiava chimica a Manchester fondò una rivista studentesca che non gli fruttò un soldo.
Qualche anno dopo creò un sito di notizie
per banchieri, ma lo lanciò proprio nella
settimana in cui la banca d’investimento
Lehman Brothers dichiarò bancarotta scatenando una crisi finanziaria mondiale.
“L’idea era buona, la tempistica disastrosa”, commenta Njoku. Oggi ci ride su, ma
all’epoca perse tanti di quei soldi che dovette tornare a vivere a casa della madre in un
quartiere operaio dove abitavano molti nigeriani. “Ero un perdente”, ricorda. “Mi
vergognavo a morte”.
La madre passava le giornate seduta
davanti alla tv a guardare ilm e soap opera
nigeriane che comprava al mercato di
Brixton. Il suo idolo non era Leonardo DiCaprio ma Richard Mofe Damijo. Njoku
iutò l’afare: “Volevo approfondire la cosa,
e presi subito un aereo per Lagos”.
Biograia
◆ 1980 Nasce a Londra, nel Regno Unito.
◆ 2010 Si trasferisce in Nigeria e crea il canale
Nollywoodlove su YouTube.
◆ 2011 Fonda Irokotv.
◆ 2015 Lancia un’applicazione per Android.
La capitale nigeriana è un inferno con
18 milioni di abitanti, blackout quotidiani,
burocrazia corrotta e un traico al collasso.
Ogni mattina centinaia di migliaia di persone a bordo di piccoli autobus gialli arrivano dai sobborghi nel quartiere degli afari, dove i grattacieli delle banche svettano
tra baracche di lamiera e mercati all’aperto. Sulla cima dei grattacieli lampeggiano
le insegne delle grandi banche, nelle strade si vendono sigarette, caricatori per cellulari e ilm su cd.
In Nigeria un ilm si gira in una settimana e costa tra i 10mila e i 25mila dollari. Le
storie raccontano la vita quotidiana di gente semplice, crisi matrimoniali e scappatelle, imbrogli, ricatti e violenza. Sono storie
in cui si ride e si litiga, storie piene di drammi e gesti estremi. Quando Njoku arrivò a
Lagos i ilm venivano copiati su cd e venduti nei mercati: i cinema erano una rarità,
e non esistevano altri canali di distribuzione. Così Njoku decise di provare a vendere
i ilm su internet. Era nata l’idea di Irokotv:
mancavano solo i soldi.
Njoku prese un volo per Londra e andò
a trovare un amico con cui aveva studiato a
Manchester, un tedesco di nome Bastian
Gotter che lavorava come trader di petrolio. Non aveva mai sentito parlare di Nollywood, ma era pronto a lanciarsi nell’avventura. Vendette le sue azioni, chiese un
prestito ai genitori in Germania e rispedì
Njoku a Lagos con centomila euro. Era
l’autunno del 2010. All’epoca nessuno in
Nigeria aveva mai visto un ilm online. “Mi
sembrava di venire dal futuro”, racconta
Njoku. “I produttori non immaginavano
nemmeno di cosa si trattasse, a volte riuscivo a comprare i diritti per cento dollari
appena”. Oggi per un ilm ne spende anche
25mila.
Dopo sei mesi Irokotv aveva 25 collabo-
NOOR
ratori e deteneva i diritti di 800 film.
L’azienda cominciò a difondere i ilm su
YouTube con il marchio Nollywoodlove,
guadagnando con le inserzioni pubblicitarie. All’epoca il commercio online era un
mercato di nicchia, e se Irokotv voleva averne il controllo doveva acquisire il maggior
numero di ilm nel più breve tempo possibile. “Dovevamo raggiungere rapidamente la
massa critica”, racconta Gotter, un biondino di 36 anni magro e con un viso da ragazzo. “Avevamo una sola possibilità”.
Nuove strade
Gotter e Njoku furono contattati da diversi
investitori, inché entrò in gioco la Tiger
Global, un fondo d’investimento statunitense con tre milioni di dollari di capitale.
Con quei soldi alla ine del 2011 avviarono
una loro piattaforma streaming che ofriva
abbonamenti mensili. Gotter lasciò il lavoro e si trasferì a Lagos.
Njoku e Gotter non hanno solo trovato
un nuovo canale di distribuzione: hanno
rivoluzionato l’intero sistema di inanziamento dell’industria cinematograica nigeriana. Prima i produttori avevano solo
due settimane per guadagnare qualcosa
dai loro ilm: in questo lasso di tempo dovevano vendere il maggior numero possi-
bile di cd per ammortizzare i costi prima
che entrasse in gioco il mercato pirata. Ma
all’improvviso si ritrovarono con una piattaforma online disposta a pagare i diritti.
Njoku e Gotter non hanno uici personali: siedono insieme agli altri collaboratori nell’open space di un palazzo di quattro
piani nell’Antony Village, un quartiere del
ceto medio di Lagos. L’arredamento è semplice, tavoli in legno pressato e sedie mezze rotte, niente che somigli alle startup alla
moda. All’ingresso, come in ogni uicio di
Lagos, ci sono due guardie armate per evitare rapine. Oggi Irokotv ha più di cento
dipendenti a Lagos, New York e Londra e
cerca nuove strade. Per l’azienda gli introiti dello streaming sono sempre meno importanti, mentre cresce il volume d’afari
delle app per scaricare ilm sugli smartphone: secondo Njoku è il mercato con il
maggior potenziale di crescita.
Nell’Africa subsahariana ci sono 180
milioni di smartphone. Nel 2020 dovrebbero essere tre volte di più. I pendolari di
Lagos stanno seduti sui bus per ore, e durante il viaggio molti di loro guardano ilm,
quattro o cinque al giorno. L’app di Irokotv
punta proprio a loro. Scaricare ilm non costa molto: un abbonamento mensile per il
download illimitato costa 1,50 dollari,
quanto due chili di banane. Inoltre la maggior parte degli utenti si trova all’estero:
africani che vivono nel Regno Unito, negli
Stati Uniti e nei Caraibi. La Nigeria rappresenta solo il 20 per cento del fatturato complessivo, perché nel paese internet è ancora poco difusa e troppo lenta per uno streaming di buona qualità. Ma il potenziale di
crescita è colossale. “Tutta l’Africa adora
Nollywood. I ilm prodotti a Lagos vengono divorati in tutto il continente: da Città
del Capo al Cairo, da Dakar a Dar es Salaam”, dice Njoku, che vuole trasformare
Irokotv in un marchio internazionale. Ha
cominciato a produrre ilm e ha creato due
canali via satellite che trasmettono quelli
che ha in archivio.
Dall’inizio dell’anno Irokotv ha un concorrente famoso: la statunitense Netlix ha
aperto una succursale a Lagos e si sta già
accaparrando i diritti dei ilm nigeriani. Ma
Njoku non sembra preoccupato: “Non sarà
facile battere i nostri prezzi”. Nessuno può
competere con la sua rete di conoscenze. È
amico dei maggiori produttori, dei manager degli studi cinematograici e dei proprietari di cinema. Ha sposato la celebre
attrice Mary Remmy, con cui ha avuto due
igli. Ma è diicile vederlo sul red carpet:
“Preferisco stare in famiglia”, spiega. u ct
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
77
Viaggi
Il villaggio
delle note
Amelia Castilla, El País, Spagna
n Bolivia bisogna fare i conti con i
blocchi stradali, un’arma di lotta
sindacale molto usata. I boliviani
ne parlano come del tempo e spesso fanno anche delle battute su
questo argomento. Una soluzione
può essere cercare sulla mappa una strada
alternativa, magari più lunga e non asfaltata, o attraversare il rio Grande su una chiatta di legno. Andiamo verso la città di Dio
sognata dai gesuiti.
Oggi per arrivare alle missioni si usa
l’auto, ma nel 1766 l’ordine dei gesuiti abbandonò queste terre a piedi, dopo l’espulsione decretata dalle autorità ecclesiastiche. I gesuiti lasciavano le comunità indigene con cui avevano convissuto in relativa
armonia dal 1691. Parte dell’epica e della
tragedia di quel momento è stata raccontata nel ilm Mission. Come il gesuita interpretato da Jeremy Irons, i religiosi entravano a predicare nella foresta amazzonica
suonando il lauto, usando la musica come
espediente per entrare in contatto con gli
indigeni e convertirli alla fede cristiana.
Gli abitanti della Chiquitania, il nome con
cui oggi è conosciuta questa regione
dell’estremo sudest della Bolivia, nel dipartimento di Santa Cruz, furono attirati
dalle note che ancora oggi risuonano nelle
chiese e durante il festival di musica barocca e rinascimentale che si tiene ogni anno,
a cui partecipano formazioni di tutto il
mondo.
I gesuiti chiamarono questa zona Chiquitania (da chiquita, piccola) per via della
dimensione delle case, dove per entrare
bisognava chinarsi. Qui ci sono ancora gli
ediici che ospitavano otto comunità chia-
I
78
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
mate reducciones, la vita si strutturava intorno a una piazza, dove non potevano mancare la chiesa, il campanile e la musica. Questi
villaggi sono ancora in piedi anche se la
messa non è più cantata in latino e i cherubini dalle ali dorate occupano le vetrine dei
musei, insieme agli spartiti musicali
dell’epoca. Nei musei si legge che i gesuiti
difendevano la zona dai portoghesi, che
disseminavano trappole nella foresta per
catturare gli indigeni, renderli schiavi e portarli in Brasile. I religiosi vivevano del commercio con la città di Potosí e raggiunsero
livelli di difusione della loro cultura che il
tempo non ha cancellato.
Il virtuoso del violino
A Santa Ana, un villaggio a cinquecento
chilometri da Santa Cruz fatto di case costruite con paglia e fango e di strade sterrate, il tempo sembra essersi fermato. Al tramonto le note di un violoncello risuonano
nella piazza dove iorisce un toborochi (il
nome boliviano della Ceiba speciosa, l’albero tropicale dai iori colorati). José Óscar,
10 anni, suona con scioltezza Vivaldi. Come molti altri bambini, José ha imparato
prima a suonare uno strumento musicale e
poi a giocare a calcio.
Gli studenti più grandi fanno lezione ai
più piccoli. La mancanza di mezzi salta agli
occhi: durante una delle prove due bambini sono costretti a condividere l’arco del
violino. Il maestro si chiama Jaunario. È un
virtuoso del violino di 83 anni che ricorda
ancora la melodia di molte canzoni popolari della Chiquitania. Insegna queste canzoni e la musica religiosa portata qui dai
gesuiti. Sette dei dieci igli che ha avuto sono ancora vivi e alcuni di loro abitano con
lui in una piccola casa dai muri scrostati e
dove la rete fognaria è quasi inesistente.
Jaunario, come molti abitanti del villaggio,
ha un terreno dove coltiva mais, yucca e
canna da zucchero. Un tempo lo faceva con
l’aiuto dei buoi, ora solo con la zappa. Da
quando ha smesso di lavorare nei campi,
feDeRICO tOVOLI
In Bolivia, dove nel settecento
c’erano le missioni dei gesuiti.
Oggi come allora la musica
è un elemento importante
di queste comunità
forma i piccoli musicisti, tra cui alcuni dei
suoi nipoti.
Adalid Poquiviquí Poiceé, un musicista
di trent’anni, sta trascrivendo sul pentagramma le canzoni popolari che ormai conosce solo Jaunario, per evitare che la sua
musica vada persa. Nella chiesa, dove i pipistrelli svolazzano fuori dai confessionali
e sull’altare, si sentono le note dell’organo.
Luis Rocha, maestro di cappella, improvvisa un pezzo di Bach sull’unico strumento
di legno dell’epoca. Come i più anziani,
anche Rocha ricorda bene la visita, negli
anni settanta, di Hans Roth, l’architetto
gesuita che curò il restauro delle chiese
quando l’abbandono minacciava di farle
scomparire. Sono stati sostituiti i pilastri e
i tetti, un’impresa che sarebbe stata impossibile senza l’aiuto degli abitanti del posto,
come era già avvenuto nel seicento.
Se la prima costruzione di questi maestosi templi senza l’aiuto dei macchinari dà
un’idea della tenacia umana, anche la loro
ricostruzione è stata epica. Il percorso delle missioni copre circa seicento chilometri.
Informazioni
pratiche
◆ Arrivare Il prezzo di un volo dall’Italia per
Santa Cruz (Aerolineas Argentinas, American
Airlines, Gol Transportes Aéreos) parte da 915
euro a/r. Concepción e San José si possono
raggiungere noleggiando un’auto o in pullman
da Santa Cruz.
◆ Dormire A Santa Cruz, l’albergo By
Armonia ha un arredamento moderno e ofre
una doppia per 49 dollari a notte e a persona
(hotelbyarmoniascz.com).
◆ Mangiare A Concepción, il ristorante
El buen gusto ofre piatti locali come la banana
e la yucca fritte (bit.ly/2cCb96F).
◆ Leggere Massimo Livi Bacci, Eldorado
nel pantano, Il Mulino 2007, 14 euro.
◆ La prossima settimana Viaggio negli Stati
Uniti: Arizona, Utah, Colorado, Wyoming e
Montana sulle tracce di Vladimir Nabokov.
Ci siete stati? Avete suggerimenti su tarife,
posti dove mangiare, libri? Scrivete a
[email protected].
Concepción, Bolivia. Bambini dopo la scuola
La prima strada asfaltata da Santa Cruz a
San José è stata inaugurata solo poco tempo fa, e con la strada la vita del villaggio si è
rianimata. La missione, con la chiesa di
pietra rossiccia, è usata come centro culturale e sala prove per l’orchestra. L’inaugurazione di un nuovo aeroporto e la costruzione di altre strade cambierà l’aspetto
della zona. Tutti sperano che la Banca interamericana di sviluppo conceda un prestito così da poter migliorare il patrimonio
turistico.
Intanto la comunicazione con le altre
reducciones avviene attraverso strade sterrate, che si snodano in mezzo alla rigogliosa vegetazione dell’Amazzonia e sotto lo
sguardo dei falchi che volano in cerca di
cibo. Aironi, struzzi, scimmie e armadilli
attraversano la strada, abituati al passaggio delle moto o delle auto. Le mucche pascolano in libertà, vicino a recinzioni di
legno dove è inciso il nome degli allevatori.
Nella Chiquitania si coltiva soia, soprattutto nelle comunità mennonite che, con i loro abiti antichi e i carri trainati dai cavalli,
fanno parte del paesaggio. I villaggi sono
tranquilli. Il trasporto pubblico è quasi assente e al suo posto ci sono le moto private
usate come taxi. È normale vederle circolare anche con un’intera famiglia in sella.
Un luogo vivo
Nella zona c’è una piccola rete di alberghi in
stile coloniale e ristoranti dove degustare il
cibo locale. A Concepción, i majaditos (un
piatto a base di carne essiccata, riso, uova e
banane) del ristorante El buen gusto, di
Guadalupe Antelo, sono famosi. Guadalupe, madre single di due igli, ricorda la ricostruzione del complesso missionario: “Suonavano le campane e noi bambini uscivamo
per strada a vedere come tiravano su i pilastri con l’aiuto delle corde”.
“Un’opera del genere oggi non sarebbe
possibile, non ci sono più alberi così alti da
tagliare”, spiega Marcelo Vargas, direttore
del Plan misiones. Il suo aiuto è stato fondamentale per concludere l’impresa di Hans
Roth. Il piano, promosso dai comuni della
zona, dal ministero della cultura, dalla chie-
sa e con l’aiuto dell’Agenzia spagnola per la
cooperazione internazionale allo sviluppo
(Aecid), vuole recuperare il patrimonio culturale e storico e aidare la gestione agli
abitanti. È già stato fatto un inventario degli
immobili, una pianiicazione urbana e un
piano per costruire nuove case. Inoltre è
stata messa in piedi una rete di musei e di
laboratori che si occupa di turismo, gastronomia, falegnameria e della raccolta della
memoria orale di racconti e leggende. La
cooperazione spagnola, che lavora nella zona dal 1997, vuole fare in modo che gli abitanti imparino sul campo: “Abbiamo cominciato a collaborare quando Roth era
ancora vivo, ora il nostro lavoro si limita alla
consulenza e alla supervisione, senza interferire nella politica”, spiega Francisco Sancho, coordinatore di Aecid in Bolivia.
La città di Dio sognata e costruita dai
gesuiti è ancora viva e in buona salute. Anche se al ritorno a Santa Cruz, la seconda
città più importante della Bolivia, tutta la
bellezza accumulata negli occhi sfuma nel
tentativo di sopravvivere agli ingorghi causati dei camionisti in sciopero. ◆ fr
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
79
Graphic journalism Cartoline dall’Italia
80
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
I disegni di questo fumetto sono di Anna Brandoli, i testi sono di Renato Queirolo. Entrambi nati a Milano, sono i creatori di
Rebecca. Il loro nuovo libro Corti e crudi (Comicout) sarà presentato a ottobre a Lucca Comics.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
81
Cultura
Arte
WIEN MUSEUM, VIENNA
Weltrettungsprojekt, 1995-ancora in corso
PER GENtILE CONCESSIONE dELL’ARtIStA E dEL MILItäRhIStORISChES MUSEUM dER BUNdESWEhR, dRESdA
Creatività
senza conini
Jerry Saltz, Vulture, Stati Uniti
Una mostra a New York
dedicata ad artisti marginali
rilette sui limiti e l’ipocrisia
della critica uiciale
l mondo dell’arte adora i grandi
interrogativi del tipo: “L’arte può
cambiare il mondo?”. In generale
la risposta è: “Sì”. E io di solito
non sono d’accordo. L’arte non
può fermare la carestia nell’Africa subsahariana né debellare il virus zika.
Può però cambiare il mondo per osmosi:
cambia il modo in cui guardiamo e, di conseguenza, il modo in cui ricordiamo. Raymond Chandler ha inventato la Los Angeles dell’inizio del novecento; Francis Ford
Coppola ha plasmato la nostra idea della
guerra del Vietnam; Andy Warhol ha com-
I
82
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
binato colori contrastanti che non erano
mai stati usati insieme. Oscar Wilde diceva
che la “misteriosa grazia” della nebbia non
esisteva prima dei poeti e dei pittori.
Ma l’arte come la intendiamo oggi si è
ristretta. La deinizione che ne diamo è più
che altro di arte che si ispira ad altra arte.
Per essere considerati artisti occorre identiicarsi come tali e fare ciò che secondo un
punto di vista condiviso è arte.
Questo modello non può più reggere, è
troppo angusto per permettere all’arte di
respirare. Al New museum di New York sta
per chiudersi una mostra che ha un orizzonte molto più ampio e che rende sofocante al confronto tutto quello che siamo
abituati a vedere oggi nei musei e nelle gallerie. Organizzato da una squadra straordinaria guidata da Massimiliano Gioni, The
keeper è un museo pieno di musei, possibili
enciclopedie, indici di altre categorie di co-
se e modelli. Gran parte delle opere in mostra è già in sé una sorta di collezione, di
accumulo di oggetti. Spesso definiamo
outsider gli artisti che costruiscono collezioni simili, se proprio dobbiamo deinirli
artisti. Molti degli oltre trenta creatori e
collezionisti inclusi in The keeper non si deiniscono artisti né tantomeno chiamano
arte ciò che fanno.
La nostra storia dell’arte non è neutrale
e non tiene conto degli intrecci di stili o delle anomalie. È organizzata in modo teleologico, è una freccia: le cose vanno sempre
avanti e il progresso si misura soprattutto a
partire da elementi formali, attraverso i
cambiamenti nelle idee di spazio, colore,
composizione e materiali. Gli artisti e gli
ismi si susseguono uno dopo l’altro in liste
genealogiche dal tono biblico, e questo paradigma funziona da duecento anni. Io non
voglio certo che i musei si trasformino in
iere scientiiche, mercatini delle pulci, laboratori o camere delle meraviglie. Ma la
nostra idea di storia dell’arte è già morta e
non lo sa. I suoi termini sono talmente specializzati e vaghi da essere utili solo agli
addetti ai lavori.
Moltissimi studiosi, curatori, collezionisti e artisti sono così coinvolti in questo
sistema che assistiamo a ininterrotte svolte
formali, micromovimenti nella pittura monocroma, fotograia sulla fotograia, critica
istituzionale di maniera e paradossi che si
possono capire solo leggendo lunghe dida-
Una sala della mostra The keeper al New museum di New York
EPW StUDIO
The 387 houses of Peter Fritz (1916–1992)
scalie piene di espressioni gergali. Questa
è storia dell’arte zombi. Ci sono però paradigmi diversi, e molti sono in mostra in The
keeper. Qui gli artisti mandano in corto circuito la storia dell’arte. Per molti di loro
ciascun oggetto contiene il mondo intero e
fa parte di una famiglia di forme. Hanno un
metasguardo sul mondo: la loro ispirazione è una forza travolgente che viene da
dentro e non è la storia dell’arte. In questa
modalità olistica il tutto dà forma alle parti,
le unità di classiicazione si uniscono in nuvole, i microcosmi proliferano in macrocosmi e si formano reti di interrelazioni. Questi artisti sono alla ricerca di ciò che potremmo deinire modelli concettuali, sistemi archetipici, corde segrete, lussi, cose
che stanno qui da milioni di anni e sono incorporate nei materiali e nel tessuto del
tempo. Cosa c’è in The keeper?
Vladimir Nabokov, autore di Lolita, dissezionava peni di farfalla, che definiva
“sessi scolpiti”, e li sistemava in armadietti
per identiicare le singole specie. Al New
museum i suoi collage frankensteiniani di
ali di farfalle con splendide annotazioni
mostrano un’intelligenza estetica pari a
quella di Kurt Schwitters, Wallace Berman
e Robert Rauschenberg. C’è Korbinian Aigner, un prete, pittore e pomologo (studioso della frutta) che a partire dal 1912, proseguendo anche mentre si trovava nel campo
di concentramento di Dachau, ino alla sua
morte nel 1966, dipinse polverose nature
morte di mele su luminosi sfondi monocromi. La sua messa a fuoco ossessiva, la
sua capacità di osservazione, la consistenza carnosa dei frutti e le sfumature di colore sono ipnotiche come Morandi, strane
come Cézanne e originali nella forma come El Lissitzky.
Lo stesso vale per la svedese Hilma af
Klint, i cui sedici splendidi dipinti del 1914
e 1915 qui ricoprono tre pareti. Le sue opere
piene di spirali, quadrati, cerchi e gusci di
conchiglia, dimostrano che non è solo una
grande pittrice ma una pioniera dell’astrazione. I suoi campi di colore sono rivoluzionari e non li ho ritrovati nella pittura ino
agli sfondi di Francis Bacon. A Klint sono
state dedicate delle retrospettive, ma continua a non avere il posto che merita nella
storia dell’arte. Forse perché deiniva le sue
opere “dipinti per il tempio”, diceva di essersi ispirata agli “alti maestri” e decideva
che le sue opere dovessero essere viste solo
vent’anni dopo la sua morte. Era una sorta
di spiritualista zodiacale.
Un atteggiamento colonialista
Un destino simile è toccato a Olga FröbeKapteyn, che deiniva i suoi dipinti geometrici “disegni di meditazione” e fondò una
scuola di ricerca spirituale nel 1930. I suoi
dodici dipinti degli anni venti e trenta
esposti al New museum hanno un tratto
grafico talmente vivace da poter essere
scambiati per poster pop o psichedelici de-
gli anni sessanta. Accanto ci sono 81 fotograie in bianco e nero di Wilson Bentley
(1865-1931), che aveva modiicato la sua
macchina fotograica per realizzare microfotograie di singoli cristalli di neve. Bentley si trova in qualche museo e, anche se
realizzò di fatto fotograia astratta decenni
prima che esistesse l’astrattismo, è ritenuto
più un naturalista che un artista.
The keeper ci mostra con forza come nella categoria di arte ci sia più di quanto il
nostro sistema attuale immagini e sono
convinto che tutti i grandi artisti conoscono già questa complessità. Ogni creatore
ha un’idea di ciò che deve esistere: la grande immaginazione è sempre una forza che
viene da dentro. Che si conosca o meno la
storia dell’arte, l’arte si origina in modo
preintellettuale, al di là del linguaggio.
È ora che una nuova generazione di storici dell’arte apra il sistema e permetta
all’arte di essere il variegato giardino che in
efetti è. La nostra storia dell’arte si è irrigidita in un’ideologia che decreta la morte di
un mezzo come fanno i becchini e passa a
un’altra fase come fanno i conquistadores.
L’idea che l’arte abbia l’obiettivo di
avanzare e di perfezionarsi è inventata. È
un’idea idiota per tutti, tranne che per coloro che traggono vantaggi da questo fondamentalismo. I nostri discendenti ripenseranno a questa fase della storia dell’arte
nello stesso modo in cui oggi ripensiamo al
colonialismo. u gim
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
83
Cultura
Cinema
Dagli Stati Uniti
I ilm italiani visti da
un corrispondente straniero.
Questa settimana l’israeliana
Sivan Kotler.
Un Emmy per Rami Malek
84
Un importante riconoscimento per tutti gli attori
non bianchi di Hollywood
L’attore statunitense di origine
egiziana, 35 anni, aveva l’aria
sorpresa quando si è trovato a
stringere la statuetta dell’Emmy award sul palco del Microsoft theater. Malek è stato
molto chiaro sul signiicato di
quel riconoscimento. “Per me
essere qui con questo premio
la dice lunga su come ci stiamo
muovendo, non solo nel mondo dell’intrattenimento ma
anche socialmente e politicamente”. Malek ha raccontato
come le cose fossero cambiate
per lui rispetto ai suoi genitori
Rami Malek
che erano emigrati negli Stati
Uniti dall’Egitto prima della
sua nascita. “Mio padre vendeva assicurazioni porta a porta e mia madre era incinta di
me e di mio fratello. Prendeva
tre autobus al giorno per andare al lavoro e darci l’opportunità di essere speciali”. E poi ha
aggiunto: “Vorrei che tutti, indipendentemente da come sono cresciuti o dalle loro condizioni socioeconomiche, possano avere una possibilità come
quella che ho avuto io”. In Mr.
Robot Malek fa la parte di un
hacker geniale che deve fare i
conti con un disturbo psichico
e con i maltrattamenti subìti
da bambino. Sentiva la responsabilità di dare un’interpretazione autentica. Si è messo a leggere libri e a consultare
vari specialisti: “Non volevo
che la mia interpretazione fosse banale, ma soprattutto non
volevo che persone soferenti
fossero mal rappresentate”.
Cynthia Littleton, Variety
Massa critica
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
T
Re H E
gn D
o AI
U L
n Y
L E i to T
EL
Fr F
EG
an I G
ci A
R
a R
A
O
PH
T
C HE
an G
ad L
a OB
E
T
A
Re H E
N
D
gn G
M
o UA
U
A
ni R D
IL
T
t
o
IA
Re H E
N
gn I
o ND
U
n E
L I i to P E
N
Fr BÉ
D
an R
EN
ci AT
a
T
IO
LO
N
St S
at A
iU N
n GE
L E i ti L E
Fr M
S
T
an O
IM
ci N
a D
E
S
E
T
St H E
at N
iU E
n W
T i t i YO
St H E
R
at W
K
T
iU A
IM
ni S H
E
ti I
S
N
G
T
O
N
PO
ST
Questi giorni
Di Giuseppe Piccioni
Con Margherita Buy, Maria
Roveran, Filippo Timi. Italia,
2016, 120’
●●●●●
Sono belli i giorni di Giuseppe
Piccioni e non solo per l’ottima prova di attrice di Margherita Buy, dalla quale il regista
da anni ormai riesce a tirare
fuori il meglio. Una buona intesa caratterizza le quattro
giovani protagoniste e il personaggio che Filippo Timi riesce impeccabilmente a interpretare. Piacevoli, nonostante
qualche passaggio superluo,
se si considera l’eccessivo dettaglio narrativo non sempre
utile e funzionale. Il ilm è
acerbo, vitale e creativo come
lo sono i suoi personaggi.
Quel sapore postadolescenziale, la sensibilità di persone
che non sono ancora adulte
ma neanche più ragazzine, è
presente ovunque. È presente
in chi sogna ancora, in chi non
ha più il coraggio di sognare e
in chi aspetta il momento giusto per cominciare a farlo.
I legami di amicizia tra quattro amiche durante un viaggio
a Belgrado, una madre, una iglia e un professore universitario diventano i nodi di una
trama intricata. In questa matassa di storie personali, non
sempre complete e non sempre necessarie, l’incertezza, la
malinconia e la tenacia danno
a questa pellicola un senso
particolare. È una bolla nel
tempo incastrata tra due mondi. Un passaggio senza ritorno
che separa adulti che non vogliono crescere da giovani che
sono costretti a farlo.
JaSoN LaVErIS (FILMMaGIc)
Italieni
Media
eLViS & nixon
11111 11111 -
11111 11111 - 11111 11111 11111 11111
11111
gHoStbUSteRS
11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111
11111
inDepenDenCe Day
11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 -
11111 11111
11111
it foLLowS
11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111
11111
JaSon boURne
11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111
11111
La faMigLia fang
11111
- 11111 - 11111 11111
11111
SUiCiDe SqUaD
11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111
11111
tHe niCe gUyS
- 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111
11111
tHe witCH
11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111
11111
tUtti VogLiono…
11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111
11111
-
- 11111 -
Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
I consigli
della
redazione
Frantz
François Ozon
(Francia, 113’)
tirsi un po’. È un ilm che sta in
piedi solo per chi conosce
Blair witch project. Senza metterlo nel suo contesto è un
horror qualunque.
Will Leitch, New Republic
Blair witch
I magniici sette
Di Antoine Fuqua
Con Denzel Washington, Chris
Pratt, Ethan Hawke. Stati
Uniti, 2016, 133’
●●●●●
Se rifare un grande classico è
diicile, rifarne due insieme è
una missione impossibile.
L’originale di John Sturges
(1960) era infatti a sua volta il
remake dei Sette samurai di
Akira Kurosawa (1954). Il ilm
è altamente pirotecnico, con
sparatorie ottimamente coreografate e un numero di morti
ammazzati che farebbe strabuzzare gli occhi anche a Sam
Peckinpah, eppure non ha
gran che da dire. A diferenza
di Sturges e Kurosawa, Fuqua
non sviluppa i suoi personaggi
in una serie di quadretti più
tranquilli ma si afretta a farli
entrare in azione. E stranamente la variegata origine etnica del cast non ofre alcuno
spunto per una critica dei pregiudizi razziali negli Stati Uniti
di oggi. Forse questi magniici
sette attori meritavano un ilm
migliore.
Phil De Semlyen, Empire
dR
La teoria svedese
dell’amore
Di Erik Gandini
Con Lars Trägårdh, Marie
Helena Fjallas. Svezia, 2015, 76’
●●●●●
L’ultimo documentario di Erik
Gandini (il regista di Videocracy) cerca di dimostrare che
l’ideale svedese di indipendenza economica, unito a uno
stato sociale che si occupa di
ogni bisogno del cittadino,
produce solitudine e alienazione. Partendo da un’infograica del sociologo Lars
Trägårdh, che posiziona la
Svezia come la società in assoluto più individualistica e secolarizzata, Gandini passa
dalla teoria alla pratica con
una serie di aneddoti poco
omogenei l’uno con l’altro. Incontriamo donatori di sperma
e i loro clienti, investigatori
che cercano i parenti più prossimi di vecchietti morti in solitudine o il corpo di un presunto suicida della cui scomparsa
non si era accorto nessuno.
Per contrasto ci sono dei simpatici profughi siriani che imparano che per diventare amici degli svedesi bisogna essere
più puntuali e degli hippy che
passano il tempo ad accarezzarsi tra loro nei boschi. È un
ilm che saltella allegramente
tra montaggio ricercato e mu-
siche ironiche ma che inisce
per non dire molto.
Leslie Felperin,
The Guardian
Blair witch
Di Adam Wingard
Con Corbin Reid, Wes
Robinson, Valorie Curry, James
Allen McCune. Stati Uniti,
2016, 90’
●●●●●
Potete non crederci ma l’originale Blair witch project del
1999 è stato il ilm più terriicante che io abbia mai visto.
La storia dei ilmati ritrovati, il
into sito web e l’anonimità
degli attori hanno fatto credere a milioni di persone che
fosse un documentario. La cosa più spaventosa del ilm era
che i personaggi credevano di
non avere nulla di cui aver
paura. E invece sbagliavano di
grosso. Questo sequel riprende la struttura del ilm originale ma più che un omaggio
sembra una rimessa in scena
della stessa cosa. Il regista
non sfrutta il fatto che i nuovi
personaggi hanno molte più
videocamere e quindi potenzialmente più punti di vista.
Per esempio sarebbe stata una
buona idea se uno di loro
avesse ripreso tutto su Facebook live. È come se Wingard
avesse un rispetto troppo reverenziale per il ilm originale
e non facesse nulla per diver-
dR
In uscita
La vita possibile
Ivano De Matteo
(Italia, 107’)
Un padre, una iglia
Cristian Mungiu
(Romania/Francia/Belgio, 128’)
Elvis & Nixon
Di Liza Johnson
Con Michael Shannon, Kevin
Spacey, Alex Pettyfer. Stati
Uniti, 2016, 86’
●●●●●
Questa fantasticheria comica
che ruota intorno alla famosa
foto del 1970 con il presidente
degli Stati Uniti Richard Nixon ed Elvis Presley nello studio ovale è una deliziosa e gustosissima ricostruzione storica. Elvis, in un momento di
popolarità calante, inveisce
contro i Beatles e la cultura
hippy e si ofre volontario per
la campagna contro la droga:
vorrebbe che Nixon lo nominasse agente federale.
Michael Shannon interpreta
Elvis con grazia e intelligenza
evitando la farsa e dando al
personaggio una grande forza
empatica. Anche il Nixon di
Kevin Spacey riesce a non essere una semplice imitazione.
La regista Liza Johnson mette
in scena la storia con delicata
attenzione per i gesti e per
l’equilibrio visivo e cromatico
delle inquadrature. Il dialogo
è scoppiettante e pieno di riferimenti al periodo storico e gli
attori sembrano quasi cantare
le battute. E in efetti questo
ilm sembra una specie di operetta sociopolitica.
Richard Brody,
The New Yorker
I magniici sette
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
85
Cultura
Libri
Dalla Spagna
I libri italiani letti da un
corrispondente straniero.
Questa settimana
Salvatore Aloïse, corrispondente di Arte e Le Monde.
Pseudoscienza contro le diversità
Gianrico Caroiglio
Passeggeri notturni
Einaudi, 99 pagine,
12,50 euro
● ● ● ●●
Si legge tutto d’un iato. Novantanove pagine, tre per
ognuno dei trenta racconti.
Passeggeri notturni, come quelli che salgono a ogni fermata
su un treno dai vagoni semivuoti e di cui, nello stato di
dormiveglia, non è facile cogliere le voci. Qui, nel breve
tempo di lettura delle tre pagine, silano rilessioni che sembrano aforismi, racconti fulminei e anche verbali processuali, testimonianza dell’assurdo quotidiano. Si comincia
con Quarto potere, con l’uso
improprio di un giornale come
un manganello, da ragazzino,
per difendersi dai soprusi di
un bullo, e si inisce con Stanze, a parlare con il padre
dell’autore, con quella frase ribadita al iglio: “La morte non
è niente. Io sono solo andato
nella stanza accanto”. Non potevano mancare sprazzi di vita
romana e incontri non sempre
ediicanti: dal faccendiere della prima repubblica che dà la
sua ricetta per estirpare la corruzione a quel politico “neanche mascalzone” ma tronio,
che è al ristorante con la scorta
“perché me la danno”. E poi i
passeggeri colti sul fatto, in
treno, appunto: la settantenne
che lirta con uno sconosciuto
e la ilosofa che disserta su temi etici insolubili. State attenti
quando parlate in treno: potrebbe esserci Caroiglio che
cerca spunti per i suoi prossimi
racconti.
86
Un saggio descrive l’uso deviato della scienza in epoca
franchista per giustiicare
la persecuzione di ogni tipo
di diversità
Uicialmente Victor Mora
(nato a Valencia nel 1981)ha
scritto il suo libro Al margen de
la naturaleza (Debate 2016)
come espansione della sua tesi
di dottorato all’università Carlos III di Madrid. In realtà è
parte integrante del suo attivismo contro quella che lui chiama, con grande economia lessicale, la “diversofobia”, un
modo conciso per deinire
l’odio contro gay, lesbiche, bisessuali, transessuali e intersessuali usato come strumento
di controllo politico, in particolare durante l’era franchista.
Nel suo lavoro Mora indaga le
basi pseudoscientiiche con
ULLStEIN bILD/GEtty IMAGES
Italieni
Francisco Franco nel 1936
cui le autorità franchiste giustiicavano la loro politica repressiva. Oggi la lista degli autori e delle loro teorie può
sembrare solo stravagante, ma
all’epoca incontrarono molto
credito ed ebbero una notevole difusione. Uno per tutti:
Mauricio Carlavilla (che cam-
biò il suo nome in Mauricio
Karl per un tocco di autorevolezza tedesca), l’autore di Sodomitas, saggio che fu ristampato dodici volte tra gli anni
venti e trenta e che ammantava di scientiicità tesi omofobe
ai limiti della parodia.
Emilio De Benito, El País
Il libro Gofredo Foi
Un duro apprendistato
James T. Farrell
Studs Lonigan
ideafelix, 234 pagine, 22 euro
Ritorna Studs Lonigan, eroe di
una trilogia di Farrell, uno dei
più dimenticati tra i grandi
della letteratura statunitense
della grande crisi, nella
tradizione del naturalismo e
del socialismo di Dreiser,
Norris, London e Sinclair
Lewis. Un editore nuovo e
strano ofre una nuova
traduzione del primo romanzo
del ciclo, con Studs ragazzino
nella Chicago degli irlandesi e
delle loro bande in lotta con i
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
coetanei ebrei e italiani. La
nuova traduzione sembra
buona, la vecchia era di
Giachino (Einaudi 1952).
Apprendistato a una vita dura
e violenta, non diversa da
quella dei poveri d’oggi, la
trilogia si chiuderà con la
morte di Studs trentenne: una
vita senza riscatto, di esterna
crudeltà e di un’intima
fragilità che non ha modo di
esprimersi. Alla ine del primo
tomo, Studs “si sentiva come
una canzone triste”. L’altra
grande trilogia americana è U.
S. A. di John Dos Passos, più
sperimentale e a largo raggio.
Ma Chicago non ha forse
avuto narratori altrettanto
grandi di Farrell. E Studs
lasciò un segno su
Hemingway, Vonnegut, Wolfe
e tanti altri. È ancora tra noi,
nell’aggressività come nei
sogni, più attuali dei tanti
bamboleggianti romanzi su
infanzia e adolescenza che si
sfornano in Italia e nel mondo,
senza partecipazione o
visione. Ci piacerebbe
rivedere il ilm di Irving
Lerner tratto dalla trilogia,
Vivi con rabbia, del 1960. u
I consigli
della
redazione
Alejandro Zambra
Risposta multipla
(Sur)
Il romanzo
Camilo Sánchez
La vedova Van Gogh
Marcos y Marcos, 189 pagine,
16 euro
● ● ● ●●
La vedova Van Gogh, primo romanzo dell’argentino Camilo
Sánchez, è una biograia romanzata, o un romanzo biograico, che sfugge a tutti i luoghi comuni. Sánchez ha scelto
il punto di vista di Johanna
Van Gogh Borger, moglie di
Theo e cognata del famoso
pittore Vincent. Poeta e pioniera del femminismo, Johanna è un’anti-Bovary, ed è una
igura rilevante non solo per il
generoso gesto di salvare
dall’anonimato, dalla distruzione e dall’oblio l’opera di
Vincent. La vita non è facile
per Johanna dopo il suicidio di
Vincent e il crollo depressivo,
e poi la morte, di Theo, incapace di sopravvivere alla perdita del fratello. A ventott’anni, vedova e madre di un bambino appena nato che porta il
nome dello zio suicida, Johanna pensa che il piccolo “dovrà
essere forte per spezzare la
maledizione che pesa sul suo
nome”.
Decide allora di separare le acque: il iglio lo chiamerà Vincent; il defunto cognato, a partire dall’istante in cui si dedicherà a salvare la sua opera, lo
chiamerà Van Gogh. Man mano che procede con la classiicazione delle lettere a Theo, la
scrittura di Vincent le suggerisce diversi livelli di lettura: autobiograico, narrativo, poetico e teorico. Ed è anche un appello radicale al dissenso, al riiuto dei circuiti uiciali
dell’arte dell’epoca. Per Van
Gogh, uomo religioso che al-
MArCOS y MArCOS
L’invenzione di Van Gogh
Camilo Sánchez
terna la lettura della Bibbia alle opere di Shakespeare, l’arte
è una questione di fede e non
di afari. La “pazzia” dei Van
Gogh e soprattutto l’immersione nell’opera del cognato
inducono Johanna (che non è
certo una donna distratta) a
chiedersi che tipo di passione
accomunasse i due fratelli, che
lei deinisce “lo stile dei Van
Gogh”. Inoltre Vincent e Theo
hanno due sorelle: Elizabetha,
la maggiore, donna sposata,
formale e conservatrice, e Wilhelmina, la minore, più ribelle
e al passo coi tempi, colta e
impegnata politicamente come sufragetta, che inirà però
in un ospedale psichiatrico.
Wilhelmina è il femminile di
Willem, il secondo nome di
Vincent. Cosa c’è dietro questi
nomi che si ripetono e cambiano di genere mentre si susseguono gli interventi psichiatrici? Il romanzo di Camilo Sánchez combatte il semplicismo
e le interpretazioni più pigramente pittoresche della leggenda di Vincent Van Gogh.
Guillermo Saccomanno,
Página12
Julian Barnes
Il rumore del tempo
(Einaudi)
Irvine Welsh
L’artista del coltello
Guanda, 285 pagine, 18 euro
●●●●●
È possibile modiicare la percezione di un personaggio letterario famoso in modo che,
per esempio, un’icona della distruttività insensata diventi ai
nostri occhi un elegante beniamino del mondo dell’arte?
Questo è il salto immaginativo
richiesto da L’artista del coltello, in cui Francis Begbie, lo
spietato antieroe che Irvine
Welsh mise al mondo con
Trainspotting, ha trovato in
carcere il successo e l’amore
grazie a un programma di terapia artistica. Sposato con la
sua mecenate Melanie, e padre di due iglie, si è lasciato
alle spalle la malavita di Edinburgo per una nuova vita in
California. Le sue opere d’arte, sculture che rappresentano
celebrità con l’aggiunta di cicatrici e mutilazioni, possono
evocare il suo passato violento, ma tutto il resto è cambiato. Begbie non beve più, balla
la salsa e ha un nuovo nome,
Jim Francis. Jim Francis conosce di prima mano sia l’arte di
creare sia l’arte di uccidere, ed
è l’incarnazione della massima di Flaubert: “Sii normale e
ordinario nella vita per poter
essere violento e originale
nell’opera”. Ma il libro non è
solo una presa in giro del mondo dell’arte o della California.
Proprio quando sta per inaugurare la sua nuova mostra,
notizie da Edinburgo riportano Jim Francis alle strade, ai
pub e ai rancori della giovinezza. È come se la sua identità
precedente riemergesse dagli
abissi per sidarlo. Il romanzo
si snoda rapido e rabbioso,
senza digressioni e sottotrame. E, anche se l’umorismo di
Welsh riaiora spesso, più che
una commedia o una satira sociale L’artista del coltello è un
Giacomo Giubilini
91° minuto
(Minimum fax)
cupo romanzo criminale.
Hannah McGill,
The Scotsman
Marta Sanz
La lezione di anatomia
Nutrimenti, 316 pagine, 19 euro
●●●●●
Ogni tanto si ripropone nel dibattito letterario la vecchia
questione del realismo. La nebulosa distinzione tra autobiograia e racconto in prima persona ha provocato molti malintesi, e Marta Sanz ci obbliga
a ripensarli tutti. È una storia
raccontata in prima persona
da un personaggio femminile
che rievoca la sua vita dall’infanzia ai quarant’anni. La narratrice si chiama Marta Sanz,
come l’autrice; come lei ha
quarant’anni, scrive, ha studiato ilologia e poi si è dedicata all’insegnamento. I segni
dell’identiicazione tra narratrice e autrice sono così abbondanti e precisi che ci si deve interrogare sul grado di veridicità dell’opera, sulla proporzione che c’è tra il romanzesco e l’autobiograico. Siccome La lezione di anatomia non
racconta niente di eccezionale
o di inverosimile, non è possibile sapere se i personaggi che
circondano la Marta Sanz narratrice siano reali come lei o
appartengano al territorio della inzione. Ma il lettore può
sbarazzarsi di questa domanda e leggere il libro come pura
inzione, perché l’importante –
e qui sta il possibile vantaggio
per l’autore che adotta questa
modalità narrativa – è l’intensità, la nitidezza delle impressioni, la messa a nudo dei sentimenti e dei ricordi. Solo chi
ha sperimentato questi sentimenti e questi ricordi in prima
persona è in grado di applicare
una potente lente di ingrandimento che trasforma il quadro
in una radiograia. Dove quel
che conta sono le sfumature, i
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
87
Cultura
Libri
dettagli microscopici che passerebbero inosservati per uno
spettatore neutro.
Ricardo Senabre,
El Mundo
Donald Antrim
La luce smeraldo nell’aria
Einaudi, 180 pagine, 18 euro
● ● ●●●
I racconti di La luce smeraldo
nell’aria sono tutti apparsi sul
New Yorker tra il 1999 e il
2014. Presentati qui in ordine
di pubblicazione, mostrano
chiaramente la direzione di
marcia di Antrim. Il primo racconto, Un attore si prepara, su
una messinscena universitaria
del Sogno di una notte di mezza
estate, è divertentissimo e piena di idee, ma a prezzo di una
certa freddezza emotiva. Le
storie che seguono sono più
realistiche, più complicate
emotivamente e psicologicamente, più tristi e generose.
Negli ultimi anni Antrim è
sempre più interessato a rivelare l’umanità di quelli che appaiono come mostri. E la for-
ma prevalente di questa mostruosità, nel corso del libro, è
la malattia mentale. Molti personaggi sono alcolisti e gli altri
fanno i conti con le macerie
psichiche di genitori alcolisti.
Assistiamo a crolli, comportamenti suicidi e una descrizione dettagliata della terapia con
l’ellettroshock. Ma anche se
c’è molta sregolatezza in questi racconti, la prosa di Antrim
è tutt’altro che sregolata. La
sua scrittura è precisa e riesce
a creare un vivo senso dei luoghi con un’economia di mezzi
che fa pensare al miglior John
Cheever.
Chris Power, The Guardian
Sara Taylor
Tutto il nostro sangue
Minimum fax, 337 pagine,
18 euro
●●●●●
Tutto il nostro sangue è un romanzo multigenerazionale
che trabocca di energia e di
ambizione. La narrazione, ambientata tra le lingue di costa
che formano la riva orientale
del Maryland e della Virginia,
si estende dal 1876 al 2143. Sara Taylor è al suo meglio quando mostra una versione moderna del panorama che molti
visitatori, attratti dalle spiagge
e dai pony selvatici, ignorano
del tutto. I drogati di metanfetamine e i bambini criminali
che popolano il romanzo sembrano saltar fuori dalle pagine
con realismo terriicante. Le
parti di ricostruzione futuristica di Tutto il nostro sangue sono meno vivide, con personaggi intercambiabili e costruiti in
modo un po’ artiicioso. In un
futuro remoto, i nostri discendenti postapocalittici riscoprono sia la bellezza della regione
sia il peccato originale, l’abuso
di droghe: una pratica quasi
clandestina che ha spinto le
menti degli uomini un po’
troppo in là, come dice nel futuro un mutante a un altro,
mentre sperimentano un preparato chiamato “lacrime degli dèi”.
Britt Peterson,
The New York Times
Non iction Giuliano Milani
RICCARDo MuSACChIo & FLAVIo IANNIELLo (RoSEbuD2)
La storia dell’aids in Sudafrica
Didier Fassin
Quando i corpi ricordano
Argo, 366 pagine, 24 euro
Nel 1990 in Sudafrica le
persone sieropositive non
superavano l’uno per cento
della popolazione. Dieci anni
dopo la percentuale era
decuplicata, e si stimava che il
40 per cento degli individui
tra i 15 e i 49 anni sarebbero
morti di aids. Il paese era
diventato il più colpito da
questa malattia. Per afrontare
l’emergenza il presidente
Thabo Mbeki convocò un
comitato di esperti di cui
88
facevano parte, oltre a
specialisti riconosciuti, anche
studiosi che negavano la
relazione tra il virus dell’hiv e
la malattia. Si aprì così una
polemica feroce anche a causa
della quale si inì per impedire
la difusione dei farmaci
retrovirali attraverso il servizio
sanitario nazionale. Didier
Fassin, sociologo e
antropologo francese, avviò in
Sudafrica una ricerca che
avrebbe rivelato il groviglio di
sentimenti e di memorie
prodotto da quella epidemia.
In Sudafrica la violenza
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
segregazionista si era
manifestata anche nella sfera
medica: erano state
sperimentate guerre
biologiche contro la
popolazione nera. Con queste
ferite ancora aperte dopo la
ine dell’apartheid, l’aids,
malattia particolarmente
difusa tra la popolazione
nera, era percepita come un
complotto razzista orchestrato
dall’occidente. Questo libro
complesso fatto di spunti
teorici e storie vissute
racconta i frutti di un’inchiesta
appassionata ed esemplare. u
Paesi Bassi
Cees Nooteboom
Un sombre pressentiment.
À la rencontre de Hieronymus Bosch
Editions Phébus
Su invito del museo del Prado,
Nooteboom traccia il ritratto
di un pittore che lo ha sempre
afascinato. Questo libro è
pubblicato simultaneamente
in tedesco, spagnolo, olandese
e inglese. Cees Nooteboom è
nato all’Aja nel 1933.
Saskia Noort
Huidpijn
Ambo/Anthos
Anne, nota giornalista televisiva, rischia tutto quel che ha e
lo racconta pubblicamente.
Noort è nata a bergen nel
1967.
Paulien Cornelisse
De verwarde cavia
autopubblicato
Protagonista di questo romanzo umoristico è una cavia che
lavora presso un dipartimento
comunicazioni. Paulien Cornelisse è nata ad Amsterdam
nel 1976.
Renate Dorrestein
Zeven soorten honger
Podium
Romanzo ambientato in
un’esclusiva clinica per dimagrire. Gli ospiti non possono
andarsene inché non hanno
raggiunto il loro obiettivo e chi
si arrende deve pagare una penale esorbitante. Dorrestein è
nata ad Amsterdam nel 1954.
Maria Sepa
usalibri.blogspot.com
Cultura
Libri
Ragazzi
Ricevuti
Amatrice
fa scuola
Giorgio Grappi
Logistica
Ediesse, 268 pagine, 12 euro
La logistica è qualcosa di più
delle operazioni di trasporto
e distribuzione. Le trasformazioni del processo produttivo,
la difusione su larga scala dei
container, la creazione di
nuove infrastrutture sono diventati snodi cruciali all’interno di una nuova mappa del
potere.
Benedetta Tobagi
La scuola salvata
dai bambini
Rizzoli, 344 pagine, 18 euro
Una fotograia. Una scuola. I
bambini. Una cittadina di nome Amatrice. La sua scuola.
Un bambino di nome Alexandru, di origine romena, il primo della classe dice la maestra. Il suo quaderno è tutto
ordinato. Amatrice prima del
terremoto. Con la vita che si
concentra lungo corso Umberto I. Benedetta Tobagi comincia proprio da Amatrice
(non immaginando quello che
sarebbe successo) il suo viaggio nelle scuole multietniche
d’Italia. Comincia proprio in
quel Reatino che era considerato dagli antichi romani
l’ombelico del mondo. E scopre che Amatrice è uno specchio in piccolo dell’Italia. Qui
la popolazione studentesca
straniera o di origine straniera
è aumentata negli anni, e
sempre qui la scuola ha dovuto e saputo reiventarsi. Il libro
ci porta da Brescia ad Ancona,
da Palermo a Suzzara, in
scuole grandi e piccole, centrali e periferiche, ma tutte caratterizzate dalla presenza di
bambini di origine straniera.
Benedetta Tobagi racconta la
quotidianità, le side, la bellezza di questa scuola mescolata. Ogni riga è una risposta a
quei genitori che hanno paura
di una scuola multiculturale,
dei bambini che “possono rallentare il programma”. Senza
nascondere i dilemmi che la
scuola vive come istituzione,
Tobagi ci traghetta direttamente nel futuro.
Igiaba Scego
Slavoj Žižek
Il contraccolpo assoluto
Ponte alle grazie, 569 pagine,
25 euro
Il ilosofo continua la sua
opera di reinterpretazione di
Hegel, proponendo una critica rinnovata alla luce delle recenti scoperte scientiiche,
della psicoanalisi e del fallimento del comunismo.
Fumetti
Un carcere geometrico
Paul Hornschemeier
La vita con Mr. Dangerous
Tunuè, 160 pagine, 19,90 euro
I personaggi dei libri di
Hornschemeier sembrano
condannati in una galera che
potremmo deinire una linea
retta perpetua. Eppure girano
in tondo. E il suo disegno, apparentemente schematico, rivela al contrario grande sapienza nel gestire l’espressività
dei personaggi, a prima vista
inespressivi. Se le linee rette
insistentemente ripetute sono
interrotte da quelle verticali
delle porte (fondamentali nel
racconto), questi piani circondano, imprigionano, inquadrano le persone in un mondo ristretto. Viene espressa con forza, paradossalmente, una solitudine circolare. Emy lavora in
un negozietto di abbigliamento in uno dei tanti piccoli centri
abitati degli Stati Uniti, anonimi e freddamente lineari nelle
architetture come nell’urbanistica. Le sue conversazioni, a
cominciare da quelle con la
madre che scansa ogni colloquio vagamente profondo, sono quasi fondate sul nulla.
Questo nulla è interrotto da
frammenti di una iction televisiva, Mr. Dangerous, alquanto
surrealista se non dadaista. Ma
Hornschemeier solo all’apparenza gioca al pastiche postmoderno: crea una dimensione di
straniamento inserendo riferimenti a teorie della isica. E la
freddezza apparente nasconde
uno sguardo profondamente
umano nell’ofrire il ritratto di
una giovane donna che riesce
a spezzare la circolarità. Grazie
anche all’aiuto di un angelo custode nascosto.
Francesco Boille
Leonard Michaels
Sylvia
Adelphi,129 pagine, 16 euro
Due studenti nella New York
dei primi anni sessanta sono
imprigionati in un’ossessione
d’amore che li fa sprofondare
ino alla follia.
Ivan Carozzi
Teneri violenti
Einaudi, 160 pagine, 17 euro
Un uomo rovista nelle storie
di cronaca italiana di un passato recente, trovando una
folla di vite tragiche, strambe,
romantiche e riscoprendo
un’Italia perduta.
Pierre Zaoui
L’arte di essere felici
Il Saggiatore, 374 pagine,
17 euro
Un piccolo manuale di sopravvivenza scritto con arguzia ed eleganza da uno dei più
autorevoli ilosoi francesi
contemporanei.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
91
Cultura
Musica
Dagli Stati Uniti
Omar Souleyman
Bolzano, 23 settembre
teatrocomunale.bolzano.it
Lady Gaga contro lo streaming
Mondo Generator
Savignano sul Rubicone (Fc),
24 settembre
389 849 0771
L’artista è pronta a mettere
il nuovo album online
gratis se la sua casa discograica farà accordi esclusivi con Apple o Tidal
Dirotta su Cuba
Milano, 24 settembre
bluenotemilano.com
Christian Fennesz
Milano, 26 settembre
centrosanfedele.net
Roma, 28 settembre
concertiiuc.it
Cristiano Godano
Roma, 25 settembre
nacosetta.com
Lim
Napoli, 24 settembre
laniicio25.it
Passenger
Milano, 28 settembre
fabriquemilano.it
Sarah Jane Morris
Milano, 29-30 settembre
bluenotemilano.com
Carmen Consoli
Roma, 23 settembre
06 372 5446
Ezio Bosso
Siena, 24 settembre
toscanamusiche.it
Christian Fennesz
92
“Ho detto chiaramente alla
mia etichetta che se mai gli
venisse in mente di irmare
un contratto di esclusiva con
Tidal o Apple Music, sarò io
stessa a mettere in rete la
mia musica gratis”. Lo ha
detto Lady Gaga durante
un’intervista per Beat1 che,
ironia della sorte, è il servizio
radio di Apple Music. Il suo
nuovo album, Joanne, dovrebbe uscire il 21 ottobre ma
l’artista è già sul piede di
guerra. Pare che anche
STEFAN HOEDERATH (GETTy IMAGES)
Dal vivo
Lady Gaga
Britney Spears abbia sciolto a
sue spese un’esclusiva con
Apple Music per il suo ultimo
album Glory.
Entrambe le artiste temono che queste esclusive, molto lucrose sul momento per le
loro etichette, alla lunga portino alla disafezione dei fan,
che si trovano ricattati a doversi iscrivere a determinate
piattaforme di streaming. Ma
il vero colpo di frusta arriva
da Spotify, la principale piattaforma di streaming, che di
fatto boicotta gli artisti che
hanno concesso esclusive a
Apple Music facendo sparire i
loro album dalla homepage e
dalle seguitissime playlist
settimanali. Spotify nega ma
lo scarsissimo rilievo dato di
recente alle uscite di Katy
Perry e Frank Ocean sanno di
boicottaggio. Lady Gaga vuole chiaramente tirarsi fuori da
questo fuoco incrociato e, nel
frattempo, il suo ultimo singolo Perfect illusion è molto
spinto da Spotify.
Paul Resnikof,
Digital Music News
Playlist Pier Andrea Canei
Spaghetti alla viennese
Waldeck
Bello ciao
“Dammi l’ultimo bacio,
per favore, dammelo… Il treno
dei desideri partirà… Fai la tua
valigia, caro vai…”. E poi via,
marcetta trasognata con un
senso malinconico e maccheronico dell’arrivederci. L’austriaco Klaus Waldeck, tastierista, compositore e arteice di
una lounge sopraina, torna
alla carica con Gran Paradiso,
con le esercitazioni linguistiche di La Heidi, formidabile
vocalist viennese, e un mood
come nel vecchio spot Martini
con Charlize Theron che sfuggiva a uno pseudo-Onassis per
perseguire una vita più dolce
con uno pseudo-Mastroianni.
1
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Thom Sonny Green
Vienna
Il batterista di una delle
band più acclamate degli ultimi anni (gli Alt-J sono quasi i
nuovi Radiohead) nel tempo
libero fa altro: bricolage di suoni, musiche atmosferiche per
ilm mai girati. Questa morbida sigletta è la prima di 21 tracce del suo esordio solista, High
anxiety, che poi era anche il titolo di quel ilm in cui Mel
Brooks giocava con gli stilemi
di Alfred Hitchcock. Così fa
anche Thom, gioca con colonne sonore di John Carpenter o
Angelo Badalamenti, le sequenze oniriche del cloud rap,
la geograia evocata dai suoni
industriali o ambient.
2
Elektro Guzzi
Voix
Una lineup chitarra-basso-batteria per suonare musica
techno in presa diretta può far
pensare a un trucchetto da
Scommettiamo che…?, ma questo power trio di austriaci mostra di far le cose per bene, e
con il nuovo album, Clones,
scolpisce groove energici e tesi
che ricordano un po’ lo storico
exploit dei Liquid Liquid (il cui
Richard McGuire, poi diventato fumettaro di culto, scolpì
una linea di basso che rimase
nella coscienza collettiva hip
hop, scippata da Grandmaster
Flash in The message). Band di
frontiera, tra cocciuta semioscurità e live accaniti.
3
Jazz/
impro
Scelti da Antonia
Tessitore
Tony Hymas
Joue Léo Ferré
(Nato)
l’aspetto melodico dei pezzi.
Ma il brano che dà il titolo
all’album ha abbastanza cuo­
re ed energia da non farsi su­
bissare. Furnaces non sarà il
disco che Ed Harcourt crede
che sia, ma sicuramente è un
lavoro interessante.
Tim Jonze, The Guardian
Exploded View
Exploded View
(Sacred Bones)
●●●●●
Nel 2010, la musicista anglo­
tedesca Annika Henderson
aveva realizzato un debutto
che era senza dubbio una fu­
sione delle sue origini: kraut­
rock e trip hop accompagnato
da una voce che avrebbe fatto
impallidire Nico. Se quell’al­
bum e l’ep successivo poteva­
no essere considerati un po’
claustrofobici, con il progetto
Exploded View Henderson
passa da un universo solitario
di synth a una dimensione in
cui improvvisa con una band
e registra tutto con grande
spontaneità. È un bel rischio,
ma è ricompensato da un
bel risultato. Henderson
espande così la sua tavolozza
andando oltre il vecchio gri­
giore, senza perdere i neri
più scuri. Un pezzo come
Stand your ground non trae
in inganno: questo è rock
nella sua forma più oscura
e istintiva.
James F. Thompson,
Loud and Quiet
Local Natives
dipinge atmosfere cupe: d’al­
tronde prende il nome da un
cimitero di Copenaghen, la
città in cui è stato registrato.
La prima parte del disco ha il
difetto di essere un po’ troppo
uniforme, ma i brani successi­
vi sono più vari. Insieme a
Cubic haze, una delle tracce
più accattivanti, arrivano
perle come la luminosa Signal
symbol e la bellissima Barefoot
Agnete.
Philip Sherburne,
Pitchfork
Ed Harcourt
Furnaces
(Polydor)
●●●●●
“Volevo fare un album su cui
la gente potesse piangere, fare
a botte e scopare”: questi sono
gli obiettivi che Ed Harcourt si
è dato per il suo settimo al­
bum solista. Qualche doman­
da viene di farsela. Che gene­
re di cretino si metterebbe a
fare a botte con un sottofondo
di indie rock orchestrale? E
poi che dongiovanni può esse­
re uno che mette su un pezzo
di Ed Harcourt prima di darsi
da fare tra le lenzuola? E per
quanto riguarda il piangere,
be’, Furnaces per fortuna non
fa così schifo. Anzi, è un al­
bum (qui attenzione agli ossi­
mori) pieno di gentile pop
apocalittico con ritornelli belli
rigoni. Il produttore, Flood,
ha coperto le meste favole di
Harcourt di bassi tenebrosi,
un’idea che non fa brillare
DR
Cristian Vogel
The assistenz
(Shitkatapult)
●●●●●
Cristian Vogel ha passato tutta
la sua carriera a cercare di ri­
solvere una contraddizione
della techno: la ripetizione è
uno dei suoi fondamenti e allo
stesso tempo il tallone di
Achille. Fin dagli esordi il mu­
sicista britannico di origine ci­
lena ha stabilito delle fragili
tregue tra ordine a caos. Il suo
ultimo disco, The assistenz,
sviluppa suoni e idee dei due
precedenti – The inertials, del
2012, e Polyphonic beings, del
2014 – destreggiandosi tra
dub, industrial e musica elet­
tronica sperimentale. L’album
BRyAN SHEFFIELD
Album
Local Natives
Sunlit youth
(Infectious/Loma Vista)
●●●●●
Come suggerisce il titolo, il
terzo album dei Local Natives,
quintetto di Los Angeles, li
trova in un posto più felice ri­
spetto alla disperazione di
Hummingbird nel 2013. Sfortu­
natamente, però, la svolta
rende l’ascolto meno avvin­
cente. Il cambiamento non è
solo di tono: mentre un tempo
si ispiravano a Fleet Foxes e
The National, oggi questa loro
nuova garbata euforia (“Pos­
siamo fare tutto quello che vo­
gliamo!”, canta Kelcey Ayer in
Fountain of youth) poggia trop­
po spesso su un indie da sta­
dio in stile Coldplay, anche se
con ritmi meno prevedibili.
Certo, l’album ha dei bei mo­
menti, in particolare la delica­
tamente seducente Dark days.
Ma nonostante alcune trovate
interessanti, Sunlit youth è co­
sì pulito e rainato da risultare
alla lunga poco coinvolgente.
Phil Mongredien,
The Observer
Francesco Massaro
Bestiario marino
(Desuonatori)
Exploded View
Steve Lehman
Sélébéyone
(Pi Recordings)
Teenage Fanclub
Here
(Pema)
●●●●●
I Teenage Fanclub sono nel lo­
ro terzo decennio di attività,
e c’è qualcosa di confortante
nella loro musica: è sempre
familiare, ma non è mai ugua­
le a se stessa. Al limite ci sono
parti di Here che chiudono il
cerchio, come Thin air, con
chitarre dense che fanno veni­
re in mente i loro classici degli
anni novanta senza rinunciare
a melodie che sembrano usci­
te dal catalogo dei Byrds.
Dopo tutti questi dischi, con­
certi e canzoni i quattro sem­
brano aver capito cosa gli rie­
sce meglio. In sostanza, Here
non ofre molte sorprese, ma
farà la gioia dei fan.
Joe Heaney, Clash
Okkervil River
Away
(Ato)
●●●●●
Will Shef, baricentro emotivo
e lirico degli Okkervil River, si
trova in un posto isolato in
Away, ottavo disco di una
band che pare sempre di più
un progetto solistico. Le nove
tracce dell’album, dense e al­
lusive, formano un arazzo un
po’ irregolare di paure e dub­
bi, con Okkervil river r.i.p., un
requiem ironico sulle tristi
sorti di musicisti semiscono­
sciuti, che esprime più chiara­
mente questa desolata solitu­
dine ma stabilisce anche la
griglia di suoni del gruppo.
Away, insomma, è diametral­
mente opposto alla calda, per
quanto complicata, nostalgia
di The silver gymnasium del
2013, ma mostra che, a parte
qualche incertezza concettua­
le e un paio di scivoloni verso
un sentimentalismo lagnoso,
Shef se la cava anche da solo.
Jesse Cataldo,
Slant Magazine
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
93
Cultura
Video
In rete
Turismo
responsabile
Paolo Rumiz. Appia:
il cammino
Sabato 24 settembre, ore 22.10,
Laefe
Prosegue il reportage realizzato durante il viaggio a piedi
lungo 29 giorni e oltre 600
chilometri fatto da Paolo Rumiz insieme alla sua comitiva
di artisti, musicisti e scrittori.
La nave dolce
Sabato 24 settembre, ore 22.30,
Rai Storia
Nell’agosto del 1991 approdava in Puglia la nave Vlora, salpata dall’Albania con a bordo
ventimila migranti. Daniele
Vicari torna su un momento
che ha segnato la trasformazione dell’Italia in territorio di
immigrazione.
MadrEmilia. Sulla via
di Tondelli
Lunedì 26 settembre, ore 22.40,
Rai Storia
L’Emilia-Romagna secondo lo
scrittore Pier Vittorio Tondelli, che nei suoi romanzi e nei
suoi racconti ne aveva preigurato i cambiamenti.
Radiohead in rainbows
Giovedì 29 settembre, ore 23.15,
Rai5
Documentario su una sessione di registrazione del gruppo
inglese in studio con il produttore Nigel Godrich. In rainbows (2007) è stato il primo album autoprodotto dai Radiohead dopo la rottura con la casa discograica Emi.
Il soldato innamorato
Sabato 1 ottobre, ore 22.10,
Rai Storia
Il diario tenuto dal soldato
Salvatore Cuccia viene sfogliato e ripercorso cento anni
dopo dal nipote regista Salvo,
per raccontare da un punto di
vista intimo e privato un evento decisivo e lacerante come la
prima guerra mondiale.
94
Dvd
Il vizietto di Weiner
Le elezioni presidenziali statunitensi si avvicinano, e non
mancheranno colpi bassi.
Chissà se saranno all’altezza
di quanto capitato al democratico Anthony Weiner, protagonista di uno scandalo causato
dal suo debole per gli sms
spinti e le immagini esplicite,
che gli costarono le dimissioni
dal congresso nel 2011. Come
mostra Weiner, il documentario di Josh Kriegman e Elyse
Steinberg, impietoso ritratto
della macchina politica statunitense, Weiner non si è arreso: nel 2013 si è candidato a
sindaco di New York, purtroppo senza rinunciare ai suoi
vecchi vizi. Il dvd è uscito negli
Stati Uniti.
ifcilms.com/ilms/weiner
detrasdelparaiso.eldiario.es
Finisce l’estate, ma non in
paesi come Thailandia,
Zanzibar e Repubblica
Dominicana, paradisi
tropicali con spiagge che
accolgono i turisti tutto l’anno.
Ma cosa succede quando
milioni di occidentali
invadono paesi in cui gran
parte della popolazione vive
in povertà? Questo newsgame
del settimanale spagnolo El
Diario propone tre viaggi
virtuali, dall’arrivo in
aeroporto al ritorno a casa,
durante i quali, attraverso
immagini, interviste e test,
l’utente è invitato a capire
l’impatto del turismo sui paesi
in via di sviluppo. Si parla
anche di turismo sessuale, di
danni ambientali causati dai
resort di lusso e di
neocolonialismo delle
multinazionali del turismo.
Fotograia Christian Caujolle
L’algoritmo del falso pudore
In tutto il mondo i mezzi d’informazione sono stati colpiti
dalla censura di Facebook della celebre fotograia di Nick
Ut, che mostra la piccola Kim
Phuc in fuga dal suo villaggio
durante un bombardamento al
napalm dell’aviazione statunitense nel 1972. L’immagine è
stata vietata per la politica che
il social network di Mark
Zuckerberg segue contro la
pedopornograia. In efetti la
bambina nella foto è nuda.
Così questa immagine simbolo del fotogiornalismo, diven-
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
tata parte della nostra memoria collettiva viene etichettata
come “il male” a causa di un
falso pudore che si vergogna di
riconoscersi tale. Non è la prima volta e sicuramente non
sarà l’ultima. E sappiamo bene
che certe immagini che abbiamo pubblicato, anche con orgoglio, negli anni ottanta e novanta oggi sarebbero considerate problematiche se non addirittura da vietare. Ma questa
volta non sono stati i cerberi
pagati da Zuckerberg a svelare
il misfatto. No, stavolta sono
stati degli algoritmi a trovare
la fotograia di una bambina
nuda. E sono stati severi, come a loro tempo lo furono i
censori dell’Origine del mondo
del pittore Gustave Courbet,
per esempio. Ci si chiede poi
se questi algoritmi sarebbero
in grado di capire che anche
quelle che vediamo nei nudi di
Picasso sono delle vulve. Delle
vulve cubiste. Tutto questo
non fa che confermare un fatto: gli algoritmi sono degli
idioti. Degli idioti molto pericolosi. u
Otto ilm su informazione,
attualità e diritti umani
A cura di CineAgenzia
I documentari saranno proiettati in anteprima
al festival di Internazionale a Ferrara,
dal 30 settembre al 2 ottobre 2016, al cinema Boldini
Ingresso 3 euro
Alcaldessa
Reach for the sky
di Pau Faus
di Steven Dhoedt
e Wooyoung Choi
Il percorso di Ada Colau dall’inizio
della sua candidatura con il
movimento Barcelona in comú ino
alla trionfale elezione a sindaca della
capitale catalana.
Venerdì 30 settembre alle 22.30
Sabato 1 ottobre alle 16.15
Among the believers
Ogni 2 novembre in Corea del Sud
mezzo milione di ragazzi afrontano
un test scolastico che determinerà non
solo quale università frequenteranno
ma anche il loro status nella società
coreana.
Venerdì 30 settembre alle 14
Sabato 1 ottobre alle 18.15
di Mohammed Ali Naqvi
e Hemal Trivedi
The girl who saved my life
Il carismatico leader religioso Abdul
Aziz Ghazi, sostenitore del gruppo
Stato islamico e dei taliban, incita al
jihad e sogna d’imporre in Pakistan
una rigida versione della sharia.
Venerdì 30 settembre alle 12
Sabato 1 ottobre alle 14.15
Future baby
di Eyal Blachson e Uri Rosenwaks
Nella cadente città israeliana di Lod, a
dieci minuti di auto dalla ricca Tel Aviv,
vivono gomito a gomito signori della
droga palestinesi e coloni ortodossi
ebrei.
Venerdì 30 settembre alle 16
Domenica 2 ottobre alle 10
Under the gun
di Stephanie Soechtig
di Hogir Hirori
Nell’agosto del 2014 il regista Hogir
Hirori lascia la moglie incinta in Svezia
per tornare nel Kurdistan iracheno,
dov’è nato, a documentare il destino di
un milione e mezzo di profughi in fuga
dal gruppo Stato islamico.
Sabato 1 ottobre alle 12.30
Domenica 2 ottobre alle 16.15
di Maria Arlamovsky
Un viaggio intorno al mondo e nel
futuro della riproduzione umana,
tra pazienti e ricercatori, donatori
e gestazioni per altri, cliniche e
laboratori.
Sabato 1 ottobre alle 10.30
Domenica 2 ottobre alle 14.15
Town on a wire
Tickling giants
di Sara Taksler
Nel pieno della primavera araba,
Bassem Youssef lascia il suo posto
di cardiochirurgo per diventare il
protagonista di un programma satirico
egiziano che diventa rapidamente il più
visto in Medio Oriente.
Venerdì 30 settembre alle 20.15
Domenica 2 ottobre alle 12
Per maggiori informazioni su Mondovisioni e sul tour:
internazionale.it/festival/mondovisioni
cineagenzia.it
Il quadro impressionante del dibattito
sul possesso di armi negli Stati
Uniti, che resta determinante nella
campagna presidenziale e nell’attualità
americana.
Venerdì 30 settembre alle 18
Domenica 2 ottobre alle 18
Al termine di Internazionale
a Ferrara 2016 la rassegna
Mondovisioni partirà in tour
per l’Italia ino all’estate del 2017.
Mondovisioni è disponibile a
noleggio per proiezioni in sale e
circoli cinematograici, associazioni
culturali, scuole e università. Scrivi
a [email protected] per portarla
anche nella tua città.
Cultura
Arte
La biennale di Taipei
Taipei ine arts museum,
ino al 5 febbraio
Con il contributo di ottanta
artisti, il Taipei ine arts museum presenta un ricco programma lungo cinque mesi,
che intreccia mostre, performance, proiezioni, convegni e
letture in collaborazione con
le istituzioni locali. Il titolo
Gesti e archivi del presente, genealogie del futuro, si propone
di esplorare il ruolo catalizzatore del museo nella sperimentazione di pratiche transartistiche. La biennale è diventata un punto di riferimento fondamentale per l’arte
contemporanea in Asia.
e-lux
Pieter Stoutjesdijk (TheNewMakers), Rifugio post-disastro per Haiti, 2013/2016.
PIETER SToUTJESDIJk
Uniformità
Uniformity, Fashion institute
of technology, New York, ino al
19 novembre
Uniformi per tutti i gusti: militari, da lavoro, per la scuola e
lo sport. Da quelle femminili
dell’esercito statunitense nella Seconda guerra mondiale a
quelle della polizia newyorchese nel 1940, ino alle uniformi per gli scolari di Eton,
tutte accostate a bozzetti di
stilisti che si sono ispirati proprio alle uniformi per le loro
creazioni. Una maglia alla
marinara francese è accanto a
un abito di pizzo del marchio
Sacai, un’uniforme inaspettatamente graziosa di McDonald’s accanto a uno sciatto
completo di Moschino disegnato da Jeremy Scott e decorato con un gigantesco logo
dorato. L’inluenza militare
domina, forse perché gli stilisti vogliono evocare autorità e
generare tensione sovversiva
negli abiti femminili. La tradizione ipermaschile, quindi, si
fonde con il femminile per
creare capi che non sono né
l’uno né l’altro.
The Village Voice
Paesi Bassi
Disegnare un futuro ecosostenibile
Dream out loud
Stedelijk museum, Amsterdam
ino al 1 gennaio
La mostra collettiva Dream
out loud è stata allestita in
concomitanza con la chiamata biennale che lo Stedelijk
lancia ai giovani designer dei
Paesi Bassi, chiedendo di presentare novità di ogni settore,
in vista di nuove acquisizioni.
Quest’anno sono arrivate 350
proposte. La giuria ha selezionato 26 opere di designer con
meno di 35 anni che condividono la sensibilità ai problemi
ambientali, familiarità con le
nuove tecnologie e capacità di
usare qualsiasi materiale.
Questa nuova generazione di
designer usa l’immaginazione
per inventare oggetti futuri
che combinano tecnologia e
fantasia: il Fairphone di Bas
van Abel, un telefonino costruito senza usare materiali
provenienti dalle miniere della regione del Congo, insanguinate dalla guerra civile, e
assemblato in fabbriche dove i
diritti degli operai cinesi sono
tutelati; una macchina per distillare la Coca-Cola e ottenere acqua pura; una barriera
galleggiante sperimentale per
intercettare e riciclare i resi-
dui di plastica che galleggiano
nel mare del Nord. Un altro
progetto prevede di aidare
340 vasi di rose alle cure degli
abitanti di Rotterdam per renderli responsabili dal punto di
vista ambientale. Gli Smog bijoux di Daan Roosegaarde, invece, sono gioielli plasmati
solidiicando lo smog. Le pietre sono sostituite da minuscoli blocchi di polvere urbana
che viene compressa da un
macchinario in grado di iltrare oltre 30mila metri cubi di
aria consumando l’energia di
un bollitore casalingo per il tè.
Les Inrockuptibles
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
97
Pop
La nuova musica classica
in Cina
Madeleine Thien
La fame di riforme diventò inarrestabile, e il sucn una stanza defilata del conservatorio di
Shanghai mi sono imbattuta in un piccolo mo- cessivo movimento per la “nuova cultura” mobilitò
numento commemorativo: ci sono fotograie, artisti e intellettuali che invocavano una svolta radicadocumenti e oggetti che ricordano le venti per- le nella concezione che la Cina aveva degli individui e
sone (professori, loro familiari e studenti) che della nazione. In questo clima di rinnovamento la mupersero la vita durante i dieci anni della rivolu- sica occidentale, che era libera dagli ostacoli della traduzione, iorì. Gli intellettuali, come scrisse l’illustre
zione culturale cinese.
Questa catastrofe si concluse ufficialmente nel studioso e ilosofo Wu Zhihui, avrebbero dovuto “gettare tutta la cultura classica cinese nel
1976, l’anno della morte di Mao Zedong.
gabinetto e tirare la catena”.
Qualche tempo dopo il violinista statu- La musica – il
Il pianoforte irradiava modernità ocnitense Isaac Stern arrivò in Cina per modo in cui
cidentale: era uno strumento prodotto
una serie di concerti molto attesi e sco- viene ascoltata,
in fabbrica, composto da più di duecento
prì che a Shanghai – per quasi un secolo cosa è vietato
sede di una delle prime orchestre in ascoltare e le diverse cavi d’acciaio al carbonio progettati in
laboratorio e usato da una facoltosa clasAsia – non si riusciva a trovare un piano- forme delle
forte degno di questo nome: tutti gli composizioni – è uno se media in nome della cultura e del bisogno di esprimersi. Le note suonate dal
strumenti, compresi i circa cinquecento
specchio insolito
pianoforte, tuttavia, sollevavano una
di proprietà del conservatorio, erano
della Cina e del
questione musicale: cosa succede al nostati distrutti.
stro cervello quando ascoltiamo qualcoLa musica – il modo in cui viene suo futuro
sa di nuovo? La musica classica occidenascoltata, cosa è vietato ascoltare e le
diverse forme delle composizioni – è uno specchio in- tale, per la sua tonalità, per le sue forme compositive e
solito della Cina e del suo futuro. Oggi il paese è il più per la sua storia, era un linguaggio completamente
grande consumatore e costruttore di pianoforti al alieno.
Per secoli, le qualità fondamentali della musica cimondo: l’80 per cento della produzione mondiale vienese si sono basate sull’alternanza e la rotazione di
ne dalle sue fabbriche.
La musica classica occidentale in Cina ha una sto- elementi sonori e non sonori. Il non suono, secondo il
ria molto lunga che coinvolge religiosi, rivoluzionari, linguista e musicologo Adrian Tien, comprendeva il
eroi e imperatori. Nel 1601, quando il missionario ge- silenzio, le interruzioni e le pause, oltre alla dissolvensuita Matteo Ricci visitò la Città proibita portando con za dei suoni nel nulla. Il non suono era parte integransé un clavicordo per l’imperatore, la corte scelse quat- te della musica, come gli spazi bianchi in un’opera di
tro eunuchi, di cui uno di 72 anni, perché prendessero calligraia. Tien osserva che “anche dall’ascoltatore
lezioni. I quattro resero omaggio allo strumento, im- meno esperto ci si aspettava la capacità di udire al di là
plorando il clavicordo di essere paziente “se fossero della forma sonora”. L’ascolto non era soprattutto una
stati lenti ad apprendere codesta arte, ino a quel mo- questione di orecchio: richiedeva di liberare il cervello
mento a loro sconosciuta”. Più di un secolo dopo, l’im- per permettere la percezione di altri stimoli non senperatore Qianlong teneva a corte un ensemble di 18 soriali.
La musica romantica introduceva un’esperienza
musicisti di formazione europea e un’enciclopedia di
vari volumi sulla teoria della musica occidentale com- uditiva completamente diversa. Con le sue orchestre
sontuose e i suoi vibranti motivi costruiti su una forma
missionata da suo nonno.
Ma la grandeur della corte Qing durò poco. A metà fatta di esposizione, sviluppo e ricapitolazione – in sodell’ottocento il paese, devastato dalle guerre dell’op- stanza sulla trasformazione – sembrava capace di
pio, era in rovina. Ai missionari fu dato accesso all’en- esprimere la potenzialità dell’io cinese moderno. Cotroterra come mai era avvenuto in passato e le famiglie me Sheila Melvin e Jindong Cai documentano
povere si aidarono alla carità delle scuole cristiane nell’emozionante libro Beethoven in China, il composidove, liberi dagli obblighi del programma tradizionale, tore tedesco fu uno spirito guida per tutti quei giovani
i ragazzini studiavano le vite dei compositori europei, che, ispirati dall’amore per il loro paese, volevano “afimparavano gli inni sacri e suonavano il pianoforte, il ferrare il fato per la gola” e costruire una Cina basata
sull’uguaglianza economica e sociale.
violino e il clarinetto.
I
MADELEINE
THIEN
è una scrittrice
canadese. Il suo
ultimo libro
pubblicato in Italia è
L’eco delle città vuote
(66th and 2nd 2013).
Questo articolo è
uscito sul Guardian
con il titolo After the
cultural revolution:
what western classical
music means in China.
98
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
franco mattIcchIo
La violenza che si scatenò nel 1966, all’inizio della
rivoluzione culturale, aveva più a che fare con la politica di mao che con la cultura. ma la cultura, e la sua capacità di ridisegnare l’io, fu il capro espiatorio. Le parole di mao potevano essere usate contro chiunque:
“ogni letteratura, ogni arte appartengono a una classe
ben determinata e sono quindi vincolate a una determinata politica. L’arte per l’arte in realtà non esiste”.
Una delle prime campagne denigratorie a sfondo
ideologico prese di mira la musica di Debussy, considerata “la sporcizia lasciata in terra” dall’imperialismo
occidentale, e mise sotto accusa he Luting, rettore del
conservatorio di Shanghai, per aver difeso l’opera del
compositore francese. L’ostinato riiuto di he Luting
di confessare i propri crimini spirituali e politici, nonostante le torture psicologiche e isiche, fu un atto di
resistenza davvero eroico. nella sua storia della musica del novecento Il resto è rumore, alex ross osserva:
“nessun altro musicista nella storia ha preso una posizione altrettanto coraggiosa contro il totalitarismo”.
Lu hongen, direttore dell’orchestra sinfonica di
Shanghai, fu arrestato e condannato a morte. a pochi
giorni dalla sua esecuzione, disse al compagno di cella: “Vai a visitare l’austria, la patria della musica. Vai
sulla tomba di Beethoven e lascia un mazzo di iori. E
di’ a Beethoven che il suo discepolo è in cina”.
La diatriba tra “arte per l’arte” e “arte al servizio
del popolo” è vecchia quanto il desiderio di creazione
dell’uomo. Un pezzo musicale ha molti signiicati, politici e non: non esiste un’unica interpretazione indiscutibile. I numerosi suicidi al conservatorio di
Shanghai furono il rilesso di una profonda disperazioInternazionale 1172 | 23 settembre 2016
99
Pop
Storie vere
La galleria d’arte
Access di Vancouver,
in Canada, ha
organizzato una
residenza dal titolo
Ventitré giorni al mare.
L’artista Rebecca
Moss si è così
imbarcata sulla
Geneva, un cargo di
proprietà della
compagnia
sudcoreana Hanjin. I
problemi sono
cominciati quando la
Hanjin è fallita e tutti
i porti hanno
cominciato a riiutare
le richieste di attracco
della Geneva. Moss
ha raccontato: “Non
sapete cosa signiichi
guardare fuori dalla
inestra e vedere solo
dei container nel
mare ininito, e
rendersi conto che
stanno viaggiando
senza una
destinazione”. Alla
ine la nave è stata
autorizzata a fermarsi
a Tokyo anziché,
come era previsto
dalla residenza, a
Singapore.
100
ne e forse dell’incapacità, o del riiuto, di accettare il
mondo di assoluti della rivoluzione culturale, un mondo che ancora oggi è una grave minaccia per gli artisti,
gli avvocati e i sostenitori dei diritti umani.
Quando si tratta di modi di ascolto, i cinesi sono da
tempo aperti alle altre culture e al cambiamento: non
in modo rivoluzionario, ma attraverso un processo che
si ricollega a una lunga tradizione musicale. Non a caso, i due strumenti tradizionali più emblematici e
amati in Cina, il pipa e l’erhu, sono nati altrove, rispettivamente in Medio Oriente e nelle steppe dell’Asia
centrale.
Un secolo fa, le possibilità eroiche del romanticismo formarono una generazione di pensatori cinesi.
Quale sarà la prossima musica a conquistare l’attenzione del paese? Secondo me l’onore toccherà a Johann
Sebastian Bach, che in Cina è ancora oscurato da Beethoven. La pianista Zhu Xiao-Mei, dopo essere sopravvissuta alla rivoluzione culturale, scrisse che nella
sbalorditiva polifonia delle Variazioni Goldberg “c’era
tutto ciò che serviva per vivere”. La conclusione di Zhu
che in Bach come in qualsiasi cosa “non c’è un’unica
verità” faceva eco a quella del pianista canadese Glenn
Gould, che si meravigliava del modo in cui “ogni voce
individuale vive per conto suo”.
L’atto della creazione, per Bach, era l’atto del contrappunto: ogni voce sta in piedi da sola ma suona in
combinazione con un’altra, c’è solitudine e contatto. E
misteriosamente, nessuna voce è sottomessa a un’altra. u fas
Lo sport americano
è socialista
Derek Thompson
tifosi statunitensi ripetono spesso che gli sport
più seguiti nel loro paese – il football americano, il basket, il baseball e l’hockey su ghiaccio –
hanno campionati con regole che piacerebbero
a un socialdemocratico scandinavo. I tetti salariali e le tasse sui beni di lusso issano un limite
a quanto ogni squadra può spendere per i giocatori,
puniscono le squadre che spendono troppo e accorciano il divario tra club ricchi e club poveri. Le prime scelte del draft – l’evento annuale in cui le squadre scelgono i giocatori che arrivano dalle università, dalle scuole superiori e dai campionati stranieri – vanno quasi
sempre alle squadre che l’anno prima sono andate
peggio. La condivisione dei ricavi ridistribuisce le risorse tra squadre ricche e squadre povere. In generale,
il successo viene punito, la sfortuna viene premiata e il
potere dei soldi è limitato dai tetti alla spesa.
Le cose sono molto diverse sull’altra sponda
dell’Atlantico, in Europa, dove i campionati di calcio
hanno usi e costumi che non dispiacerebbero afatto a
I
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
un conservatore statunitense. Ci sono pochissime regole sui tetti salariali, quindi un gruppo ristretto di club
ricchi domina per anni. Quando una squadra va male
non viene ricompensata con una delle prime scelte al
draft, ma viene retrocessa in un campionato meno importante, con pesanti efetti sui ricavi. Le squadre più
forti delle divisioni inferiori, invece, vengono promosse in campionati più competitivi dove possono guadagnare di più.
Da anni gli economisti si interrogano su perché gli
Stati Uniti non hanno lo stesso approccio socialista
dell’Europa allo stato. Forse la domanda si può rovesciare: perché l’Europa non ha lo stesso approccio socialista degli Stati Uniti allo sport? Perché le leghe calcistiche europee puniscono gli oppressi mentre gli
sport nordamericani sono così comprensivi con gli
sconitti?
Nel loro famoso studio Why doesn’t the U.S. have a
european-style welfare state? (Perché gli Stati Uniti non
hanno un welfare all’europea?), del 2001, gli economisti Alberto Alesina, Edward Glaeser e Bruce Sacerdote
osservano che le politiche dello stato sono un rilesso
della storia nazionale. Negli Stati Uniti, per esempio,
il retaggio della “frontiera aperta” dell’ottocento ha
contribuito allo scetticismo verso l’ingerenza dello
stato, mentre l’assenza di un partito socialista inluente dopo la seconda guerra mondiale ha reso più diicile il radicamento delle politiche di sinistra.
Per analogia, forse, dovremmo guardare alla storia
per risalire alle origini di questo sorprendente approccio liberista dell’Europa allo sport. Le attuali regole
della Premier league, il campionato di calcio inglese,
risalgono alla ine dell’ottocento, quando il calcio era
in grande crescita e nel giro di pochi decenni nacquero
centinaia di club in Inghilterra e in Galles. Proprietari,
giocatori e tifosi si resero conto che il calendario era
troppo caotico per organizzare le loro vite intorno al
calcio. Nel 1888, 12 squadre si misero insieme per formare la prima lega del calcio inglese. Questo passaggio diede un minimo di struttura al gioco più popolare
del mondo, stabilendo un calendario e un numero certo di partite in casa. Secondo la regola originale, le
squadre peggiori della stagione dovevano fare domanda di “rielezione” per continuare a giocare nel campionato, altrimenti il loro posto sarebbe stato preso da
una delle tante altre squadre concorrenti del paese.
Con l’aumento del numero dei club e delle divisioni, il
meccanismo della rielezione si trasformò in un sistema di promozioni e retrocessioni, un modello che si
sarebbe poi afermato in tutti i campionati europei e
del resto del mondo.
Quella delle promozioni e delle retrocessioni era
una soluzione tagliata su misura per un problema speciico del calcio inglese: il caos dell’abbondanza. In
Inghilterra ci sono migliaia di società di calcio. Senza
un minimo di ricambio all’interno delle divisioni più
prestigiose, come la Premier league, centinaia di squadre non avrebbero mai la possibilità di migliorare le
loro sorti. Le divisioni si calciicherebbero e i tifosi,
senza alcuna speranza di accedere a livelli più alti, perderebbero interesse o si ribellerebbero.
Le leghe sportive nordamericane di oggi non hanno lo stesso problema di abbondanza. Per esempio,
nella National football league (Nfl) ci sono solo
32 squadre e solo 30 nella Major league baseball (Mlb).
Non c’è una 33esima squadra di football che contende
un posto nella lega ai Tennessee Titans. Se una squadra di baseball va male per un periodo prolungato,
magari perde tifosi o si sposta in un’altra città (che è
una forma di retrocessione), ma nessuno penserebbe
seriamente di mandare i Minnesota Twins a giocare in
una lega minore.
In realtà, ci sono stati diversi momenti nella storia
degli Stati Uniti in cui nello stesso sport coesistevano
leghe diverse. Nel football c’erano l’American football
league e la National football league, ma si sono fuse
nel 1970 per evitare di rubarsi a vicenda i giocatori di
maggior talento. La Basketball association of America
e la National basketball league si sono fuse negli anni
quaranta. Ormai da decenni, quindi, esiste un’organizzazione monopolistica dominante – in sostanza un
cartello – in ciascuno degli sport più popolari.
Con un numero ristretto e relativamente isso di
squadre per ciascun campionato, le società sportive
professionistiche nordamericane hanno un problema
diverso: come evitare che una singola squadra rimanga irrimediabilmente indietro. Se nella National basket association (Nba) i Philadelphia 76ers continueranno a battere record negativi per dieci anni di seguito, correranno il rischio di perdere la base dei tifosi in
città e di nuocere ai ricavi televisivi.
La Premier league inglese e la Nl hanno preoccupazioni apparentemente diverse, ma su entrambe le
sponde dell’Atlantico le leghe sportive cercano di rispondere alla stessa domanda: come si afronta il problema dell’insuccesso? Come si fa a tenere vivo l’interesse dei tifosi delle squadre più deboli?
Nel calcio inglese, dove ci sono centinaia di squadre più o meno di pari livello dal punto di vista tecnico,
a tenere vivo l’interesse è la promessa del ricambio: le
partite di ine stagione tra squadre deboli assumono
un’importanza enorme perché una sconitta può significare la retrocessione. Nel football americano,
dove ci sono esattamente 32 squadre più o meno di pari livello, è la promessa della parità a tenere acceso
l’interesse: se quest’anno una squadra della Nl fa schifo, ci sono più speranze che migliori l’anno prossimo.
Promozioni e retrocessioni rendono più avvincenti i
campionati europei, mentre il sistema statunitense
alimenta le speranze quando la stagione inisce.
In realtà, anche le leghe professionistiche del
Nordamerica hanno un sistema di promozioni e retrocessioni, ma tra i giocatori. Le squadre di baseball
spesso mandano i più scarsi a giocare nelle leghe minori (Aaa) o chiamano i migliori delle leghe minori a
giocare nella Mlb. Le squadre della Nl fanno una manovra simile, spostando i giocatori dalla squadra delle
riserve alla prima squadra. Il miglior giocatore della
Aaa probabilmente è più bravo di molti giocatori della
Mlb, e il miglior playmaker della squadra delle riserve
probabilmente è pronto per giocare la domenica con i
titolari.
Come osservano Alesina, Glaeser e Sacerdote, le
scelte politiche non sono scritte nelle stelle, ma sono il
frutto delle vicende storiche. E la storia moderna degli
sport professionistici nordamericani è la storia di singole organizzazioni che hanno monopolizzato il talento in ciascuno sport. Mentre nel calcio inglese esistono
migliaia di squadre, negli Stati Uniti ci sono solo una
Nl, una Nba, un Mlb e una Nhl (National hockey league). Per assicurare la massima popolarità dei loro rispettivi monopoli, hanno fatto della parità la loro virtù
cardinale. E per imporre la parità, hanno imboccato
quella “via al socialismo” che le istituzioni politiche
statunitensi hanno fermamente riiutato. A giudicare
dai loro enormi proitti, a volte essere magnanimi con
gli sconitti può essere una strategia vincente. u fas
DEREK
THOMPSON
è un giornalista
statunitense.
Questo articolo è
uscito sull’Atlantic
con il titolo Why
american sports are
socialist.
Scuole Tullio De Mauro
Arriva l’xq
L’XQInstitute aveva messo in palio un premio da cento milioni di
dollari per le scuole medie superiori. Le domande sono state tante, così dieci scuole – le più credibili e più funzionali all’idea
dell’istituto – hanno vinto dieci
milioni di dollari ciascuna. Va bene valutare le scuole per quanto
sanno sviluppare l’iq, il quoziente
d’intelligenza di chi apprende, va
bene tener conto dell’eq, il quoziente emozionale. Ma bisogna
badare anche all’xq, dove x designa la capacità di adattarsi con
successo a mutamenti imprevedibili, come quelli che attendono chi
sta per uscire dalle scuole medie
superiori.
La direzione dell’istituto non
assegna i premi a fondo perduto.
Cercherà invece di mettere a frutto le esperienze di realizzazione
dei progetti e quindi li seguirà veriicandone l’impegno specie in
alcune direzioni: educazione al rispetto degli immigrati, tutela di
disabili e disagiati e più in generale attenzione ai diritti civili e tutela dell’ambiente. Il New York Ti-
mes ha dedicato un servizio alle
scuole premiate e all’iniziativa.
Rispetto ad altre donazioni muniiche, qui c’è un’idea educativa,
c’è la coscienza sia della necessità
di ripensare l’insegnamento medio superiore sia della diicoltà di
farlo. L’XQInstitute è presieduto e
sostenuto da Laurene Powell, vedova di Steve Jobs, da molti anni
impegnata in iniziative educative.
Ma come chiarisce Russlynn Ali,
direttrice dell’istituto, il denaro
da solo non basta per fare bene
scuola. u
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
101
ChIaRa DaTToLa
Scienza
è ancora presto per i igli
senza ovuli
Gretchen Voge, Science, Stati Uniti
La notizia di embrioni di topo
“prodotti senza ovuli” ha fatto il
giro del mondo. Ma le cose non
stanno proprio così. Ecco come
preparare un titolo a efetto in
cinque, semplici passi
o, gli scienziati non hanno ancora capito come fare dei “igli
senza madri” né sono vicini a
creare un embrione senza usare un ovulo. Uno studio pubblicato di recente sulla rivista Nature Communications
ha suscitato un fermento di titoli su metodi
futuristici per aggirare la classica formula
“sperma + ovulo = embrione”. Secondo varie testate, infatti, i ricercatori sarebbero
pronti a creare un bambino usando, per
esempio, una cellula della pelle al posto di
una cellula uovo e rendendo così possibile
a una coppia gay avere un iglio tramite la
fusione dello sperma dell’uno con una cellula della pelle dell’altro.
Quasi tutti i titoli e i relativi articoli, però, trascurano un dettaglio fondamentale:
per ottenere dei topolini, i ricercatori coordinati da Tony Perry, embriologo dell’uni-
N
102
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
versità di Bath, nel Regno Unito, hanno
fatto ricorso a ovuli, o ovociti, chimicamente stimolati a dividersi (di solito è la fecondazione tramite sperma a dare il segnale).
Cioè hanno usato ovuli che avevano cominciato a trasformarsi in partenoti, un insolito
tipo di embrione precoce. Le cellule del
partenote contengono solo la metà del numero normale di cromosomi proprio perché l’ovulo non è stato fecondato. Quando
gli scienziati hanno prelevato una delle due
cellule del partenote – circa mezza giornata
dopo aver indotto l’ovocita a dividersi – e
hanno iniettato uno spermatozoo, la combinazione ha dato vita, più o meno in un
quarto dei casi, a dei piccoli di topi.
L’esperimento è abbastanza interessante per chi studia i fondamenti della divisione cellulare e della fecondazione. E questo
spiega il commento, ampiamente riportato
dai giornali, di Robin Lovell-Badge, del
Francis Crick institute di Londra, secondo
cui il lavoro è stato un “tour de force tecnico”. Però lo studio non ha nulla a che fare
con la creazione di un embrione senza ovulo. Come spiegano quasi tutti i manuali
d’introduzione alla biologia, quello che
permette a spermatozoo e ovulo di fondersi per creare un nuovo organismo è il fatto
che entrambi contengono solo la metà dei
cromosomi degli altri tipi di cellule. Il termine tecnico è cellula aploide (quella con
un numero normale di cromosomi è diploide). Le cellule somatiche, come per esempio quelle della pelle, non sono aploidi e
nessuno sa come renderle tali.
Inoltre, l’ovulo contiene potenti fattori,
ancora ignoti, che gli consentono di guidare i primi passi dello sviluppo embrionale.
Sono stati proprio questi fattori a permettere il trasferimento nucleare delle cellule
somatiche (più noto come clonazione) che
hanno portato alla creazione della celebre
pecora Dolly dalla cellula di una ghiandola
mammaria (diploide). Il nuovo studio dimostra che la magia dell’ovulo persiste
perino dopo la stimolazione artiiciale a
dividersi in due cellule, ma non rivela quali
siano questi fattori né indica come si possano inserire in una cellula somatica.
La ricetta mediatica
Che ci piaccia o meno, gli ovuli sono ancora insostituibili. Perciò, senza ulteriori indugi, ecco la ricetta per trasformare un
modesto studio di biologia dello sviluppo
in una bomba mediatica.
1) Prendere il titolo di uno studio zeppo
di termini tecnici: “Topi creati da riprogrammazione mitotica di sperma iniettato
in partenoti aploidi”.
2) Filtrare lo studio in un linguaggio più
accessibile. Prendere il testo del comunicato stampa della rivista (“Uno studio su
Nature Communications dimostra che lo
sperma di topo iniettato in un embrione
inattivo modiicato può generare una prole
sana”) e aggiungere un titolo a effetto:
“Sperma di topo genera prole vitale senza
fecondazione in ovulo”.
3) Procurarsi un uicio stampa che inviti i giornalisti di Londra a un incontro con
gli autori dello studio. Titolo del comunicato del Science media centre: “Produrre
embrioni da una cellula che non è un
ovulo”.
4) Fare in modo che circoli una citazione elogiativa di uno scienziato noto e stimato: “È un tour de force tecnico”.
5) Cuocere per 24 ore e servire senza
commenti aggiuntivi. Titolo del Telegraph:
“Presto possibili figli senza madri: gli
scienziati hanno creato cuccioli vitali in
assenza di ovuli” e il titolo del Guardian:
“Per gli scienziati, le cellule della pelle si
potrebbero usare al posto degli ovuli per
creare embrioni”. u sdf
SALUTE
Le manovre
dello zucchero
SALUTE
Prostata
da sorvegliare
Environmental Science & Technology, Stati Uniti
La polvere di casa contiene molte sostanze chimiche, che in qualche caso
potrebbero essere dannose per la salute delle persone più vulnerabili, come i bambini. Per provare a fare il
punto della situazione, un gruppo di
ricercatori ha raccolto tutte le ricerche precedenti sulle sostanze chimiche che si possono trovare in un tipico appartamento di un paese sviluppato come gli Stati
Uniti. Sono stati analizzati anche ambienti come scuole e
uici. È emerso che nella polvere sono presenti composti
chimici come ftalati, fenoli, ritardanti di iamma, profumi
sintetici e sostanze perluoroalchiliche. I composti derivano dai detersivi e dai prodotti per la pulizia, ma anche dalle
vernici usate in casa e sui mobili, e dagli altri prodotti per
l’edilizia. Anche gli apparecchi elettrici e informatici sono
una fonte di sostanze chimiche. Tutte queste sostanze, se
ingerite, inalate o comunque assorbite, possono presentare un rischio per la salute. Per esempio, potrebbero aumentare il rischio di cancro, di malattie del sistema immunitario, riproduttivo ed endocrino, e di problemi dello sviluppo. L’esposizione a queste sostanze è quasi permanente, poiché nei paesi sviluppati le persone trascorrono molte
ore al chiuso. Resta, però, da chiarire se le quantità presenti siano efettivamente dannose. u
Paleontologia
IN BREVE
Astronomia È stata creata una
nuova mappa tridimensionale
della Via Lattea, la più dettagliata inora. Sono state incluse
1.142 milioni di stelle. La mappa, realizzata con i dati della
sonda Gaia dell’Agenzia spaziale europea, riporta la distanza
delle stelle e altre caratteristiche. Sarà utile per capire la formazione e la struttura della galassia. I quindici studi relativi
alla mappa saranno pubblicati
su Astronomy & Astrophysics.
Etologia Il corvo delle Hawaii
usa ramoscelli per estrarre il cibo dai tronchi. Finora questo
comportamento era stato osservato solo una volta nel corvo
della Nuova Caledonia. Lo studio è stato condotto su individui tenuti in centri faunistici,
poiché il corvo delle Hawaii è
probabilmente estinto in natura. Sarà quindi diicile capire se
anche nelle foreste i corvi avevano lo stesso comportamento,
scrive la rivista Nature.
ARCHEOLOGIA
Indaco
peruviano
Ritratto di dinosauro
È stato ricostruito l’aspetto del Psittacosaurus, un dinosauro del
cretaceo il cui fossile è stato trovato in Cina. L’animale aveva il dorso
scuro e la parte ventrale più chiara, caratteristiche che hanno ancora
oggi molti animali. Questa colorazione permette di essere meno
visibili negli habitat con luce difusa, come le foreste, scrive
Current Biology. u
Il blu indaco usato ancora oggi
per colorare i jeans sarebbe nato più di seimila anni fa in Perù, scrive Science Advances.
Gli scavi archeologici di Huaca
Prieta, nel nordovest del paese, hanno portato alla luce tessuti di cotone colorati con l’indigotina, un pigmento vegetale derivato dalle foglie dell’Indigofera tinctoria. Il più antico
tessuto conosciuto inora di
questo colore, che si difuse
nel mondo antico attraverso i
continenti, fu prodotto 4.400
anni fa in Egitto.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
103
JAkOb VINTHER (UNIVERSITà DI bRISTOL) E bOb NICHOLLS (PALEOCREATIONS.COM)
Il trattamento aggressivo di un
tumore alla prostata localizzato
e a uno stadio precoce non sembra dare sempre molti vantaggi.
Una sperimentazione che ha
coinvolto più di 1.600 uomini
tra i 50 e 69 anni ha mostrato
che il 99 per cento era ancora vivo dopo dieci anni, indipendentemente dal trattamento ricevuto: chirurgia, radioterapia o sorveglianza attiva, cioè controlli
regolari ed eventuale intervento. Tuttavia, dallo studio emerge anche che radioterapia e chirurgia limitano la difusione del
tumore. Secondo il New England Journal of Medicine,
quindi, solo se l’aspettativa di vita di una persona è minore di
dieci anni, potrebbe valere la
pena optare per la sorveglianza
attiva, evitando gli efetti collaterali delle terapie.
Nella polvere di casa
ESA/GAIA/DPAC
Nel 1967 il New England
Journal of Medicine pubblicò
uno studio che riconosceva nei
grassi saturi, e non negli zuccheri, il principale nemico del cuore. Negli stessi anni alcune ricerche indicavano invece che il
consumo di zuccheri aggiunti
era un importante fattore di rischio cardiovascolare. Oggi 319
documenti passati al setaccio
dai ricercatori dell’università
della California a San Francisco
rivelano che in realtà i tre autori
dello studio ricevettero 50mila
dollari da quella che poi sarebbe
diventata la Sugar association.
Con retribuzioni non trasparenti, denuncia Jama Internal of
Medicine, la lobby dello zucchero condizionò per anni il dibattito sul tema, ritardando la
comprensione degli efetti di
una dieta ricca di zuccheri sulle
malattie coronariche.
Chimica
Il diario della Terra
Ethical living
Norvegia
Nicaragua
India
4,1M
Niger
Colombia
6,1M
Meranti
REUTERS/CONTRASTO
di Niamey, la capitale del Niger, sono rimasti allagati a causa dello straripamento del iume Niger. Migliaia di persone
sono state costrette a lasciare
le loro case. u Un uomo è morto nelle alluvioni causate dalle
forti piogge che hanno colpito
lo stato del Victoria, nel sudest
dell’Australia.
Yongchun, Cina
Cicloni Almeno 18 persone
sono morte nel passaggio del
tifone Meranti sul sudest della
Cina, e altre undici risultano
disperse. Centinaia di migliaia
di persone sono state costrette
a lasciare le loro case. In precedenza il tifone aveva causato la
morte di due persone a Taiwan. u Otto persone sono rimaste ferite nel passaggio del
tifone Malakas in Giappone.
Alluvioni Alcuni quartieri
104
Vulcani Si è risvegliato il
vulcano Piton de la Fournaise,
sull’isola della Réunion, un
dipartimento d’oltremare
francese.
Lupi La Norvegia ha
Australia
Nuova
Zelanda
5,1M
autorizzato l’abbattimento di
47 lupi, circa il 70 per cento
della popolazione totale del
paese, per proteggere gli
allevamenti. La misura è stata
duramente contestata dal
Wwf.
Rane Migliaia di esemplari
di raganella dagli occhi rossi,
una specie a rischio di
estinzione che vive in America
Centrale, Messico e Colombia, sono stati trasferiti in una
riserva in Nicaragua per
proteggerli dagli efetti del
cambiamento climatico e
della deforestazione.
Maldive, uno squalo balena
dAVId LOh (REUTERS/CONTRASTO)
Siccità Secondo le Nazioni
Unite, in Somalia più di
300mila bambini di meno di
cinque anni hanno bisogno di
aiuti alimentari urgenti a causa
della siccità che ha colpito il
nord del paese.
Malakas
Somalia
La Réunion
(Francia)
-78,9°C
Vostok,
Antartide
Terremoti Un sisma di magnitudo 6,1 sulla scala Richter
ha colpito il nordovest della
Colombia, senza causare vittime. Altre scosse sono state registrate in Corea del Sud, in
Nuova Zelanda e in India.
Diferenziata
più chiara
Corea del Sud
5,4M
45,0°C
Adrar,
Algeria
Mare I grandi animali marini, come squali, tonni e balene,
hanno più probabilità di estinguersi rispetto agli organismi più
piccoli. L’efetto è dovuto alla pesca, che colpisce soprattutto le
creature di dimensioni maggiori, scrive Science. Nelle grandi
estinzioni precedenti gli organismi più minacciati erano invece
quelli di piccole dimensioni. La scomparsa degli animali più
grandi potrebbe alterare l’ecosistema marino in modo più profondo rispetto alle estinzioni precedenti.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
u Lampadine, confezioni di
patatine, bicchieri da caffè monouso: la maggior parte delle
persone non sa dove buttarli.
La Viridor, un’azienda che si
occupa di raccolta differenziata nel Regno Unito, ha intervistato online 1.500 britannici e
ha scoperto che il 63 per cento
delle persone è confuso perché
ogni amministrazione locale
usa colori diversi per i raccoglitori della differenziata, il 43
per cento non sa in quale giorno si raccoglie un determinato
tipo di rifiuto e il 73 per cento
vorrebbe maggiore trasparenza sulla destinazione della
spazzatura. In generale, c’è
una scarsa fiducia sulle capacità gestionali delle autorità.
Le persone, scrive il Guardian, vorrebbero riciclare di
più, ma chiedono un sistema
di raccolta migliore e più chiaro. Spesso mancano le informazioni su quello che si può riciclare. Per esempio, il 56 per
cento delle persone non sa se
la pellicola di plastica è riciclabile e il 52 si chiede come riciclare il telefono cellulare. Il risultato è la contaminazione
della raccolta differenziata:
basta un rifiuto messo nel bidone sbagliato per costringere
a una nuova selezione di tutto
il contenuto, con un forte aumento dei costi. Una possibile
soluzione è l’indicazione sulle
confezioni di come fare la raccolta differenziata. Anche gli
enti locali dovrebbero adeguarsi, organizzando la raccolta in accordo con le etichette.
Semplificare il sistema potrebbe far aumentare la quantità di
materiale riciclato, ridurre le
tasse dovute allo smaltimento
in discarica e diminuire lo
scarto negli impianti di riciclo.
Annunci
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
105
Il diario della Terra
Il pianeta visto dallo spazio 09.05.2016
Il porto di Aden, nello Yemen
Gold Mohur
EARtHobSERvAtoRY/NASA
Mualla
Nord
1 km
u Un astronauta a bordo della
Stazione spaziale internaziona­
le in orbita sullo Yemen ha scat­
tato questa foto del porto di
Aden, la seconda città del pae­
se. Il porto è formato da un vul­
cano spento, una lingua di sab­
bia e un’ampia baia. Subito sot­
to il vulcano, il quartiere della
città noto appunto come Crater
si afaccia sui moli del vecchio
porto e sulla fortezza di Sira,
roccaforte dell’undicesimo se­
colo che sorge su un isolotto da­
vanti alla costa.
La zona turistica di Gold
Mohur sfrutta le spiagge e le
onde di questo tratto costiero
aperto, con il vulcano che gli fa
Fortezza di Sira
da sfondo. Sul lato della baia ri­
parato dal vulcano c’è il porto
più grande di Mualla, snodo
economico di Aden.
La distesa di sabbia è co­
sparsa di laghetti salati da cui
l’acqua marina evapora sotto
un sole quasi costante. Da seco­
li il sale è per Aden un impor­
tante bene d’esportazione.
L’aeroporto internazionale
di Aden (l’ex Raf Khormaksar,
cioè la base dell’aviazione bri­
tannica) è il secondo dello Ye­
men, circondato dalle amba­
sciate e da una grande univer­
sità.
Aden sorge vicino all’estre­
mità meridionale del mar Ros­
Situata nello Yemen meridionale, la città di Aden ha
quasi 800mila abitanti.
Con il suo porto naturale è
stato a lungo un crocevia
strategico delle rotte tra
l’India e l’Europa.
u
so, un punto critico in cui con­
vergono le principali rotte ma­
rittime tra Egitto e Mediterra­
neo, golfo Persico e India, e il
lungo litorale dell’Africa orien­
tale. Per controllarle, il Regno
Unito occupò Aden e le zone li­
mitrofe della penisola araba tra
il 1839 e il 1967. La piccola en­
clave di Gibuti, sulla costa afri­
cana, fu occupata dalla Francia
per lo stesso motivo.
Dallo scoppio della guerra
civile nello Yemen nel 2015,
Aden è controllata dalle forze
che sostengono il presidente i­
losaudita in esilio Abd Rabbo
Mansur Hadi.–M. Justin Wilkinson (Nasa)
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
107
Economia e lavoro
vole alle imprese. In Francia Marine Le Pen,
la leader del Front national, sarà quasi sicuramente una delle favorite alle presidenziali del 2017. Eventi senza precedenti sono
diventati la norma. Nel 2011 l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato per la
prima volta il debito pubblico degli Stati
Uniti. L’insolvenza della Grecia è stata la
prima in un paese del mondo sviluppato.
Donald Trump stravolge ogni giorno qualsiasi convenzione politica.
ThOMAS JACkSON (GETTy)
Piani d’emergenza
Neanche l’occidente
è sicuro per le aziende
The Economist, Regno Unito
Di solito le multinazionali
valutano i rischi politici quando
investono nei paesi emergenti.
Oggi invece devono prendere
atto che anche il mondo ricco
è diventato molto instabile
e multinazionali hanno sempre
prestato particolare attenzione ai
rischi legati alla situazione politica dei paesi in via di sviluppo.
Spesso si rivolgono a società di consulenza,
che tengono d’occhio eventuali sviluppi allarmanti nelle zone d’investimento più remote. È in forte aumento la richiesta di coperture assicurative per tutelarsi da eventi
come il colpo di stato in Turchia, le sanzioni
contro la Russia o un’insolvenza del Venezuela. Oggi, però, molte aziende sono costrette a prestare la stessa attenzione anche
al rischio politico nei paesi ricchi. Basta
pensare al voto sulla Brexit, che ci ha ricordato come l’impossibile possa trasformarsi
in improbabile e poi diventare realtà.
Le imprese hanno davanti anni d’incertezza. Oltre alla Brexit, l’Europa si trova di
fronte a diverse crisi possibili. La Spagna è
L
108
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
sulla buona strada verso la sua terza elezione in un anno. Il presidente del consiglio
italiano Matteo Renzi ha promesso di dimettersi se perderà il referendum costituzionale previsto per la ine dell’anno, proprio mentre il sistema bancario è particolarmente instabile. La cancelliera tedesca
Angela Merkel si sta indebolendo a causa
delle sue impopolari politiche sui rifugiati.
Molti esperti credono che si cominci a
correre più rischi nei paesi ricchi. Il governo
indiano, dicono, non è stabile e sostiene politiche favorevoli alle aziende. Vladimir Putin ha riportato l’ordine in Russia, anche se
a un prezzo terribilmente alto. La Cina presenta piani quinquennali, mentre gli Stati
Uniti faticano ad approvare il bilancio. È
una visione discutibile, visto che il Brasile e
il Sudafrica passano da una crisi di corruzione all’altra.
In ogni caso è in corso un grande cambiamento. Negli ultimi trent’anni le multinazionali attive nei mercati sviluppati hanno operato in un ambiente per lo più favorevole. Ma ora non è più così. Lo spettro politico si sta ampliando. Nel Regno Unito Jeremy Corbyn, un socialista vecchio stampo,
è alla guida del Partito laburista, un tempo
espressione massima di una sinistra favore-
Le imprese devono riconoscere che molti
paesi sviluppati sono diventati mercati ad
alto rischio e potrebbero rendersi necessarie strategie di solito applicate ai mercati
emergenti: non concentrare i propri investimenti in un numero di paesi troppo ristretto, sviluppare “piani d’emergenza” in caso
di crisi improvvise, trasferire o ridurre il giro d’afari se un leader populista dovesse
arrivare al potere.
In genere le aziende sono molto restie a
investire a lungo termine quando la crescita
è molto lenta, come in occidente. Il rischio
politico potrebbe ampliicare quest’esitazione e far concentrare le imprese sulle
scommesse a breve termine o sui titoli sicuri. Tuttavia, se le aziende tornassero a investire a lungo termine rischierebbero di far
crescere l’instabilità, innescando un circolo
vizioso fatto di ristrutturazioni aziendali,
che favoriscono la stagnazione, che a sua
volta produce malcontento popolare e ulteriore caos politico. Bisogna integrare la prudenza con strategie più intraprendenti. Disinnescare la rabbia dell’opinione pubblica
verso gli eccessi aziendali, come la retribuzione dei dirigenti, è una priorità sia economica sia politica. I conciliaboli dei superricchi che s’incontrano per discutere della
piaga della disuguaglianza puzzano di dibattito tra aristocratici sull’opportunità di
distribuire qualche briciola dalle loro sontuose tavole.
Il Forum economico mondiale di Davos
ha scelto come tema per il prossimo meeting la “leadership responsabile”, una decisione che ha quasi del ridicolo. Le quattro
chiacchiere su invito non bastano. Le aziende devono essere consapevoli delle conseguenze politiche delle loro operazioni quotidiane: dalla retribuzione dei dirigenti alle
nomine nei consigli d’amministrazione. Il
prezzo della libertà di fare afari nel mondo
ricco oggi è costituito da una costante attenzione a questi dettagli. u ct
giappone
cina
grandi rischi
inanziari
ASIM HAfeez (BLooMBeRg/getty)
alla ricerca della crescita
La Cina rischia una grave crisi
nel suo settore inanziario, scrive l’Independent. Lo aferma
la Banca dei regolamenti internazionali (Bri), un istituto con
sede in Svizzera che vigila sul
settore inanziario globale. La
Bri basa la sua analisi sul creditto-gdp gap, un indice costituito
dalla diferenza tra il rapporto
tra credito e pil di un paese e la
sua tendenza sul lungo periodo.
Quanto più è ampia la diferenza tanto maggiore è il rischio di
una crisi. In sostanza, l’indice
aumenta se le banche di un paese prestano troppo e il pil nazionale tende a diminuire: questo
vuol dire che in futuro i creditori
di quegli istituti potrebbero non
essere in grado di rimborsare i
soldi avuti in prestito. “Nel primo trimestre del 2016 il creditto-gdp gap della Cina è arrivato a
quota 30,1. La Bri ritiene che ci
sia un serio rischio già quando
l’indice arriva a 10. Un anno fa il
credit-to-gdp gap della Cina era a
quota 25,4”.
Prezzo medio di una maglietta
di cotone per provenienza
7,33
in Francia, euro
6,61
Fonte: Le Monde
4,63
3,36
2,11
Ba
ng
la
de
Bu sh
lg
ar
i
tu a
ni
sia
C
in
tu a
rc
h
Vi ia
et
n
Po am
rto
ga
llo
1,76
3,65
La banca centrale giapponese prosegue nella sua politica
di stimolo dell’economia, scrive il Financial Times.
L’istituto ha mantenuto il tasso d’interesse al -0,1 per
cento, il livello issato lo scorso gennaio per spingere le
banche a non tenere fermi i loro soldi ma a prestarli alle
imprese e alle famiglie. Alcuni esperti prevedevano un
ulteriore abbassamento sotto lo zero, ma secondo la banca
centrale avrebbe causato perdite eccessive al settore
inanziario. L’istituto guidato da Haruhiko Kuroda (a
destra nella foto), inine, ha confermato a zero gli interessi
sui titoli di stato con scadenza decennale. u
germania
Una multa
salata
Le autorità statunitensi hanno
chiesto alla Deutsche Bank, la
principale banca tedesca, un risarcimento di 14 miliardi di
dollari per frodi commesse ai
danni dei consumatori durante
la crisi inanziaria scoppiata nel
2008. Come spiega la Süddeutsche Zeitung, “è una richiesta che potrebbe mettere in
ginocchio la banca tedesca e
che, in qualche modo, sa di
‘guerra commerciale’”. La
Deutsche Bank, osserva il quotidiano tedesco, “aveva da poco
avviato delle trattative con le
autorità statunitensi, e non era
mai accaduto che a questo stadio dei colloqui trapelassero in-
discrezioni”. In ogni caso l’istituto è “con le spalle al muro:
mentre un’azienda come la Apple è in grado di pagare i 13 miliardi di euro di tasse non pagate chiesti di recente dalla Commissione europea, la Deutsche
Bank nel 2015 ha perso 6,8 miliardi di euro e in bilancio aveva
accantonato 5,5 miliardi per risolvere le sue controversie giudiziarie”.
Le multe più alte inlitte a una banca
dopo il 2008, miliardi di dollari
Fonte: Süddeutsche Zeitung
Bank of
America, 2014
16,7
Deutsche
Bank, 2016
14,0
JP Morgan
2013
Citigroup
2014
goldman
Sachs, 2016
13,0
7,0
5,0
JASoN Lee (ReUteRS/CoNtRASto)
“L’industria tessile e dell’abbigliamento risente dei disordini
geopolitici che sconvolgono il
pianeta” e tende sempre più a
spostarsi verso est, scrive Le
Monde. Dopo il recente colpo
di stato in turchia, per esempio,
il governo di Ankara ha sequestrato due importanti fabbriche
tessili, considerate troppo vicine
all’opposizione. e ora i numerosi clienti occidentali dei due laboratori “temono che i loro ordini non potranno mai essere
evasi”. L’instabilità politica tiene lontane le aziende tessili anche dall’Ucraina e dalla regione
del Maghreb. Se ne avvantaggiano paesi come il Vietnam e la
Cambogia, che hanno un costo
del lavoro più basso di quello cinese e ormai stanno per raggiungere il Bangladesh nella
classiica dei grandi esportatori
di capi d’abbigliamento fabbricati per conto delle multinazionali occidentali. “In cima c’è
sempre la Cina, con 175 miliardi
di dollari di esportazioni nel
2015, seguita dall’Unione europea, dal Bangladesh e in quarta
posizione dal Vietnam”.
toRU HANAI (ReUteRS/CoNtRASto)
aziende
L’instabilità
del tessile
in breve
Svezia Dal 2017 il governo svedese ridurrà l’iva sulla riparazione di oggetti come gli elettrodomestici, le scarpe, le biciclette e
i vestiti dal 25 al 12 per cento.
L’obiettivo della misura è incoraggiare le persone a non buttare via subito i prodotti più usati
nella vita di ogni giorno. In questo modo, inoltre, si spera di creare opportunità di lavoro per chi
non ha un livello di specializzazione elevato.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
109
Strisce
Sulle orme
di Ariosto
e Bassani
Visite guidate gratuite nel centro storico di Ferrara, alla scoperta
di autori e personaggi della letteratura italiana che hanno
reso celebre la città estense
Venerdì 30 settembre
ore 16.00
Sabato 1 ottobre
ore 10.00
ore 11.00
ore 16.00
Letture a cura di Ferrara Of
e performance a cura
di Teatro Nucleo
Prenotazione obbligatoria
presso l’infopoint del festival
in piazza Trento e Trieste
Partenza delle visite
da Piazza Municipale
Ingresso gratuito a numero
chiuso
Domenica 2 ottobre
ore 10.30
Con la collaborazione
del Comune di Ferrara
Le visite sono oferte da
L’oroscopo
Rob Brezsny
Questa è la mia traduzione di un brano del Vangelo di
Tommaso, un testo apocrifo sugli insegnamenti di Gesù. “Se non ti svegli e non li realizzi, i potenziali talenti
che hai dentro di te ti danneggeranno. Se ti svegli e li realizzi, i
potenziali talenti che hai dentro di te ti guariranno”. Svegliarsi e
riuscire a sviluppare quei talenti dipenderà da due cose: la capacità di individuarli chiaramente e la determinazione a realizzarli
con la tua aggraziata forza di volontà. Te lo dico, Bilancia, perché
i prossimi mesi saranno un periodo estremamente favorevole per
accelerare la maturazione dei tuoi talenti.
ARIETE
Anche se sei un appassionato cacciatore di avventure
che ha opinioni e desideri estremi,
nelle prossime settimane faresti
meglio ad assumere un atteggiamento più moderato nei confronti
della vita. Anzi, sarà più facile per
te attirare l’aiuto e l’ispirazione che
ti servono se userai la strategia di
Riccioli d’oro nella Storia dei tre orsi: non essere eccessivo né sottotono, non essere esagerato né sobrio,
e neanche scurrile, chiassoso, sfacciato o passivo, ma scegli la giusta
via di mezzo.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
TORO
Alcuni dei miei lettori mi
amano e allo stesso tempo
mi odiano. Sono attratti dai miei
oroscopi perché sperano di trovare
un po’ di sollievo dalla loro abituale soferenza, ma quando succede
si arrabbiano. Ripensando al passato, si sentono perduti senza la
compagnia familiare della loro sofferenza: era una componente fondamentale della loro identità, una
fonte di stabilità, e quando scompare non sanno più chi sono. Sei
come queste persone, Toro? Allora
forse dovresti evitare di leggere i
miei oroscopi per un po’ di tempo,
perché sto per intraprendere una
crociata per mettere ine alla tua
angoscia e alla tua agitazione. A
partire da ora, con questa frase: la
tua ferita è una benedizione. Scopri perché.
GEMELLI
Ieri notte ho sognato che dei
cattivi con il cappello bianco
ti mettevano una camicia di forza
di tela, poi ti avvolgevano con una
pesante catena d’acciaio chiusa
con tre lucchetti, ti portavano in un
campo di erbacce dietro a un deposito abbandonato e ti lasciavano
lì nel buio totale. Ma tu eri indomabile. All’alba eri già miracolosamente riuscito a divincolarti ed eri
tornato a casa libero e impavido.
La mia interpretazione del sogno è
che in questo momento sei un
grande artista della fuga. Nessuna
gabbia può trattenerti. Nessun
groviglio può confonderti. P.S. Per
ottenere risultati migliori, idati di
te stesso più del solito.
CANCRO
Le prossime quattro settimane saranno il momento
ideale per tornare a casa. Ecco nove consigli per riuscirci. 1) Nutri le
tue radici. 2) Rinforza le tue fondamenta. 3) Medita su qual è veramente il tuo posto nel mondo. 4)
Prenditi più cura di te. 5) Onora le
tue tradizioni. 6) Vai in pellegrinaggio nella terra dei tuoi antenati. 7) Stabilisci un rapporto più intimo con il pianeta. 8) Esprimi in
modo ingegnoso la tua tenerezza.
9) Rinvigorisci il tuo impegno nei
confronti delle inluenze che ti nutrono e ti sostengono.
LEONE
Quali potrebbero essere gli
strumenti migliori per il
compito che sarai chiamato a svolgere nelle prossime settimane? Il
martello o le pinzette? Le cesoie o
la macchina da cucire? La chiave
inglese o il cacciavite? Secondo
me, dovrai sempre tenere a portata di mano la tua cassetta degli attrezzi. Potresti aver bisogno di
cambiare arnese a metà dell’opera
o perino di usarne diversi. Prevedo almeno una situazione in cui
faresti bene ad alternare il martello e le pinzette.
modo migliore per realizzare i tuoi
sogni a lungo termine è divertirti e
goderti la vita più che puoi.
VERGINE
CAPRICORNO
Scrivere oroscopi mi fa guadagnare abbastanza per
permettermi di mangiare bene,
perciò non dovrò più rubare il pane
nei negozi né andare a cercare lattine ammaccate nei cassonetti. A
cosa è dovuta questa mia fortuna
economica, a parte il fatto che ho
sempre cercato di migliorare le
mie capacità di astrologo e di scrittore? Credo che c’entri anche la
mia determinazione a essere generoso. Da quando ho imparato a
esprimere compassione e a elargire benedizioni, il lusso di denaro è
diventato sempre più abbondante.
Pensi che questo sistema potrebbe
funzionare anche per te? Le prossime settimane e i prossimi mesi saranno un buon momento per sperimentarlo.
Ti propongo un patto: nelle
prossime tre settimane dirò
tre preghiere al giorno per te,
chiederò a Dio, al Fato e alla Vita
di mandarti tutti i riconoscimenti
che meriti, cercherò di convincerli
a regalarti la magniica esperienza
di essere visto per quello che sei.
In cambio, ti impegnerai ad agire
rigorosamente in base alle tue
convinzioni più profonde, a esprimere i tuoi desideri più nobili e a
dire solo quello che pensi veramente. Cercherai di accorgerti
quando ti stai allontanando dalla
via del cuore e ti rimetterai subito
sulla strada giusta. Sarai te stesso
tre volte più profondamente e
chiaramente di quanto tu non sia
mai stato.
SCORPIONE
ACQUARIO
Non puoi eliminare completamente dalla tua vita le
esperienze inutili, i futili sabotatori
e le distrazioni debilitanti, ma stai
entrando in una fase del tuo ciclo
astrale nella quale hai più capacità
del solito di contenere i loro efetti.
Per dare avvio a questa diicile ma
nobile impresa prova a: ridurre i
contatti con tutto quello che tende
a mortiicare il tuo spirito, smorzare la tua voglia di vivere, limitare la
tua libertà, ignorare la tua anima,
compromettere la tua integrità,
non rispettare la tua riverenza: inibire la tua capacità di esprimerti,
distoglierti da quello che ami.
Se hai deciso di rilassarti
con una bevanda alcolica,
non metterti a guidare un trattore
o un monociclo. Se hai il sospetto
di essere particolarmente fortunato nel gioco d’azzardo, non comprare biglietti della lotteria e non
giocare alle slot machine. E se
pensi veramente che sarebbe divertente giocare con il fuoco, portati dietro un estintore. Con questi
consigli, non intendo dire che non
dovresti mai superare i limiti o piegare le regole, ma voglio essere sicuro che, se anche oserai sperimentare, rimarrai saggio e moralmente responsabile.
SAGITTARIO
PESCI
Lavora in modo esagerato e
impegnati oltre ogni limite,
Sagittario. Mangia popcorn a colazione, gelato a pranzo e patatine
fritte a cena, possibilmente tutti i
giorni. E, ti prego, non dormire più
di quattro ore a notte. Sto scherzando! Non ti azzardare a dare
ascolto a questi ridicoli suggerimenti. Anzi, ti consiglio di fare
l’esatto contrario. Inventa scuse
geniali per non lavorare troppo.
Regalati i pasti più rainati e le migliori dormite di sempre. Porta al
massimo livello la tua arte del rilassamento. In questo momento il
Ti invito a esplorare il potere risanatore del sesso. Se
cercherai di sistemare gli aspetti
della tua vita erotica che ti sembrano goi o mutilati, le prossime settimane saranno un periodo favorevole per attirare la buona sorte. Per
ottenere il massimo, cancella tutte
le tue teorie su come l’intimità isica dovrebbe funzionare nella tua
vita. Adottando la mentalità del
principiante potresti raggiungere
risultati spettacolari. P.S. Non devi
necessariamente avere un compagno o una compagna per sfruttare
al massimo questa opportunità.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
113
internazionale.it/oroscopo
BILANCIA
COMPITI PER TUTTI
Qual è la cosa che potresti cambiare di te
per migliorare la tua vita sentimentale?
L’ultima
leo, colombIa
el roto, el país, spagna
“si identiichi!”. “umano”.
keefe
sutovec, slovaccHIa
referendum in colombia, il 2 ottobre, sugli accordi di pace.
wHeeler
cHappatte, tHe InternatIonale new york tImes
In russia il partito di vladimir putin ha ottenuto la
maggioranza assoluta alle elezioni legislative.
“credevo che quest’auto si guidasse da sola”. “poteva,
inché non ha cominciato a scrivere messaggi”.
sondaggi.
“smettila di fare il fact-checking alla favola”.
Le regole Aglio
1 Ingozzarti di aglio la sera per tenere lontano i vampiri avrà solo l’efetto di tenere lontano il tuo partner.
2 per darti un tono da chef, cerca di dire “aglio en chemise” almeno una volta a settimana. 3 se indossi guanti
di plastica per tagliare l’aglio è bene informarne il tuo psicoterapeuta. 4 Hai voglia di un tufo nella tradizione?
appendi un mazzo d’aglio in cucina e ti sentirai subito in un presepe napoletano. [email protected]
114
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
JEFF VESPA (GETTY IMAGES)
Dan Savage
Senza tabù
Attivista e scrittore, da
vent’anni Dan Savage parla
di sesso, amore, diritti e
desideri. Rispondendo alle
lettere di migliaia di lettori
el 2010, dopo il suicidio negli
Stati Uniti di alcuni ragazzi
omosessuali vittime di bullismo, Dan Savage e suo marito
Terry Miller pubblicarono su YouTube un
video che è stato visto oltre due milioni di
volte: “È stata dura anche per noi essere
N
gay, ma se oggi potessimo parlare ai quindicenni che eravamo gli diremmo di resistere, perché in poco tempo le cose andranno meglio, troveranno degli amici
fantastici e l’amore”. Questa lucidità e
questa vocazione all’aiuto del prossimo,
oltre a una sana vena provocatoria, sono
le caratteristiche che contraddistinguono
le battaglie dell’attivista e giornalista statunitense. La sua rubrica Savage love,
scritta per The Stranger, è tradotta in tutto
il mondo (in Italia su Internazionale). Nato a Chicago nel 1964, Savage risponde a
lettori che hanno diicoltà a far combina-
re i loro desideri con quelli del partner, o
con quelli della società in cui vivono. Lo fa
dal 1991 sui giornali, in radio e in tv. Parla
di sesso senza retorica e spesso per rispondere si aida a esperti e scienziati, ribadendo che non c’è nulla che non vada
nei desideri sessuali di una persona, a patto che rispettino i diritti dei partner. Il suo
ultimo libro pubblicato in Italia è L’amore
rende liberi (Baldini & Castoldi 2015). u
Dan Savage sarà a Ferrara il 1 e il 2 ottobre con Claudio Rossi Marcelli e Daniele
Cassandro.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
i
MAssIMo BArALDI (ArChIVIo FoToGrAFICo ProVInCIA DI FerrArA)
PRINCIPALI MUSEI E MONUMENTI
Casa di Ludovico Ariosto
Via Ariosto, 67
Casa Romei*
Via savonarola, 30
Castello Estense*
Largo Castello
Cattedrale
Piazza Cattedrale
Monastero del Corpus Domini
Via Pergolato, 4
Monastero di S. Antonio in Polesine
Via Gambone, 15
Museo archeologico nazionale*
Via XX settembre, 124
Museo della cattedrale*
ex chiesa di san romano, via san
romano
Museo nazionale dell’ebraismo
italiano e della shoah
Via Piangipane, 81
Museo del risorgimento
e della resistenza*
Corso ercole I d’este, 19
Museo di storia naturale*
Via De Pisis, 24
Orto botanico
Corso Porta Mare, 2
Palazzina Marisa d’Este*
Corso Giovecca, 170
Palazzo dei Diamanti –
Pinacoteca nazionale*
Corso ercole I d’este, 21
Palazzo Paradiso –
Biblioteca Ariostea
Via delle scienze, 17
Palazzo Schifanoia*
Via scandiana, 23
Sinagoghe e museo ebraico
Via Mazzini, 95
Museo Riminaldi –
Palazzo Bonaccossi*
Via Cisterna del follo, 5
Lapidario civico*
Via Campo sabbionario, 23
San Cristoforo alla Certosa
Via Borso, 50
Teatro comunale
Corso Martiri della libertà, 5
*Ingresso gratuito con la MyFE card
Stazione
ferroviaria
Casa di Ludovico Ariosto
Palazzo dei Diamanti
Pinacoteca nazionale
Orto botanico
Museo
del risorgimento
e della resistenza
ii
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Teatro comunale
Museo di storia naturale
Castello Estense
Museo nazionale
dell'ebraismo e della shoah
Cattedrale
Sinagoghe e
museo ebraico
Casa Romei
Museo
della
cattedrale
Palazzo
Paradiso
Monastero
del Corpus
Domini
Monastero
di S. Antonio
in Polesine
Palazzina
Marisa
d’Este
Museo
Riminaldi
Lapidario
civico
Palazzo
Schifanoia
Museo
archeologico
nazionale
Un giro fuori città
Il mondo di Orlando
u Il 22 aprile 1516 nell’oicina tipograica di Giovanni Mazzocchi a Ferrara veniva data alle stampe la prima edizione
dell’Orlando furioso. Ultimo tra i romanzi cavallereschi e primo tra quelli moderni, il poema – si proponeva di cantare
“le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese” – riscosse
da subito un grande successo raccogliendo l’ammirazione di moltissimi lettori, da Machiavelli a Cervantes, da Galileo a Voltaire, ino a Pirandello e Calvi-
DOVE ACQUISTARE LA MYFE CARD
nelle biglietterie di: museo del
castello estense, museo della
cattedrale, palazzo schifanoia,
palazzina Marisa d’este, museo del
risorgimento e della resistenza.
oppure online: myfecard.it
San Cristoforo alla Certosa
Giorgione. Ritratto di guerriero con
scudiero detto Gattamelata, 1501 c.
no. A cinquecento anni dalla pubblicazione di questo capolavoro della letteratura, la fondazione Ferrara arte e il
ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo celebrano il poema
ariostesco attraverso una mostra al palazzo dei Diamanti, per restituire ai visitatori l’universo di immagini che sollecitarono la fantasia di Ariosto.
Cosa vedeva il poeta chiudendo gli
occhi? Quali opere d’arte ispirarono il
suo immaginario? Grazie al sostegno
dei maggiori musei e biblioteche del
mondo le opere conosciute o ammirate
dal poeta saranno riunite a Ferrara ino
all’8 gennaio 2017. Una narrazione per
immagini condurrà i visitatori nel mondo del Furioso, tra battaglie, tornei e
amori, ofrendo al contempo uno spaccato delle corti italiane del rinascimento. In mostra ci saranno le opere dei più
importanti maestri del periodo – da
Paolo Uccello ad Andrea Mantegna, da
Leonardo a Giorgione, da Botticelli a
Tiziano – sculture, arazzi, oggetti preziosi, manoscritti miniati e rari volumi a
stampa.
Info palazzodiamanti.it, 0532 244949
Incontri
Un’altra storia della Libia
Khalifa Abo Khraisse
Nelle scuole libiche s’insegna
un passato glorioso e si
tralasciano particolari
imbarazzanti per il presente
S
DR
e non conosciamo la storia rischiamo di non capire i fattori politici, religiosi ed economici che
hanno plasmato il nostro presente, poiché il presente è il risultato di problemi
passati. Dal 2011 in Libia s’insegna alle
nuove generazioni un elenco selettivo
di fatti, imponendo un unico punto di
vista. Avremmo potuto aggiungere
qualche drago e qualche mago e nessuno avrebbe notato la diferenza, visto
che quella descritta non è la realtà.
Qualche osservazione sui nostri
nuovi manuali di storia: in tutti i libri –
dalla quinta elementare alle scuole superiori – l’occupazione ottomana è de-
scritta con parole come: venuta, arrivo,
permanenza. Quattro secoli circa raccontati come una favola: sono arrivati e
ci hanno liberati dai cristiani, dagli infedeli e dagli sciiti. Qualche capitolo è dedicato a spiegare come gli ottomani fossero al servizio della nazione islamica,
descrivendo la loro occupazione come
Khalifa Abo Khraisse
un governo islamico legittimo. Perino i
libici che hanno opposto resistenza
all’occupazione ottomana sono deiniti
“movimenti separatisti”. Il tono cambia con l’epoca italiana: i turchi hanno
combattuto gli italiani con coraggio al
ianco degli eroi libici e in questo caso
le battaglie vengono descritte come
jihad. L’era di Gheddai, che va dal
1969 al 2011, è riassunta in dieci righe e
poi si conclude: “Quando inalmente è
arrivata l’ora, i libici si sono sollevati
come un sol uomo da est a ovest, da
sud a nord, in una rivoluzione di massa
cominciata il 17 febbraio 2011. Il popolo
libico ha assistito a un gloriosissimo
jihad epico che ha restituito la libertà e
la dignità ai nostri cittadini”. Nei libri
di educazione islamica delle scuole superiori, poi, s’insegna a non idarsi degli ebrei, “noti in tutte le epoche storiche per la loro attitudine al tradimento
e all’inganno”. Se questo è quello che
s’insegna, non c’è da chiedersi da dove
sia spuntato fuori il gruppo Stato islamico. u gim
Khalifa Abo Khraisse è un regista e
sceneggiatore libico. Sarà a Ferrara il 1 ottobre con Stefano Liberti e Andrea Segre.
Appuntamenti
Incontra l’autore
Dietro le quinte della redazione
u I libri presentati nei tre giorni
del festival.
u Anche nella decima edizione del festival, i giornalisti di Internazionale incontrano i lettori e il pubblico per raccontare
il lavoro della redazione. In nove incontri,
che si terranno presso il Circolo Arci Bolognesi, i redattori spiegheranno trucchi e
tranelli del loro lavoro insieme ad alcuni
ospiti. Martina Recchiuti racconterà insieme a Zach Seward di Quartz come la
tecnologia sta cambiando il modo in cui
leggiamo le notizie. Alberto Notarbartolo, insieme a Gabriella Giandelli, cosa
vuol dire illustrare un articolo. Annalisa
Camilli e Stefano Liberti spiegheranno
come parlare e scrivere di migranti, Chiara Nielsen e Catherine Cornet come parlare di religioni senza alimentare stereotipi. Stefania Mascetti e Igiaba Scego por-
Ma il mondo, non era di tutti?
Marcos y Marcos 2016, 10 euro
Il 30 settembre al chiostro di San Paolo, con
Violetta Bellocchio, Monica Massari e
Francesca Chiavacci.
teranno allo scoperto il razzismo nascosto nelle pagine dei giornali. Giuseppe
Rizzo e Christian Raimo parleranno del
ritorno del reportage narrativo. Piero
Zardo e Giuliano Milani discuteranno di
come si racconta un libro. Copy editor e
traduttrici si confronteranno nell’incontro di Giovanna Chioini e Giulia Zoli con
Bruna Tortorella e Sara Bani. Inine, Giovanni De Mauro e Pierfrancesco Romano
spiegheranno come si crea e come si distrugge lo stile di un giornale.
Per cominciare le giornate, la redazione organizzerà una rassegna stampa alle
10 al chiostro di San Paolo. A seguire,
l’editoriale di Bernard Guetta.
Info internazionale.it/festival
AUTORI VARI
ANGELA RODICIO
L’amore perduto di Cervantes
Quattro d 2016, 18 euro
Il 1 ottobre al chiostro piccolo di San Paolo,
con Giuseppe Rizzo.
CORRADO FORMIGLI
Il falso nemico. Perché il califato
nero non esiste
Rizzoli 2016, 18 euro
Il 1 ottobre a palazzo Roverella, con
Catherine Cornet.
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
iii
Traditi da Lula
Eliane Brum, El País Semanal, Spagna
La costruzione della diga
di Belo Monte ha causato
una catastrofe ambientale
e umanitaria per gli indigeni
dell’Amazzonia
chi passi prima di sentire il bisogno di sedersi. Quando esce si perde. Qualche
giorno fa un amico ha chiamato Raimunda: “João è seduto in mezzo al niente, sotto il sole. Finirà per morire”.
a saga di João e Raimunda si
svolge in due atti sulle rive del
iume Xingu, uno dei corsi d’acqua con la maggior biodiversità
dell’Amazzonia. Un uomo e una donna:
solo due persone tra le decine di migliaia
di brasiliani cacciati per la costruzione
della diga di Belo Monte, nello stato brasiliano di Pará, annunciata come la terza
centrale idroelettrica più grande del mondo. João e Raimunda si sentono come due
rifugiati nel loro stesso paese. Portano sul
corpo il segno di un crocevia storico: quello di un Brasile che è arrivato nel presente
dopo essere stato a lungo solo futuro, e si è
scoperto bloccato nel passato.
Raimunda scopre che la sua casa è andata in
fumo. 1 settembre 2015
Raimunda Gomes da Silva, 56 anni, aveva
comprato dieci litri di benzina per raggiungere la sua isola, Barriguda. Il giorno prima
aveva ricevuto una telefonata dalla Norte
Energia: “Signora Raimunda, quando possiamo rimuovere i suoi residui dall’isola?”.
I “residui” erano gli attrezzi per la pesca e
le cose della cucina di Raimunda. Erano
d’accordo che le avrebbe prese la mattina
presto. In quei giorni l’Istituto brasiliano
per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili (Ibama) aveva sospeso le “rimozioni” e le demolizioni delle case sull’isola in
seguito ad alcune denunce di violazioni
dei diritti degli abitanti.
Quando Raimunda è arrivata, la sua casa era ancora in iamme. Allora ha intonato
un canto davanti alle macerie. “La giustizia è una leggenda. Loro dicono che esiste,
ma i poveri non la vedono mai. Canto perché le mie piante devono sapere che io non
avrei mai voluto che fossero bruciate. Non
so la loro lingua, allora canto”.
L
Primo atto
João perde la parola e l’uso delle gambe per
la rabbia. 23 marzo 2015
João Pereira da Silva era davanti al rappresentante della Norte Energia, la compagnia che aveva vinto l’appalto per costruire la centrale idroelettrica di Belo Monte.
Sperava di ottenere un risarcimento adeguato per la sua casa e il suo terreno in
un’isola sul iume, che ha dovuto abbandonare a causa della diga. Il rappresentante gli ha oferto 23mila real (circa seimila euro), insuicienti per comprare un
pezzo di terra con cui guadagnarsi da vivere. In quel momento, a 63 anni, João si è
reso conto di essere condannato alla miseria. João voleva uccidere l’uomo che gli
stava davanti. Ma non ha fatto nulla. Gli
cedevano le gambe, non riusciva più a
parlare. L’hanno dovuto trascinare via di
peso. Da allora, João riesce a fare solo po-
iv
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
Secondo atto
La versione della compagnia
Secondo Jorge Herberth, responsabile
della comunicazione della Norte Energia,
l’incendio della casa di Raimunda Gomes
da Silva era “una versione dei fatti fantasiosa e assolutamente lontana dalla realtà. La casa non è stata incendiata, non è il
metodo usato dalla compagnia; la proprietà è stata demolita nel rispetto delle
procedure di sicurezza”. La versione della
Norte Energia è stata smentita dall’Ibama: “La demolizione e l’incendio della
casa della signora Raimunda Gomes sono avvenuti quando le rimozioni e le demolizioni di case sull’isola erano spese”.
Quattro mesi dopo, la Norte Energia è
stata condannata a pagare per questa
“infrazione” una multa di 301mila real
(circa 80mila euro).
Quando nel 2003 Luiz Inácio Lula da
Silva, del Partito del lavoratori (Pt), diventò presidente anche con il sostegno di
molti movimenti sociali dell’Amazzonia,
i leader della regione di Xingú pensavano
che il progetto di Belo Monte sarebbe saltato per sempre. Secondo i movimenti di
protesta, una centrale idroelettrica nella
foresta amazzonica non poteva essere
considerata “energia pulita e rinnovabile”. Ma dagli anni settanta la centrale sul
iume Xingú era una minaccia che rispuntava con ogni nuovo governo.
Ci sono voluti anni perché Raimunda
e tanti altri attivisti capissero che quello
era solo uno dei tanti scontri tra le diverse anime del Brasile. Il progetto per
l’Amazzonia del governo Lula si rivelò simile a quello della dittatura, che aveva
considerato la regione un corpo da sfruttare per ricavarne materie prime.
L’unica voce nel governo e nel Pt con
la forza suiciente per opporsi a questa
visione era Marina Silva, un’ambientalista cresciuta nelle piantagioni di gomma
di Acre, che aveva avuto come mentore il
leader Chico Mendes, ucciso nel 1988 a
causa della sua lotta per la foresta amazzonica. Silva sopportò la pressione ino al
2008, quando lasciò il ministero dell’ambiente e poi il Pt.
Dilma Roussef, scelta da Lula per
succedergli alla presidenza, non ha mai
nascosto né il suo favore nei confronti
delle grandi infrastrutture né la sua scarsa pazienza nell’ascoltare i movimenti.
Belo Monte ha smesso di essere solo un
piano quando Roussef era ministra delle
PHIL CLaRkE HILL (CORBIS/GETTY IMaGES)
miniere e dell’energia, ed è diventato un
dato di fatto, con un costo stimato di 30
miliardi di real, nonostante le ventiquattro denunce di incostituzionalità dell’opera fatte dalla procura federale. Per Raimunda come per molti altri, il Pt non era
uno dei tanti partiti al potere, ma un progetto politico che si confondeva con la loro ricerca di un posto nel paese. Belo
Monte è stato il “mostro” che ha messo a
nudo le contraddizioni di quello che ritenevano il loro partito: “Ho votato Lula e
ho votato Dilma. Ci hanno tradito”, aferma Raimunda.
renderebbe una delle centrali idroelettriche meno produttive.
Raimunda ha raccolto 3.500 mattoni
dall’isola per costruire una nuova casa alla periferia della città: “Sono bruciata
dentro, come la mia isola, ma mi rinnovo.
Voglio vivere”. João risponde: “Io invece
no. Quando ho perso l’isola ho perso la
mia vita”. Il 4 settembre 2015, João ha
chiamato la famiglia per andare sull’isola.
“Voleva uccidersi lì, per protesta”, racconta Raimunda. “Gli ho tolto la canoa.
Con i remi arriva ovunque, ma per strada si
perde”. João conclude: “Voglio che il mondo sappia che Belo Monte mi ha ucciso”.
Epilogo
che gli ha oferto 108mila real (29mila euro), a patto di rinunciare a un giudizio in
tribunale.
La compagnia è andata a cercare la
coppia poco dopo la pubblicazione di questo articolo. L’avvocato ha spiegato a Raimunda che sporgendo una denuncia per
danni morali avrebbe potuto ottenere un
risarcimento più alto. Ma il processo sarebbe durato dieci anni e Raimunda non
era sicura che João avrebbe resistito così a
lungo. Con una parte del risarcimento
avrebbe potuto cercare di curare la paralisi del marito. Raimunda ha irmato. u fr
La centrale idroelettrica ha ottenuto la licenza il 24 novembre 2015. Il 7 dicembre,
Raimunda e João hanno irmato un accordo extragiudiziario con la Norte Energia
Eliane Brum è una giornalista brasiliana.
Sarà a Ferrara il 30 settembre con Clóvis
Rossi e Bruno Torturra.
La difesa del progetto
La centrale idroelettrica di Belo Monte
potrebbe avere una potenza di 11.233 megawatt. Ma in media le previsioni dicono
che garantirà 4.751 megawatt, il 41 per
cento della sua capacità, una cifra che la
Lavori di costruzione della diga di
Belo Monte, in Brasile
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
v
Appuntamenti
Fouad Laroui
Nei paesi in via di sviluppo
molte medicine non sono
ancora accessibili perché
troppo care: il diritto alla
salute non è uguale per tutti
ecenni di progresso medico e
scientiico hanno portato a un
miglioramento della salute e
della speranza di vita nel mondo. Ma non
per tutti. Sono pochi i risultati della ricerca farmaceutica applicabili alla realtà dei
paesi in via di sviluppo, dove alcune malattie non solo restano una minaccia, ma
spesso riemergono in forma ancora più
grave, come l’ebola e più di recente il virus zika. Fin dove può spingersi la tutela
della proprietà intellettuale rispetto al diritto alla salute?
Oggi i prezzi troppo alti dei farmaci
innovativi e l’assenza di trattamenti per
alcune malattie trascurate dalla ricerca
costituiscono il quadro in cui si muovono
i paesi in via di sviluppo e le organizzazioni medico-umanitarie come Medici
senza frontiere (Msf ), che da anni rivendica l’accesso universale alle cure. La
disponibilità dei farmaci e la sostenibilità dei prodotti di ultima generazione,
che hanno costi sempre più alti, rappresentano le prossime side e il banco di
prova per tutti i sistemi sanitari nazionali, anche quelli occidentali. Se ne parlerà
a Ferrara il 1 ottobre con Giuseppe Ippolito, dell’Istituto Lazzaro Spallanzani,
Rohit Malpani di Msf, Michele Uda, direttore generale di Assogenerici, e lo
scrittore Andrea Grignolio. u
SAMI SIvA (MSF)
D
Manipur, India
vi
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
STEPHANE AUDRAS (REA/CONTRASTO)
Pillole
amare
Il nemico è l’ignoranza
Youssef Lahlali, Libération, Marocco
Nelle periferie parigine i valori
della Francia restano solo
parole, dice lo scrittore
marocchino Fouad Laroui
ual è stata la sua reazione agli attentati del 13 novembre 2015?
Ero in Francia e ho vissuto quei
giorni in prima persona. Ci sono state
manifestazioni in tutto il paese, c’è stato
un sussulto. I francesi hanno vissuto un
momento di unità nazionale per difendere i loro valori, cioè tutte le libertà, in
particolare quella di coscienza e di
espressione. Ci sono stati due sentimenti: disperazione e voglia di reagire.
Q
Perché gli autori erano francesi?
Sì, il problema è lì. È abbastanza semplice avere un nemico esterno, può essere
identiicato e avere una linea del fronte
chiara. Si può anche prendere in considerazione di negoziare con un nemico
esterno. Ma quando il nemico è interno… Questo è ciò che ha sconvolto molti
francesi: scoprire che in Francia c’è un
intero nucleo di persone che nega i valori della Francia.
Cosa pensa dei tanti giovani delle
banlieues che dopo l’attentato a Charlie
Hebdo hanno detto “Non sono Charlie”?
In efetti questo pensiero contro alcuni
valori repubblicani è molto difuso in
periferia, dove i valori europei non passano. Bisogna dire che il discorso europeo si basa su princìpi apprezzabili: la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, la democrazia e la libertà di espressione. Ma
c’è una diferenza tra questi bellissimi
princìpi e la realtà.
Allora aveva ragione il politologo Samuel
Huntington: siamo destinati allo scontro
di civiltà.
Non sono d’accordo con questa storia
dello scontro di civiltà. Preferisco una
frase che ho usato molto tempo fa: è uno
scontro di ignoranze. Cioè non capiamo
nemmeno chi è l’altro, non cerchiamo
nemmeno di capire chi è di fronte a noi.
questo è lo scontro di ignoranze. Ed è
per questo che il discorso europeo non
arriva nelle periferie francesi. u sm
Fouad Laroui è uno scrittore marocchino. Sarà a Ferrara il 1 ottobre con Adam
Shatz.
Focus
Afrontare i giganti
La regista Sara Taksler
racconta il suo ilm su Bassem
Youssef, un medico egiziano
diventato una star della tv
o deciso di fare questo ilm nel
2012. Bassem Youssef, un cardiochirurgo egiziano che si era
improvvisato commentatore politico satirico, era a New York come ospite del Daily
show, il programma di Jon Stewart, in cui
io lavoravo come produttrice. Quando lo
incontrai la prima volta, Bassem non aveva ancora il suo programma televisivo, che
nel giro di un paio d’anni sarebbe diventato un successo da 30 milioni di spettatori a
puntata. Mi piace scegliere argomenti seri
cercando un modo catartico per afrontar-
H
Tickling giants
li attraverso l’umorismo. Bassem faceva
esattamente questo, ma correndo molti
più rischi, in un paese dove la libertà
d’espressione non era garantita per legge.
Qualche mese dopo il nostro incontro
Bassem fu convocato in tribunale, accusato per alcune battute sul governo e la religione, e capii quanto fosse rilevante questa storia e che privilegio fosse avere l’opportunità di raccontarla. Così il giorno
successivo ricontattai Bassem per cominciare le riprese in Egitto. Tickling giants
parla di qualcuno che fa semplicemente
delle battute, eppure la sua voce è più forte di quella di chi, a pochi isolati di distanza, si sta sparando addosso. Tutti afrontiamo dei “giganti”, persone che abusano
del loro potere, sta a noi decidere come reagire. Statisticamente sarà forse improbabile diventare dei comici famosi nel bel
mezzo di una rivoluzione, eppure tutti abbiamo la possibilità di prendere la parola
su questioni piccole o importanti, trovando il nostro modo non violento per “fare il
solletico ai giganti”. u
Info La rassegna Mondovisioni è a cura di
CineAgenzia. I documentari saranno
proiettati al cinema Boldini.
Sotto il cielo di Ferrara
u Il cinema itinerante contro le maie farà tappa al festival con lo spettacolo Maia
liquida, un’opera collettiva a cura di Cinemovel Foundation che si terrà in
piazzale Giordano Bruno. Il 30 settembre,
dopo la performance, sarà proiettato il
ilm di Gianluca e Massimiliano De Serio
I ricordi del iume, che racconta gli ultimi
mesi del Platz, una delle baraccopoli più
grandi d’Europa che sorgeva a Torino. Il 1
ottobre, invece, ci sarà la proiezione di
Due euro l’ora, di Andrea D’Ambrosio: una
storia ispirata all’incendio scoppiato nel
2006 in una fabbrica di materassi a Mon-
tesano, in cui morirono due operaie.
Durante i tre giorni del festival, inoltre,
sarà possibile partecipare a visite guidate
organizzate in collaborazione con Poste
Vita. I visitatori potranno passeggiare tra
le vie, le piazze, i giardini della città estense per conoscere la storia e le opere di Ludovico Ariosto, Giorgio Bassani e altri personaggi che hanno reso celebre Ferrara.
Lungo il percorso ci saranno letture a cura
di Ferrara Of e performance a cura di TeatroNucleo.
Info internazionale.it/festival
ALEXANDER DUBOVSKY
Documentari e spettacoli
Una vignetta del concorso del 2015
L’Europa
a colori
Brexit, migranti, crisi
economica, nuovi muri: nel
2016 è emersa la debolezza
del progetto europeo
e la satira se n’è accorta
uest’anno il concorso di vignette
dedicate all’Europa, organizzato
dalla rappresentanza in Italia della Commissione europea, in collaborazione con il sito Voxeurop e Internazionale, arriva alla sesta edizione. Immigrazione, Brexit, crisi economica, disoccupazione sono alcuni dei temi afrontati
nelle 55 vignette in gara. Un’occasione
per analizzare le debolezze della politica
e dell’economia in Europa al termine di
un anno particolarmente diicile e per
approfondire il dibattito sulla satira e
sulla libertà di espressione. Le vignette
che hanno partecipato al concorso saranno esposte durante i tre giorni del festival al chiostro di San Paolo. I vincitori,
decretati dal pubblico e da una giuria
composta da giornalisti e vignettisti, saranno premiati a chiusura dell’incontro
“Senza slancio. Come reagire alla crisi
del progetto europeo”, che si terrà il 2 ottobre al teatro Nuovo. Alla premiazione
saranno presenti Thierry Vissol della
Commissione europea, Marilena Nardi, illustratrice e vincitrice dell’edizione
2015 del concorso, Will Hutton dell’Observer, la giornalista francese Natalie
Nougayrède, Daniel Smilov dell’università di Soia e Adriana Cerretelli del Sole
24 Ore. u
Q
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016
vii
Portfolio 2015
Promotori
Internazionale
Gary Younge
Comune di Ferrara
Regione Emilia-Romagna
Università di Ferrara
Città Teatro
Ferrara Terra e Acqua
Comune di Portomaggiore
Arci Ferrara
Progetto Polimero
Associazione IF
LEONARDI/PARLAMENTI
Charity partner
In collaborazione con
Il teatro Comunale
Grazie a
FRANCESCO ALESI
Con il sostegno di
Piazza Trento e Trieste
David Rief
Partner organizzativo
ALESI/LEONARDI/PARLAMENTI(2)
Main media partner
Media partner
Radio
Radicale
viii
Internazionale 1172 | 23 settembre 2016