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comunicare letteratura 3 Dürre Jahre 6 2013 edizioniosiride Helene Flöss 4 Direttrice responsabile Giuliana Dalla Fior Direttrice scientifica Paola Maria Filippi Comitato scientifico Werner Helmich (Università di Graz), Heinz Rölleke (Università di Wuppertal), Zoltán Szendi (Università di Pécs) Comitato di redazione Giuliana Dalla Fior, Mauro Festini Brosa, Paola Maria Filippi, Alessandro Niero, Giuseppe Osti Segreteria di redazione Lia Bazzanini, Monica Marsigli Gli Autori sono responsabili di quanto scritto espresso e citato nei propri scritti qui pubblicati © edizioniosiride - 2014 [323] Rovereto - Via Pasqui 10 tel. +39 0464 422372 - fax +39 0464 489854 [email protected] | www.osiride.it ISSN: 2035-1232 Iscr. Trib. Rovereto n. 1/09 ISBN: 978-88-7498-213-4 Composizione, impaginazione e stampa: Osiride - Rovereto Tutti i diritti sono riservati. Non è concessa nessuna duplicazione di quanto pubblicato se non con permesso scritto dell’Editore 5 Dürre Jahre Sommario Paola Maria Filippi - Editoriale ......................................................... pag. 7 Roberto Galaverni - Conversione di Fortini ..................................... » 9 Daria Biagi - D’Arrigo e i traduttori di Horcynus Orca. Lettere, confronti, interpretazioni .......................................... » 21 Peter Handke - a Comunicare letteratura .......................................... » 33 Hermann Dorowin - Peter Handke, scrittore europeo .................... » 35 Luigi Reitani - «Tra la nausea del mio villaggio... e il nichilismo dell’Universo» Peter Handke in Friuli ............................................................ » 51 Anna Maria Carpi, Claudio Groff e Hans Kitzmüller - Tradurre Handke. Tre prospettive ......................................................... » 57 » 67 » 71 Peter Handke - Der Grosse Fall / Il Grande Evento.......................... Daniela Moro - Intervista a Tawada Yo–ko ........................................ Caterina Mazza - Schwager in Bordeaux / Borudo– no gikei: tradurre la lingua ‘straniante’ di Tawada Yo–ko ...................... Tawada Yo–ko - Schwager in Bordeaux - Borudo– no gikei Il cognato di Bordeaux .............................................................. » 77 » 83 Peter Waterhouse - Der flammende Weg / La via fiammeggiante ... » 91 Amelia Alesina - Recensione e riassunto del romanzo Briefe in die chinesische Vergangenheit di Herbert Rosendorfer .......... » 109 Herbert Rosendorfer - Briefe in die chinesische Vergangenheit ....... » 117 Károly Csúri - Visioni oniriche lunari Sulla lirica Offenbarung und Untergang di Georg Trakl ........ » 141 Csilla Mihály - Un sogno di Franz Kafka Un tentativo di interpretazione ............................................... » 161 Franz Kafka - Un sogno ..................................................................... » 173 Helene Flöss Francesca Boarini - Voce del testo, voce del traduttore Note in margine alla traduzione italiana di Gegen Klimt di Hermann Bahr ..................................................................... Elisa Copetti - Se questo fosse uno spettacolo... di Almir Imširević .................................................................... 6 » 177 pag. 199 Almir Imširević - Se questo fosse uno spettacolo... ............................. » 201 Collettivo autoriale - Ipermnesia ....................................................... » 221 Giacomo Foni - L’onda peregrina tra le culture: un’aria dell’Artaserse tra Metastasio e Solov´ëv ...................... » 253 Federica Boscariol - Seta di Taškent su un telaio russo Dialogo con Sandz¡ar Janyšev, poeta russofono d’origine uzbeca ...................................................................................... » 265 Sandz¡ar Janyšev - Nove liriche ........................................................... » 273 Schede biografiche ............................................................................. » 289 7 Dürre Jahre Editoriale L’esplorazione dell’intreccio di lingue, linguaggi e culture di cui la letteratura è depositaria, da sempre leitmotiv di «Comunicare letteratura», in questo numero 6/2013 risulta particolarmente proficua. Fin dal primo intervento di Roberto Galaverni, che indaga lo speciale rapporto di Fortini con Saba, la cifra dell’appropriazione creativa del linguaggio altrui si rivela chiave necessaria per meglio intendere la riscrittura del poeta fiorentino e allo stesso tempo «pre-testo» per la rimeditazione saggistica dello studioso del nuovo millennio. L’italiano innervato di antico siciliano nell’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo è all’attenzione di Daria Biagi che interroga i traduttori inglese e tedesco di quella lingua sperimentale, ardua e affascinante al tempo stesso, per individuare il filo rosso che accompagna e condiziona, in scelte espressive e significanti di una variante italiana inventata, chi vuole renderla fruibile in altre culture. Peter Handke, il maggior autore austriaco vivente, non soltanto ha regalato a Comunicare un breve scritto inedito, che, unico, basterebbe a giustificare il lavoro di tanti poeti e interpreti, ma ha raccolto attorno alla propria opera alcuni fra gli studiosi e traduttori italiani più attenti e sensibili: Hermann Dorowin che ne delinea il profilo autenticamente europeo e plurinazionale; Luigi Reitani che, di contro, lo confronta con la ricerca di proprie radici dimenticate nella più prossima, circoscritta regione friulana; Hans Kitzmüller, Anna Maria Carpi e Claudio Groff che rivelano le proprie strategie di appropriazione e resa di testi di uno spessore linguistico che talvolta arriva a sfiorare il cripticismo. Il multilinguismo si fa «nuova lingua» in Yo–ko Tawada, una delle voci più autenticamente trasgressive nel panorama mondiale. La lingua materna – il giapponese – così come quella acquisita – il tedesco – divengono strumento nuovo e unitario per ripensare e ridire il mondo e l’esperienza che di esso si fa. Una esperienza molto sensoriale, marcatamente uditiva, nella quale i suoni, nella loro purezza, trasmettono significati nuovi e solo in apparenza incongrui. La pura lingua dice quello che il segno significante misconosce. Peter Waterhouse, poeta e traduttore, a sua volta nato e cresciuto fra più mondi e più lingue, riprende le parole Helene Flöss 8 di Tawada non solo per lodarne la sapienza. La sua laudatio si fa essa stessa fantasmagoria di suoni e suggestioni, gioco funambolico, nel quale con sguardo da estraneo e compartecipe al medesimo tempo, e perciò più disposto alla «meraviglia», esplora le infinite potenzialità che la «straniera» Tawada gli ha rivelato. Molte sono le voci poetiche importanti nel mondo d’oltralpe, per altro tanto vicino, che faticano a trovare lettori in Italia. Fra esse, Herbert Rosendorfer, scrittore sudtirolese di lingua tedesca, vissuto a lungo in Germania e che in Amelia Alesina ha trovato la mediatrice ideale: il confronto multiculturale oggetto dei Briefe in die Chinesische Vergangenheit molto rivela delle difficoltà e incomprensioni che la lontananza non solo spaziale, ma anche temporale, può generare. Gli studi di Károly Csúri e Csilla Mihály, nella personale lettura ermeneutica, rivelano quanto il taglio di scuola possa rendere diverso e nuovo l’approccio a testi e autori. Kafka e Trakl, voci del canone recepite e discusse innumerevoli volte in Italia, sono letti e commentati dai due studiosi di Szeged con un taglio che ha reso necessario un adattamento delle versioni e, per Kafka, addirittura ha richiesto una nuova traduzione che desse conto, in italiano, della particolarissima lettura ungherese del racconto. Quanto sia necessario coordinare la voce del testo con quella del traduttore è indagato e ribadito da Francesca Boarini nel suo intervento sulla traduzione della prosa saggistica di Hermann Bahr: non di rado solo con attitudine «plastica e organica» è possibile rendere giustizia a un testo «di contenuto» fortemente connotato in senso autoriale. Sandzar Janysev, proposto e tradotto da Federica Boscariol, poeta uzbeco che scrive in russo, con assoluta padronanza della tradizione poetica sia della propria regione d’origine che del paese di formazione, è un altro mirabile esempio della vivacità produttiva che si genera dalla contaminazione. Sempre per l’area slava, grazie allo studio di Giacomo Foni, apprendiamo come una suggestione poetico-musicale metastasiana, nel processo di appropriazione che passa dalla traduzione, si trasformi in Vladimir Solov’ëv, assumendo connotazioni marcatamente filosofiche, e venga assimilata e rielaborata in modo originale: ciò che sembrava inizialmente estraneo si rivela espressione privilegiata di ciò che è proprio e familiare. I due testi teatrali di Almir Imšerević e del Collettivo di Ipermnesia, infine, proposti da Elisa Copetti, nella plurivocità che li connotano, offrono uno spaccato inquietante e incalzante di un passato vicinissimo, che pure vorremmo remoto, e dove l’intreccio di popoli e nazioni sembra non essere ancora riuscito a trovare una modalità per far coesistere parole di lingue diverse e culture di diverse nazioni. Paola Maria Filippi 91 Der flammende Weg / La via fiammeggiante Peter Waterhouse Der flammende Weg / La via fiammeggiante* LAUDATIO FANTASMAGORICA - PETER WATERHOUSE PER TAWADA YO– KO Gli eventi letterari nei paesi di lingua tedesca sono una realtà molto importante, che coinvolge un gran numero di persone e istituzioni. Dal 1980 la città di Erlangen, in una sorta di anteprima della Frankfurter Buchmesse, organizza l’Erlanger Poetenfest, una imponente kermesse che vede la partecipazione di scrittori, critici, commentatori da tutto il paese, e dall’estero. I protagonisti della produzione letteraria in lingua tedesca si incontrano e discutono con il pubblico, un pubblico variegato e partecipe al quale non di rado è offerta la possibilità di ascoltare brani di opere non ancora pubblicate. Fra gli ospiti degli ultimi anni si ricordano H. C. Artmann, Hilde Domin, Günter Kunert, Friederike Mayröcker, Peter Rühmkorf, Wolf Wondratschek mentre sul Podium International, al quale accedono gli scrittori stranieri, sono saliti, tra gli altri, Per Olov Enquist, Amos Oz, Ljudmila Ulizkaja, Leon de Winter. Dal 2005, nell’ambito dell’Erlanger Poetenfest, viene assegnato un premio speciale, l’Erlanger Literaturpreis für Poesie als Übersetzung, con il quale si intende rendere pubblico riconoscimento a coloro che, creando, si distinguono per una speciale riflessione poetologico-creativa in relazione alla traduzione letteraria. Nel 2013 il premio è stato assegnato a Tawada Yo–ko e la Laudatio in occasione del conferimento è stata tenuta da uno fra i massimi autori-traduttori di lingua tedesca, Peter Waterhouse. Nel suo testo fantasmagorico il poeta austriaco intreccia un duetto ai limiti dell’impossibile linguistico con Tawada sfidando il proprio lettore/uditore a seguirlo nei mondi sonori di un lingua che si spoglia del senso comune per conquistare una valenza universale, di musica parlata. * Traduzione a cura di Paola Maria Filippi. Un ringraziamento particolare a Peter Waterhouse, per aver autorizzato la traduzione in italiano del suo testo, e un ringraziamento altrettanto sentito a Adrian La Salvia, presidente della giuria del Premio, per aver reso possibile la pubblicazione. Peter Waterhouse 92 DER FLAMMENDE WEG Laudatio auf Yo–ko Tawada anläßlich der Verleihung des Erlanger Preises für Poesie als Übersetzung am 29. August 2013. In der alten Schünemannschen Mühle in Wolfenbüttel, welche längst keine Mühle mehr ist, las an einem Sommerabend im ersten Hundertstel dieses Jahrtausends Yo–ko Tawada eine Schrift vor, die wie alles Vorgelesene an dem Abend – wie alle an dem Abend vorgelesenen Gedichte in deutscher Sprache – aus Übersetzung entstanden war. Mir ist die vielleicht zehn Jahre alte Lesung in der Erinnerung geblieben, sie ist jung geblieben, fast heutig; sie klingt nach oder voraus und wird vielleicht nie vergehen oder ist so schön wie am ersten Tag. In Wolfenbüttel gab es ein sommerabendliches Übersetzungskonzert, doch was hatte Yo–ko Tawada übersetzt? Vielleicht eine Viertelstunde lang las sie eine Schrift vor, deutsch, in welcher immer wieder japanische Worte – Wörter? – zu hören waren. Wörter zu hören? Hörte ich Wörter? Standen dort auf dem Blatt, von dem die Leserin las, japanische Wörter? Oder Ideogramme, Bildchen? Hörte ich Bildchen? Übersetzte die Leserin die deutschen Wörter und Buchstaben zurück in kleine Bilder? Jedenfalls blieb mir das Japanische in der deutschen Schrift in Erinnerung. Jedenfalls blieb mir das in langer Erinnerung, was ich nicht verstand, was ich hörte. Das zu Verstehende blieb nicht so lange im Gedächtnis, aber das Unbekannte. Die japanischen Einzelheiten in diesen langen deutschen Sätzen blieben in Erinnerung. Warum? Weil diese Einzelheiten Freude bereiteten, Freuden? Weil sie von irgendetwas befreiten? Weil sie dem Ablauf hinderlich waren? Weil sie von etwas erzählten, das ich nicht kannte und in der Erzählung nicht kennenlernte? Warum hatte die Vorleserin die japanischen Einzelheiten dieser Schrift nicht ins Deutsche übersetzt? Weil sie nicht übersetzbar waren? Oder hatte die Vorleserin sie übersetzt, hatte sie die Einzelheiten, von uns Wolfenbüttlern unbemerkt, übersetzt und standen sie deutsch da? Oder war etwas ganz anderes aufregend an den japanischen Einzelheiten, blieben sie so beständig in Erinnerung, weil eine ganz andere Regung aus ihnen kam? Enthielten gerade diese kleinen Japanologien einen Code? Könnten sie entschlüsseln, weil ich sie nicht verstand? Wurde ich entschlüsselt, nämlich schlüssellos und unentschlossen und unverschlossen? Waren die zahlreichen kleinen Japanologien in der deutschen Schrift besonders lebhaft und lebendig! Ging es in der vorgelesenen Schrift um Leben und Tod? Spürten wir ZuhörerInnen und WolfenbüttlerInnen, daß übersetzt wurde vom Tod ins Leben? Lebten die japanischen Ausdrücke? Waren diese japanischen Ausdrücke allesamt übersetzt, weil sie verlebendigt waren? Nicht ins Deutsche übersetzt, sondern übersetzt verlebendigt? War die Übersetzung wie eine Geburt? «Eine Sprache, die man nicht gelernt hat, ist eine durch- 93 Der flammende Weg / La via fiammeggiante LA VIA FIAMMEGGIANTE Laudatio per Yo–ko Tawada in occasione del conferimento del Premio di Poesia in traduzione Città di Erlangen il 29 agosto 2013 Al Vecchio Mulino Schünemann di Wolfenbüttel, che da tempo ormai non è più un mulino, in una sera d’estate del primo decennio di questo millennio Yo–ko Tawada lesse una composizione che come tutto quanto letto in quella serata – come tutte le poesie lette quella sera in lingua tedesca – era nata da una traduzione. Quella lettura, di forse dieci anni fa, mi è rimasta impressa nella memoria, è rimasta fresca, quasi fosse di oggi; riecheggia o prelude e forse non svanirà mai o è così bella come il primo giorno. A Wolfenbüttel una sera d’estate ci fu un concerto di traduzioni, ma Yo–ko Tawada cosa aveva tradotto? Forse per un quarto d’ora aveva letto una composizione, in tedesco, nella quale potevamo sentire in continuazione parole giapponesi – parole? – Parole da sentire? Sentivo parole? Là, su quel foglio dal quale la lettrice leggeva, erano tracciate parole giapponesi? Oppure ideogrammi, figurine? Sentivo figurine? La lettrice ritraduceva parole e lettere tedesche in piccole figure? Ad ogni buon conto il giapponese nello scritto tedesco mi è rimasto impresso. Ad ogni buon conto mi è rimasto nel ricordo a lungo quello che non capivo di quello che sentivo. Non mi si è impresso così a lungo nella memoria quanto c’era da capire, ma l’ignoto. I particolari giapponesi in queste lunghe frasi tedesche sono rimasti nel ricordo. Perché mai? Perché questi particolari dispensavano piacere, gioie? Perché rendevano liberi da qualcosa? Perché erano di ostacolo al flusso? Perché raccontavano qualcosa che non conoscevo e che nel racconto non avevo conosciuto? Perché mai la lettrice non aveva tradotto in tedesco i particolari giapponesi di questa composizione? Perché non erano traducibili? Oppure la lettrice li aveva tradotti, aveva tradotto i particolari senza che noi di Wolfenbüttel ce ne accorgessimo ed essi erano là in tedesco davanti a noi? Oppure, c’era qualcosa che emozionava in forma tanto speciale nei particolari giapponesi, che essi restavano così tenaci nel ricordo, perché da loro proveniva un’emozione tanto speciale? Non è che questi piccoli giapponesismi contenessero un codice? Potevano decodificare, dal momento che non li capivo? Venivo decodificato, ovvero decifrato, e non-deciso e decifrabile? Come erano vivaci e vitali i numerosi piccoli giapponesismi nella composizione tedesca! Si trattava di vita e di morte nella composizione che era stata letta? Percepivamo noi ascoltatrici e ascoltatori, uomini e donne di Wolfenbüttel che veniva tradotto dalla morte alla vita? Le espressioni giapponesi vivevano? Queste espressioni giapponesi erano tutte tradotte, dal momento che erano richiamate in vita? Non tradotte in tedesco, ma tradotte in vita? La traduzione era come una nascita? «Una lingua, che non si è studiata, è una parete trasparente. Vi si può Peter Waterhouse 94 sichtige Wand. Man kann bis in die Ferne hindurchschauen, weil einem keine Bedeutung im Weg steht. Jedes Wort ist unendlich offen, es kann alles bedeuten» (Überseezungen, 33). Ist es dieses Nicht-im-Weg-stehen, das die Vorlesende übersetzt hat in die deutsche Schrift? Steht im Deutschen manches im Wege? Waren die japanischen Ausdrücke, die ich in der Lesung gehört habe, durchsichtige Wände? Konnten wir Zuhörer an diesen Stellen hindurchschauen? Blieb gerade dieses Hindurchschauen so sehr in der Erinnerung? Habe ich in den japanischen Ausdrücken das Nicht-im-Wege-Stehen gehört? Habe ich gerade im Japanischen die Übersetzung gehört? Das Übersetzen über die im Weg stehenden Hindernisse? War die Übersetzung gerade in dem, das nicht ins Deutsche übersetzt war? Habe ich die Übersetzerin Yo–ko Tawada gehört in den nicht übersetzten japanischen Gebilden? Die Bedeutungen dieser Gebilde waren für die Mehrzahl der Zuhörer in Wolfenbüttel in der Mühle nicht zu verstehen. Die Töne waren zu hören. Mit diesem Moment des Hörens beschäftigt sich Yo–ko Tawada kontinuierlich. Sie hört die deutsche Sprache – und dieses Deutsch-Hören ist ein anderer Prozess als das Deutsch-Verstehen. Eines ihrer Bücher hat den Titel Überseezungen. In diesem Wort sind zu hören: die Zungen, die Seezungen, die oder der See, Übersee ist zu hören und die Präposition über. Auch das Wort Übersetzung ist zu hören. Die Menge des Hörbaren ist vergrößert worden. Ist das die Aufgabe des Übersetzers: Das Hörbare erweitern, ergänzen, Töne und Obertöne hören? Ist das Wort Überseezungen ein verständliches Wort oder ein hörbares? Vieles darin scheint verständlich zu sein, sogar leicht verständlich. Der See zum Beispiel und die See. Die Zungen zum Beispiel könnten Zungen bedeuten. Seezungen sehen zungenförmiger aus als Setzungen. Sie sehen zungenförmiger, sprachförmiger aus, Zungen wie Sprachen. Oder sehen Seezungen wie Seezungen aus? Oder meint See nicht See, sondern Übersee, einen Ort auf einem anderen Kontinent? Überseezungen: Ist das Wort bedeutender geworden oder im Gegenteil: stehen die Bedeutungen nicht mehr so sehr im Wege, einander im Wege? Ist in dem Wort weniger gesetzt, sondern ... sondern weniger in den Weg gesetzt und gestellt. Das Wort setzen ist aus dem Wort Übersetzungen herausgenommen worden. In dem Buch das Überseezungen heißt, gibt es vielleicht keine Setzungen. Übersetzt Yo–ko Tawada ohne Übersetzung? Was ist eine Übersetzung? Vielleicht ist in dieser Frage vor allem das Wort ist fraglich. Vielleicht ist die Was-ist-Frage das Problem oder das Hindernis. Was ist: das fragt nach einem Ergebnis, nach einer Setzung, nach einem Gesetz. Aber es lässt sich nicht gut fragen: was ist eine Überseezunge. Eine Überseezunge ist vielleicht gar nichts. Jemand isst vielleicht eine gebratene Überseezunge oder Seezunge. Eine Überseezunge ist nicht, setzt sich nicht. Fische zum Beispiel setzen sich nicht, nicht in Stühle, nicht auf Sessel. Eine Zunge ist auch nicht. Niemand sagt: die Zunge ist. Allenfalls ißt sie, zum 95 Der flammende Weg / La via fiammeggiante guardare attraverso fin in lontananza, perché nessun significato è di ostacolo. Ogni parola è infinitamente aperta, può significare tutto» (Überseezungen, p. 33)1. È questo non-essere-di-ostacolo che la lettrice ha tradotto nella composizione in tedesco? C’è qualcosa in tedesco che è di ostacolo? Le espressioni in giapponese che avevo sentito alla lettura erano pareti trasparenti? Noi ascoltatori potevamo vedere attraverso questi passaggi? Forse proprio questo vedere-attraverso è rimasto così vivo nel ricordo? Ho sentito nelle espressioni in giapponese il nonessere-di-ostacolo? Ho sentito proprio nel giapponese la traduzione? Il tra-ducere oltre gli impedimenti che sono di ostacolo? Forse la traduzione era proprio in ciò che non era tradotto in tedesco? Ho sentito la traduttrice Yo–ko Tawada nelle configurazioni in giapponese non tradotte? I significati di queste configurazioni per la maggioranza degli ascoltatori nel Vecchio Mulino di Wolfenbüttel non erano comprensibili. Erano percepibili i suoni. È con questo momento del sentire che Yo–ko Tawada è perennemente occupata. Ella sente la lingua tedesca – e questo sentire-in-tedesco è un processo diverso dal comprendere-in-tedesco. Uno dei suoi libri si intitola: Überseezungen/ Lingue d’oltremare. In questa parola si sentono: le lingue (Zungen), le sogliole (lingue di mare/Seezungen), il mare (die See) e il lago (der See), si sente l’oltremare (Übersee), e la preposizione oltre (über). Si sente anche la parola traduzione (Übersetzung). La quantità dell’udibile è stata moltiplicata. È questo il compito del traduttore: ampliare l’udibile, completarlo, sentire suoni e ipertoni? La parola Überseezungen è una parola per la comprensione o per l’udito? Molto in essa sembra essere comprensibile, persino facilmente comprensibile. Der See (il lago), per esempio, e die See (il mare). Die Zungen (le lingue), per esempio, potrebbero significare Zungen (lingue). Le Seezungen (lingue di mare) hanno una forma a lingua più che non le collocazioni. Esse hanno forma di lingua, di linguaggio, lingue come linguaggi. Oppure le Seezungen (sogliole) hanno l’aspetto di Seezungen (sogliole)? Oppure mare non rimanda a mare, ma a oltremare, un luogo in un altro continente? Überseezungen: la parola è diventata più ricca di significati o è il contrario? I significati non sono più così tanto d’ostacolo, d’ostacolo l’uno all’altro? Nella parola è collocato meno, ma ... ma meno le è collocato ad ostacolo e le si oppone. La parola setzen/collocare è tratta dalla parola Übersetzungen/traduzioni. Nel libro intitolato Überseezungen forse non ci sono collocazioni. Yo–ko Tawada traduce senza traduzione? Cosa è una traduzione? Forse in questa domanda è dubbia soprattutto la parola è. Forse il problema o l’ostacolo è “cosa-è-domanda”. “Cosa è”: si chiede un risultato, una collocazione, una 1 La citazioni sono riprese da: Yo– ko Tawada, Überseezungen, Tübingen, Konkursbuch Verlag Claudia Gehrke, 2006 (N.d.T). Peter Waterhouse 96 Beispiel zum Mittagessen. Sie tut etwas, sie bewegt, schiebt und hebt und kostet, aber ist nicht. Worüber ist also in dem Buch zu lesen? Exkurs, Masao Maruyama, was man ist und was man tut «es heißt immer, unsere Gesellschaft sei frei, und während wir dieses Frei-Sein preisen, ist gar nicht sicher, ob diese Freiheit nicht unversehens ihres Abstands beraubt wird. Freiheit ist kein Dekorationsstück, sondern sie wird allein durch wirkliche Ausübung erhalten. Mit anderen Worten: Dadurch, dass einer täglich etwas tut, um frei zu werden, kann er erst frei sein. In diesem Sinne können wir etwa die Freiheiten und Rechte der modernen Welt eine sehr lästige Angelegenheit für jene Leute nennen, die die Trägheit des Lebens mögen» (136). Die Erzählerin in den Überseezungen erzählt von einem Hamburger, der ihr unten an der Elbe auf den Kopf gespuckt hat, genau auf den Scheitel. Sie sucht dann den ganzen Vormittag lang nach einem geeigneten Schimpfwort. «Leider fiel mir noch nie in meinem Leben zur rechten Zeit das treffende Schimpfwort ein. Mein Wortschatz ist da sehr klein. Wenn man kein passendes Wort kennt, muss man eines erfinden» (22). Die Erzählerin verwirft dann Schimpfwort um Schimpfwort: Du Spucke, Spik, das dritte Rad am Fahrrad, Verradfahrer. In Japan gibt es die Schimpfwörter: Aubergine, Rettich-Schauspieler, Kartoffeln, Paprika, Fenchel. Eigneten sich im Deutschen die Ausdrücke Maultasche, Tüte, Sack, Kasten, Loch, Nasenloch? Keine Antwort, kein Ergebnis. Ziege! Kuh! Schließlich wird die Erzählerin beleidigt – oder sagen wir: ein zweites Mal beleidigt –, ein Mann tritt aus einem Laden, auf dem auf einem Ladenschild Thailand geschrieben steht, und sagt ihr ins Gesicht: Ihr seid Arschlöcher. Nach einem kurzen Hin und Her sagt er: Arschloch, verschwinde. Und da beginnt die Erzählerin anstatt nach einem treffenden Wort zu suchen einen Klang zu hören – also vielleicht eine Überseezunge oder Obertöne zu hören, also nichts Beleidigendes zu hören. Sie hört, weil die Stimme des Mannes schwach geworden ist, also der ganze Mann und die ganze Sprache schwach geworden sind und nicht mehr im Weg stehen: Asche. In diesem Augenblick verändert sich die Welt oder jedenfalls die Straßenszene in St. Pauli, und jedenfalls der Brustkorb der Erzählerin; dieser öffnet sich und vielleicht öffnet sich alles, nichts steht im Weg. «In meinem Brustkorb öffnete sich ein winziges Loch, so dass ich kurz glaubte, in seinen Innenraum schauen zu können». Es hat sich eine Öffnung aufgetan. Was ist darin? Eine Überseezunge. Wie klingt sie? Sie klingt wie das Gegenteil einer Beleidigung. Sie klingt wie das Gegenteil der Beleidigung der Toten. Sie klingt wie die Erweckung der Toten. Noch genauer klingt sie: Sie klingt wie ein Wort, das noch nie gesagt worden ist. Sie sagt etwas zum ersten Mal. Ich lese ihnen das Ende der Erzählung vor, ausgelöst ist es von dem Wort Asche; es zählt zum Schönsten in der Literatur: «Ich atmete tief ein. In meinem Brustkorb öffnete sich ein winziges Loch, so dass ich kurz glaubte, in seinen Innenraum schauen zu können. Dieser Raum erinnerte an einen Ofen, der mit Asche gefüllt war. Die 97 Der flammende Weg / La via fiammeggiante legge. Ma non è facile porre la domanda cosa sia una Überseezunge. Forse una Überseezunge non è assolutamente niente. Qualcuno forse mangia una Überseezunge fritta o una sogliola. Ma una Überseezunge non è, non si siede/setzt sich. I pesci, ad esempio, non si siedono, non sulle sedie, non in poltrona. Anche una lingua non è. Nessuno dice: La lingua è. Al più, essa mangia, ad esempio a pranzo. Essa fa qualcosa, muove, spinge e solleva e assaggia, ma non è. Di che cosa si legge quindi nel libro? Divagazione. Masao Maruyama, qualunque cosa si sia e qualunque cosa si faccia «si dice sempre che la nostra società sia libera, e nel mentre celebriamo questo essere-liberi, non si è per nulla certi se questa libertà non venga privata all’improvviso della sua consistenza. La libertà non è un elemento decorativo, ma viene conservata soltanto se esercitata realmente. In altre parole: solo facendo qualcosa ogni giorno per diventare libero, uno può essere libero. In questo senso potremmo definire le libertà e i diritti del mondo moderno una incombenza molto molesta per quelle persone che amano l’indolenza del vivere» (Maruyama, p. 136)2. La narratrice di Überseezungen narra di un uomo di Amburgo che giù sulla riva dell’Elba le ha sputato in testa, proprio sulla scriminatura. Ella cerca poi per tutta la mattina un insulto adatto. «Purtroppo mai nella mia vita mi è venuto in mente al momento buono l’insulto adatto. In quest’ambito il mio vocabolario è molto ridotto. Se non si conosce una parola adatta, bisogna inventarla» (p. 22). La narratrice scarta un insulto dopo l’altro: ehi tu, sputo, lardello, ultima ruota della bicicletta, ciclista mancato. In Giappone ci sono questi insulti: melanzana, ravanello, patata, peperone, finocchio. Sarebbero adatte in tedesco le espressioni muso a borsa, sporta, sacco, armadio, buco, buco del naso? Nessuna risposta, nessun risultato. Capra! Vacca! In seguito la narratrice viene oltraggiata – diciamo viene oltraggiata una seconda volta –, un uomo esce da un negozio, sull’insegna del quale sta scritto Tailandia, e le dice dritto in faccia: Siete dei buchi di culo. Dopo un breve tira e molla dice: Buco di culo, sparisci. E a questo punto la narratrice invece di cercare una parola adatta, comincia a sentire un suono – ovvero comincia forse a sentire una Überseezunge oppure ipertoni, cioè comincia a non sentire niente di oltraggioso. Sente, perché la voce dell’uomo è impotente, vale a dire l’uomo tutto e la lingua tutta sono impotenti e non sono più d’ostacolo: cenere. In questo istante il mondo si trasforma o comunque si trasforma quella scena di strada a St. Pauli, e comunque la cassa toracica della narratrice; questa si apre e forse tutto si apre, nulla è di ostacolo. «Nella mia cassa toracica si aprì un minuscolo buco, cosicché per un attimo credetti di poter vedere al suo interno». Si era aperta una breccia. Cosa c’è dentro? Una Übersee- 2 Masao Maruyama, Denken in Japan, Shurkamp, Frankfurt am Main 1988 (N.d.T). Peter Waterhouse 98 Asche oder das Aas? Ein totes Tier wurde ins Feuer hineingeworfen und verbrannt. Ein Tier mit langen, sanften Wimpern. Ein Tier mit horizontalen Wimpern. Im Feuer verwandelte sich das Aas in Asche. Nein, es war anders: Ein lebendes Tier wurde gefangen und ins Feuer geworfen. Wie kam es aber, dass das Tier sich fangen ließ? Es hatte ein scharfes Gehör. Es konnte laufen wie der Wind, wenn es wollte. Es hatte aber einen Namen und beim Namen wurde es gefangen. Der Name, das Netz. Der Name wurde dann als Schimpfwort benutzt und das Tier wurde vergessen. Das namenlose Tier schläft in der Asche wie ein Wort, das noch nie gesagt worden ist. Ich werde seinen namenlosen Namen rufen, um es zu wecken, denn es ist noch nicht tot» (30). Wir sehen in diesem schnell laufenden Tier den Rennradfahrer wieder. Und wir hören, wie die Erzählerin ihn mit keinem Namen und Schimpfwort ruft. Wir hören also seinen namenlosen Namen, der nicht fängt und nicht beleidigt, sondern verlebendigt. Es ist wie ein Geburtstag. Der Radfahrer steigt aus der Asche auf. Das ist eine Übersetzung, fast eine Höhersetzung. Dürfen wir wirklich sagen, dass wir diesen Augenblick und diese Metamorphose wirklich verstehen? Vom derben Schimpfwort zu Asche zu Aas zum namenlosen Tier in der Asche, zum noch nie gesagten Wort, zum namenlosen Namen, zur Verlebendigung? Verstehen wir hier oder übersetzen wir? Gibt es im Verstehen nämlich das Einfangen, das Ignorieren, das Vergessen – und im Übersetzen das Wecken und Verlebendigen? Im Verstehen die Schmähung, im Übersetzen das Lob? Wird mit der Hilfe der Überseezunge der Radfahrer nicht verstanden und wird er gepriesen? Ein weiteres Beispiel einer Überseezunge: Kayako, einer japanischen Botin, wird eine Botschaft mitgegeben für einen Musikprofessor in München. Aber wie diese Botschaft formulieren – die Botin spricht nicht Deutsch, der Musiker in München nicht Japanisch. Er ist sehr alt und kann Briefe nicht lesen und geht nicht mehr an das läutende Telephon, er hört nur die, die sehr laut und nahe mit ihm sprechen; und er hört Töne, wenn er Noten liest. Wie aber ihm eine Nachricht zukommen lassen, eine verspätete Antwort zukommen lassen auf seinen Brief, den er vor langer Zeit nach Japan geschickt hat? Für die Botin werden japanische Ideogramme aufgeschrieben, die sie nicht zu übersetzen braucht. Die Botin wird in Deutschland die Zeichen vorlesen, der Musiker wird die japanischen Zeichen tönen hören, sie werden ihn erinnern an deutsche Töne und Worte. Das Ideogramm has wird er hören, die Botin wird an die Bedeutung des japanischen Ideogramms denken – Lotus –, während der Musiker von den Tönen an eine deutsche Bedeutung erinnert sein wird: Hass. Die Botin wird die zwei Ideogramme shonen aussprechen und an die Bedeutung Knabe denken. Der Musiker wird von den Tönen an die deutsche Bedeutung schonen erinnert werden. Findet hier Übersetzung statt? Was wird übersetzt? Die Bedeutung ist es nicht, die übersetzt wird. Es ist in Deutsch nicht die Rede 99 Der flammende Weg / La via fiammeggiante zunge. Che suono ha? Suona come il contrario di un oltraggio. Suona come il contrario dell’oltraggio dei morti. Suona come il risveglio dei morti. Più precisamente: ha il suono di una parola che non è ancora mai stata detta. Dice qualcosa per la prima volta. Leggo loro la fine del racconto, che si conclude con la parola: Cenere. È fra le più belle cose che la letteratura conosca. «Inspirai profondamente. Nella mia cassa toracica si aprì un minuscolo buco, cosicché per un attimo credetti di poter vedere al suo interno. Questo spazio ricordava una stufa piena di cenere. La cenere o la carogna? Una bestia morta è stata gettata nel fuoco e arsa. Una bestia con lunghe ciglia delicate. Una bestia con ciglia orizzontali. Nel fuoco la carogna si è trasformata in cenere. No, non è andata così. Una bestia viva è stata catturata e gettata nel fuoco. Ma come è successo che la bestia si lasciasse catturare? Aveva un udito finissimo. Poteva correre come il vento, se voleva. Ma aveva un nome e per nome è stata catturata. Il nome, la rete. Il nome è poi stato utilizzato come oltraggio e la bestia è stata dimenticata. La bestia senza nome dorme nella cenere come una parola che non è ancora mai stata detta. Io chiamerò il suo nome anonimo per svegliarla, perché non è ancora morta» (Überseezungen, p. 30). Rivediamo in questa bestia che corre veloce il ciclista. E sentiamo come la narratrice non lo appelli con nessun nome e nessun insulto. Sentiamo, cioè, il suo nome anonimo, che non cattura e non oltraggia, ma chiama in vita. È come un giorno natale. Il ciclista emerge dalla cenere. Questa è una traduzione, quasi una elevazione. Possiamo veramente dire di comprendere questo istante e questa metamorfosi veramente? Dall’insulto grossolano alla cenere alla carogna alla bestia anonima nella cenere, alla parola non ancora mai detta, al nome anonimo, al richiamo in vita? Stiamo comprendendo o traducendo? C’è infatti nel comprendere il catturare, l’ignorare, il dimenticare – e nel tradurre il risvegliare e il richiamare in vita? Nel comprendere la diffamazione, nel tradurre la lode? Con l’aiuto della Überseezunge il ciclista non viene compreso e viene celebrato? Altro esempio di una Überseezunge. A Kayako, una messaggera giapponese, viene dato un messaggio per un maestro di musica a Monaco. Ma come formulare questo messaggio – la messaggera non parla tedesco, il musicista a Monaco non parla giapponese. È molto vecchio e non riesce più a leggere delle lettere e non risponde più al telefono che squilla, sente soltanto quelli che standogli accanto parlano con lui a voce molto alta; e sente suoni quando legge le note. Come fargli arrivare una notizia, fargli arrivare una risposta ormai fuori tempo a una lettera che egli aveva inviato in Giappone tanto tempo prima? Per la messaggera vengono scritti ideogrammi giapponesi, che non ha bisogno di tradurre. La messaggera in Germania leggerà ad alta voce i segni, il musicista sentirà risuonare i segni giapponesi, essi gli ricorderanno suoni e parole tedeschi. Sentirà l’ideogramma has, la messaggera penserà al significato dell’ideogramma giapponese – Lotus/loto – mentre il Peter Waterhouse 100 von Lotus und Knabe. Was die Botin sagt und was der Musiker hört ist verschieden – also nicht übersetzt und vermittelt. Und doch ist, was die Botin sagt und der Musiker hört, vereint und übersetzt: shonen. Shonen ist in schonen übersetzt worden. Has ist übersetzt worden in Hass. Zugleich ist der Hass verwandelt worden in den Lotus und die Schonung ist verwandelt worden in einen Knaben. «Du spürst auf deiner Zunge dann die Lotusblüte während in die Ohren des Zuhörers der „Hass” hineindringt». Was also schreibt die Japanerin dem Musikprofessor in München? Vielleicht dieses: Sie schreibt ihm von der Lotus-Blüte, vielleicht von der Liebe. Das komplizierte, schöne, das darstellende, das einfache Ideogramm kann er nicht lesen. Die darstellende Lotus-Blüte kann er nicht lesen. Er versteht die nicht-darstellende Sprache. Haß, das ist nur Bedeutung – sich im Weg stehende Bedeutung –, es ist nicht Darstellung, nichts blütenähnliches. Am Ende der Erzählung lesen wir die Botschaft und wissen nicht – verstehen nicht –, ob wir deutsche Bedeutungen lesen oder die Bedeutungen der japanischen Zeichen. Welche Sprache lesen wir am Ende der Erzählung: «ein faden der schlange neu befestigte küste welche schule welche richtung der brunnen des jahres wurde zweimal gemalt das bild brechen und hinunter steigen durch das reisfeld siehst du etwas wie eine weisheits-wurzel im gesicht ein zerkochtes beispiel eine entzündete übermalung rau sind die ränder dichtung der indizien sind pferdeschlecht» (49). Hören wir hier die namenlosen Namen? Hörte der Münchner Musiker die namenlosen Namen? Wird hier etwas geweckt in der Asche? Wird es gepriesen und verlebendigt? Hören wir Liebe dargestellt, geweckt aus dem Hass? Hass übersetzt in Liebe? Oder eben gerade nicht Übersetzung des einen ins andere, sondern Gleichzeitigkeit; Musizieren mit Obertönen? Nicht Hass gewendet in Lotus, nicht Hass oder Lotus. Sondern: «Ein tibetanischer Mönch kann bis zu sechs verschiedene Töne gleichzeitig singen. Über den Boden des Haupttons schweben mehrere Töne wie Geister in der Luft. Der Mönchsgesang hat meine Hörgewohnheiten verändert. Ich fing an, jedem Klang aufmerksamer zuzuhören, indem ich in sein Gewebe eindrang. Jeder gewöhnliche Ton enthält mehrere Töne in sich, selbst wenn sie nicht so deutlich herauszuhören sind, wie beim Mönchsgesang. Und ich glaube, das gibt es nicht nur in der Musik sondern auch in den gesprochenen Sprachen. Ich habe mich immer wieder gefragt: Warum hören wir nicht im Alltag mehrere Stimmen in einer Stimme, wenn sie vorhanden sind? Sind unsere Ohren wie ein schlechtes Mikrofon gebaut? Hören wir sie nicht, weil wir fest daran glauben, dass eine Stimme nur eine Stimme sein muss? Ich hatte ein Bilderbuch in dem ein fuchsartiges Tier abgebildet war. Seine Zunge war aus Flammen. So wie diese Flammen mit vielen kleinen Spitzen müsste eine Stimme aussehen, wenn sie einen sichtbaren Körper hätte. [...] Die Obertöne, die ich im 101 Der flammende Weg / La via fiammeggiante suono ricorderà al musicista il significato tedesco: Hass/odio. La messaggera pronuncerà i due ideogrammi shonen pensando al significato: Knabe/ragazzo. Al musicista i suoni ricorderanno il significato tedesco schonen/aver cura. In questo caso ha luogo una traduzione? Cosa viene tradotto? Non è certo il significato che viene tradotto. In tedesco non si parla né di loto né di un ragazzo. Quanto la messaggera dice e quanto il musicista sente sono cose diverse – non tradotte e non mediate. E tuttavia, quello che la messaggera dice e il musicista sente è congiunto e tradotto: shonen/Knabe/ragazzo. Shonen/Knabe/ragazzo è stato tradotto in schonen/aver cura. Has/lotus/loto è stato tradotto in Hass/odio. Allo stesso tempo der Hass/l’odio è stato trasformato nel Lotus/loto e die Schonung/l’aver cura è stato trasformato in un Knabe/ragazzo. «Sentirai allora sulla tua lingua i fiori di loto mentre nell’orecchio dell’ascoltatore penetrerà “l’odio”». Ma cosa scrive la giapponese al maestro di musica a Monaco? Questo forse: gli scrive del fiore di loto, forse dell’amore. Il complicato ideogramma, bello, semplice, descrittivo lui non è in grado di leggerlo. Il descrittivo fior di loto non lo sa leggere. Lui comprende la lingua non-descrittiva. Haß/odio, è puro significato – significato d’ostacolo a se stesso –, non è descrizione, nulla di simile al fiore. Alla fine del racconto leggiamo il messaggio e non sappiamo – non comprendiamo – se stiamo leggendo i significati tedeschi o i significati dei segni giapponesi. Che lingua stiamo leggendo alla fine del racconto: «un filo della serpe costiera a nuovo consolidata quale scuola quale direzione il pozzo dell’anno fu dipinto due volte il quadro spezzare e scendere attraverso la risaia vedi qualcosa come una radice della saggezza nel volto un esempio stracotto una ridipintura infiammata ruvidi sono i margini poesia degli indizi sono equinamente brutti» (Überseezungen, p. 49) Stiamo sentendo i nomi anonimi? Il musicista di Monaco sentiva i nomi anonimi? Qui viene risvegliato qualcosa nella cenere? Viene celebrato e richiamato in vita? Sentiamo descritto l’amore, risvegliato dall’odio? Odio tradotto in amore? Oppure non è proprio una traduzione dell’uno nell’altro, ma contemporaneità; far musica con gli ipertoni? Non odio rovesciato in loto, non odio o loto. Ma: «Un monaco tibetano è in grado di cantare fino a sei diversi toni contemporaneamente. Sul terreno del tono principale ne oscillano numerosi altri come spiriti nell’aria. Il canto del monaco ha modificato le mie abitudini all’ascolto. Ho incominciato ad ascoltare con maggiore attenzione ogni suono nel mentre penetravo nella sua testura. Ogni suono comune contiene in sé numerosi toni, anche se non li si percepisce così chiaramente, come nel canto del monaco. E io credo che questo non sia solo della musica, ma anche delle lingue parlate. Mi sono sempre chiesta: Perché nella quotidianità in una voce non sentiamo più voci, se esse sono presenti? I nostri orecchi sono costruiti come un cattivo microfono? Non le sentiamo perché crediamo fermamente che una voce deva essere solo una voce? Avevo un libro illustrato in cui era raffigurato un animale somigliante a Peter Waterhouse 102 tibetanischen Mönchsgesang gehört habe, erinnerten mich unmittelbar an die Flöte, die im No- oder im Kabuki-Theater gespielt werden. Vielleicht ist diese Flötenmusik eine Nachahmung der Obertöne. [...] Sie erzeugen ein intensives Gefühl, das weder positiv noch negativ ist. In ihrem Klang verlieren die Begriffe des Glücks und des Unglücks ihre Bedeutungen: ein Gefühl, das unauflösbar gemischt und widersprüchlich ist, ein Gefühl, das den vermenschlichten Kategorien wie etwa Liebe oder Hass entflieht» (Talisman 114, 115). «wegen der stadt kann ich gehen gesetzliche ringe kochen umsonst treffliche krankheit am unterleib der heimat eine tabelle ganz am ende dieses lebens auf dem rücken betet ein wasservogel er denkt nicht an seinen profit» (Überseezungen 50). Hörte ich also in der alten Schünemannschen Mühle, welche längst keine Mühle mehr ist, Flöten spielen im No-Theater und im Kabuki-Theater? Hörte ich die Flammen? Hörte ich, dass die Zunge aus Flammen war? Erinnere ich mich so gut an das No-Spiel in Wolfenbüttel, weil es Freude bereitet, mehr als eine Stimme in der Stimme zu hören? Warum bereitet es Freude? Weil mehr als eine Stimme geweckt wird? Weil andere Stimmen verlebendigt werden, die noch nicht tot sind? Weil die Lebendigen zu hören sind, weil die Toten zu hören sind? Yo–ko Tawada ist als 19-Jährige aus Japan nach Europa gekommen. Warum ist sie, anstatt im Flugzeug nach Deutschland zu reisen, mit der Transsibirischen Eisenbahn gefahren? Hat jene Reise über den Erd- und Weltboden etwas zu tun gehabt mit dem flammenden Weg, mit der Zunge aus Flammen, mit dem Flötenspiel im No- und Kabuki-Theater? Die junge Reisende ließ sich nicht mit dem Flugzeug übersetzen. Fuhr sie dann auf dem flammenden Weg? Wird auf einem solchen Weg nicht übersetzt? Hörte ich in der Schünemannschen oder Schamanen-Mühle diesen nicht-übersetzenden Weg? In einem Aufsatz mit dem Titel An der Spree (der Titel klingt so, wie wenn es einen zweiten Titel gäbe: Anders sprechen) schreibt sie: «Europa liegt da, wo die Seidenstraße endet. Aber da die Seidenstraße heute zerstört und zerschnitten ist, kann man keine Linie bis Europa ziehen. Sollte man die komplizierte Mitte überfliegen? Kann eine geflügelte Maschine das Ziel erreichen, ohne den flammenden Weg zu berühren?» Als Yo–ko Tawada am Elbeufer unterwegs war und der Rennradfahrer ausspuckte oder sie anspuckte, ging sie da auf dem flammenden Weg? Ist sie eine Übersetzerin und eine Flötenspielerin im No-Theater? Eine Flötenspielerin und Töneund Totenbeleberin im Toten-Theater? Begegnet sie darum so oft dem Werk Paul Celans, in welchem die Toten Stimmen haben? In dem Aufsatz Rabbi Löw und 27 Punkte lässt sich ein weiteres Mal beobachten, wie diese Übersetzerin übersetzt, ohne zu übersetzen. Sie entdeckt in einem der Gedichte Paul Celans zwei Reihen von Punkten; die erste Reihe besteht aus dreizehn, die zweite Reihe aus vierzehn Punkten. Sie erinnerte sich an ein anderes Gedicht von Celan, das in der Mitte entzwei geteilt ist, durch 103 Der flammende Weg / La via fiammeggiante una volpe. La sua lingua era di fiamme. Una voce dovrebbe avere l’aspetto di queste fiamme dentellate, se avesse un corpo visibile. [...]. Gli ipertoni che ho sentito nel canto del monaco tibetano mi rimandavano direttamente ai flauti che vengono suonati nel teatro No o nel teatro Kabuki. Forse questa musica di flauti è una imitazione degli ipertoni. [...] Essi generano un sentimento intenso, che non è né positivo né negativo. Nel loro suono i concetti di felicità e di infelicità perdono il proprio significato: un sentimento, misto inscindibile e contraddittorio, un sentimento che sfugge alle categorie dell’umano come l’amore o l’odio». (Talisman, pp. 114, 115)3. «A causa della città posso percorrere anelli legali cuociono invano un’eccellente malattia al basso ventre della patria una tabella proprio alla fine di questa vita sul dorso prega un uccello acquatico non pensa al suo profitto» (Überseezungen, p. 50). Sentivo dunque al Vecchio Mulino Schünemann, che da tempo ormai non è più un mulino, suonare i flauti del teatro No e del teatro Kabuki? Sentivo le fiamme? Sentivo che la lingua era di fiamme? Ho in mente ancora così bene lo spettacolo No a Wolfenbüttel, perché dà gioia, più che non sentire una voce nella voce? Come mai dà gioia? Perché viene risvegliata più di una voce? Perché altre voci, che non sono ancora morte, vengono richiamate alla vita? Perché si sentono i viventi, perché si sentono i morti? Yo–ko Tawada a 19 anni è venuta in Europa dal Giappone. Perché mai, invece di venire in Germania con l’aereo, è venuta con la Transiberiana? Quel viaggio per terra e per cosmo ha qualcosa a che fare con la via fiammeggiante, con la lingua di fiamme, con il suono dei violini nel teatro No e Kabuki? La giovane viaggiatrice non si è fatta tradurre dall’aereo. Ha forse percorso la via fiammeggiante? Non si traduce lungo una simile via? Al Mulino Schünemann o degli Sciamani ho sentito questa via non-traducente? In un saggio dal titolo An der Spree/Sulla Sprea (il titolo suona come se ce fosse un secondo Anders sprechen/Parlare diversamente) Tawada scrive: «L’Europa si trova dove finisce la Via della Seta. Ma dal momento che la Via della Seta oggi è distrutta e interrotta, non si può tracciare un’unica linea fino all’Europa. Forse si dovrebbe sorvolare il complicato intermezzo? Una macchina volante può raggiungere la meta senza toccare la via fiammeggiante?» Quando Yo–ko Tawada era per via lungo l’Elba e il ciclista sputò o meglio le sputò addosso, ella stava percorrendo la via fiammeggiante? È una traduttrice e una flautista del teatro No? Una flautista e una evocatrice di toni e di morti nel Teatro dei morti? È forse per questo che incontra così spesso l’opera di Paul Celan, nella quale i morti hanno voce? Nel saggio Rabbi Löw e 27 punti si può osservare ancora una 3 Yo– ko Tawada, Talisman, Tübingen, Konkursbuch Verlag Claudia Gehrke, 1996 (N.d.T). Peter Waterhouse 104 eine Reihe von zehn Punkten, welche in einer japanischen Celan-Ausgabe dargestellt sind als dreißig Punkte. Wie wichtig ist es, ob in einer Zeile zehn oder dreizehn oder vierzehn Punkte stehen? Warum ist Yo–ko Tawada an dieser Frage interessiert? Weil Punkte nicht übersetzt werden können? Besser gesagt, weil Punkte nur gespiegelt werden können, zehn zu zehn, dreizehn zu dreizehn? Weil Punkte nur als Punkte gespiegelt werden können, ohne Übersetzung? Wie also wäre es, wenn man die Punkte nicht übersetzte, sondern sie ..., sondern was? ... sondern sie differierte und aus ihnen eine Überseezunge machte? Was ist die Differenz von dreizehn und vierzehn Punkten – die Differenz, nicht die Gleichung, nicht die Tautologie? «Die erste Reihe enthält 13 Punkte, die zweite 14. In diesen zwei Zeilen liegt etwas nicht Ausgesprochenes. Auch in der letzten Zeile wird etwas nicht ausgesprochen. Dort fehlen die drei Buchstaben ’b’ ’b’ ’i’ des Wortes ’Rabbi’. Ich zählte alle Buchstaben, Bindestriche und Doppelpunkte, addierte sie, subtrahierte dann eine bestimmte Zahl von einer anderen und vergaß bei all dem, wie die Zeit verging. Mitternacht war schon längst vorbei. Meine Besenheit hatte nichts mit der Jagd nach Sinn zu tun». «Irgendwann wurde es draußen wieder hell. Ich öffnete „die Morgentür” und sah auf den Zettel auf den ich die Wörter PRAG, RABBI, LÖW und GOLEM geschrieben hatte. Daneben standen einige mathematische Rechenversuche. Auf einmal vermischten sich in meinem Blick die Zahlen und die Buchstaben, als wären sie alle Ideogramme. Weil ich die Ziffern eng nebeneinander geschrieben hatte, sah die Anzahl der Punkte in der ersten Reihe, 13, als geschriebene Zahl aus wie der große Buchstabe ’B’. Die zweite Punktreihe hatte 14 Punkte, also 13 plus 1. Die geschriebene Zahl 1 ähnelte unübersehbar dem Buchstaben ’I’. Die beiden Punktreihen stellten also die drei Buchstaben ’B’ ’B’ und ’I’ dar, die im letzten Wort des Gedichts fehlten. Ich übersetzte die 13 Punkte in den Buchstaben ’B’ zurück, die 14 Punkte in ein ’B’ und ein ’I’ und gab sie dem Wort ’Rabbi’ wieder, so dass das Wort vollständig wurde”.13 Punkte übersetzen in den Buchstaben B – ist das gerade nicht Übersetzung, sondern Differenz? Der 1914 in Ôsaka geborene Politikwissenschaftler Masao Maruyama analysiert in seiner 1961 publizierten Schrift Denken in Japan das Aufeinandertreffen von traditionellem Hintergrund und europäischer Moderne, das zu einem merkwürdigen Resultat in Japan geführt habe, nämlich eine eigenartige Ähnlichkeit zwischen dem traditionellen Japanischen und dem fremden Europäischen. Es sei eine Vergleichbarkeit oder eine irgendwie betäubende Verschmelzung der Kulturen von Ost und West entstanden. Maruyama schreibt: «Das soll nicht heißen, diese Dinge hätten überhaupt keine Ähnlichkeit miteinander; und es ist natürlich auch nicht sinnlos, Gemeinsamkeiten herauszufinden. In dem Sinne, dass alles, was Menschen seit ältester Zeit gedacht haben, nicht so extrem verschieden voneinander ist, lassen sich selbstverständlich überall Gemeinsamkeiten fin- 105 Der flammende Weg / La via fiammeggiante volta come questa traduttrice traduca senza tradurre. Scopre in una poesia di Celan due righe di punti; la prima riga è di tredici punti, la seconda di quattordici. Si sovviene di un’altra poesia di Celan che nel mezzo è divisa in due, da una fila di dieci punti, che in un’edizione giapponese di Celan sono raffigurati da trenta punti. Quanto è importante se in una riga ci sono dieci o tredici o quattrodici punti? Perché Yo–ko Tawada si interessa di tale questione? Perché i punti non possono essere tradotti? O meglio perché i punti possono solo essere riflessi dieci contro dieci, tredici contro tredici? Perché i punti si possono solo riflettere come punti, senza traduzione? Come sarebbe se non si traducessero i punti, ma li..., ma cosa?... li si differenziasse e da essi si traesse una Überseezunge? Cos’è la differenza fra tredici e quattrodici punti – la differenza, non l’equazione, non la tautologia? «La prima riga contiene 13 punti, la seconda 14. In queste due righe c’è qualcosa di non detto. Anche nell’ultima riga c’è qualcosa che non viene detto. Là mancano le tre lettere b b i della parola Rabbi. Ho contato tutte le lettere, i trattini e i doppi punti, li ho sommati, ho poi sottratto un certo numero da un altro e facendo tutto ciò ho dimenticato come scorreva il tempo. Mezzanotte era già passata da un pezzo. La mia ossessione non aveva nulla a che fare con la caccia al senso». «A un certo punto fuori si fece chiaro. Aprii “la porta orientale” e guardai sul foglio su cui avevo scritto le parole PRAGA, RABBI, LÖW e GOLEM. Accanto alcuni tentativi di calcolo aritmetico. Di colpo al mio sguardo si mescolarono le cifre e le lettere, come se tutte fossero ideogrammi. Poiché avevo scritto le cifre molto vicine le une alle altre, il numero dei punti nella prima riga, 13, scritto in cifre sembrava una B maiuscola. La seconda riga di punti ne aveva 14, ovvero 13 più 1. Il numero 1, scritto, assomigliava tantissimo alla lettera I. Le due righe di punti rappresentavano quindi le tre lettere B B e I, che mancavano nell’ultima parola della poesia. Io ritradussi i 13 punti nella lettera B, i quattordici in una B e una I e li restituii alle parola Rabbi, cosicché la parola ritornò completa. Tradurre 13 punti nella lettera B – non è questa propriamente una traduzione, ma una differenza? Il politologo Masao Maruyama, nato a Osaka nel 1914, nel suo saggio del 1961 Pensare in Giappone analizza l’incontro del sostrato tradizionale con la modernità europea che ha portato in Giappone ad un curioso risultato ovvero alla originale somiglianza fra l’elemento tradizionale giapponese e l’estraneità europea. Ne è scaturita una comparabilità ovvero una fusione in certa qual misura narcotizzante delle culture orientale e occidentale. Maruyama scrive: «Ciò non significa che queste cose non abbiano in assoluto delle somiglianze; e naturalmente non è assurdo cercare i tratti comuni. Partendo dall’idea che tutto quanto gli uomini hanno pensato dalla notte dei tempi non è poi così estremamente diverso, è chiaro che ovunque si possono trovare dei tratti comuni. Determinante in questo caso, però, è il fatto che di rado si è così disponibili a considerare i pro- Peter Waterhouse 106 den. Entscheidend ist hier aber, dass man so selten bereit ist, die geistigen Produkte einer anderen Kultur zunächst einmal als etwas dem eigenen Selbst zutiefst Fremdes zu setzen und sich diesem Fremden zu stellen, und das aus dieser „Leichtigkeit” des Verstehens eine „Tradition” des bequemen Verbindens resultiert, die eben nichts zur Tradition werden lässt. Wenn heutzutage in der Intelligenz, zumindest was Ideen betrifft, kaum ein wacher Sinn für „das Unbekannte” vorhanden ist, so geht das auf das Konto einer „Tradition”, die uns insbesondere seit der Meiji-Zeit mit unersättlicher Neugier und flinker Auffassungsgabe (darin ist Japan wohl unübertroffen in der ganzen Welt, und das war eine entscheidende Voraussetzung für Japans rapiden „Sprung”) die ausländische Kultur aufsaugen ließ: Nach anfänglicher Neugier wendet man sich schon bald mit „das kennen wir ja schon” wieder ab. Überempfindlichkeit und Empfindungslosigkeit gehen eine paradoxe Verbindung ein» (Maruyama 31, 32). «Wegen der stadt kann ich gehen gesetzliche ringe kochen umsonst treffliche krankheit am unterleib der heimat eine tabelle ganz am ende dieses lebens auf dem rücken betet ein wasservogel er denkt nicht an seinen profit». Mitten durch die Schünemannsche Mühle führte damals dieser flammende Weg. Juli/August 2013 St. Veit im Jauntal/Šent Vid v Podjuni 107 Der flammende Weg / La via fiammeggiante dotti spirituali di un’altra cultura in prima istanza come qualcosa di profondamente estraneo al proprio sé, per poi confrontarsi con questo estraneità, e che da questa “facilità” del comprendere risulti una “tradizione” del “coniugare facile” che fa sì che nulla diventi tradizione. Se oggigiorno nella classe intellettuale, almeno per quanto riguarda le idee, non c’è di fatto un senso desto pronto a cogliere “quanto è sconosciuto”, ciò lo si deve a una “tradizione” che, in particolare dall’epoca Meiji, ci fa assorbire la cultura straniera con insaziabile curiosità e pronta ricezione (in ciò il Giappone è insuperato in tutto il mondo, ed è stata la premessa decisiva per il rapido “balzo” compiuto dal Giappone). Dopo una iniziale curiosità ci si distrae ben presto con un “ma questo lo conosciamo già”. Si coniugano, paradossalmente, da un lato eccesso e dall’altro carenza di sensibilità» (Maruyama, pp. 31, 32). «A causa della città posso percorrere anelli legali cuociono invano un’eccellente malattia al basso ventre della patria una tabella proprio alla fine di questa vita sul dorso prega un uccello acquatico non pensa al suo profitto». Proprio attraverso il Mulino Schünemann passava allora questa via fiammeggiante. Luglio/agosto 2013 St. Veit im Jauntal / Šent Vid v Podjuni Peter Waterhouse 108