Oneri finanziari, le opzioni possibili

Transcript

Oneri finanziari, le opzioni possibili
Stampa | Staffetta Acqua (SQ)
1 di 4
http://www.staffettaonline.com/staffetta_acqua/Stampa.aspx?id=255776
stampa | chiudi
Copyright © RIP Srl
Regolazione
venerdì 30 ottobre 2015
Oneri finanziari, le opzioni possibili
In attesa del parere degli esperti chiesto dal Consiglio di Stato sul metodo transitorio Aeegsi, un
approfondimento di Ref Ricerche sui principali criteri e metodi di quantificazione degli oneri finanziari
nella letteratura accademica, nella prassi finanziaria e nelle scelte di regolazione internazionali
Il Consiglio di Stato ha recentemente disposto una consulenza
tecnica in merito ai meccanismi di riconoscimento degli oneri finanziari
dei gestori del servizio idrico integrato all'interno del Metodo tariffario
transitorio per gli anni 2012-2013 elaborato dall'Autorità per l'energia
elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeegsi). La consulenza è stata
affidata, nell'ambito dei ricorsi in appello presentati da Codancons e da
Federconsumatori-Associazione Acqua Bene Comune Onlus (v.
Staffetta 16/10), a un collegio di docenti scelti da tre diverse Università
romane che dovrà verificare se formule e parametri stabiliti
dall'Autorità per il calcolo degli oneri finanziari, con particolare
riferimento al tasso d'interesse di riferimento e alla componente a
copertura della rischiosità, siano idonei a “riflettere la componente
tariffaria strettamente limitata alla copertura dei costi di capitale proprio investito” e non conducano a
sovrastime. Il tema della corretta individuazione degli oneri finanziari per il settore idrico è oggetto di un
approfondimento di Ref Ricerche (Quaderni Ref Ricerche n. 74, luglio 2015: “Remunerazione del
capitale e oneri finanziari: alla ricerca di regole coerenti e stabili”) che a più riprese, attraverso i lavori
del Laboratorio servizi pubblici locali (v. Staffette 04/08, 07/04 e 09/12/14), ha analizzato la questione
in considerazione del procedimento avviato dall'Aeegsi per la revisione dei criteri di determinazione del
tasso di remunerazione del capitale investito nei settori dell'energia e del gas: pur non applicandosi al
settore idrico, la riforma potrebbe in seguito determinare implicazioni anche per quest'ultimo, con
eventuali modifiche proprio alla metodologia di calcolo degli oneri finanziari.
Il lavoro di Ref Ricerche passa in rassegna i principali contributi della letteratura accademica e
della prassi finanziaria in materia, proponendo esempi di criteri adottati nelle esperienze internazionali
di regolazione dei servizi a rete. Fulcro della questione, la determinazione del costo medio ponderato
del capitale (Weighted Average Cost of Capital - WACC) e dei suoi parametri, la cui adeguata
quantificazione offre “un incentivo ad assumere impegni di investimento coerenti con il fabbisogno
infrastrutturale che ciascun settore esprime”. Le metodiche scelte per ottenere tale risultato possono
basarsi su logiche “backward looking”, ovvero prendere a riferimento dei parametri assunti un certo
arco temporale nel passato presumendo che offra un buon metro di previsione, oppure su criteri
“forward looking”, basati sulle aspettative di previsori professionali e/o dei mercati finanziari. Entrambi
gli approcci presentano pro e contro: nel primo caso, si dispone di dati verificabili ma poco adatti a
esprimere previsioni affidabili in ragione della variabilità delle condizioni economiche e finanziarie nel
corso del tempo; nel caso di un'impostazione prospettica, invece, il vantaggio è quello di interrogare
direttamente i mercati, per così dire, scontrandosi però con la volatilità di questi ultimi e con la
discrezionalità delle previsioni prese a riferimento.
Quanto emerge dalla ricerca è che i dati storici riferiti ad ampi intervalli temporali rappresentano la
metodologia più diffusa per il calcolo del premio al rischio di mercato (Equity Risk Premium - ERP),
seppure si vadano diffondendo negli ultimi anni anche approcci prospettici basati su indagini presso
attori ed esperti del settore o informazioni tratte dai mercati finanziari, un cambio di rotta giustificato
dalle particolari condizioni legate alle politiche monetarie espansive dell'ultimo periodo. “Il caposaldo
teorico e metodologico per quantificare il rendimento atteso dagli investitori che assumono un certo
livello di rischio – spiegano gli autori del lavoro, Francesca Casarico e Samir Traini – è
rappresentato dal Capital Asset Pricing Model (CAPM), dove il costo del capitale proprio è dato dalla
somma tra il rendimento del titolo privo di rischio e di un premio per il rischio sistemico (non
diversificabile) di una determinata attività; il rischio sistemico è misurato da un coefficiente beta, che
30/10/2015 17.06
Stampa | Staffetta Acqua (SQ)
2 di 4
http://www.staffettaonline.com/staffetta_acqua/Stampa.aspx?id=255776
esprime la correlazione tra il rendimento atteso di un titolo e il mercato, ovvero la correlazione tra la
variazione storica del titolo e la variazione di un indice composito di mercato”. Sia in questo modello
che in quelli alternativi (Arbitrage Pricing Theory - APT o Multi-Factor Model - MFM, in cui i beta sono
stimati rispetto ai singoli fattori di rischio di mercato e ciascun fattore viene prezzato in modo distinto),
l'ERP misura il rendimento medio del mercato azionario nel suo complesso. Nelle esperienze
internazionali di regolazione – compresa quella dell'Aeegsi – prevale l'utilizzo del CAPM.
I principali metodi in uso per la stima dell'ERP consistono nell'analisi di serie storiche, nelle
indagini di mercato e nelle stime di previsione da cui si ricava un premio al rischio implicito. Nel primo
caso, si stima il rendimento effettivo del mercato azionario su un lungo periodo temporale storico,
comparato con i rendimenti effettivi sui titoli privi di rischio. La differenza su base annuale tra i due
rendimenti rappresenta il premio al rischio storico . Da tale metodo, largamente adottato,
scaturiscono però notevoli differenze tra i premi calcolati, legate essenzialmente all'ampiezza dell'arco
temporale prescelto (non vi sono indicazioni univoche in merito e sia gli orizzonti temporali più lunghi
che quelli più brevi presentano criticità), alla scelta del tasso d'interesse privo di rischio (di breve o
lungo termine) e all'indice azionario preso a riferimento, nonché alla misura di sintesi adottata
(principalmente media aritmetica di una serie di rendimenti annuali e media geometrica di rendimenti
composti, la prima considerata una migliore stima per il premio al rischio attuale, la seconda più
coerente con i risultati di alcuni studi che dimostrano una correlazione negativa nel tempo tra i
rendimenti dei titoli azionari). Le stime su dati storici più accreditate nella prassi finanziaria e nei
contesti internazionali di regolazione sono quelle di Dimson, Marsh e Staunton (DMS), che quantificano
i valori del premio al rischio storico per gran parte dei mercati azionari mondiali su un orizzonte
temporale di lunghissimo periodo. Questo approccio restituisce, per l'Italia, una stima del premio al
rischio per il periodo 1900-2011 pari al 6,9% (media aritmetica) o al 3,5% (media geometrica), tra i più
alti in Europa.
Quanto alle indagini di mercato – effettuate presso professionisti del settore finanziario,
investitori e previsori professionali, esperti della materia, ecc. –, si tratta di strumenti ancora poco
diffusi per via di alcuni effetti distorsivi: una maggiore sensibilità del premio di rischio così stimato ai
movimenti di borsa più recenti, alle caratteristiche dei soggetti intervistati e alla formulazione del
questionario, nonché la fallacia delle previsioni espresse. Tra le indagini più recenti e riconosciute in
questo campo, quella di Fernandez e altri (2014) che ha rilevato il premio al rischio utilizzato da
accademici, analisti e manager finanziari nel periodo 2011-2014 in 88 paesi; per l'Italia, la ricerca
evidenzia un valore stabile di poco superiore al 5,5%
Se poi si considerano le stime di previsione che ricavano un premio al rischio implicito dalle
quotazioni di mercato in un determinato momento, presupponendo che riflettano un'aspettativa futura
sul premio al rischio richiesto, uno dei modelli più ampiamente utilizzati è il Dividend Growth Model
(DGM), secondo il quale la quotazione attuale di un titolo (o di un indice azionario) restituisce il valore
dei dividendi attesi scontati per un tasso di riferimento richiesto; questo tipo di stima, secondo molti,
individua valori del premio al rischio insufficienti perché troppo influenzati da valutazioni soggettive sul
tasso atteso di crescita degli utili e dei dividendi azionari. Elaborando dati ricavati da indagini del
Consensus Forecast presso previsori professionali su una serie di variabili del DGM, gli analisti hanno
stimato un premio al rischio per il prossimo periodo regolatorio del servizio idrico italiano (2016-2019)
del 4,9%.
In tempi recenti, rileva Ref Ricerche, i principali regolatori europei hanno fissato l'ERP per i servizi
a rete mediamente intorno al 5%; tra i valori inferiori scelti si colloca quello dell'Aeegsi per i settori
dell'energia, del gas e dell'acqua (4%). Generalmente, le Autorità di regolazione adottano metodi di
calcolo ibridi prendendo a riferimento le stime DMS e utilizzando medie sia aritmetiche che
geometriche; alcuni prendono in considerazione anche i valori fissati da altri regolatori, altri effettuano
un confronto incrociato con proprie stime basate sul DGM. L'Aeegsi, in particolare, effettua stime su
medie storiche di lungo periodo riferite al mercato italiano, basate sull'indice annuale della Borsa
italiana ricostruita da Mediobanca, ottenendo un valore vicino a quello calcolato da DMS su dati storici
con media geometrica (3,5% per il periodo 1900-2011, 6,9% se calcolato come media aritmetica),
nonché a quello fissato dall'Agcom nel 2013 per i servizi a rete fissa nelle telecomunicazioni (3,76%),
basato su una stima propria derivante dal DGM.
Per il calcolo del coefficiente di rischio sistemico (equity beta), che riflette il rischio associato
alle condizioni economiche generali di un certo settore e costituisce una misura del rischio non
diversificabile, la maggior parte delle Autorità di regolazione si rifà a un beta settoriale corretto per una
struttura finanziaria standard (nozionale). Generalmente, precisano gli economisti di Ref Ricerche, il
valore del coefficiente “viene stimato tramite il calcolo della correlazione tra gli extra rendimenti del
titolo azionario di una impresa (o di un settore) e gli extra rendimenti del mercato nel suo complesso
30/10/2015 17.06
Stampa | Staffetta Acqua (SQ)
3 di 4
http://www.staffettaonline.com/staffetta_acqua/Stampa.aspx?id=255776
attraverso un'analisi di regressione lineare basata su dati storici”. Anche in questo caso rileva
l'orizzonte temporale preso a riferimento, nonché la definizione del campione di imprese da utilizzare
come benchmark. In particolare, nei settori regolati, in mancanza di un corposo campione di aziende
quotate e soprattutto in totale assenza di queste, si stima il beta facendo riferimento ad altre società
quotate con caratteristiche operative e finanziarie simili a quelle delle aziende regolate (se si tratta di
aziende estere devono operare in economie simili a quella del paese di riferimento). Stimando l'equity
beta sulla base di dati storici, è opportuno selezionare un periodo che presenti condizioni di mercato
analoghe a quelle del periodo regolatorio interessato. Nella prassi finanziaria si prediligono orizzonti
temporali dai 2 ai 5 anni, nella regolazione sembra prevalere una finestra di 2-3 anni. In alcuni casi si
opera una ponderazione di stime effettuate su diversi periodi temporali. La frequenza delle
osservazioni più diffusa è quella giornaliera, più di rado settimanale o mensile. Il coefficiente stimato su
dati storici risente del rischio finanziario dell'impresa (beta levered), da cui va depurato (beta
unlevered) per poi essere calcolato con riferimento all'intero settore (media ponderata dei singoli beta
unlevered per il valore di mercato di ciascuna azienda); a partire da tale beta unlevered di settore si
può stimare un valore dell'equity beta tenendo conto della struttura finanziaria (leva finanziaria
nozionale) ritenuta dal regolatore efficiente per il settore. Gli equity beta adottati da alcune Autorità
europee negli ultimi anni si attestano tra 0,63 e 0,92 (0,80 quello dell'Aeegsi per il settore idrico nel
biennio 2014-2015, più elevato, per esempio, di quello stimato dalla stessa Autorità per il gas).
Per la determinazione della struttura finanziaria (o leva finanziaria) la ricerca rileva la convivenza
tra valutazioni del grado di indebitamento rispetto al capitale investito definito secondo i criteri
regolatori (Regulatory Asset Base - RAB) e metodi basati sui valori di bilancio o di mercato del
capitale proprio nel caso si consideri il rapporto tra debito e fonti di finanziamento; per valutare il grado
di indebitamento si fa riferimento sia ai debiti lordi (totali o di lungo periodo) che alla posizione
finanziaria netta (quest'ultima misura risulta generalmente più diffusa). L'impiego di valori di mercato
nella valorizzazione delle fonti di finanziamento consente “maggiore facilità di controllo e verifica dei dati
desumibili dal bilancio”, spiegano gli analisti, ma rischia di “non riflettere correttamente il valore
intrinseco dell'azienda in quanto soggetto alle scelte di natura contabile operate dal management”; nel
caso di imprese quotate in borsa, invece, si può far riferimento ai valori di mercato ottenendo una
migliore valutazione della leva finanziaria ma esponendosi alla sensibilità della misura ai movimenti di
breve periodo delle quotazioni dei titoli. Alcuni regolatori – come quello spagnolo per il settore idrico –
utilizzano una combinazione dei due, affiancando il valore contabile del debito e il valore di mercato
dell'equity. Importante, infine, anche la scelta tra una stima della leva finanziaria nozionale (per l'intero
settore) o quella effettiva di ciascuna impresa regolata; nel primo caso si determina una leva finanziaria
“ritenuta efficace ed incentivante dal regolatore”. Non vi sono modelli univoci per il calcolo della leva
finanziaria nozionale, perciò la discrezionalità del singolo regolatore è elevata. Osservando i valori
stabiliti da diversi regolatori europei, Ref Ricerche nota che sono in buona parte superiori al 50%,
eccetto quelli stabiliti dall'Aeegsi per la trasmissione e distribuzione elettrica (44%) e per la
distribuzione e misura del gas (37,5%). Per il settore idrico di Inghilterra e Galles, ad esempio,
l'Autorità Ofwat fissa la leva finanziaria nozionale al 62,5% (2013).
Gli autori si soffermano infine sulla definizione del premio al rischio di debito (Debt Risk
Premium - DRP), ai fini della quale risulta più diffusa l'analisi degli spread pagati sulle obbligazioni
emesse da un ampio campione di imprese che presentano un merito creditizio assimilabile a quello
delle imprese regolate, nonché dello spread pagato da queste ultime. In sostanza, si spiega nello
studio, il costo del capitale di debito “esprime il costo medio atteso del debito di un'azienda ed è
definito dalla somma del tasso di rendimento delle attività prive di rischio e da un tasso dovuto al
rischio di insolvenza detto anche premio sul debito”; il premio al rischio del debito “restituisce una
misura dello spread creditizio, ovvero la differenza tra il tasso di rendimento delle attività prive di
rischio e il costo medio dell'indebitamento delle aziende del settore regolato”. Il costo del debito del
settore può essere indicativamente desunto dai tassi d'interesse delle obbligazioni emesse dai soggetti
regolati, ma non si ottiene così un valore efficiente di remunerazione del debito in quanto legato ai
rendimenti dei titoli emessi solo da alcune aziende. Nel settore idrico italiano, fanno notare gli autori, le
emissioni obbligazionarie dei principali operatori indicano “la propensione delle aziende a finanziarsi con
debito di medio-lungo periodo (media di circa 12 anni) e uno spread medio ponderato rispetto al
periodo di maturazione del debito di circa 42 punti base”. Ove il regolatore si avvalga del cosiddetto
“tasso di benchmark”, che prevede la stima del premio al debito come differenziale dei tassi – rispetto
a quello risk free – di un indice di rendimento delle obbligazioni emesse da società con un rating
analogo a quello delle aziende sottoposte a regolazione, dovrà porre attenzione alla scadenza dei titoli
obbligazionari inclusi negli indici di benchmark perché sia il più possibile coerente con quella delle
obbligazioni emesse dalle aziende regolate (o con la vita utile delle opere) per ottenere un premio
adeguato a coprire i costi di indebitamento. L'utilizzo di una media mobile per stimare il costo del
debito, osservano gli analisti, permette di limitare gli effetti della volatilità dei mercati finanziari e del
ciclo economico, mentre l'adozione di un indice obbligazionario che esprime il rendimento di titoli con
30/10/2015 17.06
Stampa | Staffetta Acqua (SQ)
4 di 4
http://www.staffettaonline.com/staffetta_acqua/Stampa.aspx?id=255776
merito creditizio BBB appare coerente con il grado di giudizio medio assegnato alle più recenti
emissioni delle aziende multiutility italiane quotate.
Un accenno, in ultimo, alle misure del tasso di interesse privo di rischio e del tasso di
inflazione per il calcolo del WACC: “le più avanzate esperienze internazionali di regolazione – afferma
Ref Ricerche – mostrano che un adeguato mix di criteri prospettici e retrospettivi su un orizzonte di
medio-lungo termine sembra poter offrire maggiori garanzie. I criteri di calcolo adottati per il tasso di
interesse privo di rischio dovranno coerentemente essere utilizzati anche per il dimensionamento del
tasso di inflazione”. Facendo riferimento ai titoli di Stato italiani con scadenza decennale per rilevare il
tasso risk free e ricavando il tasso di inflazione implicito nei contratti swap indicizzati all'inflazione a 10
anni per l'area euro, gli autori comparano le misure derivanti da un approccio “backward looking”
(media degli ultimi 12 mesi, degli ultimi 2 anni o degli ultimi 5 anni) con quelle frutto di un'ottca “forward
looking” (previsioni professionali decennali pubblicate da Consensus Forecast): i valori ottenuti come
media di periodi più recenti restituiscono un tasso di interesse reale inferiore all'1%, mentre la media
storica a 5 anni restituisce livelli sostanzialmente allineati a quelli forniti dai previsori internazionali.
A dimostrazione delle differenze di esito che si hanno a seconda dei criteri utilizzati per la
quantificazione dei vari parametri, Ref Ricerche propone i possibili risultati di calcolo per il periodo
regolatorio 2016-2019 del settore idrico italiano: per il tasso d'interesse privo di rischio, a fronte del
4,4% fissato per il biennio 2014-2015, si va da un minimo del 2,4% (media degli ultimi 12 mesi dei
tassi d'interesse sui titoli di Stato decennali) a un massimo del 4,3% (media degli ultimi 5 anni); il valore
del tasso d'inflazione (1,5% per il 2014-2015) va da un minimo dell'1,6% (media a 12 mesi dei tassi
impliciti nei titoli swap a 10 anni) a un massimo del 2% (media a 5 anni); il premio al rischio di debito
(l'1% per l'ultimo biennio) può assumere come valore minimo lo 0,1% (differenziale medio degli ultimi 2
anni tra i rendimenti delle obbligazioni con scadenza pari o superiore a 10 anni emesse da imprese
europee con rating BBB e tasso d'interesse sui titoli di Stato italiani a 10 anni) e come valore massimo
lo 0,4% (spread all'emissione dei titoli obbligazionari emessi negli ultimi anni da utility del settore idrico
quotate e non quotate); per il premio al rischio di mercato (4% nel 2014-2015) si va dal 3,8% fissato
dall'Agcom per il settore della telefonia al 5,6% ipotizzato dall'indagine di mercato di Fernandez e altri
(2014); l'equity beta (levered), all'80% nel periodo 2014-2015, risulterebbe invariato.
Lo studio (Quaderni Ref Ricerche, n. 74) è reperibile sul sito web di Ref Ricerche.
© Tutti i diritti riservati
E' vietata la diffusione e o riproduzione anche parziale in qualsiasi mezzo e formato.
30/10/2015 17.06