i delitti contro l`ambiente: le principali novita` della ln 68

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i delitti contro l`ambiente: le principali novita` della ln 68
Giugno 2015
I DELITTI CONTRO L’AMBIENTE:
NOVITA’ DELLA L. N. 68/2015
LE
PRINCIPALI
Con legge 22 maggio 2015, n. 68, in vigore dal 29 maggio scorso, sono state introdotte numerose disposizioni in
tema di delitti contro l’ambiente.
La l. n. 68/2015 (di seguito, anche la “Legge”) inserisce per la prima volta questi delitti all’interno del codice
penale.
In particolare, viene introdotto il nuovo Titolo VI-bis, rubricato “Dei delitti contro l’ambiente” e sono
contestualmente modificati alcuni articoli del codice penale e di varie leggi speciali.
Inoltre, coerentemente con le novità introdotte nel codice penale, sono modificati sia gli articoli 257 e 260 del d.lg.
n. 152/2006 (di seguito, il “Codice dell’Ambiente”), sia le norme sui c.d. reati-presupposto contenute nel d.lg. n.
231/2001 in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società.
Infine, è introdotta la parte sesta-bis al Codice dell’Ambiente, recante “Disciplina sanzionatoria degli illeciti
amministrativi e penali in materia di tutela ambientale” e sono apportate alcune modifiche alla l. n. 150/1992, volte
a inasprire le sanzioni irrogabili per alcuni degli illeciti previsti dalla Convenzione sul commercio internazionale
delle specie animali e vegetali in via di estinzione.
Questa nota contiene una prima lettura delle principali novità introdotte nel codice penale e le modifiche apportate
agli articoli 257 e 260 e alla parte sesta-bis del Codice dell’Ambiente, nonché al d.lg. n. 231/2001, rinviando a
successivi approfondimenti sia per le ulteriori previsioni normative, sia – soprattutto – per la soluzione delle
numerose questioni critiche che la formulazione delle norme solleva (e che, verosimilmente, potranno essere risolte
solo attraverso la progressiva formazione di un “diritto vivente”).
***
SOMMARIO – 1. I DELITTI CONTRO L’AMBIENTE – 1.1. L’inquinamento ambientale – 1.2. Sistema
sanzionatorio e pene accessorie – 1.3. Il disastro ambientale – 1.4. Sistema sanzionatorio e pene accessorie –
1.5 Il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività – 1.6. L’impedimento del controllo – 1.7.
L’omessa bonifica – 1.8. Circostanze aggravanti – 1.9. Il ravvedimento operoso – 1.10. La prescrizione – 2.
L’ART. 260 DEL CODICE DELL’AMBIENTE – 3. LE RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI PER DELITTI CONTRO
L’AMBIENTE – 4. L’ESTINZIONE DELLE CONTRAVVENZIONI AMBIENTALI
1. I DELITTI CONTRO L’AMBIENTE
L’art. 1, primo comma della Legge introduce nel codice penale dodici nuovi articoli.
Per tutti i delitti previsti dal nuovo Titolo VI-bis del c.p., i termini di prescrizione sono raddoppiati e, in caso di
condanna, il giudice (oltre a poter ordinare la confisca, anche per equivalente) ordina il recupero e, ove possibile, il
ripristino dello stato dei luoghi a carico del condannato e degli enti con personalità giuridica dei quali il condannato
abbia la rappresentanza o l’amministrazione o sia in rapporto di dipendenza.
1.1. L’inquinamento ambientale
Ai sensi dell’art. 452-bis “è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro
100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1)
delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della
biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.
Il secondo comma prevede un aumento di pena nel caso in cui l’inquinamento sia prodotto in determinate aree,
quali quelle naturali protette o sottoposte a vincoli (paesaggistico, architettonico ecc.) o in danno di specie animali
e vegetali protette.
Si tratta di un reato comune, perpetrabile da “chiunque” (e non solo da predefinite categorie di soggetti) ponga in
essere una condotta “abusiva” che comporti una “compromissione” o un “deterioramento” “significativo e
misurabile” di alcuni elementi costituenti l’ambiente.
Il delitto è punito a titolo di dolo ma l’art. 452-quinquies ne ammette la forma colposa: in tal caso, la pena è
diminuita da un terzo a due terzi, con ulteriore riduzione di un terzo se dal fatto commesso deriva il pericolo di
inquinamento (anche se non l’inquinamento effettivo); quest’ultima previsione appare di difficoltosa lettura e
potrebbe generare sia rischi di sovrapposizione con altre fattispecie di reato (come quella prevista dall’art. 257 del
Codice dell’Ambiente), sia un’eccessiva anticipazione della soglia di punibilità (che potrebbe venire retrocessa alla
commissione di delitti colposi di pericolo).
1.1.1. La condotta “abusiva”
Durante l’iter parlamentare, il termine “abusivamente” è stato introdotto in sostituzione della locuzione “in
violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificatamente poste a tutela dell’ambiente
e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale”, ritenendo che quest’ultima potesse
“escludere dall’ambito di applicazione ... condotte comunque lesive dell’ambiente, anche se non già illecite sul
piano amministrativo o penale”1.
L’avverbio “abusivamente” costituisce l’elemento più incerto e problematico della fattispecie.
Il legislatore aveva già utilizzato la medesima espressione nell’art. 260 del Codice dell’Ambiente in tema di traffico
illecito di rifiuti: pertanto, richiamando la giurisprudenza – ormai consolidata – formatasi su tale disposizione2, è
possibile individuare come condotta abusiva quella compiuta (i) in assenza delle autorizzazioni necessarie (c.d.
1
Parere della VIII Commissione Permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera.
2
Tra le molte: Cassazione Penale, sez. III, 8 gennaio 2015, n. 18669 (dep. 6 maggio 2015); 15 ottobre 2013, n. 44449 (dep. 4
novembre 2013); 20 dicembre 2012, n. 19018 (dep. 2 maggio 2013); 21 ottobre 2010, n. 40945 (dep. 19 novembre 2010); 10
luglio 2008, n. 30847 (dep. 23 luglio 2008); 20 novembre 2007, n. 358 (dep. 8 gennaio 2008); sez. V, 11 ottobre 2006, n.
40330 (dep.7 dicembre 2006); sez. III, 15 novembre 2005, n. 12433 (dep. 7 aprile 2006); 6 ottobre 2005, n. 40828 (dep. 10
novembre 2005).
2
attività “clandestina”); (ii) in presenza di autorizzazioni scadute o illegittime; (iii) in violazione delle prescrizioni
e/o dei limiti contenuti nell’autorizzazione, (iv) con modalità concrete tali da risultare difforme da quanto
autorizzato, così da non essere più giuridicamente riconducibile al titolo abilitativo rilasciato dalla competente
Amministrazione.
In forza di quest’ultimo profilo (nonché alla ratio della norma, come deducibile dai lavori parlamentari), potrebbe
anzitutto essere considerata “abusiva” la condotta posta in essere in contrasto con una valida ed efficace
autorizzazione allo svolgimento dell’attività (per esempio, l’AIA).
Poiché, però, il carattere “abusivo” della condotta si configura come un elemento costitutivo del reato, potrebbe
anche accadere che il giudice penale pretenda di estendere il proprio sindacato alla valutazione della legittimità del
provvedimento amministrativo, e che quindi, anche in presenza di una condotta conforme al titolo abilitativo, non
sia esclusa la possibilità di accertare una condotta “abusiva” ove quel titolo sia ritenuto illegittimo.
A questo riguardo, le maggiori criticità derivano dalla identificazione dei limiti cui soggiace il sindacato (sia pure
incidentale) del giudice penale rispetto alla legittimità del provvedimento amministrativo, limiti che, tuttora, la
giurisprudenza non ha definito del tutto nitidamente3.
Il carattere “abusivo” della condotta si prospetta inoltre in termini particolarmente problematici rispetto alla
variante colposa del delitto in esame: laddove la condotta sia contra ius, infatti, l’elemento soggettivo colposo
dovrebbe ritenersi corrispondentemente integrato, con la conseguenza che ogni attività che si discosti dal titolo
abilitativo determinerebbe immediatamente la sussistenza del reato (sempre che, naturalmente, si verifichi l’evento
consistente nella compromissione e nel deterioramento e sia accertato il nesso causale).
Infine, l’ampiezza della condotta si presta a includere facilmente una vasta gamma di fenomeni di contaminazione
che, per definizione, sono caratterizzati dalla natura “abusiva” della condotta: qualunque contaminazione del suolo
o del sottosuolo che derivi da un’attività industriale, per esempio, sarà naturalmente riconducibile a un
comportamento “abusivo”, posto che il titolo che abilita a svolgere l’attività non autorizza – ovviamente e per
definizione – alla contaminazione.
1.1.2. La “compromissione” e il “deterioramento” “significativi e misurabili”
Anche le caratteristiche dell’evento naturalistico, al verificarsi del quale si consuma il reato, sono suscettibili di
sollevare alcune criticità.
In primo luogo, il discrimine tra la compromissione e il deterioramento potrà risultare sfuggente: la
compromissione sembra infatti distinguersi in quanto connotata dall’irrimediabilità della situazione, ma non è da
escludere che i due concetti possano finire per sovrapporsi.
Il “deterioramento” non è termine nuovo, ricorrendo sia nell’art. 300 del Codice dell’Ambiente, sia nella Direttiva
2004/35/CE in tema di danno ambientale; assumendo la costanza terminologica, può richiamarsi la giurisprudenza
3
Nel periodo più recente, si è ritenuto che il fatto che un titolo autorizzatorio – e la norma da cui esso discende – riconosca un
diritto o una facoltà giuridica, di cui segni i limiti formali, possa anche non escludere il riconoscimento dell’illecito penale,
ricorrendone le condizioni, quando il suo esercizio si ponga, in concreto, in contrasto con i fini sostanziali che il titolo (e la
norma) si prefigge ovvero con una norma diversa o con gli stessi principi generali dell’ordinamento: nel concetto di
“abusivamente” dovrebbero dunque potersi ricomprendere anche le situazioni nelle quale l’attività, pur apparentemente ed
esteriormente corrispondente al contenuto formale del titolo, presenti una sostanziale incongruità con il titolo medesimo, il che
pu avvenire non solo quando si rinvenga uno sviamento dalla funzione tipica del diritto acoltà conferiti dal titolo
autorizzatorio, ma anche quando l’attività costituisca una non corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti all’autorizzazione
in questione, in tal caso superandosi i confini dell'esercizio lecito.
3
che lo qualifica come “alterazione, deterioramento, distruzione, in tutto o in parte dell’ambiente”, risarcibile anche
qualora consista nella “mancata disponibilità di una risorsa ambientale intatta” 4.
Il fatto che la compromissione e il deterioramento debbano essere “significativi” e “misurabili” comporta poi la
necessità di quantificazione degli stessi.
Un criterio può al riguardo derivare esaminando a contrario la nozione di disastro ambientale di cui all’art. 452quater: se quest’ultimo, infatti, è integrato – alternativamente – (i) dall’alterazione irreversibile dell'equilibrio di un
ecosistema; (ii) dall’alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e
conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; (iii) dall’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza
del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o
esposte a pericolo, l’inquinamento ambientale potrà allora ritenersi sussistente qualora (i) vi siano una
compromissione o un deterioramento reversibile; (ii) gli effetti siano eliminabili senza particolari oneri né tecniche
né con provvedimenti eccezionali; (iii) quando non sia offesa la pubblica incolumità (v. infra, par. 1.3.).
Secondo l’orientamento recentemente espresso dalla Cassazione, la condotta in esame dovrebbe essere compresa
nell’intervallo fra il mero superamento delle concentrazioni soglie di rischio (CSR) – punito dalla diversa
fattispecie di pericolo prevista dall’art. 257 del Codice dell’Ambiente, ove non seguito dalla bonifica del sito – che
non abbia arrecato un evento di notevole inquinamento, e il più grave reato di disastro, che prevede una alterazione
“irreversibile o particolarmente onerosa” dell’ecosistema: l’inquinamento sarebbe quindi ravvisabile in tutte le
condotte di danneggiamento delle matrici che, all’esito della stima fattane, producono una alterazione significativa
del sistema, senza assumere le connotazioni dell’evento tendenzialmente irrimediabile.
1.2. Il sistema sanzionatorio e le pene accessorie.
Il primo comma dell’art. 452-ter prevede l’innalzamento delle pene qualora dalla commissione del reato di
inquinamento ambientale derivi, come conseguenza non voluta, una lesione personale 5 (non superiore ai venti
giorni), una lesione grave o gravissima6 o la morte.
La previsione è accostabile a quella di cui al disposto degli articoli 586 e 83 c.p., in forza dei quali, quando da un
fatto preveduto come delitto doloso derivi, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o lesione di una
persona, di quest’ultimo evento il reo risponde a titolo di colpa (quando lo stesso è preveduto dalla legge come
delitto colposo).
Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, per tale reato è sempre prevista la confisca delle
cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commetterlo, salvo che appartengano a
persone estranee al reato.
Nel caso in cui questa non sia possibile, il giudice individua dei beni di valore equivalente di cui il condannato
abbia, anche indirettamente o per interposta persona, la piena disponibilità e ne ordina la confisca.
La confisca non si applica se l’imputato ha efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alla
bonifica e al rispristino dello stato dei luoghi (art. 452-undecies).
In caso di condanna per tale reato, commesso in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in
relazione ad essa, è inoltre prevista l’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione (art. 1, comma 5
della Legge).
4
Cassazione Penale, sez. III, ud. 6 marzo 2007, n. 16575 (dep. 2 maggio 2007).
5
Art. 582 c.p.
6
Art. 583 c.p.
4
Inoltre il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini preliminari per il reato di inquinamento
ambientale, ne dà notizia al procuratore generale presso la Corte d’Appello, all’Agenzia delle Entrate e al
Procuratore nazionale Antimafia (art. 1, comma 7).
Ai sensi dell’art. 1, comma 8 della Legge, alle persone giuridiche e alle società di cui al d.lg. n. 231/2001, per la
commissione del reato di inquinamento ambientale doloso, si applicano sia la sanzione pecuniaria, fissata da un
minimo di 250 e un massimo di 600 quote, sia le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 del d.lg. n. 231/2001 al
massimo per un anno.
Se, invece, il reato è commesso a titolo di colpa, la sanzione pecuniaria oscillerà tra 200 e 500 quote e le sanzioni
interdittive non saranno applicate.
1.3. Il disastro ambientale
Ai sensi dell’art. 452-quater “fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro
ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale
alternativamente: 1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; 2) l'alterazione dell'equilibrio di un
ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei
suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.
Anche in questo caso il secondo comma prevede un aumento di pena nel caso in cui l’inquinamento sia prodotto in
determinate aree, quali quelle naturali protette o sottoposte a vincoli (paesaggistico, architettonico ecc.) o in danno
di specie animali e vegetali protette.
Il reato di disastro ambientale è un reato comune ed è punito a titolo di dolo o di colpa (art. 452-quinquies, v. par.
1.1.).
Fino all’entrata in vigore della Legge il disastro ambientale era punito ai sensi dell’art. 434 c.p. (c.d. “disastro
innominato”), secondo cui “chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a
cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva
pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a
dodici anni se il crollo o il disastro avviene”.
La Corte Costituzionale7 ha ritenuto legittima la punibilità del disastro ambientale ai sensi dell’art. 434 c.p., quale
norma di chiusura del sistema, che mira “a colmare ogni eventuale lacuna, che di fronte alla multiforme varietà dei
fatti possa presentarsi nelle norme .. concernenti la pubblica incolumità”, non mancando, tuttavia, di muovere al
legislatore l’invito a prevedere autonome fattispecie di reato ambientale.
La giurisprudenza ha quindi avuto modo di pronunciarsi sulla definizione di disastro, prevedendone quali requisiti
“la "potenza espansiva del nocumento" e l'"attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità"” e precisando
che “il termine disastro implica sia cagionato un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità
"straordinariamente grave e complesso", ma non "eccezionalmente immane"; pertanto "è necessario e sufficiente
che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero
indeterminato di persone", così integrandosi il pericolo per la pubblica incolumità8.
7
Corte costituzionale, 1° agosto 2008, n. 327.
8
Cassazione Penale, sez. III, 16 gennaio 2008, n. 9418 (dep. 29 febbraio 2008). V. anche Cassazione Penale, sez. I, 19
novembre 2014, n. 7941 (dep. 23 febbraio 2015).
5
Si è così rilevato come “si profili in linea astratta esigua la linea di demarcazione tra disastro e il danno
ambientale allorché questo sia costituito da una importante contaminazione di siti destinati ad insediamenti
abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana, e come siffatta demarcazione si riveli inesistente
allorché la attività di contaminazione diretta e indiretta (realizzata cioè mediante accumulo nei territori e
versamento nelle acque di rifiuti speciali altamente pericolosi nonché mediante diffusione di prodotti di
compostaggio destinati alla concimazione contenenti residui pericolosi) assuma connotazioni di durata, ampiezza
e intensità tali da risultare, in concreto, "straordinariamente grave e complessa”” mentre “la prova di immediati
ed evidentemente "tragici" effetti sull'uomo prodotti dall'evento non può essere assunta a parametro o a misura
esclusiva del "disastro"”9.
1.4. Il sistema sanzionatorio e le pene accessorie
Si rimanda al par. 1.2., evidenziando soltanto due differenze:
1) in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444, c.p.p.), è sempre disposta
anche la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la
provenienza e di cui, anche per interposta fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità in
valore sproporzionato al proprio reddito e alla propria attività economica (art. 1, comma 4 della Legge);
2) ai sensi dell’art. 1, comma 8 della Legge, alle persone giuridiche e alle società di cui al d.lg. n. 231/2001, per la
commissione del reato di disastro ambientale doloso, si applicano sia la sanzione pecuniaria, fissata da un
minimo di 400 e un massimo di 800 quote, sia le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 del d.lg. n. 231/2001 senza
un termine massimo.
1.5. Il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività
Ai sensi del primo comma dell’art. 452-sexies “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la
reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista,
riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di
materiale ad alta radioattività”.
La clausola di specialità deve intendersi riferita all’art. 260, secondo comma, del Codice dell’Ambiente che, per il
delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” ad alta radioattività prevede la pena della reclusione
da tre a otto anni10.
9
Cassazione Penale, sez. V, 11 ottobre 2006, n. 40330 (dep.7 dicembre 2006).
10
Più problematico il rapporto con l’art. 3 della legge 7 agosto 1982, n. 704 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla
protezione fisica dei materiali nucleari, con allegati, aperta alla firma a Vienna ed a New York il 3 marzo 1980) – ai sensi del
quale “Chiunque, senza autorizzazione, riceve, possiede, usa, trasferisce, trasforma, aliena o disperde materiale nucleare in
modo da cagionare a una o pi persone la morte o lesioni personali gravi o gravissime ovvero da determinare il pericolo dei
detti eventi, ferme restando le disposizioni degli articoli
e
del codice penale, punito con la reclusione fino a due
anni. uando cagionato solo un danno alle cose di particolare gravità o si determina il pericolo di detto evento, si applica la
pena della reclusione fino ad un anno”. Sembra infatti porsi un problema di coordinamento fra le disposizioni, laddove il
nuovo art. 452-sexies pare coincidere con l’art. 3 legge n. 704/1982 almeno nel caso in cui una delle condotte materiali vietate
determini il pericolo di morte o lesioni (sebbene debba verificarsi la piena coincidenza normativa fra la nozione di “materiale
nucleare” e quella di “materiale ad alta radioattività”).
6
Il secondo e il terzo comma dell’art. 452-sexies prevedono un innalzamento delle pene in caso di pericolo di
compromissione o deterioramento delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del
sottosuolo, nonché di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna, ovvero pericolo per
la vita o per l'incolumità delle persone.
Per le pene accessorie si rimanda al par. 1.2., rilevando che non è prevista l’applicazione delle sanzioni interdittive
di cui all’art. 9 del d.lg. n. 231/2001.
1.6. L’impedimento del controllo
Il reato si configura quando un soggetto “negando l'accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo
stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del
lavoro, ovvero ne compromette gli esiti” (art. 452-septies).
La pena è quella della reclusione da sei mesi a tre anni, unitamente alla confisca di cui all’art. 452-undecies e
all’impossibilità a contrattare con la pubblica amministrazione (v. par. .1.2.).
1.7. L’omessa bonifica
Unitamente ai reati di inquinamento e disastro ambientale, il reato di omessa bonifica costituisce una delle novità
più significative introdotte dalla Legge.
L’art. 452-terdecies prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per
legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero
dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a
euro . ”.
La disposizione deve essere coordinata con l’art. 257 del Codice dell’Ambiente, che al primo comma punisce
“chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con
il superamento delle concentrazioni soglia di rischio .. se non provvede alla bonifica in conformità al progetto
approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti” con la pena
dell’arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. All’ultimo comma
veniva specificato che l’osservanza del progetto approvato “costituisce condizione di non punibilità per i reati
ambientali contemplati .. per il medesimo evento” nonché per la stessa contravvenzione di cui al primo comma.
Con l’introduzione del reato di omessa bonifica sono state apportate alcune modifiche all’art. 257 del Codice
dell’ambiente: in primo luogo, è stata introdotta la clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato”; in
secondo luogo è stata modificata la condizione di non punibilità, non più riferita ai reati ambientali ma solo alle
contravvenzioni.
Per conseguenza, il nuovo delitto di omessa bonifica non dovrebbe sovrapporsi al reato di cui all’art. 257 del
Codice dell’Ambiente: l’introduzione della clausola di riserva comporta infatti che essa la contravvenzione si
applichi solo nelle ipotesi di un superamento delle soglie di rischio che non abbia raggiunto (quanto meno) gli
estremi dell’inquinamento, ossia che non abbia cagionato una compromissione o un deterioramento significativi e
misurabili dei beni elencati indicati dall’art. 452-bis.
Inoltre, se la bonifica è realizzata conformemente al progetto approvato, ciò opera come condizione di non
punibilità soltanto di quelle fattispecie più lievi (contravvenzionali, come per esempio il superamento delle soglie
di rischio) che non abbiano determinato gli eventi che integrato i reati di inquinamento o disastro ambientale,
mentre, in questi ultimi casi, l’avvenuta bonifica conformemente al progetto approvato potrà operare solo come
circostanza attenuante (speciale ad effetto speciale, ex art. 452-decies, come si vedrà infra, par. 1.9.).
7
1.8. Le circostanze aggravanti
La Legge prevede due circostanze aggravanti.
La prima è contenuta all’art. 452-octies e si riferisce a ogni delitto contenuto nel nuovo Titolo VI-bis del codice
penale.
Le pene saranno, infatti, aumentate qualora:
(i)
l’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. sia “diretta, in via esclusiva o concorrente, allo
scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo”: in questo caso, oltre alle pene
accessorie indicate di seguito, si applicherà anche la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di
cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta fisica o giuridica,
risulta essere titolare o avere la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito e alla propria
attività economica (art. 1, comma 4 della Legge);
(ii)
l’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis del c.p. sia “finalizzata a commettere taluno dei
delitti previsti dal presente titolo ovvero all'acquisizione della gestione o comunque del controllo di
attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia
ambientale”.
Le pene saranno ulteriormente aumentate da un terzo alla metà se dell'associazione fanno parte pubblici ufficiali o
incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.
Le pene accessorie sono: la confisca (art. 452-undecies), la trasmissione della notizia al procuratore generale presso
la Corte d’Appello, all’Agenzia delle Entrate e al Procuratore nazionale Antimafia (art. 1, comma 7 della Legge) e,
per le persone giuridiche e alle società di cui al D.L.gs. n. 231/2001, la sanzione pecuniaria da 300 a 1000 quote.
La seconda aggravante (art. 452-nonies) prevede un innalzamento delle pene e la procedibilità d’ufficio “quando un
fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo,
dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente, ovvero se
dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152
del 2006 o da altra legge che tutela l'ambiente”.
1.9. Il ravvedimento operoso
L’art. 452-decies prevede la riduzione delle pene:
(i)
da metà a due terzi “nei confronti di colui che si adopera per evitare che l'attività delittuosa venga
portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al
ripristino dello stato dei luoghi”,
(ii)
da un terzo alla metà “nei confronti di colui che aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità
giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell'individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse
rilevanti per la commissione dei delitti”.
Inoltre la prescrizione è sospesa ove il giudice, su richiesta dell'imputato, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, (non superiore a due
anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno), al fine di consentire lo svolgimento di tali attività
in corso di esecuzione.
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1.10. La prescrizione
L’art. 6, comma 1, della Legge irrigidisce la disciplina della prescrizione dei nuovi delitti, i cui termini vengono
raddoppiati rispetto a quelli ordinari previsti dall’art. 157, comma 6 c.p..
In relazione ai delitti di inquinamento ambientale e disastro ambientale (entrambi ad evento), si pone il problema
della decorrenza della prescrizione e, quindi, del tempus commissi delicti: occorrerà infatti verificare quale sia
esattamente il momento nel quale possono dirsi integrati gli specifici eventi che qualificano i delitti nel nuovo
catalogo, tenuto conto che in queste tipologie di reati il loro perfezionamento potrebbe verificarsi a distanza di
tempo rispetto all’ultima condotta di materiale immissione di sostanze o comunque di fisica alterazione o
manomissione dell’assetto preesistente, e considerata anche la natura spesso permanente delle condotte.
2. L’ART. 260 DEL CODICE DELL’AMBIENTE
La disposizione è stata modificata semplicemente con l’aggiunta della previsione della confisca, per cui “è sempre
ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del
reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni
di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne
ordina la confisca”.
La Legge, tuttavia, prevede anche che:
i)
in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato di disastro
ambientale, sia sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato
non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta fisica o giuridica, risulta essere titolare
o avere la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito e alla propria attività economica (art.
1, comma 4);
ii)
In caso di condanna per tale reato, commesso in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o
comunque in relazione ad essa, è inoltre prevista l’incapacità a contrattare con la pubblica
amministrazione (art. 1, comma 5);
iii)
il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per tale delitto, ne dia notizia al Procuratore
nazionale antimafia (art. 1, comma 7).
3. LA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI PER I DELITTI CONTRO L’AMBIENTE
A completamento di quanto osservato in precedenza, in corrispondenza delle singole fattispecie di reato, si rileva
che l’art. 1 della Legge ha modificato l’art. 25-undecies del d.lg. n. 231/2001, estendendo il catalogo dei reati che
costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato.
In particolare, per effetto della modifica si prevedono a carico dell’ente specifiche sanzioni pecuniarie per la
commissione dei delitti di inquinamento ambientale (da 250 a 600 quote), di disastro ambientale (da 400 a 800
quote), di inquinamento ambientale e disastro ambientale colposi (da 200 a 500 quote), di associazione a delinquere
(comune e mafiosa) con l’aggravante ambientale (da 300 a 1.000 quote); di traffico e abbandono di materiale ad
alta radioattività (da 250 a 600 quote).
Inoltre, con l’inserimento del comma 1-bis nell’art. 25-undecies, si prevede, in caso di condanna per il delitto di
inquinamento ambientale e di disastro ambientale, l’applicazione delle sanzioni interdittive per l’ente stabilite
dall’art. 9 del d.lg. n. 231/2001 (interdizione dall'esercizio dell’attività; sospensione o revoca di autorizzazioni,
licenze o concessioni; divieto di contrattare con la PA; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o
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sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi). La disposizione impone
che per il delitto di inquinamento ambientale, la durata di tali misure non può essere superiore a un anno.
4. L’ESTIZIONE DELLE CONTRAVVENZIONI AMBIENTALI
L’art. 1, comma 9 della Legge introduce nel Codice dell’Ambiente una nuova disciplina sanzionatoria degli illeciti
amministrativi e penali in materia di tutela ambientale, costituita da sette articoli (artt. da 318-bis a 318-octies).
Le disposizioni introdotte, modellate sulle previsioni contenute negli articoli 19 e seguenti del d.lg. n. 758/1994,
ripropongono il meccanismo di estinzione degli illeciti mediante adempimento delle prescrizioni impartite e
pagamento di somma determinata a titolo di sanzione pecuniaria.
L’art. 318-bis indica l’ambito applicativo della disciplina, applicabile alle ipotesi contravvenzionali in materia
ambientale che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali,
urbanistiche o paesaggistiche protette.
Il procedimento regolato:
- dall’art. 318-ter, che riguarda le prescrizioni da impartire al contravventore, di competenza dell’organo di
vigilanza (o della polizia giudiziaria), il termine per la regolarizzazione, l’obbligo di comunicazione della notizia di
reato al pubblico ministero;
- dall’art. 318-quater, che regola la verifica dell'adempimento e l’irrogazione della sanzione, entro termini
determinati, attraverso una serie di fasi procedimentali;
- dall’art. 318-quinquies, che prevede obblighi di comunicazione da parte del PM, che abbia in qualsiasi modo
notizia della contravvenzione, all'organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria, per consentire di imporre le
prescrizioni;
- dall’art. 318-sexies, che stabilisce i termini di sospensione del procedimento penale e le attività di indagine e
cautelari effettuabili in loro pendenza;
- dall’art. 318-septies, che prevede l’estinzione della contravvenzione a seguito sia del buon esito della
prescrizione, sia del pagamento della sanzione amministrativa, cui consegue l’archiviazione del procedimento da
parte del pubblico ministero; la disposizione con igura, in ine, l’ipotesi di adempimento tardivo o con modalità
diverse della prescrizione, facendone derivare la possibile applicazione di un'oblazione ridotta rispetto alle
previsioni di cui all'articolo 162-bis del codice penale;
- dall’art. 318-octies, norma transitoria per la quale la disciplina per l’estinzione delle contravvenzioni non si
applica ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore.
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