Ecco il racconto del nostro viaggio

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Ecco il racconto del nostro viaggio
inserto
speciale
biologico a Oriente
Da tempo EcorNaturaSì, azienda italiana distributrice
di prodotti bio, aveva in programma un viaggio in Cina.
Obiettivo: visitare la produzione agricola biologica
del Paese. Un modo concreto per rispondere alle
richieste di maggiori informazioni da parte dei clienti
dei negozi Cuorebio sui prodotti provenienti dalla
Cina a marchio Ecor. Ecor Naturasì ha da sempre
un “contatto diretto” con la produzione biologica,
sia essa italiana o extraeuropea. Per questo verso la fine
di settembre ha inviato nel Paese Davide Tromballi
e Paola Bigliani dell’ufficio assicurazione qualità
insieme a Giò Gaeta (marketing e comunicazione).
Accompagnati da Giancarlo Tarella, titolare da oltre
vent’anni della ditta importatrice SweetBio, sono partiti
alla volta della Cina ognuno con un ruolo ben preciso,
ma con uno scopo comune: conoscere meglio
il biologico cinese e riportare poi con oggettività
quanto visto. Ecco il racconto del loro viaggio.
speciale Cina in viaggio verso est…
Ovunque tu vada, vacci con tutto il tuo cuore. book è vietato dal governo cinese, ma che per i ragazzi
Confucio
ci sono altri metodi per comunicare utilizzando la rete.
Prima del nostro viaggio, della Cina avevamo sentito
parlare spesso: un paese immenso, con milioni di abitanti, un mondo lontanissimo che, come tutto ciò che
è diverso e distante da noi, può anche spaventare.
La tentazione, infatti, è sempre quella di ricondurre
una realtà così grande e variegata ad un unico modello, quello di un Paese che subisce una forte repressione e in cui vengono violate continuamente libertà
di stampa e d’opinione e lesi i diritti civili.
Perplessità
Da parte dei consumatori occidentali la perplessità
nei confronti dei prodotti biologici cinesi non manca.
Le domande che frequenti ricorrono sono: “Saranno
contraffatti? Vengono sottoposti a controlli secondo
il regolamento del biologico? Sono sicuri come quelli
italiani ed europei? E soprattutto, perché si deve ricorrere a prodotti provenienti da un Paese così lontano?”
EcorNaturaSì ha organizzato questo viaggio verso
“Oriente” proprio per poter raccogliere più notizie
possibili sulla qualità effettiva e sulle certificazioni bio
dei prodotti importati, ma anche per constatare che
le condizioni di lavoro di chi è impegnato nel biologico siano rispettose dei diritti dell’uomo. Ebbene,
quanto abbiamo scoperto ci ha stupito e ci ha fatto
riflettere: lontane da metropoli e da centri industriali,
davanti ai nostri occhi si sono aperte vallate interamente biologiche dalle quali provengono prodotti
controllati da enti certificatori interni ed esterni,
rispettando i regolamenti europei del biologico.
Inoltre il biologico, abbiamo saputo, viene incentivato dal governo cinese che concede facilitazioni a chi
sceglie questo metodo di coltivazione: minori tasse,
uso gratuito dei terreni, finanziamenti per l’acquisto
di macchinari agricoli, corsi di formazione e supporto
tecnico specialistico. È il governo stesso, inoltre, che
si fa promotore di controlli sui prodotti destinati
comunque a subire ulteriori verifiche dagli organismi
internazionali di certificazione. Del resto, in Cina si sta
da poco diffondendo l’abitudine di consumare prodotti biologici, come testimonia la diffusione di negozi
specializzati, soprattutto nelle grandi città.
La Cina è sicuramente anche questo, ma non solo.
È un paese, infatti, ricco di contraddizioni che è possibile cogliere solo guardandolo bene e dall’interno.
Abbiamo viaggiato molto per raggiungere tutte le
località dove hanno sede i progetti agricoli con cui
lavoriamo e, sia nella città che nelle campagne, abbiamo potuto girare senza subire particolari controlli o
divieti (era uno dei nostri timori maggiori). Le persone
che abbiamo incontrato per la strada, curiose di noi,
ci hanno fermato facendoci un sacco di domande
riguardo alla nostra provenienza, stupendosi delle
motivazioni che ci avevano condotto in Cina. Non
capita tutti i giorni di incontrare dei viaggiatori “non
turisti”, ma osservatori interessati al mondo agricolo
bio. Questo viaggio, infatti, ci ha confermato l’opinione secondo cui dentro alla Cina ci sono tante Cine da
conoscere, andando oltre l’apparenza e il pregiudizio.
Non ci aspettavamo l’esistenza di un mondo agricolo
biologico sostenuto e promosso dal governo, fatto di
agricoltori che amano il loro mestiere, considerandolo
anche un modo per migliorare la propria condizione
economica e sociale. Abbiamo incontrato giovani cinesi impegnati in favore dell’ambiente e del biologico
capaci di organizzare in poco tempo un “flash mob”
di protesta attraverso il web riunendo migliaia di coetanei. Sono raduni pacifici ma determinati: c’è il rischio
di arresti da parte delle forze dell’ordine per queste
proteste promosse da Internet, silenziose e non violente, senza colori politici né leader “rivoluzionari” che
si pongono alla guida delle masse.
Ci hanno raccontato, sorridendoci, che l’uso di Face-
Nella scuola del villaggio
speciale Cina 2
Lavoro nei campi
Notizie confortanti anche per quanto riguarda la
gestione del lavoro nei campi: nelle aziende visitate,
abbiamo potuto constatare che non si ricorre
a manodopera minorile, né a sfruttamento di braccianti agricoli. I salariati agricoli cinesi occupati nelle
aziende biologiche vengono pagati più di quelli
convenzionali: se rapportati con i nostri, i loro compensi sono sicuramente più bassi, ma coerenti con
il costo della vita locale. Pur avendo un tenore di
vita comunque modesto, ben diverso da quello del
contadino occidentale, gli agricoltori incontrati sono
apparsi soddisfatti del loro mestiere che praticano con
passione; non si lasciano abbattere dalla fatica del
duro lavoro nei campi, in gran parte ancora manuale,
e coltivano la terra nel rispetto della natura, contribuendo a mantenere la biodiversità del Paese. I loro
metodi naturali possono sembrare obsoleti, residuo di
un tempo ormai trascorso e superato dalla mentalità
occidentale, che ha fatto della meccanizzazione il suo
principale criterio produttivo, ma è necessario comprendere i vantaggi che derivano dalla loro adozione.
Prima di tutto, essa consente un maggiore contatto
con l’ambiente: il contadino sente la natura, vive dentro di essa, raccoglie con le proprie mani i frutti che
ne provengono, impara a rispettarla e ad amarla, evitando ogni comportamento che possa danneggiarla.
Nel corso della nostra visita, infatti, abbiamo potuto
constatare che, grazie alle pratiche della tradizione
agricola, i contadini cinesi spesso non hanno nemmeno bisogno di utilizzare gli antiparassitari naturali o
i concimi organici previsti nel regolamento europeo,
perché gli stessi metodi di coltivazione, il clima e
l’habitat incontaminato li rendono superflui. Il lavoro
manuale, va da sé, ha i suoi vantaggi anche in termini
di maggiore occupazione: se le macchine sostituissero
l’attività di decine di braccia, si registrerebbe un incremento della disoccupazione e molti lavoratori agricoli
sarebbero costretti a trasferirsi nelle aree industriali
dalla parte opposta del Paese. Oppure a emigrare alla
ricerca di condizioni di vita migliori.
In questo modo, invece, hanno la possibilità di restare
nella loro terra, circondati da un ambiente che è per
loro fonte primaria di sostentamento e di possibile
sviluppo economico.
Certo, anche il mondo del biologico cinese, come
altre realtà di agricoltura biologica più vicine a noi,
deve ancora fare molti passi in avanti. Anche se,
da parte delle persone che abbiamo incontrato,
c’è la volontà di migliorare sempre di più, sempre
nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Un desiderio
che si inserisce nel contesto di una nuova sensibilità
ambientale e si estende a tematiche come la raccolta
differenziata, l’inquinamento atmosferico o l’utilizzo
di risorse energetiche alternative. Consapevole dei
propri limiti, dunque, la Cina “biologica” si mostra
favorevole al cambiamento laddove è possibile e
necessario, salvaguardando, però, le caratteristiche
autentiche dei suoi coltivatori biologici, che scelgono
ogni giorno di rispettare la loro terra (che è poi una
sola, e quindi è anche la nostra). Lavorare la terra ed
essere a contatto con la natura rende gli esseri umani
più vicini, uniti in un’armonia tra la terra e il cielo, sotto
la cui volta viviamo tutti, indipendentemente dalla
parte del mondo in cui si ha la ventura di nascere.
I terreni delle coltivazioni biologiche da cui provengono prodotti cinesi a marchio Ecor sono lontani da fonti
di inquinamento industriale o urbano, perché situati
prevalentemente nelle regioni settentrionali, in Manciuria e in Mongolia, a qualche chilometro dalla Russia.
Si tratta di terreni incontaminati che, in molti casi, non
sono mai stati coltivati in maniera “convenzionale”
e quindi sono esenti da sostanze chimiche di sintesi.
Un té a casa Chuan
Itinerario del gruppo EcorNaturaSì
speciale Cina 3
speciale Cina qualche domanda ai viaggiatori
Come staff dei negozi Cuorebio, abbiamo poi rivolto
ai viaggiatori le domande che i clienti dei nostri negozi ci pongono spesso. Speriamo di essere riusciti
a raccoglierle tutte. Ecco le loro risposte:
Paola Bigliani, assicurazione qualità
1. I prodotti biologici cinesi vengono
adeguatamente controllati prima di arrivare
sugli scaffali dei negozi italiani?
Sì, e i controlli vengono fatti a più riprese prima
dalle autorità cinesi e poi dagli organismi internazionali di certificazione. Inoltre, una volta giunto in Italia,
il prodotto viene ulteriormente pulito e controllato
prima del confezionamento. Possiamo quindi affermare che arrivano sugli scaffali solo i prodotti che hanno
superato tutti i controlli.
2. La presenza di alti livelli di inquinamento
urbano e industriale influisce sulla qualità
dei prodotti cinesi?
Bisogna chiarire che le zone in cui si coltivano i prodotti biologici a marchio Ecor non sono quelle degli
insediamenti urbani e industriali. La vastità del territorio cinese permette la coesistenza di realtà in posizioni opposte: a sud, in genere, ci sono le metropoli
e i centri industriali, mentre all’estremo nord troviamo
prevalentemente le coltivazioni biologiche.
Ciò riduce il rischio di contaminazione da terreni
convenzionali e da aree circostanti, forse più che
in alcune zone d’Italia.
3. Lo standard dei prodotti biologici cinesi
può dirsi simile a quello dei prodotti europei?
Per quanto riguarda la conservazione post-raccolta
e la lavorazione, certamente lo standard può e deve
essere migliorato, e per questo è importante che
EcorNaturaSì possa seguire e richiedere un preciso
protocollo di produzione. I fornitori che abbiamo visi-
Lavorazione dello zenzero bio
speciale Cina 4
tato sono i primi a desiderare queste migliorie, come
testimonia il recente acquisto di macchinari adeguati
per innalzare il livello di qualità delle lavorazioni.
In alcuni casi, sono apparecchiature scarsamente
disponibili in Italia, come per esempio quella per
la decorticazione del grano saraceno. L’importatore
e la nostra azienda devono stare al loro fianco per
sostenerli facendo tesoro della propria esperienza
in campo, così da dare sempre maggiori garanzie
al consumatore italiano che li acquista.
Giò Gaeta, marketing e comunicazione
1. Quali sono le condizioni di vita dei contadini
cinesi operanti nel biologico?
Nel corso del nostro viaggio, abbiamo saputo che
il governo cinese incentiva le produzioni biologiche.
Gli ambientalisti cinesi più lungimiranti guardano oltre
e sostengono che la coltivazione di frutta e verdura
senza fertilizzanti e prodotti chimici, richiedendo molta forza lavoro, è perfetta per i 750 milioni di abitanti
delle zone rurali del paese che per potersi guadagnare da vivere sono stati costretti a spostarsi nelle città.
Chi coltiva biologico, per esempio, paga meno tasse:
un notevole incoraggiamento per incrementare lo sviluppo di questa forma di coltivazione. I contadini che
abbiamo incontrato sono orgogliosi del loro lavoro,
sanno che faticano per offrire un prodotto buono e
rispettoso dell’ambiente. I loro salari sono coerenti
con il costo della vita anche se il contadino biologico
ha un guadagno maggiore degli altri e può così permettersi piccoli “lussi” come la lavatrice o il motorino
per spostarsi.
3. Ma perché in Italia dobbiamo ricorrere
ai prodotti cinesi?
Anche se la filosofia di EcorNaturaSì resta quella
di sostenere sempre il biologico italiano favorendo
maggiormente la distribuzione di prodotti del nostro
Paese, l’importazione di alcuni prodotti si rende
necessaria per soddisfare l’intero fabbisogno che non
potrebbe essere coperto dalla sola nostra produzione
interna. Voglio ricordare che il regolamento europeo n.834/2007 consente di indicare sui prodotti la
provenienza attraverso la dicitura UE e NON UE, ma,
per i prodotti a marchio Ecor, si è scelto di specificare
anche il Paese per offrire ai consumatori la massima
trasparenza e informazione.
Sullo scaffale dei negozi Cuorebio si trovano sempre
prodotti italiani in prevalenza e preferibilmente e
alcune referenze cinesi. Penso che contribuire allo sviluppo di una economia agricola di villaggi e comunità,
portando dignità e indipendenza, significhi partecipare ad un movimento di rinnovamento, una vera
e propria rivoluzione ambientale.
È necessario cooperare affinché anche i pensieri
e le speranze dei singoli individui, in un paese così
pieno di contraddizioni, vadano verso il bene comune,
che resta sempre e comunque la tutela ambientale
e il mantenimento della biodiversità dell’intero pianeta Terra.
Davide Tromballi, assicurazione qualità
1. Quali lavorazioni vengono effettuate
e quali concimi vengono impiegati?
L’agricoltura cinese non è particolarmente meccanizzata: la maggior parte delle lavorazioni viene fatta
a mano o per mezzo di animali. Per la fertilizzazione
dei terreni abbiamo potuto constatare l’uso di compost a base di letame di bovini, cavalli e capre,
a seconda della disponibilità e dell’allevamento
locale. Ma abbiamo anche verificato che spesso
non si usano proprio concimi, grazie alla naturale
fertilità dei suoli e a buone rotazioni.
2. E per quanto riguarda gli antiparassitari?
In molti casi, spesso si evita di ricorrere agli antiparassitari naturali anche se consentiti dal regolamento bio,
utilizzando brillantemente metodi tradizionali.
Nella ditta che si occupa della trasformazione dello
zenzero, per esempio, come insetticida viene usato
un prodotto a base di peperoncino. Qui ci si affida
solamente alla natura sfruttando l’esperienza e la
saggezza dei contadini.
3. Il governo come si pone nei confronti
dell’agricoltura biologica?
Il governo crede e quindi investe nel biologico.
Per esempio, ci hanno detto che è impegnato in
progetti fair- trade per la costruzione di strade, scuole
e piccoli magazzini di lavorazione e stoccaggio della
merce, ma organizza anche corsi di formazione sull’agricoltura biologica (questo altrove non accade) per
incentivare questo tipo di coltivazione. Dà mostra ai
contadini che un altro modo di lavorare è possibile.
Giancarlo Tarella, titolare della SweetBio
1. Quali sono i prodotti che la sua azienda importa
dalla Cina e come avviene la selezione dei fornitori?
Dalla Cina importiamo prevalentemente girasole, lino,
sesamo, semi di zucca, fagioli e altri legumi biologici certificati che poi vendiamo a numerose aziende
italiane ed europee. Prima di avviare un rapporto
commerciale con un fornitore, si cerca una conoscenza personale e vengono attivati tutti i controlli richiesti
dalla normativa biologica. Solo se questi danno esito
positivo si avvia la collaborazione commerciale.
2. Possiamo dire che il biologico fatto in Cina
è qualitativamente uguale al nostro e che
importare bio da questo Paese è sicuro?
Da operatore ventennale del settore sono assolutamente tranquillo: i prodotti si sono dimostrati
sicuri e certificati. Innanzitutto, dobbiamo ricordare
le estensioni della Cina e anche come, nonostante
2. Come viene gestita l’attività agricola?
Le aziende agricole biologiche cinesi sono per lo più
cooperative di agricoltori che coinvolgono in media
4-5 villaggi, coordinate da una figura autorevole, una
specie di “sindaco”, punto di riferimento per qualsiasi necessità, come la formazione o il controllo del
metodo biologico. In caso di difficoltà è disponibile
anche un’assistenza tecnica specializzata per sostenere i produttori. La rivoluzione cinese nel secolo scorso
era partita dai contadini e poi invece è cresciuta con
l’industria, e quindi l’agricoltore è stato considerato
da tutti quasi “un peso”. Il biologico sta ridando così
dignità ed importanza alla campagna. In alcune zone
della Cina si è riscoperto il concetto (finora tutto americano) della CSA (Community supported agricolture)
che prevede una forma di collaborazione tra agricoltori e consumatori cinesi di biologico. Questi ultimi
garantendo l’acquisto di prodotti danno la possibilità
di crescita all’agricoltura bio seguendone nel contempo tutte le fasi di produzione con maggiori sicurezze
sulla filiera alimentare (evitando le preoccupazioni per
scandali alimentari).
Prima fase di pulitura degli azuki
speciale Cina 5
gli incredibili tassi di sviluppo, sia ancora un Paese
principalmente rurale. L’agricoltura cinese è sostanzialmente semplice e a gestione famigliare. Molte
superfici sono incontaminate, perché l’inquinamento
è concentrato nel centro-sud del Paese mentre i prodotti che importiamo vengono dal nord-ovest, dalla
Manciuria e dalle aree confinanti con la Russia. A mio
giudizio, per la sicurezza abbiamo le stesse certezze e
garanzie del mercato italiano ed europeo: ci sono gli
organismi di controllo, ci sono le analisi campione, c’è
la conoscenza diretta del produttore/fornitore.
3. Molte persone si chiedono: perché dobbiamo
importare prodotti da così lontano?
Ciò accade per più ragioni. A volte perché i prodotti
nel nostro Paese mancano o sono insufficienti; in altri
casi perché il mercato ci richiede il miglior prodotto
al minor prezzo. A chi si preoccupa per l’inquinamento da trasporti, sottolineo che s’inquina meno importando materie prime che viaggiano via nave e che
vengono inviate direttamente ai luoghi di trasformazione, piuttosto che attingendo a filiere commerciali
anche nazionali, ma con molti passaggi intermedi,
che moltiplicano la movimentazione su strada.
4. Ma come mai tanto interesse per il settore
biologico da parte dei piccoli imprenditori cinesi?
Il sogno dei produttori è dimostrare con la loro esperienza che è possibile convertire l’agricoltura cinese
verso pratiche eco-compatibili, perché progresso economico/sociale e ambiente devono svilupparsi di pari
passo e in equilibrio. I contadini cinesi hanno bisogno
della fiducia dei consumatori occidentali per poter
crescere e avviare nel Paese una riflessione su un
processo di conversione di larga scala, per consentire
uno sviluppo di un pensiero alternativo, ecosostenibile, che possa portare, nel tempo, a una consapevolezza dell’importanza di quello che si chiama “BIL”,
benessere interno lordo.
In alto: pianta di zenzero; sopra: cartello indicante inizio area bio
speciale Cina 6
carta d’Identità della Cina
Sigla nazionale: CHN
Forma di governo: Repubblica popolare
Capitale: Pechino
Superficie: 9.569.901 kmq
Popolazione: 1.338.612.698 abitanti
Lingua: Cinese (ufficiale), coreano, dialetti tibetani,
kazaco, mongolo, uiguro
Etnie: Han (91,6%), Zhuang (1,3%), Manciù (0,9%),
Hui (0,8%), Miao (0,7%), Uiguri (0,7%), Tujia (0,6%), Yi
(0,6%), Mongoli (0,5%), Tibetani (0,4%), Dong (0,2%),
Yao (0,2%), altri (1,5%)
Religione: non religiosi/atei (63,9%), taoisti (20,1%),
buddhisti (8,5%), cristiani (6%), mussulmani (1,4%),
credenze tradizionali (0,1%)
speciale cina la rivoluzione silenziosa
Gli albori del movimento per l’agricoltura biologica
in Cina risalgono agli anni Ottanta. Nel 1984 fu infatti
fondata, presso l’istituto di Scienze ambientali di
Nanchino, una sezione di Ecologia rurale (SER) attiva
nella definizione, applicazione e diffusione di metodi
agricoli sostenibili e biologici. Nel 1989 la SER fu ammessa all’IFOAM (International Federation of Organic
Agriculture Movements), inaugurando così la partecipazione cinese al movimento internazionale per
l’agricoltura biologica. Con l’aiuto di istituti di ricerca,
università e autorità locali, questo nuovo approccio
all’agricoltura si diffuse velocemente, cosicché, verso
la metà degli anni Novanta, si contavano in Cina circa
1200 eco-villaggi o eco-fattorie. Youji shipin: il bisillabo youji è infatti la traduzione letterale dell’inglese
organic, vale a dire “proprio di organismo vivente” e,
per estensione, “naturale, non artificiale”. Parallelamente si era venuta sviluppando, in modo pressoché
spontaneo, una rete di piccole realtà aziendali che,
lontano dai riflettori delle politiche agrarie di Stato,
sperimentavano un ritorno a metodi di coltivazione
tradizionali, ecosostenibili, e - di fatto - biologici.
Va poi segnalata l’entrata in vigore, nell’ aprile 2005,
del “Regolamento sulla certificazione dei prodotti
biologici” (Youji chanpin renzheng guanli banfa), con
il quale vengono finalmente stabilite norme di legge
univoche, con valore sull’intero territorio nazionale,
atte a codificare il rilascio delle certificazioni per gli
youji shipin. Senza molto rumore, infatti, la Cina ha
rivoluzionato negli ultimi anni la propria produzione
agricola verso un’agricoltura biologica. Tra il 2000
e il 2006, la Cina è balzata dalla 45a posizione a livello
mondiale tra le prime dieci per entità di terra gestita
ad agricoltura biologica, e nel 2010 ha raggiunto la
terza posizione, dopo Australia e Argentina. Il Paese
vede milioni di operai licenziati dalle industrie tornare alla campagna in cerca di lavoro; l’abbondanza di
manodopera, assieme al miglior ricavo possibile con
i prodotti alimentari biologici – intorno al doppio del
prezzo dei prodotti convenzionali – potrebbe accelerare la conversione di ancora più terreni. Spiega Xiao
Xingji, direttore del Centro per lo sviluppo dell’agricoltura biologica della Cina (OFDC), una struttura del ministero delle Politiche agricole e uno dei principali driver dell’agricoltura biologica in Cina: “Se riuscissimo a
creare e mantenere un certo reddito nelle campagne,
non si produrrebbero questi pesanti flussi migratori
verso le città industrializzate o verso l’estero“.
La prospettiva del governo è quella di migliorare
la sicurezza alimentare e l’ambiente, oltre ad aiutare
gli agricoltori ad aumentare il proprio reddito.
Attraverso organizzazioni come la OFDC, la Cina ha
investito massicciamente in ricerca e sviluppo. Sono
anche i governi locali che offrono sostegno finanziario
attraverso programmi di formazione e sovvenzioni.
Tutto ciò paradossalmente renderebbe fiero Mao:
grazie all’aumento delle aziende cooperative, infatti, numerosi gruppi di agricoltori tendono a unire i loro
terreni in una porzione unica, quindi condividendo
costi e profitti. La crescente attenzione che il governo
rivolge all’agricoltura sostenibile e biologica rappresenta la via maestra per garantire la salute del consumatore e la tutela dell’ambiente e per ridurre
la povertà delle campagne. Inoltre, come concordano
tutti gli studi, i sistemi di coltivazione biologica danno
un contributo a lungo termine alla fertilità del suolo,
in particolare risolvendo i problemi dell’erosione,
del degrado della sua struttura o della desertificazione. Riducono anche il consumo dell’energia e dell’acqua, limitano le emissioni di gas serra e utilizzano
il patrimonio della conoscenza piuttosto che quello
dei capitali economici. Il biologico è tra le vie maestre
per combattere la povertà.
(Fonte: tuttocina.it)
biologico cinese
Ufficialmente in Cina la regolamentazione nazionale
per il biologico (CNOPS) è entrata in vigore il 1° Aprile
2005, dopo 20 anni di preparazione. Tutti i prodotti
venduti in Cina come biologici e/o in conversione
al biologico, devono conformarsi a tale regolamento. In Cina il terreno agrario è una risorsa preziosa:
sebbene infatti il paese sia enorme, la maggior parte
del territorio è coperto da montagne, deserti, e zone
poco adatte all’agricoltura. Alla fine del 2006 il terreno
coltivabile in Cina raggiungeva i 121,8 milioni di ettari,
meno del 13% della superficie totale del Paese. Nello
stesso anno la superficie agricola pro capite era di
0,09 ettari, meno del 40% della media mondiale, 1/8
del livello degli Stati Uniti e la metà rispetto all’India.
Milioni di ettari destinati alle coltivazioni
biologighe in Cina
(Fonte: rivista Internazionale 2010)
2002
2003
2004
2006
2005
speciale Cina 7
il contadino gentiluomo
Dalla Cina arriva questa bella storia raccontata su Chinadaily.com.
È la vicenda di Ji Yunliang che, dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in nano materiali presso
l’università di Pechino, ha abbandonato la ricerca per dedicarsi all’agricoltura biologica.
“Il gusto del cibo biologico è totalmente diverso da quello che si trova sul mercato” questo è l’opinione da cui partire. Se all’inizio poté contare sul sostegno degli amici che collaborarono al progetto
e furono anche i suoi primi clienti, ben preso Ji rimase solo: i costi troppo alti spaventavano gli altri,
ma non lui.
Fondò quindi la Fattoria Biologica De Run Wu e nel 2005 iniziò a vendere gli ortaggi biologici prodotti.
Per avere dei profitti dovette però attendere il 2008; tuttavia, afferma con convinzione che “fare soldi
non è la mia priorità. Dobbiamo avere cibo biologico. È uno stile di vita. Se posso combinare il mio stile
di vita naturale con la mia carriera, perché no?”.
Attualmente, per poter rifornire un numero sempre maggiore di clienti, Ji dovrebbe ampliare
la sua attività.
Tuttavia, lui non si pone alcun obiettivo per il suo sviluppo: “Piuttosto che espandere ciecamente
la mia attività, preferisco garantire la qualità del nostro cibo biologico”. Una bella lezione sul modo
di intendere l’agricoltura biologica prima di tutto come stile di vita naturale.
(Chinadaily.com – 18 dicembre 2011)