1. Funzioni di variabile complessa

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1. Funzioni di variabile complessa
5
=
1. Funzioni di variabile complessa
Augustin Louis Cauchy (1789-1857)
In questa lezione richiamiamo velocemente alcuni risultati elementari che riguardano le funzioni
di variabile complessa.
1.1
Richiami
Introduzione ed esempi
Parte reale e immaginaria, coniugio, modulo e argomento.
associare
la parte reale Re z = x
e la parte immmaginaria Im z = y
Ad ogni numero complesso z si possono
cosicché z = Re z + i Im z = x + iy.
Il complesso coniugato di z è
z̄ := Re z − i Im z = x − iy
il modulo è
ρ = |z| =
q
(Re z)2 + (Im z)2 =
Ogni numero complesso z ∈ C si può esprimere nella forma
z = ρ(cos θ + i sin θ),
p
x2 + y 2 =
√
z z̄.
θ ∈ R.
Se z = 0 il valore di θ è completamente indeterminato; se z 6= 0
il valore di θ è determinato a meno di multipli interi di 2π: θ si dice un argomento di z.
1-1
(1.1)
1-2
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Usualmente si seleziona uno degli infiniti valori di θ fissando a priori un intervallo di ampiezza 2π in cui scegliere l’argomento. Imponendo θ ∈ (−π, π) si ottiene il cosiddetto argomento principale di z che indicheremo
con Arg(z). Con questa scelta dell’argomento principale, è facile verificare che
Arg(z̄) = − Arg(z).
Richiami
(1.2)
Prodotto e quoziente di numeri complessi.
Se z0 = x0 + iy0 , z1 = x1 + iy1 sono due numeri complessi,
il loro prodotto si definisce con la consueta proprietà distributiva
w = z0 z1 = (x0 x1 − y0 y1 ) + i(x0 y1 + y0 x1 )
a partire da
i2 = −1.
In termini di modulo e argomento, scrivendo z0 = ρ0 cos θ0 + i sin θ0 ), z1 = ρ1 cos θ1 + i sin θ1 )
w = z0 z1 = ρ0 ρ1 cos(θ0 + θ1 ) + i sin(θ0 + θ1 ) ,
(1.3)
(1.4)
cioè
|w| = |z0 | |z1 | = ρ0 ρ1 ,
Arg(w) = “ Arg(z0 ) + Arg(z1 )”.
(1.5)
Le virgolette nell’ultima identità derivano dal fatto che la somma θ0 + θ1 potrebbe non appartenere all’intervallo scelto per l’argomento principale: in tal caso θ0 + θ1 è comunque un argomento per il prodotto w,
ma l’argomento principale ne differisce per 2π.
Il coniugio si comporta bene rispetto al prodotto, infatti
w̄ = z0 z1 = z̄0 z̄1 ,
(1.6)
ed è molto importante per la costruzione del reciproco di un numero z 6= 0: si ha infatti
1
z̄
x − iy
= z −1 :=
= 2
z
|z|2
x + y2
∀ z = x + iy 6= 0.
(1.7)
Grazie al reciproco si può esprimere il quoziente
w=
1
z0 z̄1
x 0 x 1 + y0 y1
x 0 y1 + y0 x 1
z0
:= z0
=
=
−i
z1
z1
|z1 |2
x21 + y12
x21 + y12
∀ z0 , z1 6= 0,
(1.8)
e ricordare le proprietà
z0 |z0 |
|w| = =
,
z1
|z1 |
Richiami
w̄ =
z̄0
.
z̄1
(1.9)
Numeri complessi unitari.
Tra i numeri complessi, quelli di modulo unitario hanno un ruolo privilegiato,
soprattutto rispetto all’operazione di prodotto. Si pone quindi
U := C1 (0) = z ∈ C : |z| = 1 .
(1.10)
Ogni numero u in U quindi soddisfa
ρ = |u| =
p
x2 + y 2 = 1,
u = cos θ + i sin θ.
(1.11)
La moltiplicazione z 7→ u z per un numero unitario u lascia invariato il modulo di z e corrisponde geometricamente a ruotare z dell’angolo θ in senso antiorario (se θ è positivo) o orario (se θ è negativo). In particolare
la moltiplicazione per i corrisponde ad una rotazione di π/2 in senso antiorario.
Richiami
Potenze e radici di numeri complessi.
L’uso della forma trigonometrica è particolarmente comodo
quando si tratta di calcolare la potenza (ora ad esponente intero) di un numero complesso. Infatti, se
z = x + iy = ρ(cos θ + i sin θ), si ha applicando ripetutamente la (1.4)
w = z n = (x + iy)n = ρn cos(nθ) + i sin(nθ) , cioè |w| = |z|n , “ Arg w = n · Arg z”.
(1.12)
In particolare, le potenze lasciano invariato l’insieme U dei numeri complessi unitari, agendo solo sull’argomento.
A questo punto è possibile studiare il problema inverso:
dato z = ρ cos θ + i sin θ
trovare w = r cos α + i sin α
tale che
wn = z
(1.13)
Le soluzioni di questo problema si ciamano radici n-esime di z in campo complesso.
Ogni numero complesso z 6= 0 ammette n-distinte radici n-esime in campo complesso date dalla formula
wk = r cos αk + i sin αk ,
r=
√
n
ρ,
αk =
θ
2π
+k
,
n
n
k = 0, 1, · · · , n − 1.
(1.14)
Se θ = Arg z, la radice corrispondente a k = 0 si dice radice principale: essa soddisfa
|w0 | =
p
n
|z|,
Arg w0 =
1
Arg z.
n
(1.15)
1-3
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Un’espressione equivalente delle radici wk si ottiene introducendo le radici complesse dell’unità
2π 2π 2π 2π + i sin
, ωk := (ω1 )k = cos k
+ i sin k
,
ω1 := cos
n
n
n
n
tali che
(ωk )n = 1, k = 0, 1, . . . , n − 1.
Le radici wk si ottengono quindi da quella primcipale grazie alla formula
wk = w0 ω k .
Motivazioni
(1.16)
(1.17)
(1.18)
Prima di procedere, ci si può chiedere qual’è l’interesse “pratico” di studiare questa parte (molto profonda e
affascinante) dell’analisi classica, che risulta però lontana dalla nostra immaginazione. Quando affronteremo
la teoria delle serie di Fourier e della trasformata di Fourier, vedremo che il formalismo complesso (in
quei casi ridotto semplicemente alle proprietà elementari dell’esponenziale) si rivelerà utile, almeno nella
semplificazione di calcoli e formule. Ci sono però delle ragioni più profonde, la prima delle quali viene dalla
trasformata di Laplace, che è direttamente fondata sulla teoria delle funzioni olomorfe in campo complesso.
Un altro esempio riguarda la
Trasformata Z Anticipando qualche concetto che affronteremo meglio in seguito, consideriamo un segnale
discreto U ↔ (Un ), n ∈ Z. Si tratta di una sequenza di valori che possiamo pensare ottenuti dal
campionamento a passo τ > 0 di un segnale a tempo continuo u(t) e causale (cioè che tramite la
formula
Un := u(nτ ), n ≥ 0.
Il trattamento di tali segnali risulta molto semplificato se, al posto di considerare separatamente i
valori campionati Un , si introduce una nuova funzione U (z) che li riassume in sé e che viene espressa
tramite la serie di potenze
+∞
X
Un z −n .
(1.19)
U (z) :=
n=−∞
La serie in (1.19) si chiama trasformata Z del segnale U e si indica con U (z) = Z [U ]. In molti casi,
ad esempio quando il segnale U è causale, cioè per qualche n0 ∈ Z Un ≡ 0 per n < n0 , è più semplice
studiare Z [U ] che la corrispondente serie di Fourier, e l’ambito naturale di U (z) è il campo complesso
C.
Definizione 1.1 (Funzioni di variabile complessa) Una funzione di variabile complessa f è
una funzione che:
- è definita in un dominio D(f), sottoinsieme aperto del piano complesso C,
- assume valori complessi.
In simboli f : D(f) ⊂ C → C.
Notazione
Variabili complesse e variabili reali.
Se identifichiamo un generico elemento z = x + iy di D(f) con
il vettore (x, y) e indichiamo con f(z) = u(z) + iv(z) l’immagine di z, si constata immediatamente che una
funzione di variabile complessa f può essere rappresentata come una coppia u, v di funzioni reali dipendenti
da due variabili reali x, y: in altri termini
f(z) = f(x + iy) = u(x + iy) + iv(x + iy) ↔ u(x, y), v(x, y) .
(1.20)
Questo è utile ad esempio quando si considerano le derivate parziali: sarà naturale porre
∂f
∂u
∂v
∂f
∂u
∂v
=
+i
,
=
+i .
(1.21)
∂x
∂x
∂x
∂y
∂y
∂y
Quindi le funzioni di variabile complessa possono essere anche pensate come trasformazioni del piano in
sè; uno dei vantaggi della notazione complessa è proprio quello di poter manipolare formalmente un’unica
variabile anziché due.
Precisazione
Il dominio.
Per semplicità considereremo solo domini aperti: ciò significa che se un punto z0 appartiene
a D(f) allora c’è tutto un disco Bρ (z0 ) anch’esso contenuto in D(f). Gli esempi di domini che incontreremo
più frequentemente saranno
- tutto il piano complesso C,
- dischi aperti Bρ (z0 ) = z ∈ C : |z − z0 | < ρ ,
- corone circolari z ∈ C : ρ1 < |z − z0 | < ρ2 ,
esterni di dischi C \ Bρ (z0 ) = z ∈ C : |z − z0 | > ρ
- semipiani individuati da una retta verticale del tipo Re z > λ, Re z < λ o da una retta orizzontale
Im z > λ, Im z < λ,
- il piano a cui si toglie una semiretta uscente dall’origine, ad esempio C \ x : x ∈ R, x ≤ 0
- un insieme del tipo precedente cui si toglie un numero finito (o anche una successione) di punti z1 , z2 , · · · , zm :
queste verrano chiamate singolarità isolate della funzione f.
1-4
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Esempi
La funzione f(z) = z: lascia fisso ogni punto; in coordinate
u(x + iy) = x,
La funzione f(z) =
z2 :
v(x + iy) = y,
∂x f(x + iy) = 1,
∂y f(x + iy) = i.
(1.22)
u(x + iy) = x2 − y 2 ,
v(x + iy) = 2xy
(1.23)
in coordinate si scrive
(x + iy)2 = x2 − y 2 + 2ixy,
e si calcola
∂x f(x + iy) = 2(x + iy) = 2z, ∂y f = 2i(x + iy) = 2iz.
(1.24)
In coordinate polari l’effetto della funzione si comprende meglio: posto z = ρ cos θ + i sin θ e w =
f(z) = r(z) cos α(z) + i sin α(z) si ha
da cui r = ρ2 , α = 2θ,
(1.25)
w = ρ2 cos(2θ) + i sin(2θ)
cioè il modulo di w è il quadrato del modulo di z, mentre l’argomento di w è il doppio di quello di z
(quest’ultima espressione è però molto imprecisa: occorrerebbe dire che tutti i possibile argomenti di
w si ottengono raddoppiando gli argomenti di z.)
La funzione f(z) = z k (k ∈ N): in coordinate lo sviluppo si fa complicato
k X
k
xh (iy)k−h
(x + iy)k =
h
h=0
e non è più facile separare parte reale e parte immaginaria. Meglio usare le coordinate polari: come
prima si ottiene
w = z k = ρk cos(kθ) + i sin(kθ)
r = ρk , α = kθ.
(1.26)
La funzione f(z) = z1 : al contrario delle funzioni precedenti, il dominio D(f) di f non è tutto C ma C \ {0};
in coordinate si ha
x
−y
1
= 2
+i 2
(1.27)
f(z) =
x + iy
x + y2
x + y2
Anche qui un calcolo esplicito mostra che
1
∂f
= − 2,
∂x
z
I polinomi Sono le funzioni del tipo
P (z) =
n
X
∂f
1
= −i 2 .
∂y
z
ak z k ,
k=0
ak ∈ C,
(1.28)
(1.29)
di grado n se an 6= 0.
P
k
Le funzioni
razionali Sono quelle espresse dal quoziente di due polinomi: se P (z) := n
k=0 ak z e Q(z) :=
Pm
k
b
z
,
sono
polinomi
di
grado
n
e
m
rispettivamente
(con
a
,
b
=
6
0),
si
considera
la
funzione
m
n
k
k=0
f(z) =
P (z)
Q(z)
(1.30)
che è definita in tutti i punti di C fuorché le radici di Q z1 , · · · , zh (singolarità isolate di f).
Richiami
Proprietà dei polinomi.
Ricordiamo innanzitutto il
Teorema fondamentale dell’algebra: ogni polinomio di grado n ha n radici complesse (ciascuna contata con
la propria molteplicità) e si può decomporre in un unico modo nel prodotto
P (z) = an (z − z1 )m1 (z − z2 )m2 · · · (z − zh )mh
(1.31)
dove
- z1 , · · · , zh sono le radici di P , cioè P (zk ) = 0, 1 ≤ k ≤ h.
- m1 , · · · , mh sono le rispettive molteplicità, per le quali
P (zk ) = P ′ (zk ) = · · · = P (mk −1) (zk ) = 0,
P (mk ) (zk ) 6= 0.
(1.32)
Esse soddisfano le relazioni m1 + m2 + · · · + mh = n.
Il caso più frequente è quello delle radici semplici, per le quali la molteplicità è pari a 1. Nel caso che tutte
le radici siano semplici ovviamente h = n e si ha
P (z) = an (z − z1 )(z − z2 ) · · · (z − zn ),
P (zk ) = 0, P ′ (zk ) 6= 0.
(1.33)
È anche utile ricordare che se i coefficienti di P sono reali allora le radici sono reali o, se complesse, sono
a due a due coniugate (cioè se vi è una radice complessa non reale z di ordine m vi è anche la sua coniugata
z̄ con il medesimo ordine. Osserviamo che se zk = αk + iβk , β 6= 0, è una radice complessa di P allora
raggruppando i termini coniugati si ottiene
(z − zk )(z − z̄k ) = (z − αk )2 + βk2 .
(1.34)
1-5
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Decomposizione delle funzioni razionali proprie
Consideriamo ora una funzione razionale f(z) = P (z)/Q(z) come in (1.30). Supporremo che f sia
propria, cioè che il grado del numeratore sia strettamente inferiore al grado del denominatore.
Richiami
Divisione di polinomi.
Grazie all’algoritmo della divisione, ogni funzione razionale f si può scrivere come
f(z) = P0 (z) +
P1 (z)
= P0 (z) + f1 (z),
Q(z)
grado(P1 ) < grado(Q).
(1.35)
P0 non è altro che il quoziente della divisione di P per Q mentre P1 è il resto di tale divisione. Quindi f si
decompone nella somma di un polinomio (P0 ) e di una funzione razionale propria (f1 = P1 /Q).
Indichiamo con z1 , z2 , . . . , zn le radici di Q e distinguiamo due casi:
Le radici di Q sono semplici In tal caso il grado di Q è proprio n e si dimostra che esistono
unici coefficienti A1 , A2 , · · · , An tali che
n
f(z) =
A1
A2
An
P (z) X Ak
=
=
+
+ ···
.
Q(z)
z − zk
z − z1
z − z2
z − zn
(1.36)
k=1
I coefficienti Ak possono essere calcolati con il metodo dei coefficienti indeterminati, ma
hanno anche una semplice espressione:
Ak := lim (z − zk )
z→zk
P (zk )
P (z)
= ′
.
Q(z)
Q (zk )
(1.37)
Vi sono radici multiple In tal caso indichiamo con m1 la molteplicità di z1 , con m2 la molteplicità di z2 , etc; per ogni radice zk si possono trovare esattamente mk coefficienti Ak,1 , · · · , Ak,mk
tali che
mk
n
X
X
Ak,m
fk (z), fk (z) :=
f(z) =
.
(1.38)
(z
− zk ) m
m=1
k=1
Ogni radice zk contribuisce quindi allo sviluppo con un gruppo di termini fk (z) dove sono
presenti tutte le potenze 1/(z − zk )m dal grado 1 fino alla molteplicità della radice stessa,
fk (z) =
1.2
Ak,1
Ak,2
Ak,3
Ak,mk
+
+
+ ··· +
.
2
3
(z − zk ) (z − zk )
(z − zk )
(z − zk )mk
(1.39)
Serie di potenze
C’è un’altra classe di funzioni complesse molto importanti, che si potrebbero considerare come la
naturale generalizzazione dei polinomi: si tratta delle funzioni esprimibili mediante una serie di
potenze.
1-6
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Definizione 1.2 (Serie di potenze, raggio di convergenza) Una serie di potenze è un’espressione del tipo
+∞
X
ak (z − z0 )k ;
(1.40)
k=0
- z0 ∈ C si chiama centro della serie,
- ak ∈ C sono i coefficienti della serie.
Ad ogni serie di potenze è associato univocamente un numero non negativo
r ∈ [0, +∞] detto
raggio di convergenza della serie. Esso individua il disco aperto Br (z0 ) := z ∈ C : |z − z0 | < r
di centro z0 e raggio, appunto, r caratterizzato da queste due proprietà:
• La serie converge (assolutamente) per tutti i valori di z all’interno del disco Br (z0 ): in
questo insieme
P+∞ la sua somma definisce dunque una nuova funzione di variabile complessa,
f(z) := k=0 ak (z − z0 )k .
• La serie non converge per i valori di z al di fuori del disco chiuso, cioè se |z − z0 | > r:
addirittura la successione |ak z k | = |ak | |z|k non è limitata.
Precisazione
I valori estremi del raggio di convergenza.
Quando r = 0 significa che la serie converge solo in z0 (dove
tutti i termini sono nulli tranne il primo): essa è pertanto priva di interesse.
Quando r = +∞ significa che la serie converge in tutto il piano complesso (in tal caso si dice che la funzione
da essa definita è intera).
Attenzione!
Il comportamento sul bordo del disco di convergenza.
Quando 0 < r < +∞ ci si può chiedere come
si comporta la serie sulla circonferenza Cr (z0 ) := z ∈ C : |z − z0 | = r . La sola conoscenza del raggio di
convergenza non dà alcuna informazione al riguardo, come dimostrano i tre esempi seguenti per i quali il
raggio di convergenza è 1:
P
1
k
– ak ≡ 1: la serie è +∞
k=0 z = 1−z che converge solo all’interno.
– ak =
1
,
k
k > 0: la serie è
1
k(k−1)
– ak =
|z| = 1.
Discussione
zk
k=1 k
P+∞
= − log(1 − z) che converge anche se |z| = 1, z 6= 1.
P+∞ zk
, k > 1: la serie è k=2 k(k−1) = (1 − z) log(1 − z) − 1 che converge anche sul bordo
La determinazione del raggio di convergenza.
Riportiamo qui alcune osservazioni/metodi/criteri per
determinare il raggio di convergenza di una serie di potenze:
P
k
– Sostituzioni: se +∞
k=0 ak z ha raggio r allora
+∞
X
k=0
ak (z − z0 )k
ha raggio
+∞
X
r;
ak ak z k
ha raggio
r/|a|.
(1.41)
k=0
P
– Passando da R a C il raggio non cambia: se sappiamo che una data serie a coefficienti reali +∞
k=0 ak (x−
x0 )k converge nell’intervallo ]x0 − r, x0 + r[, allora r è anche il raggio di convergenza in C della serie,
cioè essa converge nel disco complesso Br (x0 ).
– Per determinare il raggio di convergenza si “possono sopprimere dai coefficienti tutti i fattori con
andamento al più polinomiale in k: cioè, detto P (k) un qualunque polinomio in k
se
+∞
X
ak z k
ha raggio r allora anche
+∞
X
P (k)ak z k ,
k=0
k=0
k=0
+∞
X
1
ak z k
P (k)
hanno il medesimo raggio
(1.42)
– Criterio della radice e del rapporto: Se
∃ lim |ak |1/k = ℓ
k→+∞
o
ak+1 = ℓ,
∃ lim k→+∞
ak allora il raggio di convergenza è r = 1/ℓ ( dove si intende 1/0 = ∞ e 1/∞ = 0).
(1.43)
1-7
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
– Somma di serie di potenze Supponiamo che
rb . Se ra 6= rb allora la serie somma
+∞
X
P+∞
k=0
ak + bk )z k
ak z k abbia raggio ra e che
P+∞
k=0 bk z
k
abbia raggio
ha raggio r = min ra , rb ).
(1.44)
k=0
Nel caso in cui ra = rb , si può solo concludere che il raggio r della serie somma è ≥ ra = rb .
Esempi 1.3 Prima di proseguire, ricordiamo alcuni esempi fondamentali che occorre ricordare
con precisione:
La serie geometrica:
+∞
X
1
zk = 1 + z + z2 + z3 + z4 + · · · ,
=
1−z
raggio
r = 1.
(1.45)
k=0
La somma segue dall’identità fondamentale
N
X
zk =
k=0
1 − z N +1
1−z
per z 6= 1.
(1.46)
Sostituendo −z e z/a al posto di z si ottengono
+∞
X
1
(−1)k z k = 1 − z + z 2 − z 3 + z 4 − · · · ,
=
1+z
1
=
a−z
k=0
+∞
X
k=0
zk
1
z
z2
z3
z4
= + 2 + 3 + 4 + 5 + ··· ,
k+1
a
a a
a
a
a
raggio
raggio
La serie esponenziale: Per analogia con lo sviluppo reale ex =
complesso si pone
ez =
+∞ k
X
z
k=0
k!
=1+z+
z2
z3
z4
+
+
+ ··· ,
2
3!
4!
r = 1;
(1.47)
r = |a|.
(1.48)
zk
k=0 k! ,
P+∞
raggio
anche in campo
r = +∞.
(1.49)
Funzioni trigonometriche e iperboliche: (il raggio è sempre +∞)
cos z =
cosh z =
+∞
X
(−1)k
k=0
+∞
X
k=0
z 2k
z2
z4
=1−
+
− ··· ,
(2k)!
2
4!
2k
2
sin z =
4
z
z
z
=1+
+
+ ··· ,
(2k)!
2
4!
sinh z =
+∞
X
(−1)k
k=0
+∞
X
z 2k+1
z3
z5
=z−
+
− ···
(2k + 1)!
3!
5!
z 2k+1
z3
z5
=z+
+
+ ··· .
(2k + 1)!
3!
5!
k=0
(1.50)
Logaritmo:
log z =
+∞
X
(−1)k−1
k=1
(z − 1)2
(z − 1)3
(z − 1)4
(z − 1)k
=z−
+
−
+ ··· ,
k
2
3
4
(1.51)
con raggio = 1 e centro z0 = 1. Si ricorda più facilmente l’analoga serie di centro 0
log(1 + z) =
+∞
X
k=1
(−1)k−1
zk
z2
z3
z4
=z−
+
−
+ ··· ,
k
2
3
4
raggio
r = 1.
(1.52)
1-8
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Funzioni esponenziali e trigonometriche in campo complesso
Vale la pena studiare più in dettaglio le funzioni introdotte nel paragrafo precedente, cominciando
dall’esponenziale.
Per prima cosa supponiamo z = iy puramente immaginario; si trova
(iy)3
(iy)4
(iy)5
(iy)2
+
+
+
+ ···
2!
3!
4!
5!
y3
y4
y5
y2
−i +
+ i + ···
= 1 + iy −
2!
3!
4!
5!
y2
y4
y3
y5
=1−
+
− ··· + i y −
+
+ ···
2!
4!
3!
5!
= cos y + i sin y.
eiy = 1 + (iy) +
che costituisce la formula di Eulero. Tra i casi particolarmente interessanti, ricordiamo
π
e 2 i = i,
e±πi = −1,
e
3π
2 i
π
= e− 2 i = −i,
e±2πi = 1.
(1.53)
Sostituendo y con −y si ottiene
e−iy = cos y − i sin y = eiy =
1
eiy
∀ y ∈ R.
(1.54)
da cui, passando da y a θ
cos θ =
eiθ + e−iθ
= Re eiθ ,
2
sin θ =
eiθ − e−iθ
= Im eiθ
2i
∀ θ ∈ R.
(1.55)
Ricordando le definizioni delle funzioni iperboliche, si ottiene anche
cos y = cosh(iy),
i sin(y) = sinh(iy).
(1.56)
Da ultimo, anche in campo complesso l’esponenziale gode della proprietà
ez+w = ez · ew
(1.57)
Ne segue in particolare che, per z = x + iy si ottiene la formula che permette di calcolare
l’esponenziale di un numero complesso a partire dalla sua parte reale e immaginaria.
ez = ex+iy = ex cos y + i sin y
(1.58)
Da questa espressione è interessante calcolare le derivate parziali
∂ex+iy
= ex cos y + i sin y = ez ,
∂x
∂ex+iy
= ex − sin y + i cos y = iez .
∂y
(1.59)
L’esponenziale è periodico di periodo immaginario 2πi:
ez+2πi = ez
∀ z ∈ C.
(1.60)
1-9
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Riassumiamo nello schema seguente le proprietà che abbiamo incontrato:
Formula di Eulero
eiθ = cos θ + i sin θ,
ex+iy = ex eiy = ex cos y + i sin y
Proprietà dell’esponenziale
ez+w = ez ew ,
e−z =
|ez | = eRe z ;
1
,
ez
ez+2πi = ez .
se θ ∈ R |eiθ | = 1.
(1.61)
(1.62)
(1.63)
Funzioni trigonometriche e iperboliche
eiz − e−iz
2i
ez − e−z
sinh z =
2
i sin z = sinh(iz)
eiz + e−iz
,
2
ez + e−z
cosh z =
,
2
cos z = cosh(iz),
sin z =
cos z =
(1.64)
(1.65)
(1.66)
Quando z = θ è reale, si ha anche
cos θ = Re eiθ ,
sin θ = Im eiθ ,
e−iθ = eiθ
(1.67)
Logaritmo e potenze ad esponente reale
Il logaritmo in campo complesso è più complicato da definire: se si cerca semplicemente la “funzione
inversa” dell’esponenziale, cioè si pone
w = log z
⇔
ew = z
(1.68)
allora un logaritmo esiste solo se z 6= 0 e in tal caso l’equazione precedente (nell’incognita w)
ammette infinite soluzioni (cioè vi sono infiniti logaritmi), precisamente quelli definiti da
w = log |z| + i Arg(z) + 2kπ ,
k ∈ Z,
(1.69)
Al solito, scegliendo una determinazione dell’argomento, ad esempio Arg z ∈ (−π, π], e ponendo
k = 0 nella formula precedente, si ottiene una ben precisa funzione (chiamata anche logaritmo
principale) che però ha una discontinuità lungo la semiretta dei reali negativi, in corrispondenza
degli z per cui Arg z = ±π. Una espressione in coordinate si ottiene, almeno per Re z = x > 0,
ricordando che
p
(1.70)
|z| = x2 + y 2 , Arg(z) = arctan y/x se Re z = x > 0,
e quindi
log(x + iy) =
un calcolo diretto mostra che
1
log(x2 + y 2 ) + i arctan y/x ;
2
1
∂ log(x + iy)
= ,
∂x
z
∂ log(x + iy)
1
=i .
∂y
z
(1.71)
(1.72)
Per quanto riguarda le potenze ad esponente reale, avendo a disposizione il logaritmo, si pone
z α := eα log z = eα log ρ+iαθ = ρα eiαθ ,
se |z| = ρ, Arg z = θ.
(1.73)
1-10
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Le funzioni “elementari”
Sono quelle che si ottengono dalle precedenti combinando in vario modo le operazioni di somma,
prodotto, quoziente, composizione: ad esempio
ez
2
+1
,
sin z
√ ,
z 3 − 3z + 2(cosh z − z)
log cos z 2 −
ez−1
.
sin log z + z
Altre funzioni
Oltre alla funzioni elementari vi sono naturalmente molte altre funzioni, ad esempio |z|, z̄, Re z, Im z
e tutte quelle che si possono definire agendo direttamente sulla parte reale e sulla parte immaginaria
di z, come
ex−2iy
, x|z| − iyz̄, dove appunto z = x + iy.
(1.74)
x3 − iy 3 ,
x2 + y 3 − ix
Naturalmente tutte le funzioni che abbiamo chiamato “elementari” rientrano in questo gruppo
molto più generale, ma esse possiedono una proprietà fondamentale che ora cercheremo di spiegare.
1.3
La derivata in senso complesso
Come è possibile definire la derivata “complessa” f ′ (z)? Se guardiamo agli esempi (1.22), (1.24),
(1.28), (1.59), (1.72), ci accorgiamo che tutte queste funzioni possiedono due proprietà curiose:
la derivata rispetto a x fornisce un valore che ci piacerebbe chiamare derivata complessa della
funzione, poiché è la solita derivata in cui al posto della variabile reale x abbiamo formalmente
sostituito la variabile z:
d
z = 1,
dz
d 2
z = 2z,
dz
d k
z = kz k−1 ,
dz
d 1
1
= − 2,
dz z
z
d z
e = ez ,
dz
d
1
log z = .
dz
z
Inoltre la derivata parziale rispetto a y si ottiene moltiplicando per i la derivata parziale rispetto
a x, in simboli
∂f
∂f
=i
(1.75)
∂y
∂x
Questa proprietà non è cosı̀ sorprendente se procediamo un po’ formalmente: supponiamo infatti
che esista una derivata complessa f ′ (z) e che soddisfi tutte le buone proprietà che ci aspettiamo;
per il teorema della derivata composta dovremmo quindi avere che
∂z
∂(x + iy)
∂f(z)
= f ′ (z)
= f ′ (z)
= f ′ (z),
∂x
∂x
∂x
∂f(z)
∂z
∂(x + iy)
= f ′ (z)
= f ′ (z)
= if ′ (z).
∂y
∂y
∂y
(1.76)
Se questa derivata esiste, troviamo quindi le condizioni
f ′ (z) =
∂f
,
∂x
if ′ (z) =
∂f
∂y
che implicano le (1.75). Siamo portati quindi alla seguente definizione:
(1.77)
1-11
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Definizione 1.4 (Derivabilità in senso complesso e condizioni di Cauchy-Riemann)
Una funzione f : D(f) ⊂ C → C si dice derivabile in senso complesso o, equivalentemente, olomorfa, se le sue derivate parziali rispetto a x e y soddisfano le condizioni di
Cauchy-Riemann
∂f
∂f
(x + iy) = i (x + iy),
∂y
∂x
∀ z = x + iy ∈ D(f).
(1.78)
In tal caso, la derivata complessa di f è definita da
f ′ (z) =
∂f
(x + iy),
∂x
∀ z = x + iy ∈ D(f).
(1.79)
Dunque la derivata in senso complesso esige una relazione molto stretta tra le derivate parziali
rispetto alle variabili reali x e y: una relazione talmente forte da non essere verificata da semplici
funzioni come |z|, z̄, Re z, Im z: un semplice conto mostra che anche le funzioni di (1.74) non sono
derivabili in senso complesso.
Esercizio
Dimostrare che se una funzione f, olomorfa in un aperto connesso Ω ⊂ C assume solo valori reali allora è
costante.
Esercizio
Generalizzare l’esercizio precedente al caso in cui l’immagine di f sia contenuta in una curva regolare del
piano complesso.
Come stabilire allora se una funzione è derivabile in senso complesso? Per fortuna la derivata complessa ammette una definizione alternativa molto semplice, al solito basata sul rapporto
incrementale
f(z) − f(z0 )
(1.80)
z 7→
z − z0
che è ben definito in D(f) \ {z0 }, grazie al fatto che al campo complesso C si estendeno le familiari
nozioni di prodotto e di quoziente, in modo da mantenere le medesime proprietà algebriche del
campo reale.
Teorema 1.5 (Derivata complessa e rapporto incrementale) Una funzione f : D(f) ⊂
C → C è derivabile in senso complesso secondo la definizione 1.4 se e solo se per ogni z0 ∈ D(f)
esiste il limite
f(z) − f(z0 )
lim
.
(1.81)
z→z0
z − z0
In tal caso il limite coincide con la derivata f ′ (z) definita da (1.79).
Precisazione
Si sarebbe potuto procedere “alla rovescia” (come è uso comune) definendo la derivata come limite del
rapporto incrementale e poi dimostrando le condizioni di Cauchy-Riemann. Il “rischio psicologico” che si
corre seguendo questa strada è quello di non accorgersi della sostanziale differenza tra derivazione reale e
complessa, visto che sono accumunate da una definizione formalmente identica. In realtà l’esistenza del limite
complesso (1.81) quando z “è libero di girare attorno a z0 ” e interviene il quoziente complesso nel rapporto
incrementale è molto più restrittiva dell’esistenza dei limiti reali impliciti nelle definizioni di derivate parziali
(in quel caso z tende a z0 lungo la retta orizzontale o verticale).
Proprietà algebriche. Il vantaggio del Teorema 1.5 è quello di permettere una facile dimostrazione di tutte le consuete formule di derivazione che quindi valgono anche in ambito complesso:
in particolare, non appena f, g siano derivabili in z0 avremo
(f + g)′ (z0 ) = f ′ (z0 ) + g′ (z0 ),
e, se g(z0 ) 6= 0
(fg)′ (z0 ) = f ′ (z0 )g(z0 ) + f(z0 )g′ (z0 ),
′
f ′ (z0 )g(z0 ) − f(z0 )g′ (z0 )
f
(z0 ) =
.
g
g2 (z0 )
(1.82)
(1.83)
1-12
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
In particolare queste formule mostrano che i polinomi
z 7→ P (z) :=
n
X
ak z k
k=0
sono olomorfi in tutto il piano complesso, e le funzioni razionali
z 7→
P (z)
,
Q(z)
P e Q polinomi assegnati
lo sono nel loro dominio di definizione, cioè non appena il denominatore Q(z) 6= 0.
L’ultima formula che vogliamo citare è quella di derivazione della funzione composta:
(f ◦ g)′ = (f ′ ◦ g)g′ ,
(1.84)
essa vale non appena la composizione delle funzioni abbia senso (almeno localmente) e ciascuna
delle due funzioni sia derivabile nel proprio dominio di definizione.
Pedante...
Si tratta in realtà di “due” formule, perché, fissata f derivabile in senso complesso in D(f) ⊂ C, si può
pensare g definita in un intervallo (a, b) di R a valori nel dominio D(f) di f (e allora f ◦ g è una funzione
di variabile reale a valori complessi, la derivata è quella già nota, l’unica novità è che essa si può calcolare
attraverso la derivata complessa f ′ di f a secondo membro come prodotto tra numeri complessi) oppure g
definita in un altro aperto D(g) ⊂ C a valori in D(f) (e in questo caso tutte le funzioni in gioco sono di
variabile complessa, e la derivata è intesa nel senso della definizione precedente). Ovviamente, un vantaggio
del formalismo complesso è quello di unificare tutte queste situazioni, e noi applicheremo le formule senza
preoccuparci di distinguere le varie situazioni cui esse si riferiscono: questo varrà anche per altri teoremi del
calcolo differenziale che incontreremo, come la derivazione sotto il segno di integrale, la derivazione per serie,
ecc.
Corollario 1.6 (Le funzioni elementari sono olomorfe) Tutte le funzioni “elementari” sono derivabili in senso complesso nel loro dominio e la derivata si calcola con le medesime regole
di derivazione reale. (In pratica, come se al posto di z ci fosse x...)
Derivate e primitive delle serie di potenze
È naturale aspettarsi che la derivata di una serie di potenze si possa ottenere derivando termine a termine la serie stessa. La correttezza di questo procedimento è assicurata dal seguente
fondamentale risultato:
P+∞
Teorema 1.7 (Derivazione per serie) Sia f(z) = k=0 ak (z − z0 )k una serie di potenze di
raggio r > 0. Allora la funzione f è olomorfa in Br (z0 ) e la sua derivata (in senso complesso!)
ammette lo sviluppo (ancora del medesimo raggio di convergenza r)
f ′ (z) =
+∞
X
k=1
kak (z − z0 )k−1 =
+∞
X
h=0
(h + 1)ah+1 (z − z0 )h
∀ z ∈ Br (z0 ).
(1.85)
Iterando la formula precedente si verifica che f ammette derivate di tutti gli ordini
f (m) (z) =
+∞
X
k=m
k(k −1) · · · (k −m+1)ak (z −z0 )k−m =
+∞
X
h=0
(h+1) · · · (h+m)ah+m (z −z0 )h . (1.86)
In particolare i coefficienti di f sono quelli dello sviluppo di Taylor
ak :=
f (k) (z0 )
.
k!
Per quanto riguarda la primitiva, si deduce facilmente dal teorema precedente che
(1.87)
1-13
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
P+∞
k
Teorema 1.8 (Primitive complesse) Sia f(z) =
k=0 ak (z − z0 ) una serie di potenze di
raggio r > 0. Allora le primitive complesse della funzione f nel disco Br (z0 ) sono date da
F(z) = c +
+∞
+∞
X
X
ah−1
ak
(z − z0 )k+1 = c +
(z − z0 )h .
k+1
h
1.4
(1.88)
h=1
k=0
Integrazione secondo Cauchy.
Introduciamo innanzitutto la definizione di integrale di una funzione complessa lungo una curva
Γ.
Definizione 1.9 Supponiamo che t 7→ z(t) sia una funzione derivabile con continuità nell’intervallo [a, b] e che Γ sia una curva semplice contenuta nel dominio D(f) di f. Si chiama integrale
di f esteso a Γ il numero complesso
ℓ=
Motivazioni
Z
f(z) dz =
Γ
Z
b
f(z(t))z ′ (t) dt.
(1.89)
a
Quando si vuole definire il concetto di integrale per le funzioni a valori vettoriali (nel nostro caso, a valori
complessi), il modo forse più espressivo è quello legato alle somme di Cauchy. Cosı̀, per definire l’integrale
di una funzione continua f : [a, b] 7→ C, si considera un’arbitraria suddivisione T
a = t0 < t1 < t2 < . . . < tN −1 < tn = b
(1.90)
dell’intervallo [a, b] e in ogni segmento [tj−1 , tj ] si sceglie un punto ξj ; dopo di che si associa alla partizione
T e al sottinsieme Ξ := {ξj }j=1,...,N la somma di Cauchy
N
X
j=1
f(ξj )(tj − tj−1 ),
(1.91)
e ci si aspetta che al tendere a 0 della massima delle ampiezze
|T | := max tj − tj−1
1≤j≤N
(detta anche parametro di finezza della suddivisione)
tale somma abbia limite e definisca cosı̀ l’integrale di f. Effettivamente la continuità di f assicura che,
Teorema 1.10 al tendere a 0 del parametro di finezza della suddivisione di [a, b], le somme di Cauchy
tendono ad un unico limite ℓ, detto appunto integrale di f
Z b
ℓ=
f(t) dt ∈ C
(1.92)
a
nel senso seguente: per ogni scelta di δ > 0 esiste ε > 0 tale che
N
X
f(ξj )(tj − tj−1 ) − ℓ ≤ ε,
j=1
(1.93)
per ogni suddivisione T := {a = t0 < t1 < t2 < . . . < tN −1 < tn = b} con |T | ≤ δ e per ogni scelta di
Ξ := {ξj }j=1,...,N con ξj ∈ [tj−1 , tj ].
La definizione di integrale attraverso il limite delle somme di Cauchy ha il vantaggio di poter essere facilmente
estesa a tutte quelle situazioni in cui queste hanno senso. L’esempio iniziale ci spinge a considerare percorsi
di integrazione più generali di un segmento sulla retta reale; consideriamo perciò una curva continua Γ nel
piano complesso, parametrizzata dall’applicazione
t ∈ [a, b] 7→ z(t) ∈ C.
Se Γ è semplice (cioè l’applicazione z è iniettiva nell’intervallo aperto ]a, b[) l’introduzione di una parametrizzazione di Γ permette di estendere senza problemi il concetto di partizione di Γ: basterà prendere una
partizione T di [a, b] come in (1.90) e considerarne le immagini su Γ zj := z(tj ); analogamente avremo i
punti intercalati ζj := z(ξj ) e la corrispondente somma di Cauchy
N
X
j=1
f (ζj )(zj − zj−1 ),
zj := z(tj ),
ζj := z(ξj ).
(1.94)
1-14
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Ciò che sostanzialmente aggiunge la parametrizzazione alla curva semplice Γ è la possibilità di ordinarne i
punti in modo univoco; prenderemo come parametro di finezza il massimo delle distanze |zj − zj−1 | di due
punti successivi sulla curva. Ancora una volta osserviamo come il prodotto complesso interviene in modo
cruciale nella definizione.
Non è sorprendente che valga l’analogo del precedente risultato, che permette sia di definire che di calcolare
l’integrale di una funzione complessa lungo una curva.
Le proprietà dell’integrale.
Indipendenza dalla parametrizzazione: l’integrale cosı̀ definito dipende solo dalla curva e
dal suo orientamento, ma non dalla parametrizzazione scelta; ovviamente se cambia l’orientamento, cambia il segno dell’integrale. In particolare, possiamo scegliere sempre la
parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco s, in modo che
z : s ∈ [0, L] 7→ z(s) ∈ C,
|z ′ (s)| = 1,
Linearità: per ogni scelta di f, g continue,
Z
Z
Z
(f + g) dz =
f dz + g dz;
Γ
Γ
Z
Γ
L = lungh(Γ).
λf dz = λ
Γ
Z
f dz,
Γ
∀ λ ∈ C.
(1.95)
Additività rispetto al cammino di integrazione: se Γ è l’unione di due curve Γ1 e Γ2 (tali
che il secondo estremo di Γ1 coincide con il primo di Γ2 ) si ha
Z
Z
Z
f(z) dz =
f(z) dz +
f(z) dz.
(1.96)
Γ
Γ1
Γ2
Ciò permette ad esempio di estendere la formula (1.89) al caso di una parametrizzazione
continua e C 1 a tratti.
Stima del modulo:
Z
Z
f dz ≤
|f(z(s))| ds ≤ lungh(Γ) sup |f(z)|.
z∈Γ
(1.97)
Γ
Γ
D’ora in avanti supporremo sempre, salvo precisazione contraria, che tutte le curve considerate
siano regolari (C 1 ) a tratti.
Esercizio
Verificare le seguenti formule di integrazione (che useremo frequentemente):
– Γ := [w1 , w2 ], segmento che congiunge due punti w1 , w2 :
Z 1
Z
f(z) dz =
f(w1 + t(w2 − w1 ))(w2 − w1 ) dt.
Γ
0
– Γ := [α + iλ, β + iλ], segmento orizzontale:
Z
Z
f(z) dz =
Γ
β
f(t + iλ) dt.
α
– Γ := [λ + iα, λ + iβ], segmento verticale:
Z
Z
f(z) dz = i
Γ
β
f(λ + it) dt.
α
– Γ := CR (z0 ), circonferenza di centro z0 percorsa in senso antiorario:
Z 2π
I
f(z) dz = iR
f(z0 + Reit )eit dt.
Γ
0
1-15
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Primitive e Teorema fondamentale. Come in ambito reale, la conoscenza di una primitiva
di f permette di calcolare agevolmente gli integrali. Data f : Ω → C, diciamo che F : Ω → C è una
primitiva per f se F′ (z) = f(z) per ogni z ∈ Ω. Si ha:
Teorema 1.11 Sia f una funzione continua che ammette una primitiva F in Ω e Γ ⊂ Ω una curva
di estremi w1 , w2 ordinatamente. Allora
Z
f(z) dz = F(w2 ) − F(w1 );
(1.98)
Γ
in particolare, se Γ è un circuito
I
Dimostrazione
f(z) dz = 0.
(1.99)
Γ
Basta applicare la formula (1.84) a ritroso nella (1.89):
Z
f(z) dz =
Γ
=
Z
b
a
Z b
a
f(z(t))z ′ (t) dt =
Z
b
F′ (z(t))z ′ (t) dt
a
h
F(z(t))
i′
dt = F(z(b)) − F(z(a)) = F(w2 ) − F(w1 )
Chiaramente l’esistenza di una primitiva di f implica che l’integrale di f lungo una curva dipende
solo dagli estremi della curva; non sarebbe difficile dimostrare che questa proprietà fornisce anche
una caratterizzazione sufficiente per l’esistenza di una primitiva.
Esercizio
Calcoliamo l’integrale della funzione z 7→ z1 lungo la circonferenza CR (0) di raggio R e centro 0, percorsa in
senso antiorario. Questa viene ovviamente parametrizzata da z = Reit , con t ∈ [0, 2π]:
Z 2π
I
1
1
dz =
iReit dt = 2πi.
Reit
0
CR (0) z
Concludiamo che 1/z non ha primitiva nell’aperto C \ {0}.
Esercizio
Dimostrare che
I
Esercizio
z k dz = 0,
CR (0)
∀ k ∈ Z \ {−1}.
Posto F := U + iV , f = u + iv, scrivere il sistema nelle incognite U, V equivalente all’equazione F′ = f.
Dimostrare che se Ω è semplicemente connesso (cioè non ha “buchi”) e u, v soddisfano le condizioni di
Cauchy-Riemann (1.117), allora il sistema ammette soluzione.
Il Teorema di Cauchy
Precisazione
Prima di procedere, però, ricordiamo, in modo informale e descrittivo, alcune proprietà dei circuiti e delle
regioni che essi circondano:
– (Circuiti semplici.) Sono quelli descritti da un moto che “torna al punto iniziale senza passare due
volte nello stesso posto”: formalmente essi sono parametrizzati da
t ∈ [a, b] → z(t),
iniettiva in [a, b[,
con z(a) = z(b).
Se Γ è un circuito semplice nel piano complesso, allora il complementare di Γ è esattamente l’unione
di due aperti, uno limitato AΓ e uno illimitato A′Γ , di cui Γ è la comune frontiera. In tal caso è sempre
possibile definire univocamente una orientazione di Γ, quella antioraria, in modo che il versore tangente
sia ruotato di π/2 (in senso sempre antiorario) rispetto al versore normale a Γ uscente da AΓ .
– Aperti semplicemente connessi. Un aperto A = AΓ nelle precedenti condizioni si chiama semplicemente connesso: in altri termini, esso è connesso e la sua frontiera è costituita da un unico circuito
semplice. Insomma A non può “avere buchi al suo interno”.
1-16
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
– Circuiti ammissibili. Un circuito ammissibile è l’unione di un numero finito di circuiti semplici e
disgiunti Γ0 , Γ1 , . . . Γn , per i quali
AΓj ⊂ AΓ0 ,
AΓj ∩ AΓh = ∅ se j 6= h
j, h = 1, 2, · · · , n.
Orientando ciascun circuito Γj in senso antiorario, potremmo scrivere formalmente Γ = Γ0 −(Γ1 +Γ2 +
· · · + Γn ), per indicare che Γ viene percorso in senso antiorario all’esterno e in senso orario all’interno.
AΓ è la regione di piano (con n “buchi”) compresa tra Γ0 e i vari Γj , cioè A è l’aperto che si ottiene
“rimuovendo” da AΓ0 gli n buchi AΓ1 , . . . , AΓn che sono circondati dai circuiti Γ1 , . . . , Γn .
Γ0
Γ1
Γ3
Γ2
AΓ0
Figura 1.1: Un circuito ammissibile dato dall’unione di Γj , j = 0, . . . , 3
Teorema 1.12 Sia f : D(f) ⊂ C → C una funzione olomorfa e sia Γ un circuito ammissibile il
cui interno AΓ è contenuto in D(f). Allora
Z
f(z) dz = 0.
(1.100)
Γ
Osservazione 1.13 Se orientiamo tutti i circuiti Γk in senso antiorario, allora otteniamo equivalentemente che l’integrale sul circuito “esterno” Γ0 è uguale alla somma degli integrali sui circuiti
“interni” Γ1 , . . . , Γn , cioè
I
n I
X
f(z) dz =
f(z) dz.
(1.101)
Γ0
k=1
Γk
Chiaramente se non vi sono “buchi”, cioè se Γ = Γ0 e al suo interno la funzione è sempre derivabile
abbiamo in particolare
Teorema 1.14 (Cauchy) Supponiamo che Γ sia un circuito semplice e che f : D(f) ⊃ AΓ → C
sia olomorfa. Allora
I
f(z) dz = 0.
(1.102)
Γ
1.5
Funzioni analitiche
Gli esempi (1.45), (1.47), (1.51) mostrano che, quando il raggio di convergenza r è finito, la somma
delle serie di potenze di centro 0 definisce una funzione la cui espressione ha un significato anche al
di fuori del disco di convergenza. Ci si può allora chiedere se è possibile rappresentare la funzione
come serie di potenze anche al di fuori del disco Br (0). Ciò impone naturalmente di cambiare il
centro dello sviluppo in serie: cambiando il centro, cambieranno di conseguenza i coefficienti e il
raggio dello sviluppo. Questo punto di vista (vari sviluppi in serie associati ad un’unica funzione)
è stato introdotto da Riemann e porta alla definizione di funzione analitica:
1-17
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
Definizione 1.15 (Funzioni analitiche) Una funzione complessa f definita in un sottoinsieme
aperto D(f) del piano complesso si dice analitica in D(f) se per ogni z0 ∈ D(f) è possibile trovare
un disco aperto Br (z0 ) di centro z0 e raggio r > 0 (dipendente da z0 ) in cui f ammette lo sviluppo
in serie di potenze
+∞
X
ak (z − z0 )k , ∀ z ∈ Br (z0 )
f(z) =
k=0
per opportuni coefficienti ak (dipendenti dal centro scelto).
L’importanza delle funzioni analitiche sta nel fatto di poter sfruttare lo sviluppo in serie di potenze
per trarre numerose informazioni sull’andamento della funzione, sulle sue proprietà qualitative, e,
più in generale, di poter effettuare i calcoli con funzioni di tipo polinomiale anziché con l’espressione
generalmente difficile da trattare di f.
Si pongono naturalmente tre problemi:
1. Trovare un criterio comodo che permetta di riconoscere se e dove una data funzione f è
analitica.
2. Dato il centro z0 ∈ D(f) determinare esplicitamente i coefficienti ak in funzione di f.
3. Deerminare il raggio di convergenza della serie di potenze che rappresenta f nei dischi di
centro z0 .
Discussione
Condizioni necessarie.
considerazioni:
Dalla definizione di analiticità e dai risultati precedenti seguono subito queste
a) La funzione f deve essere derivabile in senso complesso in D(f) e quindi deve soddisfare le condizioni
di Cauchy-Riemann: ciò segue dal teorema 1.7.
a’) Meglio ancora, la funzone f deve avere le derivate di ogni ordine.
b) I coefficienti ak sono univocamente determinati da f dalle formule (1.87) e (1.88) (quindi il problema
posto dal punto 2 è già stato risolto...).
c) Se z1 è un punto di discontinuità (per esempio perché |f| tende a ∞ per z → z1 ) il raggio di convergenza
della serie di potenze di centro z0 che rappresenta f non può superare la distanza |z1 − z0 |.
Il prossimo teorema mostra che miracolosamente la condizione a) è anche sufficiente; quanto al
raggio, esso coincide con il raggio del cerchio più grande che si può inscrivere nel dominio della
funzione senza incontrare le altre singolarità di f.
Teorema 1.16 (“Analitiche” = “Olomorfe”) Una funzione complessa f : D(f) ⊂ C → C è
analitica in D(f) se e solo se è olomorfa. In tal caso, se Br (z0 ) ⊂ D(f) essa è sviluppabile in
serie di potenze in Br (z0 ) (con raggio quindi almeno r) e i coefficienti dello sviluppo sono dati
dalla formula
I
f (k) (z0 )
1
dz
ak :=
=
, ∀ 0 < ρ < r.
(1.103)
f(z)(z − z0 )−k
k!
2πi Cρ (z0 )
z − z0
Un caso particolare della formula precedente, corrispondente a k = 0, prende il nome di Formula
di Cauchy:
Teorema 1.17 (Formula di Cauchy) Se la funzione complessa f : D(f) ⊂ C → C è olomorfa
in D(f) e Br (z0 ) ⊂ D(f), allora
f(z0 ) =
1
2πi
I
f(z)
Cρ (z0 )
1
dz
=
z − z0
2π
Z
2π
f(z0 + ρeiθ ) dθ,
0
∀ 0 < ρ < r.
(1.104)
1-18
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
1.6
Approfondimenti
Derivate parziali e condizioni di Cauchy-Riemann.
Cominciamo dalla (semplice) dimostrazione
del teorema 1.5. Ricordiamo che le derivate parziali di f rispetto a x o a y nel punto z0 := x0 + iy0 sono definite da
f(x + iy0 ) − f(x0 + iy0 )
∂f
(z0 ) := lim
,
x→x0
∂x
x − x0
∂f
f(x0 + iy) − f(x0 + iy0 )
(z0 ) := lim
.
y→y0
∂y
y − y0
(1.105)
(1.106)
Ebbene, la grande novità della definizione di derivata secondo la (1.81) è contenuta nel seguente risultato
Dimostrazione
Cominciamo a dimostrare che la (1.81) implica la (1.78); per questo basta ricordare che l’esistenza del limite
per funzioni di due variabili implica l’esistenza dei limiti lungo ogni direzione, in particolare quelli ottenuti
tenendo costante una delle due variabili e lasciando libera l’altra. Cosı̀ si ha
f ′ (z0 ) = lim
x→x0
f(x0 + iy) − f(x0 + iy0 )
f(x + iy0 ) − f(x0 + iy0 )
= lim
.
y→y0
x − x0
i(y − y0 )
(1.107)
Tenendo conto della (1.106) si ottiene la (1.78), con l’ulteriore informazione che
f ′ (z0 ) =
∂f
(z0 ).
∂x
(1.108)
Per dimostrare l’implicazione opposta, serve ricordare che l’esistenza delle derivate parziali continue implica
la differenziabilità in ogni punto di f per cui
f(x + iy) − f(x0 + iy0 )
=
∂f
∂f
(x0 + iy0 )(x − x0 ) +
(x0 + iy0 )(y − y0 ) + o(|x − x0 + i(y − y0 )|)
∂x
∂y
(1.109)
Sostituendo nella formula la (1.78) e ricordando che z = x + iy, z0 = x0 + iy0 si ottiene
∂f
(z0 )(x − x0 + i(y − y0 )) + o(|z − z0 |)
∂x
∂f
(z0 )(z − z0 ) + o(|z − z0 |).
=
∂x
f(z) − f(z0 ) =
(1.110)
Dividendo entrambi i membri per z − z0 e passando al limite, si ottiene l’esistenza della derivata in senso
complesso, nonchè la (1.108).
Le relazioni di Cauchy-Riemann si capiscono meglio se si considera la derivata di f lungo una qualunque direzione
del piano complesso: fissato cioè un versore eiθ si vede facilmente che
∂f
f(z0 + ρeiθ ) − f(z0 )
∂f
(z0 ) := lim
= eiθ f ′ (z0 ) = eiθ
(z0 ),
ρ→0
∂eiθ
ρ
∂x
(1.111)
cioè se la direzione lungo cui si calcola la derivata ruota di un angolo θ anche la corrispondente derivata risulta
ruotata del medesimo angolo; si capisce allora il significato del coefficiente i delle relazioni di Cauchy-Riemann.
Trasformazioni conformi.
Questa proprietà di “commutare” con le rotazioni può essere espressa ancor
più efficacemente dalla nozione di conformità. Consideriamo due curve regolari t ∈ (a, b) 7→ zi (t), i = 1, 2 che per
t = t0 passano per il punto z0 ; i loro vettori tangenti ti := zi′ (t0 ) formano in z0 un angolo di ampiezza
ω := arg(z1′ (t0 )/z2′ (t0 ))
(1.112)
Corrispondentemente le curve immagini t 7→ f(zi (t)) per t = t0 passano per f(z0 ) ed i loro vettori tangenti sono
dati dalla formula (1.84)
t̃i = f ′ (z0 )zi′ (t0 ) = f ′ (z0 )ti
(1.113)
Se f ′ (z0 ) 6= 0 si vede facilmente che l’angolo tra t̃1 e t̃2 è ancora
arg(f ′ (z0 )z1′ (t0 )/f ′ (z0 )z2′ (t0 )) = arg(z1′ (t0 )/z2′ (t0 )) = ω,
(1.114)
cioè la trasformazione f conserva la misura degli angoli: applicazioni di questo tipo si chiamano anche conformi, e
non sarebbe difficile dimostrare che la conformità è di fatto equivalente all’olomorfia.
Esercizio
Dimostrare quest’ultima affermazione.
1-19
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
La matrice derivata e il teorema di inversione locale.
Concludiamo questa lezione mostrando
un’ultima relazione tra le derivate in senso complesso e quelle usuali. Chiamiamo u e v la parte reale e la parte
immaginaria di f, cioè scriviamo
f(x + iy) := u(x, y) + iv(x, y),
u, v : Ω 7→ R.
(1.115)
Si ha ovviamente, per le equazioni di Cauchy-Riemann
∂u
∂v
∂u
∂f
=
+i
=i
=i
∂y
∂y
∂y
∂x
∂u
∂v
+i
∂x
∂x
=−
∂v
∂u
+i
∂x
∂x
(1.116)
Poiché u, v sono funzioni reali, si ottiene

∂u
∂v


 ∂x = ∂y
(1.117)
 ∂u
∂v


=−
∂y
∂x
dove adesso tutte le funzioni in gioco sono reali. Ne deduciamo che la matrice derivata della funzione u soddisfa la

 

∂u
∂u
∂u
∂v
− ∂x
∂x
∂y 
∂x



Df :=
=
(1.118)
∂v
∂u
∂v
∂v
∂x
∂y
∂x
∂x
ed il suo determinante vale
∂u 2 ∂v 2 ∂f 2
′ 2
+
=
Jf = ∂x ∂x = |f | .
∂x Perciò Df è invertibile se e solo se f ′ 6= 0. Concludiamo con un teorema di invertibilità locale:
(1.119)
Teorema 1.18 Sia f : D(f) → C olomorfa, z0 un punto di D(f) e f ′ (z0 ) 6= 0. Allora esiste un disco B di raggio ρ
e centro w0 := f(z0 ) ed un’unica funzione olomorfa g : B → D(f) tale che
g(w0 ) = z0 ,
f(g(w)) = w,
∀ w ∈ B.
(1.120)
Inoltre si ha la formula
g′ (w) =
Esercizio
1
,
f ′ (g(w))
∀ w ∈ B.
(1.121)
Dimostrare che la matrice derivata Df di una funzione olomorfa è il prodotto di |f ′ | per una matrice ortogonale
con determinante 1. Trovare cosı̀ un’altra dimostrazione che f è conforme.
Integrale complesso e integrale curvilineo di campi vettoriali.
Vogliamo mostrare ora la
relazione tra l’integrale definito in questa lezione e l’integrazione dei campi vettoriali nel piano.
Sia al solito f : D(f) → C una funzione continua, di cui indichiamo con u, v la parte reale ed immaginaria
rispettivamente, u, v : D(f) → R. Se la curva Γ è parametrizzata dalla lunghezza d’arco
s ∈ [0, L] 7→ z(s) = x(s) + iy(s) ∈ Ω,
|z ′ (s)| = 1
si ha per la (1.89)
Z
f(z) dz =
Γ
Z
L
Z
L
f(z(s))z ′ (s) ds
0
=
0
+i
Z
h
L
0
i
u(x(s) + iy(s))x′ (s) − v(x(s) + iy(s))y ′ (s) ds
h
i
v(x(s) + iy(s))x′ (s) + u(x(s) + iy(s))y ′ (s) ds.
Introdotti i campi vettoriali
g(x, y) := u(x + iy), −v(x + iy) ,
h(x, y) := v(x + iy), u(x + iy) ,
e il versore tangente alla curva
τ (s) = x′ (s), y ′ (s)
si vede immediatamente che gli integrali precedenti si riscrivono come
Z
Z
Z
h · τ ds
g · τ ds + i
f(z) dz =
Γ
Γ
Γ
(1.122)
1. FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
1-20
Osservazione 1.19 Se f è olomorfa in Ω, i campi g e h sono irrotazionali! Essendo piani, basta scrivere la terza
componente del rotore: nel caso di g si ha
∂g 2
∂g 1
∂v
∂u
−
=−
−
=0
∂x
∂y
∂x
∂y
grazie alle condizioni di Cauchy-Riemann; analogamente, per h si ottiene
∂h2
∂h1
∂u
∂v
−
=
−
= 0.
∂x
∂y
∂x
∂y
Questa espressione porta direttamente alla dimostrazione del Teorema di Cauchy 1.100.