riflessioni per il periodo d`Avvento terza parte
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riflessioni per il periodo d`Avvento terza parte
3 Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni, figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: e, dunque, vieni sempre, Signore. Vieni, Tu che ci ami: nessuno è in comunione col fratello se prima non è con Te, o Signore. Noi siamo lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo: vieni, Signore, vieni sempre, Signore. (D. M. Turoldo) 4 Dal libro del profeta Isaia (10, 1-11) Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese. La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà. Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l'orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare. In quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa. 5 Forse meditiamo sempre troppo superficialmente il mistero di questo giorno centrale della storia dell’uomo e del cosmo che è il Natale. Forse lo meditiamo, dandone per scontato il senso, la sorpresa, il miracolo, l’abisso, il vertice, la luce, l’enormità di alba e la profondità di notte; dandone per scontata l’insondabilità che gli è propria e della quale potremmo lambire il supremo, inattaccabile ed instancabile valore, solo se ci avvicineremo a lei con umiltà. Perché instancabile? Perché Cristo non si stanca di rinascere. Mai, si stanca. Non v’è giorno, ora, minuto, attimo in cui Betlemme non sia, di nuovo e per sempre (ma, per sempre, perché ogni volta di nuovo), Betlemme: il presepe, presepe; la Famiglia, quella Famiglia, Famiglia. E noi, invece, non vivremo che per rigare al Bambino il viso di lacrime; magari, e prima di tutto, non riconoscendolo in ogni vita che comincia ad essere; in ogni figlio anche d’un sol giorno che s’è formato, dentro il grembo d’una donna. L’enormità dolcissima del Natale è, prima d’ogni cosa, canto, luce e giudizio definitivi e definenti sul alore del concepimento (d’ogni concepimento). E, nello stesso tempo è canto, luce e giudizio definitivi e definenti sull’intangibilità dell’atto con cui l’uomo e la donna partecipano al disegno del Padre, lo accettano e lo realizzano: e, realizzandolo, lo amano. Ma è anche canto, luce e giudizio definitivi e definenti sul valore del corpo umano, dell’umane ossa e dell’umana carne; proprio quel corpo, quelle ossa e quella carne che la distorsione scientista del nostro secolo proclama d’adorare, ma che, invece, ha già iniziato a violare e violentare proprio nel loro senso, nel loro abisso, nel loro miracolo e nella loro libertà. Avrà pur significato che, accanto al Fanciullo appena apparso sull’iniqua terra, si trovino due animali: la mucca e l’asino. Gli uomini, anche i più solerti, arriveranno dopo; e, nella loro già avviata superbia e cecità, avranno, comunque, bisogno di un annuncio. È spingere troppo in basso, troppo interra, la lettura di un avvenimento supremo come il Natale, vedere nella fedeltà e nella mansuetudine “naturali” di quei due animali un invito a rispettare l’animalità, in senso totale, dunque in senso sacro, che è nell’uomo? E in quale modo, allora, adorare il Cristo Bambino se non onorando la carne e l’ossa così come il Padre, Suo e nostro, ce li ha dati? Cristo ha preso il nostro corpo per salvarlo, e perché restasse corpo, pieno di peccati, d’ombre e di paure, ma corpo; corpo destinato alla cenere, ma corpo. Ecco, il Natale, l’abisso del miracolo di dolcezza, d’immensità e, anche, di terribilità che è il Natale, non verrà anche quest’anno per rammentarci la sacralità del nostro corpo e il dovere irrinunciabile di difenderlo come entità creata e creante, come destino nel e del Destino, come povera, oscurata luce che dipende, e si redime, solo 6 nella Luce che ci ha voluti e che, pur non meritandola, non cessa, ogni giorno, ogni ora, ogni momento di rinascere? Avrà pur un senso, là, nel presepe, il fiato di una mucca e d’un asino sul piccolo corpo del Cristo! E quel fiato è sceso su di Lui per apprenderci cos’altro, se non che alla fedeltà di “natura” dei due animali dovremmo accompagnare o, quantomeno, tentar d’accompagnare la nostra incerta, l’iniqua fedeltà d’esseri pensanti giunti al limite di cedere al regresso dell’irrelato Progresso la nostra carne e le nostre ossa, perché su di esse si compia ogni tortura, ogni gioco e ogni ludibrio? (da G.Testori, Un bambino per sempre, Interlinea edizioni, 2007) 7 Sotto lo sguardo dell’asino e quello del bue il bambino riposava nella pura luce. E nel giorno dorato della vecchia capanna splendeva il suo sguardo incredibilmente nuovo. Il bambino alzava gli occhi verso le due grosse teste, girando lo sguardo su quei due monumenti. Questi vicini gli offrivano un incredibile divertimento, bilanciando i testoni come due bastimenti. Bilanciando il frontone come due grandi navi movendo le sartie e le curve della prora, quando il mare fa bonaccia e quando il dolce zefiro si diverte a giocare negli abiti scompigliati. Il bambino alzava lo sguardo verso gli occhi enormi più profondi e più dolci dell’oceano infinito. Per la prima volta ammirava in questo specchio gigante la profondità dei mari e il riflesso dei cieli. Il bambino guardava a bocca aperta verso quello specchio ove si rifletteva la bontà di questo mondo. Un amore si componeva sulla faccia stupefatta immerso nel riflesso di un palpabile nulla. Il sole che passava per le enormi fessure illuminava un bambino sorvegliato dal bestiame. Il sole che entrava da una misera entrata illuminava una greppia fra le altre greppie. Ma il vento che soffiava dalle enormi fessure avrebbe gelato questo bambino che si era scoperto. E il vento che soffiava dal portone aperto l’avrebbe gelato nella sua greppia fra le altre greppie. Questo bambino che dormiva che dormiva con i pugni chiusi su questi ciambellani e questi musi pelosi queste due guardie del corpo e questi due grossi testimoni per salvarlo dal freddo non gli avessero respirato addosso. Sotto lo sguardo del bue e quello dell’asino questo bambino respirava nel suo primo sonno. 8 Le due bestie calcolavano nella loro testa per scorgere il segno del suo primo risvegliarsi. Immobile il bambino dormiva nel profondo del sonno stava cominciando il nuovo grande regno stava iniziando il grande evento l’insediamento di Dio nel cuore degli uomini. Stava cominciando quel rinnovamento: creare il tempo nuovo e la legge nuova. Stava iniziando una nuova coltivazione: negli antichi lavori produrre una nuova spiga. (C.Péguy) 9 Gesù, mi riconosco nel bue del presepe, e voglio stare accanto a te. In silenzio. Mi accontento di pregare con gli occhi. Mi basta guardarti, Signore. Sapere che tu ci sei e mi vedi. La mia stanchezza, al termine di una giornata faticosa, ti dice già tutto. E così pure i lividi che spesso mi ritrovo sulla pelle (e anche più sotto). Le parole, quando si è lavorato per Te e con Te, non servono più. Domani sarò di nuovo in piedi, pronto ad addossarmi il solito carico. Sarà una giornata uguale a tante altre, eppure diversa, nuova. Il terreno da arare è aspro, con una crosta dura, resistente, impenetrabile. Talvolta ho l’impressione di dover tagliare le pietre. Eppure il solco va fatto, sia nella sabbia dell’arido deserto che nella pietraia, perché tu possa depositarvi il seme della Tua Parola. Quando nascerai, in quella stalla, io ci sarò. Non avrò nulla da portarti in dono. Meglio, ti offrirò il peso, invisibile ma reale, del mio lavoro quotidiano, fatto con amore e sacrificio. Tu, però, lo vedrai e sarai in grado di “pesarlo” e dargli il valore che credi Tu, secondo i tuoi criteri che non sono quelli degli uomini. A Natale, lasciami sostare un poco accanto a te. Per alitarti il fiato caldo della mia fedeltà. Cercherò di non essere troppo ingombrante, di non rubare spazio a Te e agli altri. Mi accontenterò di una carezza dei tuoi occhi. Signore, non faccio fatica nemmeno a riconoscermi nell’asino. Né mi sento umiliato. Sì, Tu hai bisogno di un asino come me. E se non lo sono abbastanza, mi inviti a diventarlo. Tu, prima di tutto, vuoi “sciogliermi”. Slegarmi dalle placide abitudini, da una certa riottosità, dalla paura di compromettermi, dalla riluttanza a piegare la schiena. Intendi sciogliermi dalle chiacchiere inconcludenti, dalla perpetua indecisione, dall’esitazione a vivere un cristianesimo di ampio respiro, per spingermi al largo. Sì, Tu, Signore, hai bisogno di un asino, quindi hai bisogno di me. Hai bisogno di un asino, provvisoriamente, in qualità di precario, per qualche ora. Nient’altro che questo. Se fosse per troppo tempo, combinerei chissà quanti e quali pasticci. Devo essere convinto di ciò, in modo da mostrarmi sempre disponibile, senza tuttavia prendermi troppo sul serio e senza darmi arie da padrone del vapore. Io penso che, allorché si parla di umiltà, bisognerebbe far riferimento all’asino. Chissà se nei seminari se ne tiene uno da utilizzare quale testo illustrato di meditazione… Ecco. Vorrei essere l’asino che sta lì, pronto a venire impiegato come e quando a Te piacerà, e poi rimandato indietro perché non serve più. E l’asino è contento lo stesso: il 10 trionfo è riservato a Te. Io, asino precario, torno al mio posto, senza medaglie e onorificenze, legato al palo, senza pretendere il primo piano alla televisione, la notizia strillata sui giornali. Un asino da niente, però sempre pronto nel caso lo venissero ancora a requisire per pubblica utilità, ossia per un servizio, non per una premiazione. Devo mettermi bene in testa che Tu, Signore, hai bisogno esclusivo di un asino per qualche tempo, per qualche ora. Mentre io non posso fare a meno di Te nemmeno per un istante. (da A.Pronzato, La novena di Natale davanti al presepe, Gribaudi 2001) Il mistero dell’Incarnazione. Non è tutto qui? L’atto onde Dio assunse la natura dell’uomo non è l’atto che sollecita tutta la storia, che vive nel più intimo di te – è alle radici dell’essere tuo? Assumendo la natura dell’uomo, non sollevava a sé tutta la creazione? Tutta la creazione non è più vestigio di Dio, ma epifania, rivelazione. Dio solo, il cuore di tutto, il Bambino nella grotta. L’umiltà più fonda; il silenzio, segno della gloria. Non al di là, non domani: tutto è segno della Presenza e la Presenza è l’Amore. Come potrà il paradiso essere più bello di questa vita presente? E come la gloria svelata potrà sostituire l’umiltà del Bambino? (da D.Barsotti, Battesimo di fuoco, Rusconi 1984) 11 Tutto vagito Poiché Tu sei nato bambino tutto il mondo oggi nasce per me e mi riposa in grembo come in una culla. Poiché Tu sei nato bambino mi guardano tutte le cose con dolce stupore d’infanzia. E le stelle hanno un vagito e le colline hanno un vagito e gli alberi hanno un vagito e i sassi hanno un vagito. E dalle foreste lontane, e dalle vette dei monti, dai deserti sconfinati, dai fiumi, dai mari, da ogni parte del cosmo mi giunge un vagito. Questa è la nuova infanzia del creato. Poiché Tu sei nato bambino L’universo ha il volto di un figlio e mi ridona il senso della vita. (A.M.Canopi) 12 Dal libro del profeta Baruc (5, 1-9) Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell'Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: Pace della giustizia e gloria della pietà. Sorgi, o Gerusalemme, e sta' in piedi sull'altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti da occidente ad oriente, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso faranno ombra ad Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui. 13 C’era una volta un lupo. Viveva nei dintorni di Betlemme. I pastori lo temevano tantissimo e vegliavano l’intera notte per salvare le loro greggi. C’era sempre qualcuno di sentinella, così il lupo era sempre più affamato, scaltro e arrabbiato. Una strana notte, piena di suoni e luci, mise in subbuglio i campi dei pastori. L’eco di un meraviglioso canto di angeli era appena svanito nell’aria. Era nato un bambino, un piccino, un batuffolo rosa, roba da niente. Il lupo si meravigliò che quei rozzi pastori fossero corsi tutti a vedere un bambino. “Quante smancerie per un cucciolo d’uomo” pensò il lupo. Ma incuriosito e soprattutto affamato com’era, li seguì nell’ombra a passi felpati. Quando li vide entrare in una stalla si fermò nell’ombra e attese. I pastori portarono dei doni, salutarono l’uomo e la donna, si inchinarono deferenti verso il bambino e poi se ne andarono. Gli occhi e le zanne del lupo brillarono nella notte: stava per giungere il suo momento. L’uomo e la donna stanchi per le fatiche e le incredibili sorprese della giornata si addormentarono. “Meglio così” pensò il lupo, “comincerò dal bambino”. Furtivo come sempre scivolò nella stalla. Nessuno avvertì la sua presenza. Solo il bambino. Spalancò gli occhioni e guardò l’affilato muso che, passo dopo passo, guardingo ma inesorabile si avvicinava sempre più. Il lupo aveva le fauci socchiuse e la lingua fiammeggiante. Gli occhi erano due fessure crudeli. Il bambino però non sembrava spaventato. “Un vero bocconcino” pensò il lupo. Il suo fiato caldo sfiorò il bambino. Contrasse i muscoli e si preparò ad azzannare la tenera preda. In quel momento una mano del bambino, come un piccolo fiore delicato, sfiorò il suo muso in una affettuosa carezza. Per la prima volta nella vita qualcuno accarezzò il suo ispido e arruffato pelo, e con una voce, che il lupo non aveva mai udito, il bambino disse: “Ti voglio bene, lupo”. Allora accadde qualcosa di incredibile, nella buia stalla di Betlemme. La pelle del lupo si lacerò e cadde a terra come un vestito vecchio. Sotto, apparve un uomo. Un uomo vero, in carne ed ossa. L’uomo cadde in ginocchio e baciò le mani del bambino e silenziosamente lo pregò. Poi l’uomo che era stato un lupo uscì dalla stalla a testa alta, e andò per il mondo ad annunciare a tutti: “È nato il bambino divino che può donarvi la vera libertà! Il Messia è arrivato! Egli vi cambierà!” (da B.Ferrero, Storie di Natale, Elledici 2001) 14 Ballata della speranza Tempo del primo avvento tempo del secondo avvento sempre tempo d'avvento: esistenza, condizione d'esilio e di rimpianto. Anche il grano attende anche l'albero attende attendono anche le pietre tutta la creazione attende. Tempo del concepimento di un Dio che ha sempre da nascere. Questo è il vero lungo inverno del mondo: Avvento, tempo del desiderio tempo di nostalgia e ricordi (paradiso lontano e impossibile!) Avvento, tempo di solitudine e tenerezza e speranza. Oh, se sperassimo tutti insieme tutti la stessa speranza e intensamente ferocemente sperassimo sperassimo con le pietre e gli alberi e il grano sotto la neve e gridassimo con la carne e il sangue con gli occhi e le mani e il sangue; sperassimo con tutte le viscere con tutta la mente e il cuore Lui solo sperassimo; oh se sperassimo tutti insieme con tutte le cose sperassimo Lui solamente desiderio dell'intera creazione; e sperassimo con tutti i disperati con tutti i carcerati come i minatori quando escono dalle viscere della terra, sperassimo con la forza cieca del morente che non vuol morire, come l'innocente dopo il processo in attesa della sentenza, oppure con il condannato avanti il plotone d'esecuzione sicuro che i fucili non spareranno; se sperassimo come l'amante che ha l'amore lontano e tutti insieme sperassimo, a un punto solo tutta la terra uomini e ogni essere vivente sperasse con noi e foreste e fiumi e oceani, la terra fosse un solo oceano di speranza e la speranza avesse una voce sola un boato come quello del mare, e tutti i fanciulli e quanti non hanno favella per prodigio a un punto convenuto tutti insieme affamati malati disperati, e quanti non hanno fede ma ugualmente abbiano speranza e con noi gridassero astri e pietre, purché di nuovo un silenzio altissimo - il silenzio delle origini prima fasci la terra intera e la notte sia al suo vertice; quando ormai ogni motore riposi e sia ucciso ogni rumore ogni parola uccisa - finito questo vaniloquio! e un silenzio mai prima udito (anche il vento faccia silenzio anche il mare abbia un attimo di silenzio, un attimo che sarà la sospensione del mondo), 15 quando si farà questo disperato silenzio e stringerà il cuore della terra e noi finalmente in quell'attimo dicessimo quest'unica parola perché delusi di ogni altra attesa disperati di ogni altra speranza, quando appunto così disperati sperassimo e urlassimo (ma tutti insieme e a quel punto convenuti) certi che non vale chiedere più nulla ma solo quella cosa allora appunto urlassimo in nome di tutto il creato (ma tutti insieme e a quel punto) VIENI VIENI VIENI, Signore vieni da qualunque parte del cielo o degli abissi della terra o dalle profondità di noi stessi (ciò non importa) ma vieni, urlassimo solo: VIENI! né grido di dolore perché le cose di prima passarono e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi perché anche la morte non sarà più. E una nuova città scenderà dal cielo bella come una sposa per la notte d'amore. VIENI VIENI VIENI, Signore! - Allora tutto si riaccenderà alla sua luce e il cielo di prima e la terra di prima non sono più e non ci sarà più né lutto allora canteremo allora ameremo allora allora... - Allora il nostro stesso desiderio avrà bruciato tutte le cose di prima e la terra arderà dentro un unico incendio e anche i cieli bruceranno in quest'unico incendio e anche noi, gli uomini, saremo in quest'unico incendio e invece di incenerire usciremo nuovi come zaffiri e avremo occhi di topazio: quando appunto Egli dirà " ecco, già nuove sono fatte tutte le cose " (D.M.Turoldo) 16