ARCHIVIO: SAuTERnES E MuFFA nOBILE
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ARCHIVIO: SAuTERnES E MuFFA nOBILE
ARCHIVIO: sauternes E muffa nobile Resoconto ENOGEA - II SERIE - N. 12 24 dettagliato sulla zona e sulla tecniche produttive di uno dei vini dolci di riferimento. Al contrario dell'approfondimento dedicato alla Valpolicella (pubblicato nel numero 10 di Enogea) questo articolo che ho deciso di riproporre, e che nella sua versione originale comprendeva anche una parte piuttosto corposa sulle annate e sulle aziende, fu pubblicato anche in Italia, e più precisamente su L'Etichetta e su Ex Vinis, all'inizio del 1994. Come per l'articolo dedicato alla Valpolicella, anche in questo caso ho preferito invece aggiornare alcune parti che altrimenti sarebbero risultate obsolete e soprattutto fuorvianti (in particolare nella sezione dedicata alla vinificazione). Per rendere più evidenti queste evoluzioni ho preferito tuttavia ricorrere a delle note, in modo da fornirvi sia il prima che il dopo. LA ZONA La denominazione Sauternes conta attualmente circa 2000 ettari di vigna e comprende cinque comuni della riva sinistra della Garonna: Sauternes, Fargues, Bommes, Preignac e Barsac. Quest'ultimo comune, situato pochi chilometri a nord-ovest di Sauternes, e quindi più spostato verso Bordeaux, ha diritto anche alla denominazione comunale Barsac e i suoi produttori possono chiamare il loro vino Sauternes oppure Barsac, indifferentemente1. I limiti imposti dalla legislazione sono comunque identici, sia in termini di vitigni che di gradazione minima richiesta e di resa massima per ettaro, e ciò che varia è quindi sostanzialmente il terreno. La resa per ettaro in particolare è fissata 25 ettolitri, limite molto basso in senso assoluto ma piuttosto generoso se riferito alla particolare produzione di questo vino - i migliori cru della zona hanno infatti produzioni che oscillano normalmente tra i 9 e i 15 ettolitri per ettaro, dove quest'ultimo limite è già piuttosto elevato. Pur nella loro vicinanza, la zona di Barsac e il resto del Sauternais presentano notevoli differenze a livello pedologico. Formato da quattro diverse terrazze che digradano verso la Garonna, il terreno di Sauternes si presenta di volta in volta ghiaioso, argilloso, sabbioso, calcareo o con una mescolanza delle varie componenti e con un sottosuolo molto spesso argilloso, anche se non mancano esempi calcarei o ghiaiosi. I terreni su cui sono collocati i migliori cru hanno comunque una natura ghiaiosa superficiale e una prevalenza argillosa nel sottosuolo, in particolare nella fascia collinare che guarda la Garonna e che si sviluppa da Rieussec a Rayne Vigneau e a La Tour Blanche, passando attraverso Yquem - l'argillosità del sottosuolo è la caratteristica principale di molte parcelle di questa proprietà, caratteristica che obbliga perciò a drenare il terreno per evitare ristagni di acqua che avrebbero conseguenze negative sul regolare sviluppo della botrytis2. La fascia collinare di Sauternes, Bommes e Fargues - la cui quota altimetrica massima supera di poco i 70 m s.l.m. - presenta inoltre un andamento piuttosto ondulato che si traduce in una certa variabilità delle esposizioni, in particolare all'interno di alcune proprietà. Questa variabilità, che unita alla mutevolezza del terreno provoca sensibili differenze nei tempi di maturazione e di sviluppo della botrytis anche tra parcelle confinati, diventa progressivamente meno importante via via che ci si sposta verso la Garonna e Preignac. La zona di Barsac, separata da quella di Sauternes dal fiume Ciron, presenta invece un andamento pianeggiante con una leggera inclinazione verso est. Il terreno è generalmente argillo-calcareo - caratteristica predominante nelle migliori proprietà di Barsac - anche se non mancano degli esempi, nella zona a sud-ovest, di terreni ghiaioso-sabbiosi. Il sottosuolo è invece a prevalenza calcarea e spesso poco profondo, il che comporta, in annate siccitose, problemi di carenza idrica. LE UVE E LA POTATURA Se il disciplinare di produzione non prevede percentuali precise per i tre vitigni che concorrono alla produzione del Sauternes - semillon, sauvignon e muscadelle - la necessità e l'esperienza hanno assegnato il ruolo di primattore al semillon, la cui percentuale nei vini varia di norma, a seconda delle proprietà, tra il 60 e il 90%. Il semillon si presta infatti meglio e con più rego- larità all'attacco della muffa nobile, mentre il sauvignon oltre a essere più resistente viene di norma attaccato in modo e con risultati più eterogenei. Ecco allora perché la percentuale di sauvignon nel vino raggiunge raramente il 30%, mentre esistono alcuni esempi in cui non viene praticamente utilizzato e destinato alla produzione di vini bianchi secchi. Resta infine la muscadelle: di produzione molto irregolare, sensibile alle malattie e in particolare alla muffa nella sua forma non nobile, questo vitigno presenta anche una nota aromatica piuttosto spiccata che tende a marcare eccessivamente il prodotto finale se usato in quantità eccessiva nel taglio. Ciò ha comportato una progressiva riduzione della sua presenza nei vigneti tanto che adesso, in quelle proprietà che ancora lo utilizzano, non supera mai la soglia del 5%. La densità di piantamento delle vigne è qui di circa 7000-7500 piante per ettaro e quindi inferiore a quanto si può riscontrare nei grandi cru del Médoc. Il tipo di potatura tradizionale per il semillon, almeno negli château più prestigiosi, è la "taille à cot" ovvero una potatura che lascia per ogni ceppo 2-3 speroni da 2-3 gemme ciascuno, che permettono di contenere la produzione e di limitare il vigore tipico di questo vitigno. La potatura a "cot" può essere poi utilizzata anche per il sauvignon sebbene molte proprietà, anche importanti, preferiscano oggi la potatura a Guyot doppio o semplice, con 7-8 gemme per ceppo, che permette di ottenere comunque validi risultati e che meglio si adatta al carattere di questo vitigno. LA BOTRYTIS CINEREA Questo fungo di natura assai complessa necessita di particolari condizioni climatiche perché si sviluppi in modo positivo e non degeneri in una banale e indesiderata muffa grigia. La particolare posizione della zona di Sauternes e di Barsac, più bassa rispetto alle aree circostanti, e il contemporaneo influsso del Ciron, della Garonna e dell'Oceano atlantico, fanno sì che queste condizioni si ripetano negli anni con la necessaria regolarità: brume mattutine durante il periodo vendemmiale, favorevoli allo sviluppo della botrytis, che lasciano il posto, nelle annate favorevoli, all'aria tersa e luminosa del giorno che favorisce la disidratazione degli LA VENDEMMIA Come detto la muffa nobile non ha uno sviluppo omogeneo sul grappolo e questo fa sì che la vendemmia non possa essere condotta con le stesse modalità in uso per i vini secchi. Per raggiungere i migliori risultati e il grado di concentrazione desiderato è necessario raccogliere solo quegli acini che hanno raggiunto lo stadio rôtì, o che comunque gli sono ormai prossimi (per ottenere un Sauternes di grande valore la gradazione naturale del mosto, espressa in alcol potenziale, deve essere compresa tra 19 e 21 gradi4, oltre si avrebbero infatti problemi di fermentazione e il vino perderebbe inoltre la sua tipicità). Per questo bisogna quindi effettuare più passaggi nel vigneto operando una severa selezione, detta "triage", che consiste nello scartare gli acini attaccati dal marciume acido, dalla muffa grigia o da altre muffe indesiderate e raccogliere solo quelli attaccati dalla muffa nobile: tanto più severa sarà l'operazione di triage, tanto migliore sarà il mosto ottenuto5. E' ovvio che nelle proprietà più estese, malgrado le squadre di vendemmiatori siano molto numerose, è impossibile che ogni passaggio venga effettuato in un solo giorno: l'insieme delle giornate che servono per completare il passaggio e il risultato che se ne ottiene, in termini di prodotto vendemmiato e di mosto, è detto "trie", anche se a volte con questo termine si può identificare anche un passaggio effettuato in un solo giorno su una singola parcella. Altrettanto impossibile è dire quante trie siano necessarie per completare la vendemmia - per legge non potrebbero essere meno di due. Infatti lo sviluppo non uniforme della botrytis, strettamente legato anche all'andamento climatico stagionale, non influisce solo sulle modalità di raccolta ma anche sui tempi6. Prendiamo per esempio due ottime annate come il 1988 e il 1990: la prima vendemmia si è svolta in un arco di tempo lungo, dai primi di ottobre a novembre inoltrato, con uno sviluppo della botrytis lento e progressivo, che ha dato ottimi risultati ma che ha costretto ad un numero elevato di passaggi (8 trie, nel caso di molte proprietà); il 1990, al contrario, è stato un millesimo molto precoce che ha permesso, cosa veramente eccezionale, di iniziare e finire la vendemmia prima degli château del Médoc, effettuando un numero di tri molto ridotto7. Da questo si conclude che il numero di trie effettuate non è direttamente proporzionale o non è comunque in relazione con la qualità del vino, così come non esiste un legame tra il periodo in cui viene effettuata una 25 archivio: SAUTERNES E MUFFA NOBILE importante - l'accelerazione del fenomeno di disidratazione grazie ad una più rapida evaporazione dell'acqua contenuta nella polpa. La botrytis è infatti anche una grande consumatrice di zuccheri e se insieme alla sua azione non ci fosse il simultaneo effetto dell'appassimento si otterrebbe una concentrazione complessiva troppo bassa per produrre un Sauternes degno di questo nome. Ecco allora perché un'annata troppo umida sarà di norma sfavorevole, poiché oltre a provocare uno sviluppo incontrollato della botrytis, non permetterà il giusto appassimento degli acini e quindi il raggiungimento della necessaria concentrazione zuccherina. Allo stesso modo un'annata troppo asciutta, non permettendo un adeguato sviluppo della botrytis, favorirà il solo processo di disidratazione che conferisce al vino sensazioni meno grasse e articolate di quelle invece più tipiche dello stadio rôtì. La differenza gustativa e aromatica tra i primi stadi e l'ultimo è poi davvero impressionante. L'acino non pourri - parlo del semillon - ha una buccia croccante, un succo abbastanza anonimo, mediamente zuccherino e senza particolari aromi. Lo stesso si può ripetere per l'acino pourri plein, che presenta soltanto una buccia più sottile a causa dell'azione del fungo. L'acino rôtì invece, superato il timore iniziale provocato dall'aspetto poco gradevole, è emozionante. La buccia, completamente digerita dal fungo, è ormai ridotta ad un sottilissimo foglio di carta velina che al primo contatto con la lingua si rompe e si dissolve progressivamente liberando, più che un succo, una confettura dagli aromi e dai sapori lunghissimi di scorza di arancia candita e di frutti tropicali maturi, che nelle grandi annate si ritroveranno poi inalterati per lungo tempo nel vino3. Dimenticavo: condizione essenziale per produrre un ottimo Sauternes è che la muffa si sviluppi su uva perfettamente matura, altrimenti - anche nell'ipotesi di un decorso ottimale del fungo - il risultato finale presenterebbe comunque degli squilibri organolettici. ENOGEA - II SERIE - N. 12 acini attaccati dalla muffa nobile. Ma vediamo di scendere nel dettaglio. La prima cosa che bisogna comprendere, perché ne farà capire altre più avanti, è che per sua natura la botrytis cinerea non ha uno sviluppo omogeneo sul grappolo e proprio per questo motivo, sempre sullo stesso grappolo, si possono trovare acini che presentano diversi stadi di sviluppo del fungo. In particolare se ne possono identificare tre. Il primo, detto generalmente - e a torto - "non pourri", presenta un acino sferico, dorato, con piccole macchie scure che sono il segno dei primi attacchi della botrytis. Questo stadio, che nelle mille sfaccettature del gergo di vendemmia è detto anche "roux", è seguito dal "pourri plein", in cui la bacca assume una colorazione rosa-violacea, la forma dell'acino è ancora sferica ma la botrytis ha già iniziato a degradare e a "digerire" la buccia (senza tuttavia penetrare a fondo nella polpa, dove le condizioni sono sfavorevoli al suo sviluppo). L'ultimo stadio è quello detto "rôtì" - o da alcuni anche "confit" - ed è il più ricercato. L'acino assume una colorazione marrone scuro e un aspetto raggrinzito, reso a volte poco invitante da uno strato di micelio più o meno sottile. Per i perfezionisti la presenza di questo strato di micelio - ben diverso comunque dallo sviluppo degenerato e abnorme della muffa grigia - non rappresenta ancora lo stadio ottimale. Secondo Pierre Dubourdieu, proprietario di Château Doisy Daëne a Barsac, il massimo sì raggiunge quando, come nel lontano 1955, si ottiene una forma di botrytis che si protrebbe definire "rientrata", in cui cioè i conidi del fungo non escono dalla buccia per conferire all'acino l'aspetto leggermente "peloso", bensì si sviluppano al suo interno. Se si riesce a conseguire questo livello di botrytizzazione i risultati sono straordinari e le sensazioni gustative e aromatiche sono di incomparabile finezza. La stadio di evoluzione rôtì è il risultato di due fenomeni simultanei: l'azione della botrytis in forma larvata e la contemporanea disidratazione dell'acino. Il primo è legato a trasformazioni biochimiche, mentre il secondo è un insieme di trasformazioni fisicochimiche. La botrytis degrada infatti gli acidi organici contenuti nell''acino, degrada la buccia, assottigliandola, e permette in questo modo - cosa molto 26 archivio: SAUTERNES E MUFFA NOBILE ENOGEA - II SERIE - N. 12 trie e la qualità del prodotto finale. In altre parole non è detto che un vino ottenuto da una tri molto tardiva sia necessariamente migliore di quello ottenuto da una trie molto precoce, e viceversa. Ma come si svolge allora questa selezione così importante per la qualità di un vino da muffa nobile? La leggenda vuole che venga effettuata esclusivamente acino per acino, ma le proprietà che seguono questo procedimento sono rarissime, se non addirittura nessuna - lo stesso Château d'Yquem ricorre in diversi casi ad una vendemmia per parti di grappolo, che attualmente è di sicuro il metodo di raccolta più diffuso. Del resto, se è vero infatti che la cosa più importante è che gli acini attaccati dalla muffa nobile abbiano raggiunto il massimo grado di concentrazione, e cioè lo stadio rôtì, è altrettanto vero che il metodo di raccolta deve essere ragionato e adattato alle condizioni del momento. Quando lo sviluppo della muffa nobile è molto eterogeneo e si vogliono raggiungere i massimi livelli di qualità, la scelta acino per acino si impone, ma quando lo sviluppo è omogeneo e si può procedere per parti di grappolo sarebbe sciocco e soprattutto antieconomico fare diversamente. Ecco allora che alcuni passaggi possono essere fatti acino per acino e altri per parti di grappolo o, molto più raramente, a grappoli interi quando la concentrazione degli acini rôtì è così elevata che risulta necessario vendemmiare anche degli acini non botrytizzati per diminuire la gradazione potenziale del mosto8. Un fattore che influisce però sulle modalità di selezione è anche il tipo e soprattutto il grado di preparazione della manodopera oggi disponibile. Purtroppo, come in tantissime regioni vitivinicole, la manodopera locale e in particolare quella specializzata e innamorata del proprio lavoro è andata via via scomparendo, lasciando per forza di cose spazio a lavoratori stagionali scarsamente o per nulla legati al territorio e a un tipo così particolare di vendemmia. E a questo proposito, sempre Pierre Dubourdieu ricorda come un tempo la bravura delle vendemmiatrici - che allora erano la maggioranza - venisse giudicata dalle loro mani nel momento in cui svuotavano il cesto: le più brave le avevano asciutte, mentre le altre le avevano più o meno bagnate di mosto. Oggi purtroppo è un discorso che non si può più fare ed è anche per questo che in molto casi, per evitare di rovinare gli acini che devono ancora restare sulla pianta in attesa di raggiungere il giusto grado di concentrazione, si preferisce rinunciare ad un'operazione chirurgica come la selezione acino per acino. Detto ciò, resta ora da vedere un'ultima tecnica, da molti sfruttata nelle ultime tre difficili vendemmie (1991, 1992 e 1993): la crioestrazione. Questo sistema, che ha fatto la sua prima comparsa nel 1987 e in seguito è rimasto praticamente inutilizzato vista la bontà delle annate, permette nelle vendemmie difficili di risolvere, almeno in parte, i problemi legati a piogge indesiderate. Da molti ritenuto un metodo di selezione del tutto analogo ad una trie manuale in campo, questa tecnica consiste nel porre le uve raccolte a congelare in appositi locali e, dopo circa 24 ore, procedere alla pressatura di modo che gli acini meno ricchi di zucchero, essendo ghiacciati, non possano più rilasciare il loro mosto, mentre quelli più dolci, ancora molli, riescono ad essere pigiati. Ad ogni modo non bisogna lasciarsi ingannare: questo è soltanto un rimedio a condizioni climatiche sfavorevoli e non una scorciatoia per ottenere grandi risultati con il minimo sforzo (anche Château d'Yquem, tanto per fare un nome prestigioso, ha iniziato a sperimentare la crioestrazione nel 1987, ma a quanto risulta ufficialmente nessun vino ottenuto con questa tecnica è mai stato utilizzato nel taglio finale). In altre parole, se le uve sono scadenti e male selezionate sarà comunque impossibile ricavarne un buon prodotto, anzi, come ogni processo di questo genere, anche la crioestrazione concentra sia il buono che il cattivo (e questo è uno dei motivi che hanno spinto diversi produttori a non vedere di buon occhio questo procedimento... anche se poi alcune annate poco felici hanno spinto molte persone a ricredersi...)9. LA CANTINA Crioestrazione sì, crioestrazione no, le uve vengono pigiate. E se ancora oggi diversi château utilizzano il torchio idraulico verticale (primo fra tutti Château d'Yquem) altrettante aziende si sono convertite alla pressa pneumatica che permette di ottenere risultati paragonabili a quelli del torchio, almeno in termini di pulizia del mosto, con il vantaggio però di rendere più veloci e meno manuali alcune operazioni10. In tutti i casi le uve vengono pigiate il più possibile e ogni pressata viene utilizzata, persino l'ultima, che in genere è anche la più ricca e zuccherina. Dopodiché si procede alla pulizia del mosto, di norma senza alcuna aggiunta di bentonite o altri chiarificanti, e dopo circa una notte il mosto viene messo a fermentare in vasche di acciaio o in barrique a seconda del produttore, e spesso senza uso di lieviti selezionati. La disputa tra fermentazione in vasca e fermentazione in barrique è lunga e non ancora risolta, perché ci sono problemi tecnici e di quantità (è molto più facile controllare la fermentazione di poche vasche piuttosto che quella di 500 barrique) e problemi di filosofia aziendale: château come Rieussec e Suduiraut praticano (con alcune eccezioni per il secondo) esclusivamente la fermentazione in vasca, mentre Yquem e La Tour Blanche fermentano soltanto in barrique nuove 11. La cosa certa è che negli anni '80 c'è stato un sensibile ritorno al legno dopo che negli anni '70 molte proprietà, a causa dei problemi economici derivanti dalle disastrose vendemmie degli anni '60, avevano ridotto l'uso delle barrique - in diversi casi la crisi era stata così acuta da costringere i proprietari a mettere in vendita i propri château. Malgrado questo ci sono ottimi vini degli anni '70 che pur avendo fatto pochissimo legno, se non addirittura nulla, sono ancora oggi molto buoni e forniscono un valido sostegno alle tesi di chi critica l'uso massiccio del rovere. Al di là di queste considerazioni, dopo la fermentazione, che si arresta in genere quando viene raggiunta una gradazione svolta di 13.5-14.5%12, i vini vengono travasati e affinati in barrique per un periodo medio di 1624 mesi a seconda della proprietà e dell'importanza dell'annata, con la sola eccezione di Château d'Yquem che eleva i suoi vini per 42 mesi in rovere nuovo. Naturalmente, viste le modalità di raccolta, i migliori produttori tengono ben separate le varie trie e addirittura a volte anche i vari giorni di vendemmia e solo durante il periodo di permanenza in legno procedono, per gradi, alla selezione e all'assemblaggio delle partite migliori destinate al taglio finale del "grand vin". Il resto viene invece utilizzato per la produzione del secondo vino, oppure venduto all'ingrosso. Note: 1) Anche se non ho trovato nulla che lo confermi, questa affermazione non dovrebbe essere più valida e l'unica denominazione utilizzabile, anche dai produttori di Barsac, è Sauternes. 2) Il drenaggio a Yquem, così come in altre proprietà, non è comunque cosa recente, ed è anzi praticato almeno dal 1800, se non di più. 3) Chiaramente non sempre le cose vanno per il verso giusto e può capitare - non di rado - che la botrytis abbia degli sviluppi anomali, a volte nemmeno apprezzabili a livello visivo, che possono portare alla produzione di gusti meno nobili di quelli descritti e classificabili in senso generale con l'aggettivo "iodato" (carattere riscontrabile con una certa regolarità nelle annate più difficili). Queste deviazioni nello sviluppo della botrytis hanno poi un effetto non trascurabile sul comportamento del vino nei confronti della solforosa. Più la muffa sarà "pura" e meno il vino tenderà infatti a "combinare". Meno la muffa sarà "pura" e più invece avremo bisogno di aggiunte periodiche di solforosa per 8) Nella pratica, dato che lo sviluppo della muffa nobile può cambiare da pianta a pianta e da grappolo a grappolo, la cosa più probabile è che la raccolta acino per acino e per parti di grappolo vengano alternate nel corso della stessa trie. 9) Al contrario di altre zone viticole, come per esempio l'Alsazia, qui a Sauternes resta sempre e comunque concessa la pratica tradizionale dello zuccheraggio, tema sul quale ogni tanto si torna a discutere e sul quale ci sono opinioni anche molto diverse. Personalmente sono convinto che come tutti gli interventi correttivi, se usato con criterio, non sia in contrasto con lo "spirito produttivo" di questo vino e - quando necessario - sia da ritenere soltanto migliorativo. 10) Nel periodo di interregno tra il torchio e la pressa pneumatica molte aziende hanno utilizzato la classica pressa meccanica orizzontale (ancora oggi in uso in qualche château), che se da un lato velocizza alcune operazioni, al pari della pressa pneumatica, dall'altro produce un mosto più torbido e una quantità molto maggiore di fecce, sia rispetto al torchio che alla pressa pneumatica. E questo - in vino caratterizzato da rese già molto esigue - non è certo un dato positivo. 11) A questo proposito, dal 1994 ad oggi molte cose sono cambiate e un numero sempre maggiore di proprietà, comprese Rieussec e Suduiraut, sono passate in modo convinto alla fermentazione in rovere. Ripensando ad alcune annate del passato - e come ho scritto del resto anche nell'articolo - rimango convinto che questa pratica sia soltanto un piccolo tassello nel quadro produttivo generale e che presa isolatamente non sia da ritenere per forza un sinonimo di qualità superiore. 12) La gradazione svolta dipende chiaramente anche dalla ricchezza iniziale del mosto: più è concentrato e più la gradazione svolta finale tenderà ad essere bassa. Bisogna però anche dire che non sempre la fermentazione si ferma da sola, ma in certi casi può essere bloccata con aggiunte anche considerevoli di anidride solforosa. I vini possono poi essere lasciati sulle proprie fecce o addirittura filtrati in modo più o meno fine, anche se di nuovo le scuole di pensiero a questo proposito sono diverse e contrastanti (salvo poi risultare equivalenti nella qualità del prodotto finale). 27 archivio: SAUTERNES E MUFFA NOBILE mantenere il livello desiderato di SO2 libera nel vino. 4) Se questo intervallo di gradazioni era considerato normale almeno fino alla metà degli anni '90, a partire dalla fine dello stesso decennio si è assistito ad un progressivo innalzamento naturale della gradazione - legato esclusivamente ai cambiamenti climatici - tanto che oggi non è raro imbattersi in mosti con 24 gradi di alcol potenziale e a volte anche di più. Cosa che un tempo - lo ribadisco - sarebbe stata considerata non solo atipica e dunque deplorevole, ma anche inadatta ad una corretta e soprattutto tranquilla vinificazione. 5) Non di rado, specie nelle annate più difficili, può capitare che la prima trie - ma anche una di quelle intermedie - sia preceduta da una trie di "pulizia" o "trie sanitaire" il cui scopo è soltanto quello di eliminare gli acini, i grappoli o le parti di grappolo degradate soprattutto dal marciume acido, in attesa che le parti attaccate dalla muffa nobile raggiungano la giusta concentrazione. Questo permette non solo di limitare i danni, evitando che il problema si diffonda ulteriormente, ma anche di facilitare il successivo lavoro di selezione della muffa nobile lasciata in pianta. E' da notare inoltre come alla fine della vendemmia, tutto ciò che non è stato raccolto venga di norma tagliato e lasciato sul terreno, almeno nelle proprietà più prestigiose (a Yquem è la regola). 6) Il fatto che la muffa nobile abbia in genere uno sviluppo eterogeneo e che alcune parcelle di vigna risultino più tardive o più precoci rispetto alla media (sempre in termini di sviluppo della muffa nobile), può far sì che il lavoro di triage proceda con tempi diversi a seconda delle parcelle (in altre parole, se in una parte del vigneto si sta svolgendo per esempio la quinta trie, in un'altra può capitare di essere ancora alla terza). 7) A questo proposito, e sempre in relazione alle mutate condizioni climatiche, se un tempo una vendemmia come il 1990 poteva essere considerata un'eccezione (e in buona parte lo è ancora), oggi iniziare la vendemmia ai primi di settembre e chiuderla entro la metà di ottobre è diventato quasi la regola. Un anticipo dunque considerevole e di sicuro ben superiore a quanto riscontrabile nel mondo dei vini rossi, dove l'inizio di ottobre - almeno per i cabernet - resta ancora abbastanza un punto di riferimento. ENOGEA - II SERIE - N. 12 LA CLASSIFICAZIONE DELLE AZIENDE Come avvenuto per gli château del Médoc, anche le proprietà del Sauternais nel 1855 sono state oggetto di una classificazione da parte del Syndicat des Courtiers de Bordeaux, eseguita su esplicita richiesta della Camera di Commercio della stessa città in occasione dell'Esposizione Universale di Parigi di quell'anno. Questa classificazione, diversamente dal Médoc, prevedeva però - e tuttora prevede - tre sole categorie o titoli in luogo di cinque: premier cru superieur, assegnato al solo Château d'Yquem e non previsto nella classificazione del Médoc, premier cru, assegnato a nove château, e infine deuxième cru, assegnato a undici château. Attualmente le proprietà che possono fregiarsi del titolo di premier cru sono però undici, mentre quelle che rientrano nella categoria dei deuxième cru sono quattordici, e questo non perché si sia proceduto ad un aggiornamento della classificazione nel corso degli anni (eventualità ancora oggi alquanto remota), ma più semplicemente perché alcuni château sono stati divisi in più proprietà, ognuna delle quali ha conservato il grado di classificazione dello château di origine.