ARCHIVIO: SAuTERnES E MuFFA nOBILE

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ARCHIVIO: SAuTERnES E MuFFA nOBILE
ARCHIVIO: sauternes
E muffa nobile
Resoconto
ENOGEA - II SERIE - N. 12
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dettagliato sulla
zona e sulla tecniche produttive
di uno dei vini dolci di riferimento.
Al contrario dell'approfondimento
dedicato alla Valpolicella (pubblicato
nel numero 10 di Enogea) questo
articolo che ho deciso di riproporre, e
che nella sua versione originale comprendeva anche una parte piuttosto
corposa sulle annate e sulle aziende,
fu pubblicato anche in Italia, e più
precisamente su L'Etichetta e su Ex
Vinis, all'inizio del 1994. Come per
l'articolo dedicato alla Valpolicella,
anche in questo caso ho preferito
invece aggiornare alcune parti che
altrimenti sarebbero risultate obsolete
e soprattutto fuorvianti (in particolare
nella sezione dedicata alla vinificazione). Per rendere più evidenti queste
evoluzioni ho preferito tuttavia ricorrere a delle note, in modo da fornirvi
sia il prima che il dopo.
LA ZONA
La denominazione Sauternes conta
attualmente circa 2000 ettari di vigna
e comprende cinque comuni della riva
sinistra della Garonna: Sauternes,
Fargues, Bommes, Preignac e Barsac.
Quest'ultimo comune, situato pochi
chilometri a nord-ovest di Sauternes,
e quindi più spostato verso Bordeaux,
ha diritto anche alla denominazione
comunale Barsac e i suoi produttori possono chiamare il loro vino
Sauternes oppure Barsac, indifferentemente1. I limiti imposti dalla legislazione sono comunque identici, sia
in termini di vitigni che di gradazione
minima richiesta e di resa massima
per ettaro, e ciò che varia è quindi
sostanzialmente il terreno. La resa
per ettaro in particolare è fissata 25
ettolitri, limite molto basso in senso
assoluto ma piuttosto generoso se
riferito alla particolare produzione di
questo vino - i migliori cru della zona
hanno infatti produzioni che oscillano
normalmente tra i 9 e i 15 ettolitri per
ettaro, dove quest'ultimo limite è già
piuttosto elevato.
Pur nella loro vicinanza, la zona di
Barsac e il resto del Sauternais presentano notevoli differenze a livello
pedologico. Formato da quattro diverse terrazze che digradano verso la
Garonna, il terreno di Sauternes si
presenta di volta in volta ghiaioso,
argilloso, sabbioso, calcareo o con
una mescolanza delle varie componenti e con un sottosuolo molto spesso argilloso, anche se non mancano
esempi calcarei o ghiaiosi. I terreni su
cui sono collocati i migliori cru hanno
comunque una natura ghiaiosa superficiale e una prevalenza argillosa nel
sottosuolo, in particolare nella fascia
collinare che guarda la Garonna e
che si sviluppa da Rieussec a Rayne
Vigneau e a La Tour Blanche, passando attraverso Yquem - l'argillosità del sottosuolo è la caratteristica
principale di molte parcelle di questa
proprietà, caratteristica che obbliga
perciò a drenare il terreno per evitare ristagni di acqua che avrebbero
conseguenze negative sul regolare
sviluppo della botrytis2.
La fascia collinare di Sauternes,
Bommes e Fargues - la cui quota
altimetrica massima supera di poco
i 70 m s.l.m. - presenta inoltre un
andamento piuttosto ondulato che si
traduce in una certa variabilità delle
esposizioni, in particolare all'interno
di alcune proprietà. Questa variabilità, che unita alla mutevolezza del
terreno provoca sensibili differenze
nei tempi di maturazione e di sviluppo
della botrytis anche tra parcelle confinati, diventa progressivamente meno
importante via via che ci si sposta
verso la Garonna e Preignac.
La zona di Barsac, separata da quella
di Sauternes dal fiume Ciron, presenta invece un andamento pianeggiante con una leggera inclinazione
verso est. Il terreno è generalmente
argillo-calcareo - caratteristica predominante nelle migliori proprietà di
Barsac - anche se non mancano
degli esempi, nella zona a sud-ovest,
di terreni ghiaioso-sabbiosi. Il sottosuolo è invece a prevalenza calcarea
e spesso poco profondo, il che comporta, in annate siccitose, problemi di
carenza idrica.
LE UVE E LA POTATURA
Se il disciplinare di produzione non
prevede percentuali precise per i tre
vitigni che concorrono alla produzione
del Sauternes - semillon, sauvignon e
muscadelle - la necessità e l'esperienza hanno assegnato il ruolo di primattore al semillon, la cui percentuale nei
vini varia di norma, a seconda delle
proprietà, tra il 60 e il 90%. Il semillon
si presta infatti meglio e con più rego-
larità all'attacco della muffa nobile,
mentre il sauvignon oltre a essere più
resistente viene di norma attaccato in
modo e con risultati più eterogenei.
Ecco allora perché la percentuale di
sauvignon nel vino raggiunge raramente il 30%, mentre esistono alcuni
esempi in cui non viene praticamente
utilizzato e destinato alla produzione
di vini bianchi secchi. Resta infine
la muscadelle: di produzione molto
irregolare, sensibile alle malattie e in
particolare alla muffa nella sua forma
non nobile, questo vitigno presenta
anche una nota aromatica piuttosto
spiccata che tende a marcare eccessivamente il prodotto finale se usato
in quantità eccessiva nel taglio. Ciò
ha comportato una progressiva riduzione della sua presenza nei vigneti
tanto che adesso, in quelle proprietà
che ancora lo utilizzano, non supera
mai la soglia del 5%.
La densità di piantamento delle vigne
è qui di circa 7000-7500 piante per
ettaro e quindi inferiore a quanto si
può riscontrare nei grandi cru del
Médoc. Il tipo di potatura tradizionale
per il semillon, almeno negli château
più prestigiosi, è la "taille à cot" ovvero una potatura che lascia per ogni
ceppo 2-3 speroni da 2-3 gemme ciascuno, che permettono di contenere
la produzione e di limitare il vigore
tipico di questo vitigno. La potatura a
"cot" può essere poi utilizzata anche
per il sauvignon sebbene molte proprietà, anche importanti, preferiscano
oggi la potatura a Guyot doppio o
semplice, con 7-8 gemme per ceppo,
che permette di ottenere comunque
validi risultati e che meglio si adatta
al carattere di questo vitigno.
LA BOTRYTIS CINEREA
Questo fungo di natura assai complessa necessita di particolari condizioni climatiche perché si sviluppi
in modo positivo e non degeneri in
una banale e indesiderata muffa grigia. La particolare posizione della
zona di Sauternes e di Barsac, più
bassa rispetto alle aree circostanti, e
il contemporaneo influsso del Ciron,
della Garonna e dell'Oceano atlantico, fanno sì che queste condizioni si
ripetano negli anni con la necessaria
regolarità: brume mattutine durante il
periodo vendemmiale, favorevoli allo
sviluppo della botrytis, che lasciano il posto, nelle annate favorevoli,
all'aria tersa e luminosa del giorno
che favorisce la disidratazione degli
LA VENDEMMIA
Come detto la muffa nobile non ha
uno sviluppo omogeneo sul grappolo
e questo fa sì che la vendemmia non
possa essere condotta con le stesse
modalità in uso per i vini secchi. Per
raggiungere i migliori risultati e il
grado di concentrazione desiderato
è necessario raccogliere solo quegli
acini che hanno raggiunto lo stadio
rôtì, o che comunque gli sono ormai
prossimi (per ottenere un Sauternes
di grande valore la gradazione naturale del mosto, espressa in alcol potenziale, deve essere compresa tra 19
e 21 gradi4, oltre si avrebbero infatti
problemi di fermentazione e il vino
perderebbe inoltre la sua tipicità). Per
questo bisogna quindi effettuare più
passaggi nel vigneto operando una
severa selezione, detta "triage", che
consiste nello scartare gli acini attaccati dal marciume acido, dalla muffa
grigia o da altre muffe indesiderate e
raccogliere solo quelli attaccati dalla
muffa nobile: tanto più severa sarà
l'operazione di triage, tanto migliore
sarà il mosto ottenuto5. E' ovvio che
nelle proprietà più estese, malgrado
le squadre di vendemmiatori siano
molto numerose, è impossibile che
ogni passaggio venga effettuato in un
solo giorno: l'insieme delle giornate
che servono per completare il passaggio e il risultato che se ne ottiene, in
termini di prodotto vendemmiato e di
mosto, è detto "trie", anche se a volte
con questo termine si può identificare
anche un passaggio effettuato in un
solo giorno su una singola parcella.
Altrettanto impossibile è dire quante
trie siano necessarie per completare
la vendemmia - per legge non potrebbero essere meno di due. Infatti lo
sviluppo non uniforme della botrytis,
strettamente legato anche all'andamento climatico stagionale, non influisce solo sulle modalità di raccolta
ma anche sui tempi6. Prendiamo per
esempio due ottime annate come il
1988 e il 1990: la prima vendemmia si
è svolta in un arco di tempo lungo, dai
primi di ottobre a novembre inoltrato,
con uno sviluppo della botrytis lento e
progressivo, che ha dato ottimi risultati ma che ha costretto ad un numero
elevato di passaggi (8 trie, nel caso di
molte proprietà); il 1990, al contrario,
è stato un millesimo molto precoce
che ha permesso, cosa veramente
eccezionale, di iniziare e finire la
vendemmia prima degli château del
Médoc, effettuando un numero di tri
molto ridotto7.
Da questo si conclude che il numero
di trie effettuate non è direttamente
proporzionale o non è comunque in
relazione con la qualità del vino,
così come non esiste un legame tra
il periodo in cui viene effettuata una
25 archivio: SAUTERNES E MUFFA NOBILE
importante - l'accelerazione del fenomeno di disidratazione grazie ad una
più rapida evaporazione dell'acqua
contenuta nella polpa. La botrytis è
infatti anche una grande consumatrice
di zuccheri e se insieme alla sua azione non ci fosse il simultaneo effetto
dell'appassimento si otterrebbe una
concentrazione complessiva troppo
bassa per produrre un Sauternes
degno di questo nome. Ecco allora
perché un'annata troppo umida sarà
di norma sfavorevole, poiché oltre a
provocare uno sviluppo incontrollato
della botrytis, non permetterà il giusto
appassimento degli acini e quindi il
raggiungimento della necessaria concentrazione zuccherina. Allo stesso
modo un'annata troppo asciutta, non
permettendo un adeguato sviluppo
della botrytis, favorirà il solo processo di disidratazione che conferisce
al vino sensazioni meno grasse e
articolate di quelle invece più tipiche
dello stadio rôtì.
La differenza gustativa e aromatica
tra i primi stadi e l'ultimo è poi davvero impressionante. L'acino non pourri
- parlo del semillon - ha una buccia croccante, un succo abbastanza
anonimo, mediamente zuccherino e
senza particolari aromi. Lo stesso si
può ripetere per l'acino pourri plein,
che presenta soltanto una buccia più
sottile a causa dell'azione del fungo.
L'acino rôtì invece, superato il timore
iniziale provocato dall'aspetto poco
gradevole, è emozionante. La buccia,
completamente digerita dal fungo, è
ormai ridotta ad un sottilissimo foglio
di carta velina che al primo contatto
con la lingua si rompe e si dissolve
progressivamente liberando, più che
un succo, una confettura dagli aromi
e dai sapori lunghissimi di scorza
di arancia candita e di frutti tropicali
maturi, che nelle grandi annate si
ritroveranno poi inalterati per lungo
tempo nel vino3.
Dimenticavo: condizione essenziale
per produrre un ottimo Sauternes è
che la muffa si sviluppi su uva perfettamente matura, altrimenti - anche
nell'ipotesi di un decorso ottimale del
fungo - il risultato finale presenterebbe
comunque degli squilibri organolettici.
ENOGEA - II SERIE - N. 12
acini attaccati dalla muffa nobile. Ma
vediamo di scendere nel dettaglio.
La prima cosa che bisogna comprendere, perché ne farà capire altre
più avanti, è che per sua natura la
botrytis cinerea non ha uno sviluppo
omogeneo sul grappolo e proprio per
questo motivo, sempre sullo stesso
grappolo, si possono trovare acini che
presentano diversi stadi di sviluppo
del fungo. In particolare se ne possono identificare tre. Il primo, detto
generalmente - e a torto - "non pourri", presenta un acino sferico, dorato,
con piccole macchie scure che sono il
segno dei primi attacchi della botrytis.
Questo stadio, che nelle mille sfaccettature del gergo di vendemmia
è detto anche "roux", è seguito dal
"pourri plein", in cui la bacca assume una colorazione rosa-violacea, la
forma dell'acino è ancora sferica ma
la botrytis ha già iniziato a degradare
e a "digerire" la buccia (senza tuttavia
penetrare a fondo nella polpa, dove
le condizioni sono sfavorevoli al suo
sviluppo).
L'ultimo stadio è quello detto "rôtì"
- o da alcuni anche "confit" - ed
è il più ricercato. L'acino assume
una colorazione marrone scuro e un
aspetto raggrinzito, reso a volte poco
invitante da uno strato di micelio più
o meno sottile. Per i perfezionisti la
presenza di questo strato di micelio
- ben diverso comunque dallo sviluppo degenerato e abnorme della
muffa grigia - non rappresenta ancora
lo stadio ottimale. Secondo Pierre
Dubourdieu, proprietario di Château
Doisy Daëne a Barsac, il massimo sì
raggiunge quando, come nel lontano
1955, si ottiene una forma di botrytis
che si protrebbe definire "rientrata", in
cui cioè i conidi del fungo non escono dalla buccia per conferire all'acino l'aspetto leggermente "peloso",
bensì si sviluppano al suo interno. Se
si riesce a conseguire questo livello di botrytizzazione i risultati sono
straordinari e le sensazioni gustative
e aromatiche sono di incomparabile
finezza.
La stadio di evoluzione rôtì è il risultato di due fenomeni simultanei: l'azione della botrytis in forma larvata e
la contemporanea disidratazione dell'acino. Il primo è legato a trasformazioni biochimiche, mentre il secondo
è un insieme di trasformazioni fisicochimiche. La botrytis degrada infatti
gli acidi organici contenuti nell''acino,
degrada la buccia, assottigliandola, e
permette in questo modo - cosa molto
26 archivio: SAUTERNES E MUFFA NOBILE
ENOGEA - II SERIE - N. 12
trie e la qualità del prodotto finale. In
altre parole non è detto che un vino
ottenuto da una tri molto tardiva sia
necessariamente migliore di quello
ottenuto da una trie molto precoce, e
viceversa.
Ma come si svolge allora questa
selezione così importante per la qualità di un vino da muffa nobile? La
leggenda vuole che venga effettuata esclusivamente acino per acino,
ma le proprietà che seguono questo procedimento sono rarissime, se
non addirittura nessuna - lo stesso
Château d'Yquem ricorre in diversi
casi ad una vendemmia per parti di
grappolo, che attualmente è di sicuro
il metodo di raccolta più diffuso. Del
resto, se è vero infatti che la cosa più
importante è che gli acini attaccati
dalla muffa nobile abbiano raggiunto
il massimo grado di concentrazione,
e cioè lo stadio rôtì, è altrettanto vero
che il metodo di raccolta deve essere
ragionato e adattato alle condizioni
del momento. Quando lo sviluppo
della muffa nobile è molto eterogeneo
e si vogliono raggiungere i massimi
livelli di qualità, la scelta acino per
acino si impone, ma quando lo sviluppo è omogeneo e si può procedere
per parti di grappolo sarebbe sciocco e soprattutto antieconomico fare
diversamente. Ecco allora che alcuni
passaggi possono essere fatti acino
per acino e altri per parti di grappolo
o, molto più raramente, a grappoli
interi quando la concentrazione degli
acini rôtì è così elevata che risulta
necessario vendemmiare anche degli
acini non botrytizzati per diminuire la
gradazione potenziale del mosto8.
Un fattore che influisce però sulle
modalità di selezione è anche il tipo
e soprattutto il grado di preparazione della manodopera oggi disponibile. Purtroppo, come in tantissime
regioni vitivinicole, la manodopera
locale e in particolare quella specializzata e innamorata del proprio
lavoro è andata via via scomparendo,
lasciando per forza di cose spazio
a lavoratori stagionali scarsamente
o per nulla legati al territorio e a un
tipo così particolare di vendemmia.
E a questo proposito, sempre Pierre
Dubourdieu ricorda come un tempo
la bravura delle vendemmiatrici - che
allora erano la maggioranza - venisse
giudicata dalle loro mani nel momento
in cui svuotavano il cesto: le più brave
le avevano asciutte, mentre le altre
le avevano più o meno bagnate di
mosto. Oggi purtroppo è un discorso
che non si può più fare ed è anche
per questo che in molto casi, per evitare di rovinare gli acini che devono
ancora restare sulla pianta in attesa
di raggiungere il giusto grado di concentrazione, si preferisce rinunciare
ad un'operazione chirurgica come la
selezione acino per acino.
Detto ciò, resta ora da vedere un'ultima tecnica, da molti sfruttata nelle
ultime tre difficili vendemmie (1991,
1992 e 1993): la crioestrazione.
Questo sistema, che ha fatto la sua
prima comparsa nel 1987 e in seguito
è rimasto praticamente inutilizzato
vista la bontà delle annate, permette
nelle vendemmie difficili di risolvere,
almeno in parte, i problemi legati a
piogge indesiderate. Da molti ritenuto
un metodo di selezione del tutto analogo ad una trie manuale in campo,
questa tecnica consiste nel porre le
uve raccolte a congelare in appositi
locali e, dopo circa 24 ore, procedere
alla pressatura di modo che gli acini
meno ricchi di zucchero, essendo
ghiacciati, non possano più rilasciare il loro mosto, mentre quelli più
dolci, ancora molli, riescono ad essere pigiati. Ad ogni modo non bisogna
lasciarsi ingannare: questo è soltanto
un rimedio a condizioni climatiche
sfavorevoli e non una scorciatoia per
ottenere grandi risultati con il minimo
sforzo (anche Château d'Yquem, tanto
per fare un nome prestigioso, ha iniziato a sperimentare la crioestrazione
nel 1987, ma a quanto risulta ufficialmente nessun vino ottenuto con
questa tecnica è mai stato utilizzato
nel taglio finale). In altre parole, se le
uve sono scadenti e male selezionate
sarà comunque impossibile ricavarne
un buon prodotto, anzi, come ogni
processo di questo genere, anche la
crioestrazione concentra sia il buono
che il cattivo (e questo è uno dei motivi che hanno spinto diversi produttori
a non vedere di buon occhio questo
procedimento... anche se poi alcune
annate poco felici hanno spinto molte
persone a ricredersi...)9.
LA CANTINA
Crioestrazione sì, crioestrazione no,
le uve vengono pigiate. E se ancora
oggi diversi château utilizzano il torchio idraulico verticale (primo fra tutti
Château d'Yquem) altrettante aziende si sono convertite alla pressa
pneumatica che permette di ottenere risultati paragonabili a quelli del
torchio, almeno in termini di pulizia
del mosto, con il vantaggio però di
rendere più veloci e meno manuali
alcune operazioni10. In tutti i casi le
uve vengono pigiate il più possibile e
ogni pressata viene utilizzata, persino
l'ultima, che in genere è anche la più
ricca e zuccherina. Dopodiché si procede alla pulizia del mosto, di norma
senza alcuna aggiunta di bentonite
o altri chiarificanti, e dopo circa una
notte il mosto viene messo a fermentare in vasche di acciaio o in barrique
a seconda del produttore, e spesso
senza uso di lieviti selezionati. La
disputa tra fermentazione in vasca
e fermentazione in barrique è lunga
e non ancora risolta, perché ci sono
problemi tecnici e di quantità (è molto
più facile controllare la fermentazione
di poche vasche piuttosto che quella
di 500 barrique) e problemi di filosofia
aziendale: château come Rieussec e
Suduiraut praticano (con alcune eccezioni per il secondo) esclusivamente
la fermentazione in vasca, mentre
Yquem e La Tour Blanche fermentano
soltanto in barrique nuove 11. La cosa
certa è che negli anni '80 c'è stato un
sensibile ritorno al legno dopo che
negli anni '70 molte proprietà, a causa
dei problemi economici derivanti dalle
disastrose vendemmie degli anni '60,
avevano ridotto l'uso delle barrique
- in diversi casi la crisi era stata così
acuta da costringere i proprietari a
mettere in vendita i propri château.
Malgrado questo ci sono ottimi vini
degli anni '70 che pur avendo fatto
pochissimo legno, se non addirittura
nulla, sono ancora oggi molto buoni e
forniscono un valido sostegno alle tesi
di chi critica l'uso massiccio del rovere. Al di là di queste considerazioni,
dopo la fermentazione, che si arresta
in genere quando viene raggiunta una
gradazione svolta di 13.5-14.5%12,
i vini vengono travasati e affinati in
barrique per un periodo medio di 1624 mesi a seconda della proprietà
e dell'importanza dell'annata, con la
sola eccezione di Château d'Yquem
che eleva i suoi vini per 42 mesi in
rovere nuovo. Naturalmente, viste le
modalità di raccolta, i migliori produttori tengono ben separate le varie
trie e addirittura a volte anche i vari
giorni di vendemmia e solo durante
il periodo di permanenza in legno
procedono, per gradi, alla selezione e
all'assemblaggio delle partite migliori
destinate al taglio finale del "grand
vin". Il resto viene invece utilizzato
per la produzione del secondo vino,
oppure venduto all'ingrosso.
Note:
1) Anche se non ho trovato nulla che
lo confermi, questa affermazione non
dovrebbe essere più valida e l'unica
denominazione utilizzabile, anche dai
produttori di Barsac, è Sauternes.
2) Il drenaggio a Yquem, così come in
altre proprietà, non è comunque cosa
recente, ed è anzi praticato almeno
dal 1800, se non di più.
3) Chiaramente non sempre le cose
vanno per il verso giusto e può capitare - non di rado - che la botrytis
abbia degli sviluppi anomali, a volte
nemmeno apprezzabili a livello visivo,
che possono portare alla produzione
di gusti meno nobili di quelli descritti
e classificabili in senso generale con
l'aggettivo "iodato" (carattere riscontrabile con una certa regolarità nelle
annate più difficili). Queste deviazioni
nello sviluppo della botrytis hanno
poi un effetto non trascurabile sul
comportamento del vino nei confronti
della solforosa. Più la muffa sarà
"pura" e meno il vino tenderà infatti
a "combinare". Meno la muffa sarà
"pura" e più invece avremo bisogno di
aggiunte periodiche di solforosa per
8) Nella pratica, dato che lo sviluppo
della muffa nobile può cambiare da
pianta a pianta e da grappolo a grappolo, la cosa più probabile è che la
raccolta acino per acino e per parti di
grappolo vengano alternate nel corso
della stessa trie.
9) Al contrario di altre zone viticole,
come per esempio l'Alsazia, qui a
Sauternes resta sempre e comunque
concessa la pratica tradizionale dello
zuccheraggio, tema sul quale ogni
tanto si torna a discutere e sul quale
ci sono opinioni anche molto diverse. Personalmente sono convinto che
come tutti gli interventi correttivi, se
usato con criterio, non sia in contrasto
con lo "spirito produttivo" di questo
vino e - quando necessario - sia da
ritenere soltanto migliorativo.
10) Nel periodo di interregno tra il
torchio e la pressa pneumatica molte
aziende hanno utilizzato la classica
pressa meccanica orizzontale (ancora oggi in uso in qualche château),
che se da un lato velocizza alcune
operazioni, al pari della pressa pneumatica, dall'altro produce un mosto
più torbido e una quantità molto maggiore di fecce, sia rispetto al torchio
che alla pressa pneumatica. E questo
- in vino caratterizzato da rese già
molto esigue - non è certo un dato
positivo.
11) A questo proposito, dal 1994 ad
oggi molte cose sono cambiate e un
numero sempre maggiore di proprietà, comprese Rieussec e Suduiraut,
sono passate in modo convinto alla
fermentazione in rovere. Ripensando
ad alcune annate del passato - e
come ho scritto del resto anche nell'articolo - rimango convinto che questa pratica sia soltanto un piccolo tassello nel quadro produttivo generale
e che presa isolatamente non sia da
ritenere per forza un sinonimo di qualità superiore.
12) La gradazione svolta dipende
chiaramente anche dalla ricchezza
iniziale del mosto: più è concentrato e
più la gradazione svolta finale tenderà
ad essere bassa. Bisogna però anche
dire che non sempre la fermentazione
si ferma da sola, ma in certi casi può
essere bloccata con aggiunte anche
considerevoli di anidride solforosa. I
vini possono poi essere lasciati sulle
proprie fecce o addirittura filtrati in
modo più o meno fine, anche se di
nuovo le scuole di pensiero a questo
proposito sono diverse e contrastanti
(salvo poi risultare equivalenti nella
qualità del prodotto finale).
27 archivio: SAUTERNES E MUFFA NOBILE
mantenere il livello desiderato di SO2
libera nel vino.
4) Se questo intervallo di gradazioni
era considerato normale almeno fino
alla metà degli anni '90, a partire
dalla fine dello stesso decennio si
è assistito ad un progressivo innalzamento naturale della gradazione
- legato esclusivamente ai cambiamenti climatici - tanto che oggi non è
raro imbattersi in mosti con 24 gradi
di alcol potenziale e a volte anche di
più. Cosa che un tempo - lo ribadisco - sarebbe stata considerata non
solo atipica e dunque deplorevole,
ma anche inadatta ad una corretta e
soprattutto tranquilla vinificazione.
5) Non di rado, specie nelle annate
più difficili, può capitare che la prima
trie - ma anche una di quelle intermedie - sia preceduta da una trie di
"pulizia" o "trie sanitaire" il cui scopo
è soltanto quello di eliminare gli acini,
i grappoli o le parti di grappolo degradate soprattutto dal marciume acido,
in attesa che le parti attaccate dalla
muffa nobile raggiungano la giusta
concentrazione. Questo permette non
solo di limitare i danni, evitando che
il problema si diffonda ulteriormente,
ma anche di facilitare il successivo
lavoro di selezione della muffa nobile
lasciata in pianta. E' da notare inoltre
come alla fine della vendemmia, tutto
ciò che non è stato raccolto venga di
norma tagliato e lasciato sul terreno,
almeno nelle proprietà più prestigiose
(a Yquem è la regola).
6) Il fatto che la muffa nobile abbia
in genere uno sviluppo eterogeneo e
che alcune parcelle di vigna risultino
più tardive o più precoci rispetto alla
media (sempre in termini di sviluppo
della muffa nobile), può far sì che il
lavoro di triage proceda con tempi
diversi a seconda delle parcelle (in
altre parole, se in una parte del vigneto si sta svolgendo per esempio la
quinta trie, in un'altra può capitare di
essere ancora alla terza).
7) A questo proposito, e sempre in
relazione alle mutate condizioni climatiche, se un tempo una vendemmia
come il 1990 poteva essere considerata un'eccezione (e in buona parte lo
è ancora), oggi iniziare la vendemmia
ai primi di settembre e chiuderla entro
la metà di ottobre è diventato quasi la
regola. Un anticipo dunque considerevole e di sicuro ben superiore a quanto
riscontrabile nel mondo dei vini rossi,
dove l'inizio di ottobre - almeno per i
cabernet - resta ancora abbastanza
un punto di riferimento.
ENOGEA - II SERIE - N. 12
LA CLASSIFICAZIONE
DELLE AZIENDE
Come avvenuto per gli château
del Médoc, anche le proprietà del
Sauternais nel 1855 sono state oggetto di una classificazione da parte del
Syndicat des Courtiers de Bordeaux,
eseguita su esplicita richiesta della
Camera di Commercio della stessa
città in occasione dell'Esposizione
Universale di Parigi di quell'anno.
Questa classificazione, diversamente dal Médoc, prevedeva però - e
tuttora prevede - tre sole categorie o
titoli in luogo di cinque: premier cru
superieur, assegnato al solo Château
d'Yquem e non previsto nella classificazione del Médoc, premier cru,
assegnato a nove château, e infine
deuxième cru, assegnato a undici
château. Attualmente le proprietà che
possono fregiarsi del titolo di premier cru sono però undici, mentre
quelle che rientrano nella categoria
dei deuxième cru sono quattordici, e
questo non perché si sia proceduto
ad un aggiornamento della classificazione nel corso degli anni (eventualità
ancora oggi alquanto remota), ma più
semplicemente perché alcuni château
sono stati divisi in più proprietà, ognuna delle quali ha conservato il grado
di classificazione dello château di
origine.