Scarica il libro - Pro-Loco Pentone cultura e tradizione dal 1981
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Antonio Talerico Pentone Città della castagna Quaderni Pentonesi a cura dell’Associazione Turistica Pro Loco Pentone Prefazione Finalmente un libro sul castagno, il re della montagna ed opera d’arte della natura, scritto da un pentonese che riesce sapientemente a coniugarne i diversi aspetti estetici, culturali ed economici. Certamente lo scritto dell’Avv. Antonio Talerico può definirsi una produzione letteraria in forma di memoria, che ha potuto trasformare tante amare cose in dolci cose. Viene ricordato una Pentone d’altri tempi, laboriosa e devota, che adesso non c'è più, in cui brillava, tra tante miserie umane, la carità. Mi ha colpito soprattutto la cerca delle castagne e quell’aprirsi del cuore alla tradizione di “a rante a rante”. La Pro Loco di Pentone vuole qualcosa di più che un semplice ricordo e sottolineare come il castagno, in passato, rappresentava una fonte di sostentamento ed un aiuto economico di grande valore. Ho chiesto ai tanti come mai non venissero più eseguite quelle antiche operazioni di manutenzione dei castagneti, di raccolta e di coltura; la risposta è stata che “quelle operazioni non sarebbero più economiche per il basso prezzo del frutto.” Dopo decenni di abbandono della Montagna è in atto un’inversione di rotta. Importante, in tal senso, il ruolo molto positivo assunto dalla Comunità Montana della Pre Sila Catanzarese che ha cercato di sostenere economicamente la potatura dei castagni, ha promosso convegni, sagre e pubblicazioni ed ha sostenuto la creazione del Museo della Castagna di Cerva. 2 Bisogna reagire ed avere un progetto di valorizzazione delle risorse locali, alla luce di una prospettiva globale che coinvolga i paesi produttori di Castagne con l’aiuto degli Enti locali e dello Stato. Mi auguro che la nostra gente capisca e voglia impegnarsi a sviluppare i progetti di valorizzazione dei castagneti e delle risorse economiche ad essi connesse. Pentone, Ottobre 2003 Il Presidente della Pro Loco Pentone Vitaliano Marino 3 Giace Pentone, la città delle castagne, su un crinolo che è l’appendice del colle Cafarda o colle della nostalgia, che degrada verso il fiume Alli con a destra e a sinistra due profondissime valli, quella di Callea e l’altra di Fossato Serralta. La circonda una corona di monti formati da: colle Nocella, monte Furro, timpone Panaro e dai monti della non lontana Sila, mentre le si apre davanti un susseguirsi di colline che fuggono, degradando verso il mare che occhieggia laggiù, irresistibilmente azzurro. Così Pentone si trova in una culla verde formata soprattutto da castagni che costituiscono la preziosità e la ricchezza: un paesaggio che incanta e che innamora. Il silenzio è dominante e dà eco e spaziosità al cuculo che i fanciulli amavano un tempo interrogare sulle sorti della loro vita. Come tutti i Pentonesi, anch’io amo il castagno, albero maestoso e sublime. Bello come un gigante, nutre con noi tutto un particolare rapporto. Forse ora nel momento in cui scrivo, dovrei dire nutriva un particolare rapporto, date le sue conosciute condizioni di decadenza. Tuttavia il castagno, nella sua poderosa struttura, non ha cessato di abbellire la nostra terra dimostrandosi sempre utile nella sua magnificenza.Ho un ricordo dolcissimo della mia infanzia e della mia giovinezza, legato al rapporto con l’albero di castagno; ho ora una tristezza profonda nel cuore per l’incuria e la trascuratezza che si ha ora di quell’albero, mentre mi sorride la speranza del ripristino delle sue sorti. 4 Il castagno presenta motivi di elevata poesia per l’aspetto maestoso del suo tronco, per il verde cupo del fogliame, per l’ombra benefica della sua larga chioma, ma offre anche argomento di grande umanità che si riflette al culto del montanaro che ha per il Re della montagna, il quale, oltre a fornirgli un sano nutrimento per buona parte dell’anno, trattiene con le sue robuste radici quella terra che l’impeto delle acque trascinerebbe in basso. Tutti gli alberi, osservava Goethe, sono buoni, mentre gli faceva eco Giovanni Pascoli, con la sua poesia” il castagno ” sostenendo che questo maestoso albero aveva qualcosa in più degli altri per noi uomini; ed era un rapporto quasi familiare di comprensione, d’amore, ma soprattutto di pietà. Così scriveva nelle sue Myricae il Poeta: E tu, pio castagno, solo tu dai l’assai Al villano che non ha che il sole Tu solo il chicco buono di più, dai Alla sua prole Ha da te la sua bruna baccherella Tiepido il letto e non desia la stoppia Ha da te l’avo tremulo la bella Fiamma che scoppia. Pascoli amava il castagno ed il bosco pieno di questi alberi portentosi che lo affascinavano. Così insieme alla sorella, la dolce Maria, come amava chiamarla, decisero di trasferirsi dalla natia Romagna in Gardesana, provincia di Lucca, e precisamente a Castelvecchio che, poi, aggiunse al suo il nome di Pascoli e fu Castelvecchio Pascoli.Lì comprarono casa 5 e podere e li morirono e furono sepolti. Castelvecchio Pascoli è divenuto col tempo meta di chi ha amato in giovinezza il Poeta. Anch’io, insieme al prof. Antonio de Laurenzi e relative consorti, in una dolce estate abbiamo raggiunto quei luoghi tanto amati da Pascoli e ne siamo rimasti entusiasmati. La Gardesana si stende su tutta la dorsale appenninica ed il castagno rappresenta, anche oggi, una delle sue più sontuose attrattive, e si avvia a divenire la sua maggiore ricchezza.Trovo una grande affinità tra la Gardesana ed i nostri monti. La pubblicazione “Guida alle città del Castagno” dell’omonima associazione edita con il patrocinio del Ministero delle politiche agricole e forestali, dà una chiara risposta, che io considero positiva, ai bisogni ambientali, ai bisogni della natura che appare non contaminata, alla valorizzazione dei prodotti tipici a base di castagne, e qui a Pentone stentiamo a capirne la grande importanza. Questo mio scritto è presente per dar forza alla iniziativa della Pro Loco pentonese e perché essa non rimanga sterile ed inefficace, non rimanga anche un mero ricordo della vita che fu. In definitiva il mio scritto ha questo scopo di appoggiare le nuove iniziative per coordinare le singole manifestazioni promozionali; far conoscere le zone italiane (e sono tante) che hanno produzione di castagne; favorire l’individuazione ed i rimedi per porre fine al male che attacca l’albero, favorire e coordinare l’attività di ricerca e di sperimentazione sulla problematica della coltivazione e trasformazione 6 delle castagne; favorire, infine, la commerciabilità di esse in collaborazione con altri centri di produzione e di ricerca. Si conoscono, nel solo emisfero nord, ben 17 specie di castagno.La specie che vive da noi è il castagno comune o castanea sativa che è albero maestoso, di grande fusto con corteccia grigio screpolata, che può raggiungere i 30 metri di altezza e parecchi secoli di vita. Le sue foglie sono lanceolate e seghettate e per loro natura caduche.Hanno però il privilegio di purificare l’aria, nella loro tenerezza, perché assorbono tanta anidride carbonica ed emettono ossigeno, sicché vivendo al contatto di questi alberi si hanno condizioni di salubrità eccellenti. D’inverno l’albero rimane spoglio, ma ciò nonostante si lascia ammirare nella sua bella nudità e per la sua visibile possanza. Nell’ incipiente primavera comincia a rivivere; a Maggio è già in fiore. I suoi fiori sono staminiferi, pistilliferi in gruppi entro un involucro di brattee nel quale, poi si formerà il riccio. Da una mia antica conoscenza i castagni nati da seme danno castagni selvatici, mentre i castagni innestati danno buon frutto.Si individuano i cosiddetti marroni e le cosiddette castagne domestiche. Per la verità questa distinzione che ho riportato non ha mai interessato il mio paese, né che io sappia i paesi vicini. Non abbiamo mai conosciuto, come produzione i marroni, grossi e tondi, questi bolliti e asciugati, dopo essere stati infornati costituiscono le cosiddette 7 biscotte e se cotte si chiamano ballotte. L’altra versione di grandissimo commercio dei marroni sono i marron glacè che tutti in vero conosciamo, ma che non sono nostra produzione. Le specie che vivono nei nostri boschi sono 5 e precisamente: palermitane, nserte, nicotere, curce e le castagne”da mamma”. Prima di addentrarmi nelle attività della produzione delle castagne, mi piace ancora riferirmi alla caratteristica unica del castagno che lo contraddistingue e di cui ho già detto: la pietà. Narra la legenda che il castagno conserva nel riccio tre castagne che, con somma saggezza, ma anche con quella pietà di cui ho parlato, sono così destinate: la prima al proprietario del fondo, la seconda al coltivatore del fondo e la terza al povero. Noi sappiamo ancora l’utilità del castagno, che non riguarda solo il frutto; ne abbiamo un accenno nella poesia “Il vecchio castagno”, ancora del Pascoli. E’ poesia che racchiude in se, nel vecchio castagno, il ricordo e la speranza. Dice il castagno a Violetta che si interessa della raccolta delle castagne: O fiamma allegra, che scriccioli a schiocchi Scaldando i mesti vecchi, i bimbi savi Da noi li avesti cioccatelle e ciocche O casa buona, messa su dagli avi, che pari il freddo, e brilli nella notte da noi li avesti travicelli e travi O mamma, che il lavaggio ora o lecotte Metti all’uncino o sopra i capitoni 8 Da noi li avesti necci e ballotte O babbo, che nel mezzo del desco poni Il vinetto che sente un po di rame Da noi li avesti pali e forconi E tu che mugli, mugli tu per fame O per freddo, vecchina dello stento? Da noi abbi vincigli e lo strame…… Io ne godeva, Io amo chi mi coglie Ora, capanna casa fuoco vigna, Non do più frutto né legna, né fogli Mentre noi qui rabbrividiamo al vento. E’ un castagno che dopo aver dato tutto, muore.Ha il tronco marcio, ma pur tuttavia dice vedrai che lo zio “ralleverà qualche novello che viva e cresca, riscoppi e frutti”. Quest’albero che muore ha, come noi uomini abbiamo, la speranza che qualcosa di esso viva e cresca. E’ poesia che innamora e che assegna al castagno, all’unico albero della foresta, sentimenti che sono dell’umanità. Ero dunque bambino, quando ebbi il mio primo rapporto con il castagno.Mia nonna mi raccontava, forse con nostalgia, certamente con profonda tristezza, quando ancor giovane e bella rimase vedova.Anche se poco più che ventenne e tuttavia volle conservare fede a suo marito. Si accollò l’onere della crescita e del sostentamento dei suoi due figlioletti; lo potè fare perché ebbe l’aiuto del fratello Nicola, celibe con il quale viveva. L’ottobre, il tempo della raccolta delle castagne, come d’altronde quasi tutti i pentonesi, lo trascorrevano insieme al casolare del loro castagneto 9 di Caramma. Come ho detto, era ottobre anche il tempo di funghi che nel loro castagneto crescevano in abbondanza che costituivano la gioia dei piccoli ed erano quasi sempre presenti nel rustico desco familiare. I grandi erano dediti alla raccolta delle castagne; raccolte le quali e scelte, almeno in parte e le migliori, venivano stese nel cosiddetto “ntostature” che era la parte superiore del casolare. In buona sostanza il casolare era diviso verticalmente in due parti: la prima abitativa, l’altra adibita al lavoro.Questa parte aveva per pavimento tra il pianterreno ed il primo piano un graticcio formato da assi di legno intrecciati.La costruzione favoriva il passaggio del fumo tra il pianterreno ed il tetto. Al piano terra veniva tenuto il fuoco per un mese e più, alimentato da legna di castagno cui, se servivano, aggiungevano le scorze delle castagne rimaste dalla lavorazione dei pastilli dell’anno precedente. Le castagne così affumicate, alla fine venivano gradualmente e gradatamente messe in un sacco di juta che, preso per i quattro terminali, veniva sbattuto in maniere che le castagne rimanessero quasi monde, indi venivano gettate in apposito largo crivello, appeso in alto, che dava la possibilità di eliminare le cortecce e di avere quindi i pastilli. Successivamente al mio racconto, ma molto successivamente, venne introdotto a Pentone la “macchina dei pastilli”. Con questa macchina, anziché col crivello, le castagne, oramai abbrustolite, venivano rese pastilli, con grande risparmio di fatica e forse anche di denari.Il pastillo macinato dava la farina che 10 era il primo e più sicuro alimento di quella vita contadina. Pentone all’epoca viveva di solo pane di castagna perché non produsse mai grano. Anzi un dimenticato detto diceva, per designare le estreme, irreversibili condizioni di chi moriva”E’ arrivatu allu pane e graninu”, perché solo al morente, solo a colui che, lasciando questo mondo, partiva per l’altra vita,si voleva fare quest’ultimo dono. Capitava poi, che nella massa dei pastilli qualche castagna trattata come sopra è stato detto, non raggiungesse la durezza necessaria del pastillo,ma rimanesse molle.Questa castagne che rimanevano tenere, erano i cosiddetti turduni, ed il Poeta, che è Francesco Capilupi, raccontando naturalmente dei pastilli, dice nella poesia “Castagne e pastiddhi” Supra e canizze venanu ntostate E castagne ccu focu alla casella Allu tineddhu venanu pistate E poi cernute supra la crivella Chidda ca’ e pista è pista a zacculate Comu se abballassi à tarantella, E canta……. si fannu chjicchijarate Ca, mmce e acqua, u vinu è d’intra a lancella ntra i pastiddhi se scartunu i turduni A purpa si conserva ppe na atru annu Sunnu orvicati puri li tizzuni 11 Questi infilati a collana, anche loro, raggiungevano una gradevole prelibatezza. Confesso che non ho mai partecipato o assistito alla formazione dei pastilli che già da tempo non vengono più fatti a Pentone. La Raccolta delle Castagne Altra attività contadina definitivamente scomparsa è la raccolta delle castagne. L’inizio dell’autunno a Pentone, ma forse in tanti altri nostri paesi della presila, portava con se un fascino particolare. Era il mese della raccolta delle castagne, ma era anche il mese dedicato alla Madonna del Rosario. A Pentone, infatti nel 1619, a meno di 50 anni dopo la memorabile vittoriosa battaglia sui Turchi, avvenuta nelle acque di Azio, venne fondata la Confraternita della Madonna del Rosario, e la Madonna sotto quel titolo venne eletta protettrice del paese. Ai tempi della mia giovinezza era costume che si celebrasse al mattino, prima dell’alba, “a missa prestu”, per lasciare tutto il tempo possibile alle opere del contado. Dopo la S. Messa si apriva il mondo delle castagne e ciascuno raggiungeva il suo podere per la raccolta. Ma come ho detto quella raccolta è ormai finita. Sicuramente molti di noi che ancora siamo su questa terra, vi hanno partecipato.Era un periodo di grande fervore lavorativo e, se posso usare questa parola, di grandi ricchezze per l’economia pentonese di cui successivamente dirò. Era il periodo dell’incipiente inverno, delle piogge e del freddo e di quelle 12 intemperie mi è rimasto un doloroso ricordo. Trovo nelle poesie di Francesco Capilupi una descrizione amara di tante raccolte di castagne che voglio, con le parole del poeta,ricordare. La poesia, che in parte ho ricordato è “Castagne e pastiddhi” All’abbuccune supra la muntagna A mmanu tena à mazza e llu panaru A fimmina te cogghjia la castagna Che se prova allu mparu e allu sparu A cudiddha le dola e nun se lagna, Nnè si se mpunna dintra u lavinaru. Si chiova u carpitelli li si vagna E scurra d’acqua comu nu guttaru. A mmenzujiornu torna alla caseddha, Ccu’ nu saccu è castagne caricata; S’asciuca la suttana e lla gunneddha Ed allu focu arrusta na patata; L’acqua frisca la tena alla lanceddha, E se fa de gaddhoffi ‘na manciata. Assettata allu cantu d’u focune Ccu e manu chjine e terra e chjine e spine, Se sta nculata a nu cantune, Ca e scarpe pur d’acqua tena chine Sono d’accordo col poeta circa la dolorosa ed immane fatica della donna, ma non posso dimenticare quella dell’uomo.Era effettivamente un dono ricco quello del castagno ma che richiedeva tanto lavoro.Ho altresì un vivo ricordo di quel santo lavoratore che 13 dopo una giornata di lavoro, ritornava a casa esausto, ma pienamente soddisfatto. Lo ricordo quando nei giorni piovosi cercava di ripararsi dalle intemperie avendo piegato il sacco di iuta a mo di cappuccio per metterlo a testa. Quanta fatica ! (era compito dell’uomo provvedere alla pulizia del terreno ed alla potatura degli alberi). Però il mese di ottobre portava, nelle povere case dei pentonesi, tanta ricchezza.Era il mese dell’abbondanza e delle grazie per una popolazione, quella pentonese, che viveva di povertà. Ricorda Silvano Vignola, il nostro affascinate scrittore, nel suo meraviglioso libro ”Il nonno racconta” che: “ La stagione delle castagne era una benedizione per il paese; quando la raccolta andava bene per qualità e quantità, la gente ringraziava il Signore, perché l’abbondanza di quel prezioso frutto della terra per molti voleva dire assicurarsi il pane durante i lunghi e freddi mesi invernali”. E dice ancora in quei giorni (a Pentone) tutti mangiavano castagne. “Uscendo di casa gli uomini se ne riempivano le tasche, si appoggiavano con la schiena alle porte del palazzo che sorge sulla piazza e, discorrendo piacevolmente, masticavano castagne, come macine infaticabili.” In vero la castagna piace a tutti o che sia verde, o bollita, o caldarrosta. Piace anche quando si fa dolce o quando si fa farina.Piace e non solamente ai comuni mortali ma anche ai letterati. Famoso Giuseppe Giocosa il quale soleva dire, quando mangiava: “ Mi lascio sempre un posticino nello stomaco e un pò d’appetito, per poter gustare a fine pranzo le 14 castagne”.Le soleva mangiare in tutti i modi.Si tramanda che anche Guido Gozzano ne fosse ghiotto…. Giuseppe Giocosa quando invitava i suoi amici, quali Boito,Verga, la Duse, a fine pranzo serviva sempre un bel canestro di castagne.Questa usanza credo ormai si sia persa, ma ciò non toglie che la castagna mantenga la sua prelibatezza. Il Commercio La fonte di guadagno, adesso scomparsa, era costituita dalla vendita delle castagne, ma anche dal baratto di esse. In quell’epoca, molti dei commercianti pentonesi aprivano i loro magazzini per l’acquisto delle castagne che poi rivendevano al grossista che per i commercianti pentonesi era il medesimo. In realtà non vi era concorrenza, siccome va essa intesa, ma vi erano, sebbene pochi, i vantaggi che si offrivano al venditore. A Pentone, che io ricordi veniva da Catanzaro, quale grossista Ernesto Gigliotti, che tutti i pentonesi avevano imparato a rispettare. Ernesto Gigliotti si presentava piuttosto obeso tanto che quando aveva bisogno di stare seduto, aveva necessità di due sedie affiancate.Ma a mia memoria mi sembrava un bonaccione, rispettato e ben voluto da tutti. Non ci fu mai lite fra Gigliotti e i commercianti pentonesi. Mi risulta che era una persona onesta. Gigliotti era zio di un mio compagno di squadra nella lotta greco-romana Catanzarese che in verità si fregiò di tanti allori. 15 Adesso si impone di ricordare il baratto. Che cos’é il baratto: uno scambio di merce che è una forma assai primitiva di commercio. A Pentone si praticava diffusamente nel periodo della raccolta delle castagne ma, meglio dire, che le piazze di scambio erano costituite dall’imbocco di Via Giardino e da Piazza “Madonna delle Grazie” (piazza di sotto). Il maggior volume di scambio era con i peperoni; lo scambio avveniva con una misura detta u munnellu. E per due munnelli di castagne, si riceveva un munnellu di peperoni. I peperoni, poi, venivano infilati a collana, essiccati al sole e poi pestati per ottenere il pepe rosso che serviva per le provviste del maiale.Vi era ancora uno scambio delle castagne con i “dormituri” o lumache che apparivano più preziosi dei peperoni di che per ogni munnellu di dormituri ci volevano in cambio tre munnelli di castagne. Ricordo ancor bene che lo scambio si effettuava anche con i cosiddetti rugagni e cioè con i produttori di oggetti di creta.Il baratto avveniva così: il proprietario dell’oggetto di creta dava questo dopo averlo riempito di castagne, quindi trattenendo le castagne. Ma devo dire che anche queste forme di commercio sono definitivamente scomparse. La Cerca delle castagne La cerca delle castagne ricorda assai da vicino la raccolta delle noci di manzoniana memoria se non altro per le finalità e per i suoi tempi.Con questa differenza: che la cerca delle castagne era affidata a tanti giovincelli che frequentavano assiduamente la 16 Chiesa ed era a favore della Parrocchia e dei suoi bisogni, mentre la raccolta delle noci spettava ai frati ed era a favore del Convento.Il periodo della cerca era naturalmente l’ottobre. A sera, anzi, all’imbrunire, allorché la gente era rientrata dalla campagna. Il sagrestano accompagnato da due chierichetti, ciascuno con una bisaccia, più un ragazzetto che portava un campanello, si mettevano in giro, per le vie del paese, per la cerca delle castagne.Era usanza di pietà che ben si addiceva ad un popolo laborioso come il pentonese e timorato di Dio. Il tintinnio del campanello al passaggio del gruppetto, affidato, come detto al più piccolo dei questuanti, ne annunciava il passaggio.La gente allora usciva sulla porta o con un canestro o con un paniere di castagne fresche e scelte le versava nella bisaccia di uno dei due chierichetti, che riempita veniva versata in un cumulo della stanza dietro la sagrestia della Chiesa. Di quella raccolta di castagne finita la “campagna”, l’arciprete-parroco ne disponeva per i bisogni della Chiesa e della Carità. Con la fine d’ottobre finiva la raccolta delle castagne, ma finiva anche la cerca delle castagne e aggiungo delle castagne verdi e fresche. Il mondo, allora il nostro mondo cristiano, si apriva alla carità di cui dirò.Intanto con novembre il pensiero era consacrato, come lo è tuttora, al ricordo dei defunti, dei tanti che pur morti non sono venuti meno all’affetto dei loro cari.Iniziava allora una nuova e diversa cerca di castagne, ma questa volta di castagne infornate.La cerca, che durava otto giorni, era affidata ancora a quel gruppetto di persone di cui 17 superiormente ho detto.Sicuramente quella cerca si presenta come qualcosa piena di spiritualità in consonanza con la comunione dei santi. Quella datio era davvero dedicata al suffragio di quanti, anche nelle fatiche, nel lavoro dei campi, nel sudore di esso ci avevano preceduto. Trovo in quella offerta di povere castagne infornate tanta spiritualità cristiana.Ora anche quella cerca è venuta meno, ma penso che non sia venuto meno l’affetto e la venerazione dei nostri defunti. Novembre e le castagne Finita la raccolta delle castagne con la fine del mese di ottobre, i campi e i castagneti si aprivano completamente alla carità, alla condivisione, mi piace dire così, completa della terra santa e benedetta che da a tutti le sue ricchezze. E il detto che consacrava questo periodo era “quannu tutti i santi a ranti a ranti”. I campi e i castagneti erano aperti a tutti ed anche al povero, il nullatenente poteva andare liberamente ovunque a raccogliere castagne.Bello e tanto cristiano quel principio di solidarietà. I giochi Con la raccolta delle castagne erano, possiamo dire di moda, i giochi che i più piccoli, i ragazzi, praticavano nel mese di ottobre, quasi esclusivamente. Se ne praticavano due: il gioco cosiddetto del “castello” e l’altro quello della “a staccia”. 18 Il castello così detto tra i giocatori, il più delle volte, mettevano pari posta costituita da otto castagne ciascuna.Queste venivano sistemate a mò di castello che su una solida base di quattro castagne o più si andava sempre più sviluppandosi in altezza, tanto da dare l’impressione di un castello; da questo punto, dove erano sistemate le castagne, i giocatori lanciavano la loro staccia e quella che andava più lontano dava diritto di tirare per primo. Se avesse fatto cadere il castello, tutta la posta sarebbe stata sua; diversamente toccava all’altro giocatore tirare e cosi di seguito. Ricordo che se il giocatore impegnato faceva cadere un minor numero di castagne aveva diritto di prendere le castagne cadute, mentre l’altro giocatore poteva fare il suo gioco ed aspirare alla rimanente posta. Il gioco della staccia a me sembrava un gioco più gioco, a cui io stesso volentieri partecipavo. I giocatori dovevano, innanzitutto, versare la loro quota di castagne che venivano messe in fila nell’interrato. Allora le strade, le vie, le piazze non erano asfaltate né vi erano automobili in circolazione.Messe in fila le castagne, da quel punto si lanciava la staccia, una piastra piatta e liscia che tutti noi c’eravamo procurata.Quello che la lanciava più distante aveva il diritto di iniziare il gioco, in fondo molto semplice che dava diritto alle castagne colpite. Vi era anche la possibilità di agire per ultimo lasciando cadere la staccia vicino alla file delle castagne dicendo”erba” ma evidentemente era uno solo che poteva farlo. 19 In fondo lo consideravo un bel gioco pieno di tante attrattive e molta abilità. Ora quei giochi sono completamente scomparsi e nessuno sognerebbe di ripristinarli. A me è rimasto, però, un amaro ricordo: si giocava alla “staccia”; ma dietro la file delle castagne vi era accoccolato Venanzio, uno dei tanti spettatori.Ma quando fu il mio turno, come fu e come non fu, alzai la mano più del necessario e clamorosamente sbagliando colpii in fronte il povero Venanzio, che si godeva il gioco.Non vi furono per me conseguenze, ma mi è rimasto ancora il ricordo, ahimè, del mio errato tiro, un dispiacere “che ancora non m’abbandona”. Il Castagno, piante ed animali Il castagno non mostrava questa sua disponibilità meravigliosa ed affettuosa solamente verso gli uomini, ma mostrava di avere un rapporto, in vero di ospitalità e di amicizia, anche verso piante ed animali. Non intendo qui parlare della nutrizione che offriva abbondantemente con le sue “frasche” alle greggi e con il suo vischio, che verde e frondoso vive ancora in simbiosi con il castagno, ma non vorrei che si dimenticasse che quell’albero producesse per noi uomini tra indimenticabili varietà di funghi, che costituivano, ma ancora costituiscono agognata leccornia, e sono: la così detta “nasca” che cresce sul tronco dell’albero dal sapore squisito ed indimenticabile. Questo fungo va colto nella sua tenerezza, perché, ahimè, col passare del tempo diventa legnoso. L’altro 20 è il cosiddetto “cugno” che si fa ai piedi dell’albero e la terza, indimenticabile golosità “a mantra pecurella” bianca diffusa sulle radici dell’albero e che, in vero, tende a crescere sempre di più. Ricordo che mi trovavo in villeggiatura a Carlopoli e su quei campi in gita con i ragazzi del Seminario Vescovile di Squillace, quando si vide un ragazzo che stava prendendo a calci, meglio cominciava a prendere a calci qualcosa di bianco, venne fermato in tempo e così potemmo raccogliere quella che era una “mantra pecurella” addirittura di 35 kg. Mi piace poi dire dell’ospitalità che il castagno offriva sia allo scoiattolo che alla donnola, animale insidioso che non suscitava alcuna simpatia. Ma ospite permanente del castagno era il ghiro, quel roditore meraviglioso dalla carne molto pregevole. Ricordo che tante volte poiché il ghiro, si nutriva soprattutto di castagne, ne lasciava cadere qualcuna, monda e pulita, cui sembrava che l’animale avesse nel mondarla dato un sapore particolare. Il ghiro era oggetto di caccia e tanti esperti riuscivano a catturarli pacificamente, soprattutto nei mesi di letargo dell’animale. A vederlo aveva molta rassomiglianza con il topo, ma se ne distingueva unicamente però dalla voluminosa e morbidissima coda. Ora di ghiri nemmeno l’ombra nelle nostre contrade. Senza essere un abitatore costante dell’albero, viveva nella valle all’ombra dei castagni, il cuculo, un uccello delizioso e assai furbo. Un uccello che io ricordo tanto bene. 21 Tra di noi ragazzi del tempo ed il cuculo si era stabilito una specie di colloquio che la parte profetica e dunque la parte più interessante era affidata al cuculo. Noi ragazzi interessati volevamo sapere dall’uccello quanto poteva durare la nostra vita. E, affacciati al parapetto di Agrilli, in faccia alla verde valle di Callea, che offriva alla nostra voce un’eco ampliata e tanto sonora, interrogavamo il cuculo così: “Cuccu meu d’oru quantu ce vo nu moru? Ed il cuculo, sembrando che capisse e con un singhiozzo monocorde rispondeva con un numero intervallato di singhiozzi, che ciascuno di noi contava. Le risposte come numero non erano sempre le stesse….e l’interrogante, si faceva a turno, rimaneva felice allorché le risposte a lui dirette erano di maggior numero. Particolare di quest’uccello è che non aveva nido, ma al momento della cova si rivolgeva ad un suo amico, subdolamente. Così buttati fuori le uova dell’amico, vi depositava il suo e l’amico lo covava. Altro ospite che prediligeva il castagno era il picchio, nomato in dialetto tanto significativamente “u pizzi ferru”. Quest’uccello, dal becco duro amava scavarsi il nido all’interno del tronco del castagno in una posizione di non disturbo e di imprendibilità. L’uccellatore per aver ragione del suo nido doveva tagliare il tronco dove si trovava, per raggiungerlo. Fatica enorme, che sconsigliava il più delle volte l’impresa. Ma anche il pizziferro è un ricordo. Se più riservato e difficile da raggiungere il picchio, più buona e materna la perriccia. 22 Piccolina, ma dava alla luce fino a 12 piccolini che poi pazientemente allevava. Gli altri uccelli dei quali sto per dire, non erano abitatori fissi del castagno, ma con vocabolo rubato al mondo del lavoro, possiamo definirli precari. Innanzi tutto il colombo selvatico che aveva l’abilità di costruirsi il nido sistemando su un impianto di legno posto tra ramo e ramo. Precari erano anche la gazza ladra e il merlo; tutti invero godevano della frescura del bosco di castagni durante l’estate. Di stanza permanente era però il gufo: uccello esclusivamente notturno che viveva costantemente sul castagno e che a Pentone aveva nome “Scropio”. Concludendo questo capitolo devo ancora dire che di quel tempo non rimane, anche se insufficiente questa memoria. E castagnelle Erano designate, con questo diminutivo, il solo che la lingua pentonese conosca, le castagne non completamente mature, ma pur tuttavia, tenere da mangiare. Erano ancora conservate nel riccio che bisognava aprire con tanta esperienza sapendone il punto debole d’apertura. Era in definitiva il dono che il coltivatore diretto, che il conduttore del fondo o il proprietario volevano fare ai loro cari. Le castagnelle che la parola riusciva a definire graziosamente non avevano ancora raggiunto il colore bruno della maturità, ma che avevano tenerezza e delicatezza di sapore. Anzi assumevano maggior 23 valore come primizia tanto attesa e desiderata. Alcuni commercianti le facevano cogliere apposta perché le castagnelle avevano maggiore valore. A proposito delle quali, qui mi sovviene, forse anche con nostalgia, come gruppi di persone durante la processione settembrina della Madonna di Termine, per le “colle, colle” per tutto il bel colle Nocella, e quando ci si fermava per le orazioni all’apice del colle o alla “Cona di Speranza” gruppi di persone, dicevo, precedendo la stessa processione si davano a tagliare, meglio dire a spezzare i rami bassi di castagno, soprattutto in zona Falluca, e ad aprire i ricci e prendere le castagnelle “su cui” si diceva era caduta “la Grazia” ed a mangiarle “per devozione”. Bello per me questo ricordo della festa per questo verso legato al castagno, soprattutto ora che data l’età mi è impedito di seguire la processione montana. Perdutesi, ora tutte queste attività legate al castagno, alla sua produzione e commercializzazione, non si è perduto ancora il gusto di assaporare le specialità manducatorie, che ogni anno, puntualmente ci fa saggiare, per noi anziani, nel ricordo di un tempo, la Pro-loco pentonese diretta dall’egregio Vitaliano Marino e delle quali sto per dire. Premetto che non intendo parlare delle specialità che si preparano, come ho già detto con i marroni, ma delle nostre specialità per le quali ci serviamo di tutte le specialità delle castagne, ma soprattutto delle “palermitane”. 24 Le castagne bollite “e vujiutelle” Semplice la loro preparazione. Le castagne che vengono scelte, sono messe in casseruola e coperte di acqua corrente. A bollitura avvenuta sono buone per la manducazione. Come avviene questa: semplice, si schiaccia tra i denti la castagna che per igiene è stata prima lavata e poi bollita, dunque asettica, la corteccia si apre e da li fuoriesce, meglio dire fluisce, in tepore la polpa bianca della castagna deliziosamente. Le caldarroste “i galloffi” Sicuramente sono le regine delle castagne e le più belle. Ritengo che, per sapore, ma anche esteticamente, le più perfette siano le caldarroste romane. Si presentano come un dono in cui l’Altissimo ha chiamato a partecipare alla sua preparazione l’uomo. Alquanto marrò con un taglio in pancia da cui fuoriesce una parte di castagna leggermente dorata è una delizia degli occhi. A tanta delizia si aggiunge un profumo che riempie la vita e poi, anche il sapore. Da questa somma di piaceri l’anima stessa si esalta. La caldarrosta soddisfa tutti i sensi dell’uomo e non ne conosco uno che non la apprezzi e la gusti. Senza forse raggiungere la bellezza di quelle romane, a Pentone la festa delle castagne occupa senz’altro il primo posto. Benedico voi signori che vi preparate a celebrare la festa delle castagne anche nel ricordo di chi vi ha 25 preceduto ed amato, di chi ha speso la vita nella coltivazione di questo prezioso frutto. Le altre preparazioni Accanto al pane cui ho accennato e che ripeto era quello che brillava un tempo in tutte le messe dei pentonesi e in tutte le colazioni dei nostri lavoratori, primeggiavano anche i dolci, che la Pro-loco pentonese ci offre nella circostanza celebrativa. Oltre ai ricordati turduni, essi sono il castagnaccio, le pittefritte, la marmellata, i zirpuli e le cullurelle che un tempo non erano una rarità. Questi ricordi sono i dolci di cui , i pentonesi veraci, hanno alle spalle una antica e fortissima tradizione. Vero è che accanto a quelli antichi, sorgono dei nuovi preparati anche con nomi roboanti che vogliono entrare nella dieta della città delle castagne. Le ricette di preparazione sono state pubblicate dalla Pro-loco pentonese nel calendario del 2002 e che speriamo abbiano accoglienza. Esse sono: Tartufi di castagna, Torta arrotolata di castagne, cornetti di castagne, crostata di castagne e pere, palline di castagne, castagnole, fogliette di castagne, tronco di Natale e anche pasta asciutta di castagne. 26 Il castagno ed i suoi prodotti Mi è piuttosto piaciuto dilungarmi nel parlare del castagno con particolare riferimento al suo frutto oltre che alla sua bellezza estetica. Mi pare però opportuno, a questo punto, dire e ricordare l’utilità del suo essere che va oltre quella del sostentamento o del rifugio. Nei vecchi castagni, attaccati dalla carie o lupo, si forma un terriccio assai utile per la coltivazione delle piante che noi chiamiamo “terra e cupa”. Infatti, consapevoli di questa utilità vediamo tanta gente lungo la strada Termine-Pentone venuta soprattutto dalla vicina città di Catanzaro, intenta, con sapienza e gioia, di questa terra magica la cui asportazione, in definitiva, non produce danno e in fondo ci fa tanto piacere. Devo anche ricordare che il pentonese, in tempi andati, scendeva in città, col suo carico di “terra e cupa” e la vendeva, cercando così, anche per questa via, di alleviare la sua povertà. Inoltre sappiamo che quella gran mole di foglie e di ricci che produce la pianta, sono ottimo concime che fortunatamente a Pentone non viene tolto dai castagneti. Il castagno fornisce inoltre tanto utile tannino dal legname, che in seguito a laboriosi procedimenti nelle tante fabbriche che lo lavorano in Italia. Ricordo ancora che noi usiamo molta legna da ardere per tutti i nostri quotidiani bisogni e se questa legna non è delle migliori per quella funzione, ci è assai utile. 27 Voglio ricordare, inoltre, che il carbone di castagno tornava tanto utile ai fabbri-ferrai ed il perché è questo: non tiene abbastanza la fiamma, talché, nel momento in cui il fabbro non ne ha bisogno diminuisce di calore e di efficienza, mentre sollecitata dalla fucina si ravviva e riprende la sua funzione. Molti pentonesi, per questo, usavano anche fare carbone di castagno che vendevano come tale. La Chiesa di S. Nicola di Bari di Pentone, scrive l’attuale presidente della Pro Loco di Pentone, Vitaliano Marino, l’edificio più vecchio di tanti altri, ha i pilastri di sostegno della volta costruiti intorno a grosse travi di castagno, che, ancora oggi, dopo innumerevoli anni della sua messa in opera, sono sommamente valide. Ma il pregio maggiore dell’albero di cui parliamo glielo dà il legname; sia quello che un tempo si usava per travi ed impiantito nel costruire le case, sia quello che si usava (o ancora si usa) per traversine ferroviarie. Legname eterno e di notevole pregio quello di castagno usato per aperture e mobili, ma voglio ricordare specificatamente le cassapanche, una delle quali è ancora a casa mia e che apparteneva a mia nonna, voglio ricordare il comò e la credenza di mia madre del 1902, vorrei ricordare i solidi infissi che un grande maestro, Nicola Perricelli, ci fece nel 1927, che ancora sono li immarcescibili e belli e potrei ancora continuare, ma ognuno che mi legge, sa quanta armonia e quanta potenza ha quel legno, del quale noi tutti a Pentone abbiamo sentito i benefici. 28 Infine mi pare opportuno inserire in questo ricordo la significativa poesia di Aldo Sirianni recentemente scomparso. Da quella composizione poetica, che mette in contrasto Dio e Satana intorno al castagno considerato nel suo grande valore, si può ricavare che protagonista della leggenda sia anche “Il pentonese”, la cui nascita si fa risalire al momento della creazione. Ciò che appare poeticamente elogiativo e cristianamente meritorio. Se ne ricava la forza della grazia che vince ogni avversità. Legenda Cristiana sul riccio e la castagna E disse all’uomo: “I suoi frutti dolci e farinosi E creò il castagno, Iddio saranno per te uguali al pane per te e i figli; Tu sei buono E te ne faccio dono”. Pregò tanto il signore il pentonese Per quel dono d’amore che non chiese! Ma l’invidia, (si sa) ch’è del demonio A notte fonda rivestì quel frutto (castagna) Da spinosa scorza pungente Che appena si tocca Lascia la carne dolente Provò e riprovò il contadino D’aprir il riccio tante volte tante Finchè un mattino Sentì una risata stravagante 29 “Chi ride improvviso e cosi sciolto ? ” chiese il brav’uomo affranto. Sono il padrone del mondo tutto E correggo i creati dal tuo Dio Che un di mi fu padrone, ma come vedi, ora, anche la castagna è sottoposta al voler mio”! Rincontrò il creatore l’uomo onesto E, ”Signore”, gli disse: “Il diavolo ha ravvolto il castagno da pungente riccio, Perdona ancora se così mi lagno, non potrò giammai toccarne giacché ha combinato tal pasticcio, e addirittura, non potrò mangiarne”! E Iddio rimproverò : “E’ debole e meschina la tua fede in me ? pazienta un poco e vedrai domato il guastatore delle coscienze prima che la neve abbia posato sulla dormiente terra il manto puro…., aspetta e vedrai.” Tornò consolato l’uomo a casa E sentiva ridere il nemico Ed ogni istante il creatore Confortandolo diceva: ” Benedico! ” 30 Venne l’autunno d’oro Venne la pioggia E tremulo andava il ruscello Al mare, a fermare la sua corsa….. cadde dalla pianta il riccio, si adagiò sulla terrà, si dischiuse Ammorbidì la nebbia l’involucro spinoso, e sbucò grossa e lucente la castagna. L’uomo osservò, ringraziò, raccolse…. Tornò a casa Col sacco ricolmo sulle spalle: “il pane promesso”. Sconfitto e scornato fu il ribelle E la vittoria fu del sommo iddio! Aldo Sirianni 31 Conclusioni Dopo aver parlato ampiamente del castagno e del suo frutto, in vero, come ricordo che per tanti anziani del luogo, rappresenta una memoria e forse una nostalgia, nella nuova civiltà in cui la tecnica ha dappertutto il sopravvento rispetto al passato, non penso che si possa tornare indietro e tornare alla civiltà contadina di un tempo. No! Però dobbiamo renderci conto che il castagneto da frutto e i boschi di castagni non vanno completamente abbandonati, come succede attualmente.La coltura del castagno può significare le basi per una gestione del castagno produttiva e forestale. Penso che la coltivazione del castagno va guardata con amore e con più impegno. Mi duole, certamente mi duole, quando vedo in mezzo al bosco i tanti rami nudi e senza foglie emergere da tanti alberi colpiti da mal d’inchiostro o da cancro.Mi duole il cuore quando penso che nulla si fa per combattere tali mali e per dare al castagneto ed al bosco l’antica floridezza. Sono convinto che una buona coltura del castagno, anche con innesti di nuove qualità, di rinnovazione cioè e del bosco e del castagneto, potrebbe risolvere il problema economico. Ma il discorso va approfondito. E non dico male se incito la Pro Loco pentonese ad andare oltre il ricordo per un futuro pieno di speranze. Avv. Antonio Talerico 32