Vernon Walters

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Vernon Walters
Editoriale
Vernon Walters
di Giulio Andreotti
Vernon Walters arrivò nel 1944 a
Roma come ufficiale addetto al generale Clark e respirò l’aria gioiosa della città liberata.
Nella notte i Servizi informarono che stava iniziando
lo sbarco in Normandia e Clark si lasciò andare ad una
espressione di stizza: le prime pagine dei giornali non
sarebbero state più dedicate alla campagna d’Italia.
Vernon andò al Nord come ufficiale di collegamento con l’unità alleata brasiliana, scelto per la conoscenza del portoghese (insieme ad altre sei o sette lingue).
Proprio questo prodigioso poliglottismo lo avrebbe visto presente nelle vicende più diverse e incisive del
mondo. In Giappone, incaricato direttamente dal presidente Truman, mise il bavaglio al generale MacArthur e
recuperò un rapporto discreto nippo-americano.
Sopra, il generale Vernon Walters
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In Giappone, incaricato
direttamente dal presidente
Truman, mise il bavaglio al
generale MacArthur e recuperò
un rapporto discreto
nippo-americano. [...]
Walters ebbe anche
riservatissima parte nei contatti
con i vietnamiti alla ricerca
di una via d’uscita
Tornò a Roma per accompagnare come interprete il
presidente Eisenhower. Faceva qualcosa di più dell’interpretazione consecutiva, dimostrando anche garbate risorse umoristiche che alleggerivano l’aridità un
po’ troppo militare dei colloqui.
Ebbi modo di conoscerlo a fondo – e divenimmo
amici – quando, ministro della Difesa per sei anni, mi
accompagnò nelle visite a Washington e alle basi del
Nord America: dal New England al Texas, dall’Arizona al Colorado. Viaggiavamo in piccoli aerei ed eravamo accolti con un cerimoniale minuziosamente predisposto e sempre eguale persino nel menu del pranzo:
cocktail di scampi, bistecca con patatine, gelato di pistacchio. Era prescritto lo smoking e sperai invano
che si inventassero stoffe ingualcibili (senza provocare
però la disoccupazione del settore dei tessili, come si
era visto in un divertente film).
Il generale Walters nelle sue memorie ha riportato
con esattezza un episodio. Eravamo appena ripartiti da
Colorado Springs quando un lieve filo di fumo circolò
in modo inquietante. Il pilota chiese istruzioni ed io ovviamente dissi di operare come avrebbe fatto se fosse
solo. Scaricò in mare il carburante superfluo e tornammo indietro. Il comandante dell’aeroporto disse che si
era augurato di rivedermi, ma non così presto.
Vernon Walters ebbe anche riservatissima parte
nei contatti con i vietnamiti alla ricerca di una via
d’uscita. In questa fase arrivò e ripartì da Parigi insieme a Henry Kissinger mimetizzati con strani abbigliamenti. Individuati, avrebbero provocato una protesta diplomatica se Vernon non avesse chiesto complicità al Servizio francese dicendo che era questione
di donne.
Altro momento rilevante fu quando il presidente Eisenhower lo mandò dal generale Franco a chiedergli
cosa pensasse sarebbe accaduto in Spagna dopo la
sua morte. Il Caudillo rispose che Washington non
aveva compreso il significato profondo della restaurazione della monarchia. Il re sarebbe stato per i partiti
politici il garante della democrazia e per le forze armate la sicurezza che nessuno avrebbe disturbato i militari. Il timore di una ripresa della guerra civile non aveva
alcun fondamento. E così, di fatto, fu.
Nella multiforme attività al servizio dello Stato Walters fu anche il più diretto collaboratore di George Bush nella direzione della Cia. Fu una fase nella quale
non mi pare che nell’Agenzia ci fossero fughe e tradimenti come in altri tempi è accaduto.
Successivamente, senza alcuna obiezione nella
convalida senatoriale, rappresentò gli Stati Uniti come ambasciatore presso le Nazioni Unite e successivamente a Bonn.
Da New York ci fu di grande aiuto nella vicenda
dell’Achille Lauro. L’ondata emotiva esplosa laggiù at-
Nella sua multiforme attività
al servizio dello Stato fu anche
il più diretto collaboratore
di George Bush nella direzione
della Cia. Fu una fase nella
quale non mi pare che
nell’Agenzia ci fossero fughe
e tradimenti come in altri tempi
è accaduto. Successivamente,
da New York, ci fu di grande
aiuto nella vicenda
dell’Achille Lauro
traverso una spietata campagna televisiva indusse
Craxi ad annullare la partecipazione sua (e mia) al
summit straordinario che il presidente Reagan aveva
indetto per la settimana successiva – con i Paesi Nato,
Giappone, Australia ed altri –, alla vigilia del primo
contatto con Gorbaciov a Ginevra. Già la Francia si
era dissociata per ragioni di principio; e la nostra assenza avrebbe provocato l’impressione di un dissenso
nel merito. A parte altri canali, telefonai a Vernon
Walters per rappresentargli la situazione. Dopo un
paio d’ore mi chiamò chiedendo la disponibilità di
Craxi a ricevere un inviato speciale del presidente degli Stati Uniti. Venne, latore di un messaggio di Á
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Editoriale
Sotto, Vernon Walters mostra un pezzo
del muro di Berlino dopo l’89
A sinistra, il primo discorso di George Bush come direttore della Cia nel 1976;
a destra, Ronald Reagan e Michail Gorbaciov a New York nel dicembre del1988
grande simpatia e la tempesta rientrò prontamente.
Quando andammo a New York non trovammo che
sorrisi. Reagan spiegò che non sapeva se Gorbaciov
facesse sul serio, ma non poteva dinanzi alla propria
coscienza non sperimentare la possibilità. E per grazia
di Dio cominciò il negoziato che portò, tra l’altro, a dimezzare gli arsenali nucleari.
Dopo la missione a Bonn, Walters tornò in patria e
si dedicò alla Fondazione con la quale si onora il generale Marshall, autore del famoso Piano di assistenza alla ripresa economica postbellica dell’Europa. La casa
del generale doveva divenire un museo, bonificando il
terreno adiacente da ogni struttura commerciale. Vernon fece il giro delle capitali, chiedendo la concreta
adesione dei governi ed anche delle imprese che dove-
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vano al Piano Marshall la nascita o la rinascita. Ebbe
non poche delusioni in proposito, ma il risultato fu
buono ed era abbastanza soddisfatto. Me lo disse
nell’ultimo incontro a Roma, pochi mesi or sono,
mentre tornava da una sessione della Reale Accademia del Marocco di cui era membro. Come mobilità
aveva qualche segno di invecchiamento (e si faceva
aiutare dal nipote) ma la mente era intatta e la vivacità
della sua conversazione sempre affascinante.
È morto il 10 febbraio nella sua casa di Palm Beach
dove passava i mesi invernali. A Roma nella chiesa
americana di Santa Susanna – nella quale tante volte
lui, cattolico esemplare, aveva pregato – l’ambasciata
ha fatto celebrare una messa di suffragio. È stato un
momento suggestivo di raccoglimento e di memoria. q
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