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La taverna del tempo
di Chiara Cosolo
Non mi ero mai accorta che nelle vicinanze di casa mia esisteva una stradina diversa dalle altre, così
ampie e intrise di smog cittadino. Sembrava spuntata all’improvviso, dal nulla. Iniziava alle spalle di un
palazzo immenso, che imperava in mezzo a un agglomerato di case, e s’infilava silenziosamente tra gli
alberi, oltre i quali scompariva.
Un giorno, decisi di introdurmi in quella viuzza per vedere dove portava. Camminai per un tempo
indefinito, tra distese di campi e boschetti incantevoli, mentre il sole scendeva pian piano, scomparendo
dietro alla linea dell’orizzonte, che segnava il confine tra il sogno e la realtà.
Il buio ungeva oramai ogni angolo della natura, e le creature notturne si affacciavano impazienti dalle
loro tane.
A un certo punto, scorsi in lontananza una costruzione con un’insegna rigurgitante di piccole luci, che
rischiaravano l’area circostante creando un alone di magia.
Ero ormai a pochi metri dal fabbricato di legno, quando udii una melodia indefinibile, che sembrava
racchiudere in sé ogni genere musicale che fosse mai stato concepito.
Sedotta dall’ammaliante miscela che inondava dolcemente le orecchie, alzai gli occhi e vidi un’insegna.
C’era scritto: La Taverna del Tempo.
Mi avviai istintivamente verso la piccola porticina rossa, che si schiuse da sola, come se mi stesse
aspettando.
All’interno la musica era più intensa, e avvolgeva con le sue ali i frequentatori del locale, intenti nelle
più svariate attività: c’era chi ballava sui tavoli, chi era immerso in un lento immaginario; c’era chi
beveva brindando in compagnia e chi, invece, se ne stava da solo a fissare il vuoto col bicchiere tra le
dita. Sembrava che in quel luogo il frastuono si intrecciasse miracolosamente con i sogni di ciascuno.
Un uomo gentile di mezz’età si avvicinò a me. Immaginai fosse l’oste, dal momento che aveva il
grembiule macchiato di vino rosso. Invece lui si presentò come il conducente.
Un po’ titubante, dissi “Vorrei un posto anche per me, se possibile”.
“Certo!” rispose prontamente “Qui tutto è possibile, anche un viaggio nel tempo”.
“Davvero? E come si fa?” domandai stupita.
“E’ semplice, vedrà. Le porto subito il biglietto di andata e ritorno: un buon bicchiere di vino rosso,
bello robusto”.
Dopo un po’, il portentoso liquido era di fronte a me, e brillava insieme a tutte le sue possibilità.
“Con questo le sarà possibile spostarsi indietro nel tempo e recuperare qualcosa che ha perduto e di cui
si ha nostalgia” ribadì lui indicando il recipiente “La avviso, però: ha solo il tempo di qualche bicchiere,
poi quest’opportunità sfumerà”.
Annuii e sorrisi con grande partecipazione.
“Pronti? Si parte!” esclamò a un tratto.
Portai il vetro alle labbra, gustando quel sapore forte, antico, miracoloso. Poi mi accorsi che tutto intorno
a me perdeva consistenza, si occultava, mentre calavo lentamente nello scenario del mio passato.
“Adesso esterni il suo desiderio! Cosa vuole riavere?” domandò lui.
“Vorrei riprendere dal passato la mia capacità di sognare. L’ho perduta strada facendo, e ora il futuro mi
sembra solo uno scantinato pronto a rinchiudermi nelle sue viscere. Ecco, vorrei rubare l’entusiasmo
alla ragazza di un tempo”.
“Vuole sognare? E’ esattamente ciò che sta facendo, signora. Si svegli, piuttosto, e corra nel mondo
fiduciosa, la vita ha ancora tanto da offrirle”.
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Scoppiai in una fragorosa risata, mentre mi risvegliavo tra i raggi di una bella giornata calda e luminosa.
Non ho mai dimenticato la taverna del tempo, e nemmeno il simpatico conducente, che ogni tanto mi
bisbiglia: il nostro passato è un sogno che aleggia dentro di noi e si può raggiungere facilmente con un
viaggio tra le sensazioni. E con la complicità di un buon vino rosso!
La taverna del tempo giace nascosta al di là della razionalità, e ognuno di noi ne possiede una, basta
cercarla.
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