Scheda 6. Non nominare il nome di Dio invano

Transcript

Scheda 6. Non nominare il nome di Dio invano
Scheda 6.
Non nominare il nome di Dio invano1
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il
suo nome invano. (Es 20,7 // Dt 5,7)
1. Il nome di Dio, un nome che non viene dagli uomini, un nome sacro
Nella cultura biblica il nome corrisponde all’identità, pertanto, tra i nomi di tutto ciò che esiste c’è un nome
impronunciabile e che non viene dagli uomini, ed è il nome di Dio. La storia che Dio abbia un nome e che
venga italianizzato con Geova, ovviamente, è fuorviante. Qualsiasi persona che approccia un corso biblico
di base saprà che il ‘tetragramma’ sacro JHWH, cioè la combinazione di quattro lettere dell’alfabeto ebraico
che compongono il nome di Dio, rende volutamente impossibile la sua pronuncia. Infatti JHWH non può
essere pronunciato perché manca di vocalizzazione e quando nella Scrittura gli ebrei incontrano questo
nome lo sostituiscono con un più formale Adonai, che indica genericamente il Signore. Dio ha un nome che
già esprime la carica di mistero, già contiene in sé il contenuto del trascendente e dell’alterità (Es 3,14). Il
nome di Dio non è come gli altri nomi e non è manipolabile, secondo lo stesso principio della proibizione
delle immagini.
La sacralità del nome di Dio è quindi indice della sacralità di Dio stesso. JHWH è il Santo, il separato dal
mondo, che non si confonde con gli altri esseri viventi, non è della stessa natura, non ha gli stessi
comportamenti.
2. Il timor di Dio
Insegnami a compiere il tuo volere, perché sei tu il mio Dio. Il tuo spirito buono mi guidi in terra piana.
Per il tuo nome, Signore, fammi vivere, liberami dall'angoscia, per la tua giustizia (Sal 142). Il timor di Dio
viene spesso confuso con la paura di Dio. Si tratta, invece, di un dono dello Spirito che ci collega con
l’esperienza divina e rende possibile che lo Spirito guidi la propria vita. Per definirlo correttamente
dobbiamo pensare che è un timore di riverenza, una sorta di scrupolosità a saper cogliere il giusto rapporto
con la persona di Dio. Il timor di Dio è prima di tutto rispetto, riconoscimento della grandezza del Signore e
immensa fiducia nella sua giustizia e nel suo amore. Quando abbiamo questo dono allora è vivo il valore di
Dio nella nostra vita, ci fa coscienti della sua presenza e ci fa dispiacere di far qualcosa contro di Lui.
Quando ci muoviamo nel timor di Dio, possiamo essere certi che stiamo camminando con il dono
dell'Amore. Ogni azione compiuta per mezzo di questa virtù spirituale ci fa agire nella grazia di Dio, nel suo
amore. Il timor di Dio aiuta a vivere tutta la vita per piacere a Dio piuttosto che agli uomini. «Quando siamo
pervasi dal timore di Dio, allora siamo portati a seguire il Signore con umiltà, docilità e obbedienza. Questo,
però, non con atteggiamento rassegnato, passivo, anche lamentoso, ma con lo stupore e la gioia di un figlio
che si riconosce servito e amato dal Padre. Il timore di Dio, quindi, non fa di noi dei cristiani timidi, remissivi,
ma genera in noi coraggio e forza! È un dono che fa di noi cristiani convinti, entusiasti, che non restano
sottomessi al Signore per paura, ma perché sono commossi e conquistati dal suo amore! Essere conquistati
dall’amore di Dio! E questo è una cosa bella. Lasciarci conquistare da questo amore di papà, che ci ama
tanto, ci ama con tutto il suo cuore2».
3. Invocare il nome di Dio
Quando gli uomini non si pongono nella volontà di Dio, vuol dire che non possiedono il timor di Dio, e
passano oltre gli insegnamenti e i comandamenti, rendendosi giudici assoluti e maestri della propria
esistenza. Qui ci troviamo di fronte ad un capovolgimento di ruoli. Quando si trae vantaggio dal nome di
Dio, vuol dire che si tende a piegare Dio alla propria volontà3. Nell’idea magica che è nella testa di alcuni
uomini, si può cercare nel nome di Dio una sorta di formula magica per convincere, spaventare, giustificare
o agire contro qualche persona.
1
di don Federico Saporito. Cammino di catechesi per adulti 2014/2015
PAPA FRANCESCO, Udienza del mercoledì 11 giugno 2014
3
I. FUČEK, Il secondo Comandamento, in Commento teol. del Catechismo della Chiesa Catt., Piemme, 1993, 500ss
2
Il nome di Dio rappresenta l’essenza di Dio, perciò anche l’invocazione del nome di Dio richiama la sua
presenza, anzi, lo rende presente. Quando iniziamo la nostra preghiera facciamo sempre un gesto che
accompagniamo all’invocazione del ‘nome’ del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. La presenza di Dio
viene invocata per dare vita all’esperienza di incontro. Anche Gesù nel presentare la sua missione indica
43
Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo
accogliereste (Gv 5,43). Dice anche glorifica il tuo nome (Gv 12,28) e parla dell’onore al nome di Dio, lo
invoca quando al Getsemani vive la passione (Mc 14,36).
4. Il nome pronunciato invano
Quando una persona chiama a testimone Dio per uno spergiuro, cioè per affermare una bugia portando Dio
come garanzia, commette un peccato mortale. È questo ciò che insegna san Tommaso motivandolo come
una mancanza grave verso Dio.
In ogni caso un giuramento è valido se si soddisfano tre condizioni: 1) la verità, 2) la prudenza, 3) la
giustizia. Quando mancano le ultime due condizioni è nullo, in caso di costrizione o contro il diritto di altri, è
peccaminoso se mancano le prime due condizioni (nel caso di frode o malsano criterio)4.
Il nome di Dio non può essere usato a proprio vantaggio, per perseguire i propri fini al di là dell'accoglienza
della Parola del Signore.
Un altro modo per usare il nome di Dio invano è la bestemmia. Il CCC 2148 «La bestemmia si oppone
direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente
– parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei
propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro «che bestemmiano il bel nome [di
Gesù] che è stato invocato» sopra di loro (Gc 2,7). La proibizione della bestemmia si estende alle parole
contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare
pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per
commettere un crimine provoca il rigetto della religione». La bestemmia non appartiene ne alla tradizione
biblica ne a quella mediorientale. La parola blasfemia dal greco significa ribellarsi o rifiutare Dio. Ciò che
viene posto in ebraico come ‘invano’ è shaw’ che indica qualcosa di falso, di vuoto, vano e inutile5. Per
questo, insieme alla pronuncia blasfema o offensiva del nome di Dio, dobbiamo porre la volontà di piegare
al proprio pensiero Dio, di porlo alle proprie comodità e alle proprie esigenze, di farlo risultare impotente
ed incapace di offrire la Salvezza.
Il nome di Dio deve essere pronunciato in coerenza di vita, perciò deve esprimere anche la propria
testimonianza della fede. La bestemmia è un atto di disprezzo verso il Signore, un rifiuto della maestà di Dio
e mancanza di rispetto verso l'Altissimo.
Anche l'imprecazione è una mancanza grave. Ma non bisogna dimenticare che quando si chiama in causa il
Signore piegandolo alla propria concezione, oppure ci si sostituisce al giudizio divino (per es. Dio gliela farà
pagare, oppure lo punirà...), si trasgredisce al secondo comandamento.
5. Il nome di ogni uomo
Ognuno di noi è chiamato a realizzare un progetto di vita. Ad immagine della santità di Dio l'uomo è
chiamato alla santità. Come il nome di Dio esprime la sua santità, anche il nome degli uomini deve avere la
stessa funzione. Ogni uomo che porta un nome che è legato ad un patrono, ad un santo. Esprime la radice
cristiana della propria vita. Il battesimo ha il rito del nome, cioè viene chiesto di presentare il nome del
bambino. Questo nome non può essere un nome esotico, perché il credente rinasce ad una nuova vita che
porta l'essenza del cristianesimo. Nel CCC 2156 c'è la proibizione di imporre un nome non cristiano o che
non contenga una virtù cristiana.
Nell'esprimere il nome, viene espresso un desiderio di comunione con il Signore e con la Chiesa cattolica.
4
5
I. FUČEK, Il secondo Comandamento, in Commento teol. del Catechismo della Chiesa Catt., Piemme, 1993, 503
G. RAVASI, I Comandamenti, BUC, 2014, 50ss