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di/by Cinzia Battaglia
“TRACCE DI COLORI
E LUCCICANTI BAGLIORI
DELL’ELBA FERROSA CHE FU”
“Pontile di carico di Vigneria”
Rio Marina
©Foto L. Ruffini
tradizioni/cultural heritage
I
miei passi si muovono lenti per non disturbare
questo paesaggio così unico e ricco di storia.
Camminando con prudenza, senza far troppo
rumore, si riesce ad assaporare veramente la natura, i
colori, i suoni e le tracce di chi ci ha preceduto. Arrivai sull’isola per conoscere i luoghi di Klee. Erano i
primi anni ottanta ed io una giovane artista in cerca
delle diverse tonalità offerte dai luoghi del mondo ed
i panorami minerari del versante orientale furono
una tappa fondamentale per la mia vita. Mi innamorai perdutamente del paesaggio elbano, del bagliore
presente ovunque. All’epoca le miniere stavano chiudendo e si respirava un’aria molto surreale; era come
se tutto si fosse fermato e fosse stato immortalato da
uno scatto fotografico: l’ultimo respiro esalato dalla
terra ancora ricca di minerale. Ricordo come adesso
il pappagallo a Rio Marina che fischiava bandiera rossa, così come la strada del Volterraio percorsa anche a
dorso di mulo e ancora la nave che, alla sera, puntuale arrivava al porto; vivida anche è l’immagine di
Angiolino, un pescatore di Bagnaia, che aveva intuito, da come guardavo questo mare, che qui sarei tornata e avrei piantato radici. Aveva ragione! Nel giro
di pochi anni mi trasferii in questo paradiso che iniziai ad esplorare e a conoscere. Essere stata una scout
fin da bambina ha sicuramente plasmato il mio stile
di vita: l’attenzione nell’osservare e annusare fino a diventare un tutt’uno con la natura ed arrivare a sentirti parte di essa e poi, con il cuore e con attenzione di
un’età più adulta, imprimere con i miei pennelli le
emozioni o modellare nelle mie mani l’argilla; probabilmente è stato questo “connubio di passioni”
che mi ha portata ad essere un’ interprete della natura, una guida ambientale escursionistica. Anno dopo anno ho imparato qualcosa di nuovo e, nonostante il mio lavoro sia una costante e continua scoperta,
la mia passione rimane sempre quel percorso, sulla
parte orientale dell’isola, quella “tavolozza” di terra
dalle tinte brillanti e calde dove, durante le escursioni in cui promuovo il territorio, mi pare quasi di sentire i passi delle antiche popolazioni in cerca di metalli. Quella mineraria è una delle parti più nascoste
dell’Elba ma è anche, a parer mio, una tra quelle obbligatorie proprio perché ci racconta ancora, con le
sue vivide tracce, la storia di quell’attività estrattiva
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persa nel tempo che ha cambiato questo paesaggio,
dove tutto ruotava intorno ai metalli. L’Elba vanta un
patrimonio geo-mineralogico unico. La vera singolarità consiste nell’essere un “grandioso museo mineralogico a cielo aperto”, come lo ha definito il geologo Bernardino Lotti nel 1877. Percorrere i sentieri
del versante orientale elbano consente
all’escursionista di cogliere la stretta connessione tra
l’uomo e i minerali. Le risorse metallifere dell’isola
sono state sfruttate almeno dalla seconda metà del I
millennio a.C., inizialmente con l’estrazione del rame (alquanto scarso) e successivamente (a partire
dall’epoca etrusca in poi) del ferro. In epoca più recente l’attività mineraria si è protratta dal 1860 al
1977 ed è stata usata, nell’ultimo periodo, per il lavaggio e l’accumulo del materiale trattato. Vigneria è
uno dei cantieri minerari dimessi di Rio Marina, il
più prossimo al mare, ed è è stata la prima zona ad essere lavorata. Situata sulla strada che collega Rio Marina a Cavo è nota, nonostante le condizioni fatiscenti,
per il pontile di carico ancora visibile attraverso il quale i minerali (per lo più ematite e pirite provenienti
dai cantieri collinari limitrofi (Bacino, Falcacci, Zuccoletto, Piè d’Ammone ed il famoso e più esteso
Valle Giove, solo per citarne alcuni) venivano caricati
sui mercantili per esser trasportati via mare alle acciaierie di Piombino. L’ematite, nel cantiere del Bacino,
si presenta sia in masse cristalline compatte sia in aggregati a scaglie e lamellari e, più rari, a forma di cristalli ad abito romboedrico. Quel luccichio abbaglia!
Tutte quelle pareti piene di piccoli cristallini di ematite che hanno come peculiarità la loro iridescenza,
dovuta alla presenza di alterazioni d’idrossidi di ferro.
Visitando questo cantiere si ha la sensazione di essere
in un grande anfiteatro a più gradoni. Questo paesaggio lascia ogni escursionista senza fiato! Anche la
miniera del Ginevro è un mondo a sé. Particolarmente eccezionali sono gli impianti e l’unicità degli
ambienti. Il cantiere (il più recente e moderno) ha iniziato la sua attività nel secolo scorso, alla fine degli anni trenta. Tutte le miniere brillavano sotto la luce del
sole. Quella del Ginevro, invece, si è sviluppata nelle
viscere della terra, raggiungendo ben 54 metri di profondità dal livello del mare e sfruttando così il sottosuolo: una ramificazione di gallerie sotterranee, con
tradizioni/cultural heritage
una sola apertura verso la luce, dalle quali si estraeva
la “magnetite” racchiusa in una particolarissima roccia detta “skarn”. La presenza di questa parete ha reso
le gallerie, che si snodano su più livelli per circa 7
km, auto-portanti, ovvero che non necessitano di
nessuna struttura in legno a loro sostegno.
Oltre ai minerali, i giacimenti dell’isola erano ricchi
di terre colorate a base di ferro, come l’ocra rossa e
gialla (un’argilla detta bolo), e di carbonati di rame
(l’azzurrite e la malachite) molto ricercati per realizzare i pigmenti adoperati in pittura fin dall’antichità.
L’arte infatti, facendone un diverso utilizzo, trasformava così il minerale in colore. Biringuccio Vanoccio (nel trattato De Pirotechnia del XVI secolo)
descriveva il Bolo come “efficace contro ogni veleno” e ottimo collante per l’applicazione delle foglie
d’oro nelle tavole dipinte; l’ematite invece veniva utilizzata nella tecnica di disegno detta “a sanguigna”,
mentre l’azzurrite, la malachite e i carbonati di rame
(dal colore azzurro e verde acceso) venivano usati come preziosi pigmenti nell’affresco e su tavola. Con la
chiusura delle miniere, l’impianto del pozzo e le gallerie sono rimasti in manutenzione conservativa.
©Foto L. Ruffini
Da alcuni anni si possono effettuare dei percorsi al loro interno, inoltrandosi nei cunicoli scavati
dall’uomo che ci permettono di carpire la fatica del lavoro, mal retribuito e poco sano, del minatore.
Ancora oggi sembra di sentire i rumori dei cavatori
che frantumavano i pezzi di magnetite e separavano i
più grossi dal fine, degli addetti al carico dei minerali
sui vagoni, l’odore intenso delle polveri, il boato della
carica esplosiva, il rumore della “tramoggia”, del lavaggio che puliva tutto con l’acqua di mare, i loro piedi stanchi che, a fine giornata, percorrevano km per
raggiungere la proprie abitazioni. In uno scenario surreale, dove l’occhio gradualmente si abitua al buio delle sotterranee e si cammina lentamente, quasi inghiottiti da un mondo che sembra ormai lontano,
se si tende bene l’orecchio, in lontananza sentirete ancora il fischio sordo della sirena che scandiva le ore
dei minatori e degli abitanti dei paesi ferrigni.
Queste “poche righe” per raccontare con il cuore immagini di un altro volto della Nostra Isola, dove dal
mare arrivavano e partivano imbarcazioni cariche di
metallo, un’Elba avvolta nella caligine dei fumi di antichi forni fusori.
Miniera del Ginevro
Capoliveri
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