Come la bellezza uccise la bestia… una storia di droga
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Come la bellezza uccise la bestia… una storia di droga
EATBPE GU MD ZN AG AOER CI E AG GF SL CAD RC AG NE CI SL DI YF UO PO IT OP UNA GY VE LA AG W COME YF UOTC FR A C O Q KSJQ LP FCABWI BA VICLWBE HU PE LA OI PR TW P TE R A S A VI BELLEZZ XPI TB U P C C SX I VT S E RDXMDDAB BESTIA...CLISMP MZ FC NV STORIWAI NF RDCQ TE R AH BG EAVANF VIDROGA VANF I F C A B ABWI W XM I MD COME LA BELLEZZA UCCISE LA BESTIA... UNA STORIA DI DROGA Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero Partendo dall’incipit di Davide Mattiello e con il coordinamento dei propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso indicate: I.I.S. “G. Carducci” di Comiso (RG) - classi IA/B classico, IIIA/B scientifico I.I.S.S. “Giovanni Paolo II“ di Diamante (CS) – gruppo misto I.I.S. “Majorana-Marro” di Moncalieri (TO) – classe IIIA relazioni internazionali per il marketing Istituto Professionale di Stato per i Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera di Pagani (SA) – classi IIIE/F Liceo Classico e Internazionale “Carlo Botta” di Ivrea (TO) - classe III gamma Liceo Scientifico “E. Fermi” di Aversa (CE) – classi III/IV Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte (TO) – classe IIIA IPSIA “L. Da Vinci” di Savona (SV) – classe III EMA I.I.S. “Albert Einstein” di Torino – gruppo misto I.I.S. “L. Nobili” di Reggio Emilia Editing a cura di: Alfonso Tramontano Guerritore Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali Ente Formatore per docenti accreditato MIUR Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani Staffetta Bimed/Exposcuola 2013 La pubblicazione rientra tra i prodotti del Percorso di Formazione per Docenti “La Scrittura Strumento indispensabile di evoluzione e civiltà” II livello. Il Percorso di Formazione è promosso dal MIUR Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per il Personale Scolastico Ufficio VI e si organizza in interazione con l’Istituto Comprensivo “A. De Caro” di Lancusi/Fisciano (SA) Direzione e progetto scientifico Andrea Iovino Monitoraggio dell’azione e delle attività formative collegate Maurizio Ugo Parascandolo Responsabili di Area per le comunicazioni, il coordinamento didattico, l’organizzazione degli Stages, le procedure e l’interazione con le scuole, le istituzioni e i fruitori del Percorso di Formazione collegato alla Staffetta 2013 Linda Garofano Marisa Coraggio Andrea Iovino Area Nord Area Centro Area Sud Segreteria di Redazione e Responsabile delle procedure Giovanna Tufano Staff di Direzione e gestione delle procedure Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo Responsabile per l’impianto editoriale Alfonso Tramontano Guerrirore Grafica di copertina: Valentina Caffaro Rore, Elisa Costanza Giuseppina Camurati, Iulia Dimboiu, Giulia Maschio, Giulio Mosca, Raffaella Petrucci, Dajana Stano, Angelica Vanni - Studenti del Corso di Grafica dell’Istituto Europeo di Design di Torino, Docente Sandra Raffini Impaginazione Bimed Edizioni Relazioni Istituzionali Nicoletta Antoniello Piattaforma BIMEDESCRIBA Gennaro Coppola Amministrazione Rosanna Crupi I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale RINGRAZIAMENTI I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola 2013 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dai Comuni che la finanziano perché ritenuta esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2013 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta, Cetara, Pinerolo, Moncalieri, Susa, SaintVincent, Castellamonte, Torre Pellice, Castelletto Monferrato, Forno Canavese, Rivara, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese. Si ringrazia, inoltre, il Consorzio di Solidarierà Sociale “Oscar Romero” di Reggio Emilia, Casa Angelo Custode di Alessandria, Società Istituto Valdisavoia s.r.l. di Catania, Associazione Culturale “Il Contastorie” di Alessandria, Fondazione Banca del Monte di Rovigo. La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di presentazione dei Racconti 2013 dai Comuni di Bellosguardo, Moncalieri, Ivrea, Salerno, Pinerolo, Saint Vincent, Procida e dal Parco Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti. Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato per il buon esito della Staffetta 2013 e che nella Scuola, nelle istituzioni e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche e agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2013 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che operano in ambito alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo Prot. SCA/GN/0776-8 del 24/09/2012. Partner Tecnico Staffetta 2013 Si ringraziano per l’impagabile apporto fornito alla Staffetta 2013: i Partner tecnici UNISA – Salerno, Dip. di Informatica; Istituto Europeo di Design - Torino; Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly Company; ADD e EDT Edizioni - Torino; il partner Must Certipass, Ente Internazionale Erogatore delle Certificazioni Informatiche EIPASS By Bimed Edizioni Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo (Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura) Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected] La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2013 viene stampata in parte su carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi… Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di recupero e riciclo di materiali di scarto. La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola 2012/2013 Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero. Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo) senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola. PRESENTAZIONE dedicato alle maestre e ai maestri … ai professori e alle professoresse, insomma, a quell’esercito di oltre mille uomini e donne che anno dopo anno ci affiancano in questo esercizio straordinario che è la Staffetta, per il sottoscritto, un miracolo che annualmente si ripete. In un tempo in cui non si ha la consapevolezza necessaria a comprendere che dietro un qualunque prodotto vi è il fare dell’essere che è, poi, connotativo della qualità di un’esistenza, la Staffetta è una esemplarità su cui riflettere. Forse, la linea di demarcazione che divide i nativi digitali dalle generazioni precedenti non è nel fatto che da una parte vi sono quelli capaci di sentire la rete come un’opportunità e dall’altra quelli che no. Forse, la differenza è nel fatto che il contesto digitale che sempre di più attraversa i nostri giovani porta gli individui, tutti, a ottenere delle risposte senza la necessità di porsi delle domande. Così, però, è tutto scontato, basta uno schermo a risolvere i nostri bisogni… Nel contempo, riflettere sul senso della nostra esistenza è sempre meno un bisogno e il soddisfacimento dei bisogni ci appare come il senso. Non è così, per l’uomo, l’essere, non può essere così. Ritengo l’innovazione una delle più rilevanti chiavi per il futuro e, ovviamente, non sono contrario alle LIM, a internet e ai contesti digitali in generale, sono per me un motore straordinario e funzionale anche per la relazione tra conoscenza e nuove generazioni, ma la conoscenza è altro, non è mai e in nessun caso l’arrivo, l’appagamento del bisogno… La conoscenza è nella capacità di guardare l’orizzonte con la curiosità, il piacere e la voglia di conquistarlo, questo è! Con la staffetta il corpo docente di questo Paese prova a rideterminare una relazione con l’orizzonte, con quel divenire che accomuna e unisce gli uomini e le donne in un afflato di cui è parte integrante il compagno di banco ma, pure, il coetaneo che a mille chilometri di distanza accoglie la tua storia, la fa sua e continua il racconto della vita insieme a te… In una visione di globalizzazione positiva. Tutto questo ci emoziona anche perché è in questo modo che al bisogno proprio (l’egoismo patologico del nostro tempo), si sostituisce il sogno di una comunità che attraverso la scrittura, insieme, evolve, cresce, si migliora. E se è vero come è vero che appartiene alla nostra natura l’essere parte di una comunità, la grande scommessa su cui ci stiamo impegnando è proprio nel rideterminare con la Staffetta una proficua interazione formativa tra l’innovazione e la cultura tipica dei tanti che nell’insegnare hanno trovato… il senso. Dedico questo breve scritto ai docenti ma vorrei che fossero i genitori e gli studenti, gli amministratori e le imprese, la comunità e l’attorno, a prendere consapevolezza del fatto che è proprio ri/partendo dalla Scuola che potremo determinare l’evoluzione e la qualificazione del nostro tempo e dello spazio in cui viviamo. Diamoci una mano, entriamo nello spirito della Staffetta, non dividiamo più i primi dagli ultimi, i sud dai nord, i potenti dai non abbienti… La Staffetta è, si, un esercizio di scrittura che attraversando l’intero impianto curriculare qualifica il contesto formativo interno alla Scuola e, pure, l’insieme che dall’esterno ha relazione organica e continuativa con il fare Scuola, ma la Staffetta è, innanzitutto, un nuovo modo di esprimersi che enuclea nella possibilità di rendere protagonisti quanti sono in grado di esaltare il proprio se nel confronto, nel rispetto e nella comunanza con l’altro. Andrea Iovino L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola italiana. Quando Bimed ci ha proposto di operare in partnership in questa importante avventura non ho potuto far a meno di pensare a quale straordinaria opportunità avessimo per sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti ancora sconosciuto, tema di “innovazione e cultura digitale”. Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia, di Rete e di 2.0, ma cosa sono in realtà e quali sono le opportunità, i vantaggi e anche i pericoli che dal loro utilizzo possono derivare? La Società sta cambiando e la Scuola non può restare ferma di fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie ha portato anche nella didattica: cambia il metodo di apprendimento e quello di insegnamento non è che una conseguenza naturale e necessaria per preparare gli “adulti di domani”. Con il concetto di “diffusione della cultura digitale” intendiamo lo svi- luppo del pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i nostri ragazzi a districarsi nella giungla tecnologica che viviamo quotidianamente. L’informatica entra a Scuola in modo interdisciplinare e trasversale: entra perché i ragazzi di oggi sono i “nativi digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e che porta inevitabilmente la Scuola a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo. Certipass promuove la diffusione della cultura digitale e opera in linea con le Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del contesto sociale contemporaneo. Poter anche soltanto raccontare a una comunità così vasta com’è quella di Bimed delle grandi opportunità che derivano dalla cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la re- lazione con i contesti informatici, è di per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e considerato anche che è acclarato il dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano, Research, Quality, Competitiveness. European Union Technology Policy for Information Society II- Springer 2012) non soltanto di carattere digitale, ci è apparso doveroso partecipare con slancio a questo format che opera proprio verso la finalità di determinare una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali alle moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro, partecipazione e condivisione… I docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica, i giovani a inventarsi un pezzo di una storia che poi vivono e condividono grazie al web con tanti altri studenti che altrimenti, molto probabilmente, non avrebbero mai incontrato e, dulcis in fundo, le pubblicazioni… Il libro che avrete tra le mani quando leggerete questo scritto è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere, dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento tecnologico. Il Presidente Domenico PONTRANDOLFO INCIPIT DAVIDE MATTIELLO Basta trattenere il respiro. All’inizio non è facile. Quand’ero più piccola e ci provavo mi sembrava di soffocare. Poi un po’ per volta si impara. Trattieni il respiro, pensi a qualcosa di piatto e tac! Tutto va come deve andare. Io mi sono abituata a pensare ad un tronco gigantesco che un fulmine ha schiantato quasi alla radice. Deve essere stato parecchio tempo fa. Questo albero gigantesco se ne è venuto giù, immagino con quale chiasso, spaccandosi tutti i rami di sotto. E dove è arrivato, è stato: colpito, abbattuto. Fine della storia. E che sarà mai! Io penso a quel tronco nella foresta perché non c’è niente di più piatto di un tronco così abbandonato a se stesso. Così buttato. Prima stava dritto e serviva in un modo... ora sta coricato e serve in un altro. E che sarà mai! Adesso sono qui e ho una paura terribile che quella grossa Bestia ringhiosa si accorga di me e mi sbrani. Tra poco potrei essere abbattuta a colpi di artiglio, lunga e distesa per terra. Ci sarà qualcos’altro da fare anche per me, come c’è stato qualcos’altro da fare per l’albero. La Bestia si aggira a poca distanza. Sembra che possa vedere anche dietro la testa, sentire nel silenzio. Il silenzio di chi si nasconde, che è un silenzio diverso: vibra. Ogni volta che appoggia una zampa per terra lo fa per ascoltare il suolo, per catturare il brivido della preda. Lo so io e lo sa lei. La terra respira con chi ci sta sopra. Compie cerchi lenti e precisi, vedo il pelo irto sul dorso: rosso. Zampa appoggiata, muso che punta un po’ più in su, fremito delle narici e poi di nuovo, zampa appoggiata, muso puntato un po’ più in là e fremito delle narici. Ha diviso lo spazio circostante in spicchi e uno dopo l’altro ci ficca i suoi sensi dentro. Uno dopo l’altro, senza saltarne nessuno. Senza fretta: non ne ha. La Bestia sa che l’unica salvezza per la preda è l’assoluta immobilità. Troppo veloce per chiunque la Bestia. Fuggire equivale a morire. L’unica mossa possibile è l’elusione: immobile con 14 tutto, immobile dentro e fuori, trattenere il respiro e farsi pietra tra le pietre, ramo tra i rami. La Bestia non si sarebbe messa ad azzannare una pietra, né un ramo. Chissà quanto tempo c’è voluto per capire questo trucco. Chissà quanti sono morti! Tutti quelli che hanno cercato di correre, di saltare, di arrampicarsi: ma non ci sono mai state gambe abbastanza rapide, buchi abbastanza profondi, né rocce abbastanza alte. La Bestia ne ha fatto il suo pasto. E sono morti anche tutti quelli che hanno cercato di fermarla tirandole addosso un sasso o un bastone. Forse qualcuno ha anche cercato di infilzarla, affrontandola con un ramo appuntito tenuto basso e saldo sulle cosce. Tutto inutile. Poi qualcuno c’è riuscito, trattenendo il respiro e pensando a qualcosa di piatto. Era normale per noi farlo, ma non per difenderci: questa era stata la novità. Di fronte alle Bestie nessuna fuga, né lotta: elusione. Lei pensa che tu ci sia, tu in effetti ci sei, ma se non ti sente è come se non ci fossi. È una questione di ruoli: il predatore deve sbavare famelico e minaccioso, la preda deve atterrirsi prima e difendersi in qualche modo poi. Che razza di preda può mai essere un pezzo di legno, immobile dentro e fuori? Così me ne sto immobile dentro e fuori, a rovinare la parte alla Bestia. Col muso indugia nell’aria, colgo per un attimo il bagliore dei suoi occhi neri: smarriti? E poi nel volgere di pochi istanti la fine. Per me è arrivato il momento del Sonno... e accidenti! Su per un sacco di tempo e compiono percorsi lunghissimi. Noi siamo come questi uccelli, ma per terra. Non me lo posso permettere! È come quando gli uccelli volano in cielo: per un po’ si danno da fare, sbattono le ali, orientano il collo e il becco per fendere l’aria, ne indovinano le correnti più calde e ci si infilano. Poi basta. Poi gli uccelli arrivano ad un certo punto, ad una certa altezza e da lì, volare è come scivolare sull’aria. Non si deve più fare niente, è l’aria che ti porta. Ci sono alcuni uccelli che così, volando senza più volare, stanno. “Il Sonno è volare senza più volare”. 15 CAPITOLO PRIMO Somebody that i used to know Solo adesso vedo che le altre volte sono stata cieca, nonostante gli occhi aperti di fronte alla realtà. Non so di preciso in quale assurdo posto mi trovi. L’unica cosa di cui sono certa è lo scroscio martellante della pioggia. Una siringa alla mia destra mi fa compagnia in un posto vuoto e immerso nella penombra. Attorno a me solo polvere. E io persa, con le spalle al muro. Di fronte a me colonne di cemento, come una gabbia. Io e la mia cara bestia. L’ho sognata di nuovo oggi, e non so che giorno sia. Sembrano tutti uguali. È buio, dovrei tornare a casa ma piove, e soprattutto non riesco ad alzarmi. Dannazione. Non voglio più stare con te, ma non ho scelta. Non ho la forza. Mi ritrovo a casa. Come ci sia arrivata non so. Sempre più spesso mi accade di vivere in stato confusionale, di non avere ricordi nitidi… Passo una mano sullo specchio appannato dal mio respiro, eliminando una striscia di condensa. La sua superficie rivela l’immagine che non vorrei mai vedere. Eppure sono io, o meglio, la parte di me che è emersa da un anno a questa parte. Lo so perché sono lucida. Ma quando la bestia mi aggredisce, perdo la cognizione della realtà. Alla luce incerta del bagno, osservo il mio viso. Mi ricordavo diversa. Di solito, quando sono cosciente, cerco di evitare di guardare il mio aspetto, perché è così difficile da accettare. Scosto il ciuffo nero dalla fronte. Una volta ero bionda, poi ho deciso di tingere i capelli, per uniformarli al buio del mio animo. Il nero copre il mio viso e il mio sguardo perso, tenendo lontani gli occhi degli altri. Passo le dita tra la mia lunga chioma, i capelli sono sporchi, grassi. Un conato di vomito mi sale in gola. Per quanto tempo sono rimasta incosciente? Mi chino sul lavandino e sciacquo la faccia con l’acqua gelida, per scacciare i pensieri. Prendo l’elastico nero che porto indosso come un bracciale, e lego quegli orribili capelli in una coda di cavallo. A quel punto, non mi resta altro che osservare il mio viso vuoto, inespressivo e pallido come 16 Somebody that i used to know quello di un cadavere. I miei occhi color ghiaccio sembrano innaturali. Una volta tutti invidiavano la luce che vi brillava dentro e che mi faceva apparire una ragazza solare, adesso sono solo orbite vuote, carcasse abbandonate sul mio volto. Gli zigomi prominenti deformano i contorni del mio viso. Le labbra sottili e violacee non sono che un pallido ricordo del sorriso che un tempo segnava le guance con piccole fossette. Ma allora TUTTO era diverso. Quando IO ero diversa… Scuoto la testa per allontanare quella visione e, freneticamente, frugo nel beauty tra i cosmetici, alla ricerca del mio rossetto rosso. Una passata basterà a coprire il colore delle mie labbra e mi farà sembrare più simile alla ragazza che ero una volta. Mi manca, quella ragazza. Le mie mani insicure non riescono ormai neanche ad assecondare la forma delle mie labbra e non tracciano che una linea deforme. Innervosita scaravento il rossetto da un’altra parte, ma sono talmente debole che anche quel semplice gesto di lanciare un oggetto, così piccolo e leggero, mi affatica. Ormai tutto il mio corpo è ridotto ad uno scheletro, le scapole e le ossa dei fianchi sembrano voler bucare la pelle e uscire fuori, le vertebre sono dei contapassi per il viale dissestato della schiena. Spesso la forza mi abbandona le gambe, facendomi accasciare. E così avviene. Cado, inizio a piangere, e desidero tutto quello che ho perduto. Torno indietro a prima che la Bestia iniziasse a possedermi. Resto a terra, ma anche in questa posizione lo specchio continua a riflettere la mia immagine, impietoso e luccicante. Come uno sguardo, si spinge dentro la mia anima lacerandola di consapevolezza. “Non riconosco ciò che vedo, non posso credere che quella Cosa sia Io”. Me lo ripeto ma non funziona. Ogni volta dico a me stessa che sarà l’ultima, ma mi ritrovo sempre con lo stesso stato d’animo. Sempre peggio. Inizio a perdere le speranze, forse è meglio abbandonarmi. Meglio un sonno profondo, senza risveglio. Via dai miei pensieri, dai sensi di colpa, dalle responsabilità. Via dai ricordi. Un tempo, studentessa modello e di belle speranze, mi appassionavano i poeti e leggevo che per Ovidio il Sonno è “l’immagine della gelida morte”. Proprio quello che vorrei. “E non è a questa – penso – che mi sto avviando? E allora fuggo. Capitolo primo 17 Fuggo da quello stesso sonno in cui mi rifugio. Via da quel Sonno vuoto, nero, baratro verso il nulla, popolato di incubi. Via dalla Bestia che si affaccia padrona. Non posso restare inerme. Non posso scegliere l’elusione, la sospensione. Senza fuga e senza lotta, attraverso il sogno, come antidoto al Male. Ma con la mia Bestia non serve. Non basta aprire le ali come un falco e restare sull’aria, confidando nella corrente, facendosi trascinare senza far niente. Devo conservare lucidità. Senza abbandonarmi. Devo svegliarmi per propiziare la bellezza e ritrovarla quando avrò distrutto le ombre. Non ho altra scelta che combattere”. 18 Somebody that i used to know 1 CAPITOLO SECONDO Alla ricerca di me Non so per quante ore ho dormito. A svegliarmi, di soprassalto, è il rumore sgradevole del Mondo che mi riporta alla Realtà. Sono vestita tra le coperte. Le frugo e faccio fatica a trovare il cellulare che squilla senza pausa. Con gli occhi ancora chiusi, cerco tra le lenzuola, sul comodino accanto al letto, nella borsa gettata sul pavimento. Finalmente lo trovo e con grande fatica, sollevo le palpebre per leggere sul display il nome del chiamante. È mia madre. «Ciao Giulia...» L’unica cosa che resta della mia vita precedente è il mio nome. E mia madre lo pronuncia in un modo tutto suo. L’angoscia mi prende allo stomaco, insieme ad un oscuro senso di colpa, mentre per rispondere provo un tono di voce il più possibile normale. «Ciao Mamma. Si, va tutto bene... No, non fa freddo... L’esame è fra una settimana...» Mentre rispondo, meccanicamente e a monosillabi, mi chiedo con preoccupazione se anche questa telefonata, come tutte le altre, si concluderà con la solita domanda, e con la solita risposta. «Quand’è che vieni a trovarci, Giulia?» «Non lo so. Quando posso». Perché quella domanda suscita in me sentimenti contrastanti. Da un lato voglio tornare nel mio paese, per illudermi brevemente d’essere ancora quella di prima, quando la Bestia non c’era. Dall’altro sono stretta nella mia vita attuale, che m’impedisce di andare... con la Bestia che mi tiene sempre vicino a sé. Per quello appena trovo un pretesto chiudo la telefonata. Fine della recita. «Okay mamma, ti farò sapere, ora devo scappare. Un bacio». Butto via il cellulare con rabbia, mi sento disonesta, sporca, i miei non sanno che ho lasciato l’Università, che non diventerò mai medico come mio padre e non 20 Alla ricerca di me tornerò mai più a casa... Casa, la parola dovrebbe indicare un luogo di pace e serenità, e cosi è stato fino a quando non sono cambiata. Forse è per questo che ora non è più il luogo adatto per me. Perché una casa può diventare anche una gabbia. Talvolta vorrei davvero rinchiudermi, fuori dal mondo, per stare al sicuro. Vorrei farmi curare, ma non posso, non ho il coraggio di dire a mia madre quello che mi sta uccidendo. La verità. “Cara mamma, per un po’ non mi vedrai, perché vado in una clinica a disintossicarmi…” Prendo fiato e mi alzo dal letto, lavo la faccia e i denti veloce, mi tolgo di dosso i vestiti della sera prima e indosso il solito jeans e la felpa blu. Ho un attimo di debolezza... un capogiro... Mi assale la paura di cadere, dovrei mangiare qualcosa ma ho fretta, non posso permettermi ritardi al lavoro e correre il rischio di essere licenziata. I soldi che mi mandano da casa per pagare i miei studi non bastano, non sono sufficienti, me ne servono di più... sempre di più... “La Bestia è affamata e nutrirla costa!” Non ho neppure il tempo di una doccia, sono in ritardo. Mi spruzzo un po’ di profumo e lego i capelli. Provo a truccarmi per cancellare i segni che la Bestia, ad ogni incontro, lascia sul mio volto. Guardo l’orologio. È tardissimo. Prendo la borsa ed esco di casa. La foschia annebbia i pensieri e mi distoglie dalla meta, eppure mi rende più consapevole. La strada di prima mattina mi riflette perfettamente, vuota e spoglia come l’anima che trattengo. Cammino sempre a testa bassa, perché il solo pensiero di incrociare il mio sguardo con quello degli altri mi tormenta. È autunno e il fruscio delle foglie sotto i piedi mi ricorda quand’ero bambina e facevo a gara con le amiche per calpestarle. Allora ero ignara di tutto, e le cose erano semplici. Arrivo al lavoro con mezzora di ritardo. Colgo di sfuggita lo sguardo di rimprovero del capo, lo evito e mi precipito nel retro. In fretta e furia indosso la divisa, camicetta bianca, pantalone scuro e il berretto che porta impresso il nome del locale. Lavoro al Bar Centrale, nome anonimo in piena sintonia con tutto il resto. Clienti compresi. Ogni mattina sempre gli stessi e sempre le stesse Capitolo secondo 21 ordinazioni. Due caffè macchiati con cornetto alla crema, un cappuccino con cacao, caffè alla nocciola e brioches al cioccolato, thè al limone con biscotti. «I biscotti sono finiti... Cosa le porto al posto dei biscotti? Abbiamo un’ottima crostata alla marmellata, va bene lo stesso?» Sento il telefono squillare e mi affretto a rispondere.. Dallo studio legale in fondo alla strada ordinano una colazione abbondante. Con l’aiuto della barista sistemo il vassoio, avvolgo di carta argentata il bordo del bicchiere di caffè, dispongo con precisione i cucchiaini, i bicchieri d’acqua e infine sistemo le bustine di zucchero. Quei semplici gesti mi costano uno sforzo di concentrazione notevole, perché la mia testa è sempre altrove, e persino reggere il vassoio mi viene sempre più difficile, devo fare attenzione a non farlo cadere perché mi tremano le mani. Fuori dalla porta del bar mi attende Roma, frenetica e incasinata. La sua vita si fa gioco della mia assenza. Arrivo davanti al palazzo e appena prima di suonare al citofono, mi cerco un’espressione serena, per quanto difficile, e provo a sorridere. Perché se sorridi è più probabile la mancia, e io ho bisogno di soldi, per soddisfare la Bestia. Non voglio immaginare cosa farei se i soldi non dovessero più bastarmi. Ho il pensiero terribile che potrei vendermi. “La cosa la più schifosa è anche la più facile”. Proprio come sorridere. Scaccio il pensiero con una smorfia, tiro le labbra, entro in ascensore e fisso lo specchio. La segretaria dell’avvocato mi accoglie nello studio ed esclama con allegria, ad alta voce. «È arrivata la ragazza del bar!» Poso il vassoio sulla scrivania, mentre un uomo in giacca e cravatta mi porge una banconota da 20 euro. «Tieni il resto». Scene di vita normale, gente normale. E io che resto distante e la sfioro senza mai entrarci, e la osservo ogni volta come una spettatrice distratta. Scendo le scale e mi rendo conto che mancano pochi minuti alla fine del turno. Anche per oggi è fatta. Anche per oggi sono a pezzi, stanca, con le gambe che non reggono. 22 Alla ricerca di me Così decido di prendere il tram, torno a casa e mi accuccio con gli occhi ai vetri. Dal finestrino la città scorre illuminata, le piazze, i monumenti, le piccole vie con i sanpietrini, la case coi fiori alla finestra, i ristorantini all’aperto, una coppietta che si tiene per mano. La vita intorno mi viene addosso in senso contrario. Ho nostalgia del tempo concorde, quando io e la mia vita camminavamo all’unisono e nella stessa direzione. Tornerà mai quel tempo? Capitolo secondo 23 CAPITOLO TERZO L’incontro Sono sul tram, come sempre a testa bassa. Scarpe in continuo movimento, odori strani, gente che spinge, voci di ragazzini allegri, pieni di vita. Non pensano che potrebbero diventare anche loro prede. Alzo gli occhi. Strade, alberi e monumenti scorrono sotto il mio sguardo. Mi fermo a fissare una statua sconosciuta. Vorrei essere come lei. Ferma, indifferente e soprattutto insensibile. Vorrei essere uno di quegli uccelli che le volteggiano intorno e poi su, nel cielo grigio, liberi. Inconsapevoli della lotta che ogni giorno ingaggiano per arrivare a domani. Devono sopravvivere al mondo che li circonda. Come me. Sono selvatici e irrequieti. Sono animali come me, che conosco la Bestia, la curo e la sento. Vorrei potermene dimenticare, lasciarla fuori dai pensieri e smettere di saziarla continuamente. Il suo potere mi logora, mi trasforma, mi allontana da me stessa. Come un ragazzo che non ti vuole, e più non ti vuole più lo cerchi e lo pensi. “E io non riesco a liberarmi di lei”. Le luci della città mi circondano, disseminate tutte intorno al tram che mi trasporta, come un campo di fiori luccicanti, che per un attimo mi distrae dai miei pensieri ossessivi. Le vetrine addobbate mi strappano un sorriso debole. Quant’era bello il Natale. Passarlo con mamma e papà e sentire tutto il loro affetto. Sono quasi arrivata. La prossima fermata è mia. Mi alzo lentamente, cerco il pulsante, mi muovo come un fantasma tra le persone, guardo il vuoto, cammino e di colpo mi ritrovo in strada. Sono di nuovo sola. Io e la Bestia. Sento il suo fiato addosso e come ogni volta tremo. Voglio soltanto andare a casa, dove la Bestia mi aspetta come fa un cane col padrone. Percorro le strisce pedonali frugando nella borsa, sento la sciarpa, il portafoglio, il telefono e il rossetto… cerco le chiavi, troppo piccole per quel portone enorme. Varco l’ingresso del palazzo e salgo. Le scale sentono la mia ansia, e ogni giorno mettono un gradino di traverso. Mi poggio al 24 L’incontro corrimano. Dietro, sento qualcuno entrare. Non mi giro. Non faccio troppo caso. Salgo, salgo e salgo, faticosamente, ho i piedi stanchi e le gambe sfatte. Di colpo sembro una bambina che non sa ancora camminare. La gamba destra mi cede, barcollo all’indietro, provo ad aggrapparmi alla ringhiera che sostiene il corrimano, ma la presa scivola. Sto cadendo! Una gelida sensazione di groppo mi prende la gola, ho paura, mi farò male. Sto per schiantarmi, manca poco, chiudo gli occhi per non vedere. «Attenzione!» Riapro gli occhi e mi ritrovo di colpo tra due braccia muscolose. «Tutto bene? Stavi per fare un bel volo!» “Ehi, tutto bene?” È una voce gioviale. Sento il calore di una mano sulla spalla, è un uomo. Non lo guardo. Mi copro il volto con la mano che tiene ferme le lacrime. «Ti sei fatta male? Dammi la mano ti aiuto ad alzarti». Non voglio che mi aiuti, non voglio essere aiutata. Ho male al piede e voglio entrare in casa. Voglio nascondermi. «Sei Giulia, giusto?» Mi metto in piedi lentamente. Sono davanti a lui. Alzo lo sguardo piano e lo guardo negli occhi. Sono color nocciola. È Luca, il mio vicino. Quello che vive nell’appartamento di fronte al mio. L’avrò guardato un paio di volte, quelle poche concesse dalla mia eterna confusione. I suoi zigomi bassi parlano del Sud, ma il suo accento è romano. Ha spalle larghe e una borsa da palestra, capelli mossi e asciugati in fretta, con qualche punta bagnata, rasati ai lati e lunghi sulla testa. Avrà poco più di vent’anni. Un sorriso aperto gli incornicia il viso illuminandolo, dietro un leggero velo di barba. È strano che io non lo abbia mai notato. È strano. Devo andare. «Giulia, giusto?» mi ripete. Annuisco zitta, sposto una ciocca fuori dalla coda di cavallo, nascosta appena dietro l’orecchio. Ricorda il mio nome. Mi sta guardando. Mi perdo un attimo. 25 Capitolo terzo Torno a pensarmi donna. Avrò i capelli sporchi. Avrò un cattivo odore. Era da tempo che non pensavo a cose del genere. «Allora ci eravamo già presentati, vabbè se non te lo ricordassi comunque io sono Luca e…» «…Abiti di fronte al mio appartamento» lo interrompo, facendo una piccola smorfia. Come un sorriso sfuggito, subito abbassato dallo sguardo. «Esatto» risponde lui, mentre sorride e resta fisso su di me, in mezzo a qualche secondo di silenzio. «Beh… Ehm… Io ora dovrei andare, ma, se ti serve qualcosa, sai dove abito» termina lui con un sorriso, mentre lo guardo e sento che sono nervosa. Troppo. Sorrido anch’io. E tutto a un tratto torno indietro nel tempo, a quando la mia vita aveva ancora molte sfumature, quando non ero ancora una pagina bianca. “Ho sorriso!”, penso. Senza la maschera, di nuovo Giulia, quella di un tempo, quella scherzosa e fiera. Poi Luca mi saluta. «Allora, ciao. Devo studiare. Domani ho l’esame di anatomia». Lui se ne va e io resto ferma. Penso alle sue parole. Esame di anatomia… Lo stesso esame che mi ha fermata. Quello che non ho superato. Sono di nuovo sola. Il mio viso si oscura e torno alla realtà. Penso alla bestia ed alla sua insostenibile fame. Ritorno dentro le mie guerre. Mi sento nuda e mi vergogno. Appena metto piede in casa mi svesto e cammino a piedi nudi. Mi punisco col freddo del pavimento. Mi lego meglio i capelli logorati. Mi guardo allo specchio. Come ogni volta. Posso truccarmi quanto voglio ma non riesco più a nascondere i segni della bestia, che mi ha bruciato la vita e il futuro. Lo so e mi vergogno. Sento le lacrime appena dietro gli occhi, ma non piango. Le sento dentro, come lame, che non vedono luce e rigano il cuore. Mia madre mi ha chiamata di nuovo e mi ha chiesto quando andrò a trovarla. Al solo pensiero sento il mio stomaco rivoltarsi. Ho rimandato con una scusa. Non voglio dirle niente. Mi aiuterebbe, certo, ma nei suoi occhi leggerei tutto il dolore per aver sprecato la mia vita. Di colpo piango. E sento le parole di mio padre. «Piangi, 26 L’incontro piangi, non risolverai mai nulla e rimarrai sempre debole; invece di frignare perché non fai qualcosa? Lo sapevo che sei un’incapace». Me lo diceva tutte le rare volte che lo vedevo. «Sei un’incapace. Sei una fallita. Piangi». 27 Capitolo terzo CAPITOLO QUARTO Il Piacere d’incontrarti Proprio come ora, piango. Finalmente piango, lacrime incontrollate che solcano il mio volto perlaceo e inespressivo. La disperazione mi rapisce, dinnanzi a me il baratro… il vuoto… il nulla. Questo è il termine che uso per descrivermi. Io sono il nulla, preda della Bestia che non mi dà scampo e che mi ha catturata, quel giorno, quando improvvisamente tutto sembrò vano, le mie scelte, l’università e tutto ciò in cui avevo creduto fino ad allora. Mio padre aveva ragione. Ero solo una fallita. E poi quell’esame, quel maledettissimo esame… il volto severo del professore… e mio padre. In quel momento rividi mio padre. Come un giudice inquisitore. Uscii dall’aula sconfitta, delusa, devastata. Attraversai il corridoio a testa bassa per sfuggire agli sguardi curiosi e pieni di pregiudizi, aumentai il passo, incontrai Mirko. Era uno che conoscevo appena. «Ciao Giulia, come stai?» «Non tanto bene. Bocciata all’esame di anatomia…» «Dai, non preoccuparti, stasera daremo una festa a casa di Elisa, ti va di venire?» «Beh, non so, ci penserò!» Accettai quell’invito, andai a quella festa ed ebbi il primo maledetto incontro con la Bestia. C’era un sacco di gente e io mi sentivo altrove. Provai. Premetti un bottone dentro di me. Improvvisamente tutti i miei pensieri, le preoccupazioni furono sostituite da una piacevole sensazione. Qualcosa che mi faceva sentire importante, mi faceva sentire qualcuno, finalmente avevo un posto nel mondo, dove mi ero sempre sentita un avanzo. Da quel momento avviai la mia storia con la Bestia, una volta, un’altra e poi ancora. Divenni succube, preda, vittima. Divenne abitudine. Nei momenti di lucidità, mi fermavo a riflettere, ero consapevole che quella sensazione mi stava uccidendo giorno per giorno, attimo per attimo, ma non c’era via di scampo. Non c’è via di scampo. Tutto da quella festa, quella 28 Il Piacere d’incontrarti maledetta festa. Un raggio di luce caldo mi riporta a casa. Mi illumina il viso e chiude i ricordi. Ho dormito. È l’alba di un nuovo giorno, devo alzarmi. È ora di andare a lavoro. E come sempre, con me si è svegliata anche la Bestia. Come uno sguardo puntato addosso. Indosso i soliti jeans, la solita felpa blu e le solite scarpette di tela fuori stagione, raccolgo i capelli nella solita coda e scappo. Mi precipito per strada, sono in ritardo, c’è un’atmosfera strana. Ah si, è Natale! Corro, evito la gente, spingo, è tardi, e mentre mi affretto mi tornano in mente come dei flash improvvisi i giorni di festa a casa mia, mio padre che urlava per il chiasso che facevo con i miei cugini, e mia madre indaffarata che non sentiva niente. Cerco di soffocare la nostalgia. Penso ad altro e continuo a correre, cercando di evitare un ennesimo ritardo. Il mio buongiorno affrettato, accompagnato dalla solita occhiata di rimprovero del mio capo, le mie scuse inutili, mi confermano ancora una volta che tutto il mio tempo è dominato dalla Bestia. Lei prevale su tutto, anche il lavoro occupa un ruolo di secondo piano di fronte al suo nido, acquattato come un fuciliere dietro il cuore delle mie azioni. Non ho tempo per le riflessioni. La prima consegna da fare è allo Special coiffeur centre, centro per parrucchieri nel bel mezzo dell’affollatissima zona Prati. Mi tuffo nella città come nell’acqua di un mare ostile e confuso. La giornata scorre monotona tra le solite consegne e i soliti clienti. Sembra tutto uguale, e invece qualcosa accade. Mi trovo nel retro del bancone, in attesa degli ultimi dieci minuti prima che arrivi la mia collega, quando all’ingresso del bar intravedo il profilo di un volto a me noto. Luca. Ha lo sguardo stanco e infastidito da uno scorcio di sole, e le dolcissime labbra impegnate in un ultimo tiro di sigaretta. Sento qualcosa di strano dentro me, una sensazione che non provavo da molto, come un sfarfallio di ali nello stomaco. Mi irrigidisco, cerco di rendermi presentabile, per un attimo vorrei tornare la ragazza d’un tempo, ma non posso, vorrei essere almeno carina, per i suoi occhi, cancellare tutti i segni che porto. Per una volta vorrei cancellare il disprezzo per me stessa. È inutile. Continuo a fissarlo, mentre varca lentamente la soglia. Sta entrando. Mi sento agitata. Scappo. Vado velocemente in bagno, Capitolo quarto 29 aggiusto i capelli, metto un filo di rossetto per coprire le labbra sbiadite, mi guardo. Non sono abbastanza... frugo in borsa, cerco un fondotinta, me lo stendo in faccia rapidamente. Mi riguardo, un attimo, mi risistemo. Esco dal bagno e ho ancora più ansia. Filo silenziosamente dietro al bancone. Lui è lì, in attesa del suo caffè. Alza lo sguardo.. mi ha vista, di colpo divento di pietra. Sorride. «Ehi, ciao Giulia. lavori qui…?!» Lui mi parla e io sento il battito del mio cuore, come un martello su un pezzo di stoffa. Le mani mi sudano, temo il suo sguardo, ho una terribile paura di non aver coperto i segni della Bestia. Accenno un sorriso e fingo il lavoro, cerco qualcosa per nascondere la mia timidezza. Poi sbotto. «Ciao Luca… sono due mesi che lavoro qui, sto aspettando il cambio del turno e poi rientro a casa». «Io ho finito adesso l’ultima all’università, se vuoi torniamo insieme». In quel momento arriva la mia collega. «Ho finito anch’io». Usciamo insieme dal bar e imbocchiamo la strada di casa. Cerco di camminare alla sua stessa velocità. Mi sforzo. I finestrini delle auto riflettono la mia immagine, per un secondo mi soffermo a guardarmi, mi vedo e mi sento diversa, per un attimo non mi disprezzo. Sento l’attenzione di qualcuno. E non è la bestia. Lungo il tragitto Luca parla, parla tanto, quasi non riesco a seguirlo, rapita dal fatto che a riempire il mio tempo non era più il pensiero di una siringa ma quella di Luca. Arrivati sotto il portone, lui mi precede con le chiavi. Saliamo le scale e senza accorgermene mi ritrovo sulla porta di casa. Un semplice saluto e rientro. Richiuso, respiro e resto per un attimo ferma, lì, dietro la porta, e penso. Penso a quello che mi è successo e che mi sta succedendo. Sento una pace dimenticata. Poi lo squillo del mio cellulare mi riporta alla realtà. Mia madre. Ha la solita voce entusiasta e poco piacevole. Nel fine settimana passa a trovarmi. Mi ritorna il panico. «Ho bisogno della Bestia». 30 Il Piacere d’incontrarti 3 CAPITOLO QUINTO Una svolta? «Ti sei tinta i capelli! » È sempre la stessa mia madre. Ha occhi solo per l’aspetto fisico, non si accorge di quello che sono diventata, di tutto quello che mi sta accadendo dentro. «Già…», le rispondo, mentre sfodero il mio sorriso migliore, e lei, di nuovo, non sembra accorgersi di quanto sia falso. «Ti danno un’aria un po’ spenta» prosegue imperterrita, continuando a fissarmi. Come un’insegnante che non sa che voto dare a un’interrogazione andata male. Vorrei scomparire o vorrei gridare. Perché non riesce a guardarmi dentro? Faccio un altro sorriso , talmente finto che mi fanno male le labbra. Mia madre è implacabile e ora mi osserva stranita, quasi non mi riconoscesse. «Sei così diversa… cosa ti è successo? E l’università? Voglio sapere tutto! Tuo cugino si è laureato il mese scorso, abbiamo fatto una festa bellissima, con i parenti, anche quelli lontani, peccato non ci fossi». Già…, mi viene in mente un’altra festa, la festa della mia vita, la festa che mi ha ammazzato la vita, quella in cui ho incontrato la Bestia, sinuosa, melliflua, pronta a consolarmi a non farmi sentire sola, a non farmi sentire in colpa, ma violenta e spietata. «Cos’hai? Non hai detto una parola!» Mi incalza mia madre, decisamente irritata. Si dice che le mamme sentano se c’è qualcosa che non va, se le figlie nascondono qualcosa, se soffrono, ma la mia procede inflessibile con i suoi sguardi di superficie, con le sue domande e io, zitta, non ho niente da dirle. Le mie parole cadono nel vuoto appena provo a pensarle. E lei riattacca con i cugini, con i voti, le soddisfazioni, con i parenti che ora aspettano la mia laurea. E io non la ascolto più. Non voglio sapere cosa è successo. Non mi interessa. Quella nella mani della Bestia sono io. Non loro. Io sono il burattino e la Bestia il burattinaio. Il problema è che questa è la mia sola realtà. «Giulia, mi stai ascoltando?» 32 Una svolta? Scuoto la testa. Da quanto tempo sta parlando? Indignata, si alza di scatto. «Ma insomma! Non ci vediamo mai! È possibile che tu non abbia nient’altro di meglio da dire a tua madre! Sembra che non te ne importi nulla! E almeno guardami quando ti parlo!» È troppo! Sono esausta. Con le poche forze che mi rimangono lo faccio! Glielo dico. «Basta mamma! Non ho passato l’esame. Non passerò mai più nessun esame. Ho lasciato l’università. Lavoro in un bar. poche ore per pochi soldi. Ecco! Sei contenta adesso?!» Silenzio. Lunghi minuti di silenzio. Poi mia madre, gelida, reagisce. «Esco, ho bisogno di prendere aria», mi fa. Poi esce di scena così com’era entrata, in un attimo. Non una parola, non un cenno che mi faccia capire la sua delusione. Non una richiesta di spiegazioni, non uno sguardo che mi faccia capire quanto della mia vita è parte della sua vita. Se n’è andata a prendere aria, mentre io consumo tutta l’aria che c’è qua dentro. E sono sola, di nuovo. Sola come sempre. dopo l’ennesimo disastro. Ho bisogno di scappare, di piangere, di urlare, ma soprattutto ho bisogno di non pensare. Mi avvicino alla finestra e osservo Roma. Tutto scorre. Il mondo non si ferma a piangere con me. Mi sento un nulla in mezzo a tutte la vite degli altri. Sono fragile come una foglia terrorizzata dal vento, che soffia e mi trascina via. E ho paura che di me non resti più nulla. Allora provo a pensare di non nascondermi più, di non aspettare immobile e ferma. Penso che voglio essere il primo albero abbattuto che cerca di rimettersi in piedi, dritto sulle sue radici. Voglio che gli uccelli tornino a fare il nido sui miei rami. E poi sento un conato. Un attacco di nausea come una tenaglia micidiale allo stomaco. È lei, è tornata, la riconosco. È la Bestia che mi vuole, che ha bisogno di me. E io che ho bisogno di lei, che le vado incontro senza capire chi cerca chi, chi è la vittima e chi il carnefice. La sento vicina, orrenda e tentatrice. L’appartamento, il palazzo, l’intera città mi soffocano. Le pareti mi si stringono intorno e mi manca l’aria. Non respiro più. Con uno sforzo disperato corro verso la porta e ondeggio Capitolo quinto 33 penosamente, la apro, ci picchio contro, la malmeno finché si apre e mi butto per le scale. Sono lì, aggrappata alla ringhiera, incerta se compiere lo sforzo più grande del mondo e scendere tutti quegli scalini o accasciarmi per terra, e aspettare qualcosa, quando mi ritrovo a fissare gli occhi nocciola di Luca. Luca é la certezza del suo sguardo caldo e silenzioso tutti i giorni dopo il lavoro al bar. Luca, la leggerezza dei nostri ritorni a casa a piedi. Luca, qualcuno con cui non devi misurare le parole ogni volta, con cui non devi nasconderti, con cui non devi fingere. Luca, qualcuno che non mi giudica. Tutto questo mi riempie la mente in un lampo, in un attimo di consapevolezza, che mai avrei creduto di poter avere in queste condizioni, mentre la Bestia si allontana e ringhia, anche se mi tiene d’occhio, mi lascia le forze per i pensieri. In questi giorni Luca è stato il mio rifugio, il mio pensiero bello. Lo capisco ora, mentre lo guardo senza una parola, mentre la Bestia mi lancia occhiate minacciose e sempre più lontane. «Giulia tutto bene?» Allora lo abbraccio, di colpo, e non mi importa di nulla. Lui mi abbraccia a sua volta e finalmente mi sento al sicuro, per un attimo lontana da tutto, protetta. E ora anche la Bestia è davvero lontana. Piano piano il cuore torna a battere regolarmente, il respiro diventa regolare e la tenaglia allo stomaco si allenta. Quando mi allontano dal suo abbraccio sento una strana sensazione, le mie guance arrossiscono ma lui sorride, senza il minimo imbarazzo, come se fosse appena successa la cosa più naturale del mondo. «Ehi! Non so perché sei così triste, ma sono felice di rivederti». Io sono praticamente paralizzata. Ho le nuvole e il sole di fronte, la carezza del vento a un passo, e resto ferma, come un uccello al primo volo. Ma io sono in gabbia, e mi limito a sognare. Luca continua a fissarmi, aspetta una risposta. Gli sorrido. «Scusa» dico timidamente «Non è mia abitudine abbracciare le persone che salgono le scale…» 34 Una svolta? «Figurati! Sembri distrutta. Non vorrei essere invadente ma penso che parlarne con qualcuno, di qualsiasi cosa si tratti, ti farebbe bene». Le parole più semplici che ho sentito da tanto tempo, dette con un tono così pacato e attento, mi sciolgono il cuore, mi fanno intravedere una possibilità, mi riportano al mondo che ho perso. «Sì, credo tu abbia ragione». È tutto quello che riesco a dirgli. «Lo so che certe cosa possono sembrare difficili e insuperabili, ma una soluzione si trova sempre, basta avere un po’ di fiducia!» Non posso crederci. Qualcuno sta cercando di darmi speranza. Sarei voluta rimanere lì per sempre, a fissare i suoi occhi, le sue spalle larghe e le sue mani che sembrano poter sorreggere tutto. Alzo gli occhi e lo guardo in faccia. Li tengo sempre bassi perché ho paura di mostrare la mia verità. «Ci proverò». Annuisco convinta. «Bene. Sono contento, sembri già stare meglio». «Non so come ci riesci, ma quando ti vedo la fame della Bestia si placa». Terrorizzata, mi accorgo di aver parlato ad alta voce, convinta che fosse un pensiero. Le parole sono scappate senza avvertirmi. Mi copro la bocca velocemente con le mani. È troppo tardi. Luca mi guarda perplesso. «Bestia?» Capitolo quinto 35 CAPITOLO SESTO Il risveglio “Bestia” è una parola lontana che mi riporta alla realtà. Sento profumo di fresie. Le avrei riconosciute tra mille altri fiori. Sono i miei preferiti. Cerco di indirizzare a fatica lo sguardo verso quell’essenza familiare. È l’unica cosa che riesco a percepire con chiarezza. Non distinguo colori e forme, tutto mi appare sbiadito e confuso. Sento le membra rigide, immobili, quasi fossi ospite d’un corpo non mio. Cerco di mettere a fuoco gli oggetti intorno e tutto sembra avvolto da un velo. Di fronte a me intravedo un letto, di certo non sono nella mia camera. La rigida struttura in ferro, laccata di grigio, mi fa capire di essere in ospedale. La stanza è vuota. È come se una miriade di indistinti rumori si frapponesse tra me e i miei pensieri, che oscillano tra un confuso presente e un altrettanto confuso passato. Vestita d’un camice bianco e con aria meravigliata, una donna si avvicina lentamente e mi sussurra con dolcezza. «Ben svegliata Giulia». Mi dice di chiamarsi Serena, mentre mi prende la mano per rassicurami. Poco dopo, mentre lei continua ad accarezzarmi la fronte, vedo al suo fianco un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati e lo stesso camice bianco. «Ciao Giulia! Bentornata tra noi!» Sorride, e io cerco di ricambiare quel saluto nonostante il notevole sforzo, visto il dolore ai muscoli facciali. «Ora cerca di riposare, immagino sia faticoso per te parlare in questo momento, magari domani ci facciamo una bella chiacchierata». Poi si allontana raccomandando all’infermiera di vegliare su di me. Indago con lo sguardo per scrutare ciò che mi sta intorno, e sulla parete distinguo chiaramente una data: 26 Giugno. La mente ne richiama automaticamente un’altra. 36 Il risveglio Maledetto esame! Chiudo gli occhi e tutto nella mia mente torna ad essere chiaro. «Sig.na Ferrara, lei non è idonea». Non idonea. Queste parole mi fanno rabbrividire. Rivivo lo sgomento e la corsa in lacrime fuori dall’aula, sembrava che il mondo mi stesse crollando addosso. Cosa avrei detto a mio padre? Alla mia famiglia? Mi facevo spazio tra la gente senza volto che affollava i corridoi. Mi scontrai con Mirko, un mio compagno di corso «Giulia che succede? Sei sconvolta!» Non gli risposi. Continuavo a correre. Uscii dalla facoltà con gli occhi gonfi e arrossati . Mi sentivo inutile, era un nuovo fallimento, un altro. Nonostante Roma fosse illuminata da caldi raggi di sole, avevo il gelo dentro. Una brusca frenata destò improvvisamente la mia attenzione, ma non bastò. L’attimo in cui l’auto sopraggiunse fu tanto breve da non lasciarmi scampo, ma lungo abbastanza da permettermi di distinguervi alla guida un volto familiare. Mentre le forze mi stavano per abbandonare esclamai: «Luca!» «Stai ferma e tranquilla. Andrà tutto bene, vedrai!», mi rispose. Non ero del tutto cosciente, la sua voce sembrava così lontana e così simile a quella di Luca. Il mio Luca.Il suo ricordo comincia a farsi sempre più vivo mentre ripercorro il tempo a ritroso. Credevo di aver dimenticato, di avercela fatta, invece la sua ombra mi segue ancora fedele, riaprendo una ferita da poco rimarginata. Avevamo solo diciotto anni, ci sentivamo padroni del mondo e pieni di sogni, speranze e aspettative da realizzare. Affrontavamo senza timore le difficoltà della vita fiduciosi che uniti avremmo superato qualsiasi ostacolo. Stando al suo fianco avevo conosciuto un mondo per me nuovo, fatto di rave party e divertimento. La sua indole ribelle e irrequieta era diventata per me fonte di preoccupazione costante. La mattina prima di entrare in classe mi assicuravo che fosse arrivato e non avesse fatto uso di stupefacenti. «Sei tu che rendi migliore la mia vita, con te accanto non ho bisogno d’altro», mi diceva sorridendo. 37 Capitolo sesto Tutte fandonie! Basta poco per precipitare di nuovo nel baratro. Basta una scintilla per far divampare un incendio spaventoso capace di distruggere tutto ciò che incontra lungo il suo cammino. Ancora oggi non so cosa scattò in lui, cosa lo indusse a riprovare. C’era cascato! Dopo poco, una dose tagliata male iniettata nelle vene pose fine alla sua vita. Quel giorno ero a casa. Lo seppi al telefono. Nei giorni seguenti il dolore diventò sempre più insopportabile. Piansi fino a esaurire le lacrime. Luca se ne era andato portando via i nostri sogni e le nostre aspettative. Tutto era andato in fumo. Il nostro amore era nato senza speranza. Col passare del tempo mi sentii invasa da un gran senso di vuoto. Tutte quelle immagini scorrevano nella mia mente in modo nitido. Volevo solo che smettessero di rincorrermi. Riapro gli occhi e vedo al mio fianco, seduta su una sedia che sembra essere scomoda, l’infermiera. Serena. «Hai bisogno di qualcosa?» Faccio cenno di no con la testa e con grande sforzo cerco di parlarle. «Da quanto sono qui?» La mia voce è flebile tanto che lei è costretta ad avvicinarsi per capire. «Trenta giorni» mi risponde. «Un’auto ti ha investita. Il conducente ha riferito che sei apparsa dal nulla e che non è riuscito a frenare in tempo. È stato lui a chiamare l’ambulanza. Era sconvolto». Anche io ricordavo l’incidente, ma c’era qualcosa che non tornava. Ricordavo un finale diverso nel quale nessun auto mi aveva investita. «È possibile sognare durante il coma?» le chiedo, mentre un brivido mi corre lungo la schiena al solo pensiero di quanto mi era accaduto. «Certo, è possibile. Spesso i pazienti che si riprendono raccontano di aver visto se stessi dall’alto, altri invece sostengono di non ricordare nulla». «Non so se definirlo un sogno o un incubo…» Le racconto della mia storia con Luca e di come lo sentivo con me, mentre ero preda della Sua Bestia. ogni giorno più debole e vuota. A stento riesco a voltare 38 Il risveglio il capo verso di lei, gli occhi iniziano a bruciarmi, un nodo mi stringe la gola, ma resisto e non cedo al pianto. La sua mano si avvicina e lentamente mi accarezza il volto. Dalla porta che si è aperta il silenzio della stanza viene interrotto da un brusio di voci confuse che proviene dal corridoio. «È permesso?» chiede una voce esitante che si distingue dal caos esterno. Intravedo una figura alta e snella che indugia ad entrare. «Ah, sei tu! Vieni, entra. Giulia, lui è Andrea». Riconosco quegli occhi e quella voce, sono inconfondibili. «Come stai?» mi chiede con un sorriso sincero. Non rispondo, è Serena a farlo per me. «Ha ripreso conoscenza da qualche ora». Poi rivolgendosi a me dice che non c’era stato un solo giorno, da quando mi aveva investita, che non fosse passato, per sapere se miglioravo… 39 Capitolo sesto CAPITOLO SETTIMO Petali sfioriti Il confine tra un sogno e la dura realtà è labile, basta aprire gli occhi. Peccato non sia davvero così. Sognare spesso è sinonimo di illudersi, e forse sarebbe stato meglio non svegliarsi. A volte rifugiarsi in un’illusione è più facile. Sono sempre stata una vigliacca, ho sempre avuto una via di fuga. Invece c’ero, che lo volessi o no, col mio peso come un macigno sul letto,dove una forza ignota mi inchiodava tra le lenzuola. C’ero, anche se non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Ho sognato Luca come la persona che non è mai stata. Ho sognato Luca come la persona che immaginavo diventasse. Ma l’amore ti cambia solo nelle favole, e io non ci credevo più. Luca non è mai cambiato per me, né per quel labile soffio di vento rimasto del nostro amore. Osservo dai vetri il giorno che invecchia e mi ritrovo a pensare a quel ragazzo di ieri. Andrea. La sua voce riemerge da un passato sepolto da una coltre di sogni nebulosi, come la neve, lattea e luccicante, eppure pesante e maledettamente immobile, che costringe la natura a chetarsi sotto il suo manto. Vorrei tanto che tornasse. Ho il bisogno di guardarlo di nuovo negli occhi, come prima dell’incidente. Sul comodino le fresie cominciano a sfiorire insieme al giorno. Con notevole sforzo allungo le dita tremanti verso i petali tristi di un fiore a capo chino, ma non faccio in tempo a sfiorarli che una voce familiare mi fa sobbalzare il cuore. «Effettivamente sono proprio da sostituire». Andrea. Perché sono così felice e impaurita allo stesso tempo? La risposta forse la conosco già, ma è chiusa in fondo al cuore, la nascondo anche a me stessa. Ho un brivido che mi percorre tutta la schiena. Non capisco, eppure quella voce non mi convince, so di averla sentita da un’altra parte, ne sono sicura. Mi sta guardando con un sorriso schietto e quegli occhi color nocciola. 40 Petali sfioriti «Ciao Giulia, come stai oggi?» E io con la testa fra le nuvole lo guardo senza dargli una risposta. «Lo so che certe cose sembrano insuperabili, ma una soluzione si trova sempre, basta avere un po’ di fiducia». Mi si illuminano gli occhi, quella frase l’ho già sentita e quegli occhi già visti... Mi ricordano Luca. «Sai, Giulia, io in questo ultimo mese ero spesso qui a sperare di rivedere i tuoi occhi aperti e ogni giorno venivo per raccontarti qualcosa di me. Parlavo col tuo silenzio e non vedevo l’ora di sentire la tua voce. Ti va di raccontarmi qualcosa? Ovviamente se non sei stanca». Ecco chi sei... Tu sei Luca ma non il mio, sei il Luca che io vorrei. «Ci sono cose difficili da raccontare e non sempre si trovano le parole giuste per esprimerle». Un nodo mi stringe alla gola e quasi non mi lascia scampo, sto per piangere ma raccolgo il coraggio a due mani e decido. Sono sul fondo e posso risalire. Posso smettere di piangere e prendere quello che mi è rimasto. Andrea mi guarda curioso. Sorride. «Provaci, io non ho fretta». Quindi mi è rimasto solo questo? Solo un tempo lungo per raccontare la mia storia? Come tornare da una guerra e raccontarla, come fosse una favola triste, ancora in cerca di lieto fine. Alzo lo schienale del letto. «Ci sono momenti in cui lasciarsi cadere sembra l’unica via» dissi tremando «e quando tutto crolla, crolli anche tu, e… io non penso di essere abbastanza forte per ricordarli. Non voglio riviverli ancora una volta». Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi. Ho come una sorta di timore per ciò che potrei leggervi e per quello che lui potrebbe scorgere nei miei. «Va bene» rispose lui «non posso costringerti a lottare contro i tuoi demoni. Ciao, Giulia». La parola demoni richiama la bestia. Me la rimette in testa. Avrebbe vinto di nuovo lei, implicitamente, giocando l’asso dei miei silenzi. Io ferma a guardare, e 41 Capitolo settimo lei padrona di me, con la mia vita a scivolare in balia degli eventi. Devo fare qualcosa per me stessa. «Luca! Aspetta». Parlo e mi rendo conto di ciò che ho detto solo quando vedo la perplessità sul volto di Andrea. Ho di nuovo cercato di recuperare dall’oblio la figura di quella persona perduta che ora si sovrappone a questo ragazzo stupito, fermo davanti alla porta. Ho le idee confuse. Stranamente lui non fa domande, mi guarda, scruta il mio volto, poi si siede sul bordo del letto in attesa di qualche mio segno. «Cosa vuoi dire?» Mi gira la testa, violentemente, come mi capitava nel sogno durante il coma, quando a sorreggermi appariva sempre Luca, proprio nel momento in cui altrimenti sarei caduta. Forse sto cadendo anche ora, e di fronte a me c’è Andrea. «Durante il coma si sogna» confessai «ho sognato una persona che ho perduto nel passato, una persona su cui avevo riversato tutta me stessa, l’ho sognata diversa da com’era, mi parlava con la tua voce e mi guardava con i tuoi occhi». È tutto ciò che riesco a dire. Andrea rimane pensieroso, mi accarezza i piedi sopra le coperte, così delicatamente che non lo sento. Poi si alza ed esce con un sorriso triste sulle labbra. Rimane il silenzio, la solitudine bianca delle pareti della stanza. Quanto darei per sapere cosa stia pensando Andrea di tutto questo, di una sciocca nel letto d’ospedale che sogna i fantasmi del proprio passato, pensando di poterli sostituire col primo che capita, come nulla fosse. Mi addormento così, tra i flebili rumori che arrivano dall’esterno, una tormentata ninna nanna che mi porta direttamente al mattino. Quando mi sveglio sono più stanca che mai, ho il nodo in gola ancora più stretto. Nell’aria c’è qualcosa di diverso, un dolce profumo. Fresie. Mi volto istintivamente verso il comodino, e sento l’aria entrarmi nei polmoni come se fosse il mio primo respiro. Un bigliettino richiama la mia attenzione, lo prendo con fatica e il cuore inizia a battermi forte. «Effettivamente erano proprio da cambiare». Guardo i fiori e sorrido. Andrea. Mi perdo per un attimo , quando delle voci nel corridoio mi riportano alla realtà, prima 42 Petali sfioriti lontane, poi crescenti e sempre più vicine. Le riconosco. Sono quella di mio padre, dura e rancorosa, e quella malinconica di mia madre. «Come è possibile su di una sedia? Voglio un consulto!» 43 Capitolo settimo CAPITOLO OTTAVO L’ossessione della Bestia Guardo le fresie e torno a quando ero bambina, ai mesi estivi in campagna con mia nonna, quando mi divertivo a correre nei campi e giocare coi fiori. Mi piacevano le rose, le margherite e soprattutto le fresie, i più bei fiori al mondo. Li raccoglievo per portarli a mia nonna, che li adorava, e adorava quel gesto. Finché un giorno, tornando a casa, la trovai sulla sedia a guardare il suo programma preferito, e solo dopo mi accorsi che era morta. «Mi mancherai…» le sussurrai in lacrime all’orecchio «Ti ho voluto sempre bene». Ripenso a quelle parole e mi sento morire. Una parte di me è ancora con lei, in quella stanza. Le voci che giungono dal corridoio mi distolgono da questi tristi pensieri. «Come è possibile su di una sedia? Voglio un consulto!» La frase mi rimbomba nella testa, provo a riflettere sul significato, non ancora chiaro. Il tono grave della voce di mia madre suscita in me preoccupazione. Troppe domande affiorano nella mia mente. Dalla penombra si avvicinano i miei genitori che confabulano. Il mio cuore inizia a battere ininterrottamente, non so da quanto siano qui. Sento i passi vicini, talmente vicini che ne percepisco le vibrazioni sul pavimento. È una sensazione che non avrei voluto riprovare e mi fa sentire inseguita, sono di nuovo una preda, e come tale devo trovare rifugio. Devo scappare, nascondermi. “Ecco”, penso “mi fingerò morta”. Devo agire in fretta, senza destare sospetti. Mi concentro e trovo un altro ostacolo, il mio cervello non collabora col corpo, manda impulsi di movimento ma non c’è risposta, mentre parti di me si muovono per conto proprio. Le palpebre tremolano compulsivamente, i denti digrignano uno contro l’altro come una 44 L’ossessione della Bestia guerra all’interno della mia bocca, la lingua striscia sinuosamente verso le labbra per derubarle della loro secchezza. Come posso sfuggire ai miei, evitando di mostrarmi? Come faccio a fingermi morta? «Bisogna fare una distinzione tra il morire e la morte. Non è tutto un morire ininterrotto. Se si è sani e ci si sente benissimo, è un morire invisibile. La fine, che è una certezza, non deve essere per forza annunciata con splendore». Sono parole di Philiph Roth. Il mio ultimo pensiero. Poi chiudo gli occhi, come mai nella mia vita, soffoco la vista e strangolo i pensieri, rallento il respiro e tengo a bada i nervi e così, succede. Inizio a sentire i rumori e il borbottio di quelle voci familiari, mi stanno addosso, dio solo sa quanto sarebbe bello alzarsi semplicemente e abbracciarli senza rimpianti. All’improvviso la voce di mia madre assume un tono insoddisfatto mentre il medico le dice che la paziente deve riposare. Ci sono riuscita. Ho respinto il nemico. Sento le forze abbandonarmi e mi ritrovo ad abbracciare Morfeo. Inizia tutto col buio sino al momento in cui la mia spalla è appesantita da una sospetta forza ma a me cara e non del tutto misteriosa. È Luca, ma non il solito Luca. È triste e ha l’aria cupa, i suoi occhi trasmettono rabbia, il suo volto malinconia che si confonde con la mia. Siamo di nuovo vicini come nella morte, lui sembra deluso da me ma non mi attribuisce colpe, vuole il mio bene, senza domandarsi perché mi ha procurato tanto dolore. Mi sento tirare dalla vita, vengo sbalzata verso l’alto a gran velocità e pian piano avvolta da una morbidezza sublime che poi, di colpo, si concretizza, come un profumo dolce che mi avvolge e mi riporta alla realtà. Sono sdraiata in un orribile letto d’ospedale, sento parlare i miei genitori con il medico. Mia madre piange,la rassicuro e le dico che sto bene anche se so che non è vero, le dico è tutto a posto ma proprio in quel momento entra il dottore. Le sue parole fredde arrivano da un altro mondo. «Durante l’incidente la sua spina dorsale è stata lesionata nell’impatto con l’auto e quindi...» 45 Capitolo ottavo Un lungo istante di silenzio. «Giulia è paralizzata dalla cinta in giù». Sono shoccata. Ho un nodo alla gola. Sento la paura. Mi chiedo come sia possibile che la Bestia possa fare questo. Come può la Bestia privarmi delle mie gambe? Non so cosa fare, i medici e i miei genitori cercano di calmarmi, ma è tutto inutile. Ho in mente solo una cosa. «Andrea, dov’è Andrea? Voglio Andrea». Mi chiedo cosa penserà Andrea, come mi guarderà adesso che non posso più usare le gambe? I medici provano a calmarmi, dicono che c’è ancora speranza, che ci vuole del tempo per capire. Ho sperato che la Bestia si fosse dimenticata di me, ma si vede che non vuole lasciarmi in pace neanche quando sono inferma. I miei genitori provano a parlare, fanno domande, mi mettono all’angolo, ma io non ho spazio, non riesco a pensare. Le loro domande mi fanno sentire in colpa. Loro non conoscono la Bestia, non l’hanno mai vista in faccia, non sanno cosa può fare. Poco per volta passano i minuti, e mi trovo sola con mio padre seduto di fianco al mio letto. «Giulia, Giulia». Mi chiama, mi tiene la mano e parla con voce tranquilla per non spaventarmi «Raccontami che è successo». Sono stanca. Non mostro resistenza. Le mie parole scivolano fuori. Parlo di me. Poco per volta. Lo guardo, è partecipe e commosso. Sorride amaro. «Sai, Giulia, devo rivelarti una cosa…» 46 L’ossessione della Bestia CAPITOLO NONO Abbiamo fallito? «…Luca è venuto a cercarmi». Luca. Una ferita ancora aperta che non lascia intravedere cicatrice. «Non sapevo neanche chi fosse», racconta mio padre. E io lo ascolto. «Venne nel mio studio quando sei partita per Roma. Era confuso, spaesato. Era un paziente come gli altri, ma dai suoi occhi traspariva paura. Aveva bisogno di aiuto, sapeva di non potercela fare da solo, sapeva di essere a un passo dall’oblio. Così lo presi in cura e iniziammo il nostro percorso. La prima cosa evidente era il suo avanzato stadio di dipendenza. Perciò decisi di incontrarlo due volte alla settimana. Fin dalle prime sedute venne fuori un difficile rapporto familiare, che lo lasciava senza sostegno. Ma probabilmente tu queste cose le sai già. Sono stato più presente di quanto tu possa immaginare, fino a quando lui me lo ha permesso. Poi le sedute sono diventate sempre meno costanti. Era irregolare in tutto». In quell’attimo mio padre smette di parlare e mi fissa dritto negli occhi. Non riesco a dire nulla, rimango impassibile. Sento il vuoto. La situazione è troppo difficile. Ho voglia di piangere, ma piangere non serve. Ho voglia di urlare, ma non ho la forza. È come se ciò che mi è appena stato detto avesse creato delle barriere alle mie emozioni, cancellando tutte le sicurezze. Mi sento sempre più fragile e fredda. Se piangessi starei meglio, mi sentirei viva e invece ora sono immobile. Immobili le gambe, immobile il cuore. Il mio mondo mi sta scivolando dalle mani. Forse dovrei provare a rispondere. Ma è mio padre a ricominciare. «Non avrei mai saputo che eri tu la sua fidanzata se un giorno non avessi trovato il portafoglio di Luca. Lo aveva perso nello studio, dopo una seduta. Lo aprii per capire di chi fosse e vidi una foto sbiadita. C’era Luca con una ragazza accanto, si sorridevano. I contorni di lei mi sembrarono familiari. Quella giovane donna eri tu». 48 Abbiamo fallito? Abbasso lo sguardo, un sorriso amaro e una lacrima. «Avrei voluto dirtelo subito, ma prima che potessi spiegarti qualcosa mi hai gridato piangendo che lui non c’era più. Non sono riuscito ad aggiungere altro. Eri già sconvolta per la morte di Luca e di lì a poco avresti avuto un esame. Ora sei qui. Un mese di coma. Dopo tutto quello che mi hai raccontato, ho capito che così non puoi andare avanti. Non avrei mai pensato che Luca...» La sua voce si spezza per un attimo. «…che Luca fosse questo per te! Lo credevo un amore da liceo, una semplice cotta. Invece per te era molto di più. I suoi problemi erano diventati i tuoi e io... non me ne sono mai reso conto». Quando ci siamo messi insieme sapevo che si drogava. Qualche volta, diceva lui. Non l’aveva mai fatto davanti a me, ma un giorno successe. Eravamo a casa sua, ci stavamo divertendo, era uno dei nostri momenti felici. A un tratto si alzò, prese la dose, mi chiese un cucchiaio e io, senza neanche pensarci, glielo passai. Mise la polvere sul cucchiaio e la sciolse. Dopo averla messa nella siringa, come fosse la cosa più naturale del mondo, la iniettò nel braccio, stretto da un elastico per capelli. Solo vedendo esaurirsi l’eroina nella siringa realizzai ciò che aveva appena fatto, e quanto quella Bestia fosse parte di lui. Pian piano si allontanava, iniziava a cambiare mondo. Si accasciò sul divano, lo sguardo perso nel vuoto in una continua lotta con le sue palpebre sospese. Io rimasi ferma. Lo guardavo con gli occhi sbarrati. Provavo disgusto, rabbia, ma al contempo paura. Perché?! Eravamo io e lui, ci stavamo divertendo, era uno dei nostri momenti felici. Perché aveva dovuto rovinare tutto questo? Non gli bastavo io? Evidentemente no, c’era bisogno di Lei per completarlo, per completarci. Sentivo l’amore sprecato. Gli volevo bene, anzi, lo amavo e questo sentimento – più forte di lui, più forte di me – mi portò a rimanergli accanto, ad aiutarlo. Le colpe erano sue, ma era fragile, non potevo andarmene. Guardai mio padre. «Abbiamo fallito entrambi». Capitolo nono 49 «No Giulia, non fare nostro il suo fallimento; noi ci abbiamo provato, ognuno con i suoi mezzi, gli siamo stati vicino, abbiamo combattuto al suo fianco per sconfiggere la Bestia, ma la droga si era impadronita di lui. La droga è una tentatrice gelosa che non ti molla. Nessuno può aiutarti a liberarti di lei, devi essere tu a rinunciare». Forse mio padre ha ragione. Avevo sempre creduto di essere l’unica, la sola a provarci, a tentare di salvarlo, di allontanarlo da questa Bestia, dalla sua Bestia. Che era diventata anche la mia. Mi ero presa la colpa della sua morte, ma la colpa era tutta sua. Solo lui era in grado di aiutarsi, io non potevo guarirlo, non c’era riuscito mio padre, un medico, una persona che di mestiere faceva esattamente quello. Mi sento piccola, una bambina con il ginocchio sbucciato che per guarire ha bisogno di cure. Le stesse che anche questa volta mi ha dato mio padre. Senza paura. Ma le ferite bruciano finché non si chiudono. E io, a modo mio, cerco di spegnere l’incendio. 50 Abbiamo fallito? CAPITOLO DECIMO La scelta Mio padre mi guarda, profondamente. Inizia a capire. Capisce che anche io, come Luca, sono vittima della Bestia. Ora sa bene di non avere davanti la Giulia di un tempo. Davanti al suo sguardo sperduto mi sento inutile, carica di menzogne verso me stessa e verso gli altri. Ero convinta che la Bestia mi impediva di fare qualsiasi cosa. Ma era stata la Bestia a prendermi o ero stata io a lasciarmi afferrare? «Voglio che tu sappia una cosa» disse mio padre «ciò che più conta, l’unica cosa che importa, è la scelta. La tua scelta. Luca lo sapeva. E sapeva che, anche se non fosse riuscito ad allontanare la Bestia, l’importante era affrontarla fino in fondo, guardare in faccia la realtà e non rimanere impassibili davanti alla sua fame…» Il pensiero di Luca mi strinse l’animo e, appoggiando la testa sulle braccia del mio vecchio, iniziai a piangere. Le sue parole aprivano in me pensieri mai confessati, reali come pietre, e niente poteva ferirmi più della crudezza di tanta verità, sbattuta in faccia come un secchio di acqua gelida. Non riuscivo a dire neanche una parola. Mio padre mi sollevò la testa e mi disse: «La scelta è tua come lo era per Luca… cosa vuoi fare?» Ascoltai quella domanda e mi sentii vicina a lui, per la prima volta. Volevo voltare pagina. Volevo vivere un’altra vita. E quella notte non chiusi occhio. Era difficile dormire immaginandomi su una sedia a rotelle, stremata dalla bestia. L’unico pensiero che mi incoraggiava era Andrea. Con lui non tutto era nero. Forse con lui potevo allontanare anche la Bestia… Mi sveglio e sono di nuovo nel mio letto. Non ricordo come ho fatto ad arrivarci. Mi piace pensare che mio padre mi ci abbia portato in braccio, per poi rimboccarmi le coperte, come faceva quando ero piccola. Mi guardo intorno. La mia 52 La scelta vecchia camera, la mia vecchia casa, quella dei miei. Non credevo ci sarei più tornata se non per pochi giorni fra un esame e l’altro. E ora ci sarei rimasta chissà quanto. «Ha bisogno di assistenza continua» aveva detto il medico. Neanche un filo di polvere: il mio specchio, la mia scrivania, alcuni libri che avevo lasciato… Mi trovavo nel luogo più splendente della mia vita, un luogo sicuro, in cui potevo avere tutto l’affetto che potevo desiderare, tuttavia… era tutto cambiato. Ero sola. Sola con la Bestia, che già bussava alla mia anima, di nuovo, con la sua fame che continuava ad ossessionarmi. Mi aveva privato anche dell’uso delle gambe e adesso non ero più libera, non avrei più potuto fare ciò che volevo. Anche una camminata, senza meta, per le strade del centro, adesso era impossibile. Ero persa, sperduta. Avevo smarrito ogni senso. Ho passato l’ultimo periodo della mia vita in un estenuante tira e molla con l’eroina, senza una direzione. Ho visto morire Luca, ho allontanato i miei genitori, ho lasciato gli studi, per diventare una reietta che sgusciava tra le ombre solo per rifocillare un appetito malato. Per quanto tempo ho fatto questo. Solo ora, ora che ho perso tutto, col cuore gonfio di dolore, tra queste mura familiari, solo adesso comprendo quanto sia stato vano tutto ciò. Sono caduta in quell’inferno perché non affrontavo i miei timori quotidiani, non avevo nessuno che mi guardasse con occhi veri, nessuno con cui chiacchierare per ore senza essere giudicata. Tutti volevano che fossi perfetta, mentre io soffocavo, e quando arrivarono i primi problemi comparve con loro un sentimento d’inettitudine a stringermi l’anima. e ho fatto quello che ho fatto… mi sono lasciata cadere fra le braccia della Bestia. Sembra tutto così lontano. Sono io, Giulia Ferrara, questa è la mia vita, sono stanca di gettarla via. Ho un’altra possibilità. Forse l’ultima. Ho uno spiraglio di luce, si chiama Andrea. Ed ho i miei genitori stretti attorno a me. Voglio lanciarmi come fosse un avventura, senza timore. Le loro presenze appaiono nitide come qualcosa da scoprire, come non me ne fossi mai accorta… Adesso che sono immobile, col corpo paralizzato, scopro un’anima in fiamme. Non mi sentivo così viva da un pezzo… e di colpo, un pensiero: «Mamma, mamma». Capitolo decimo 53 La chiamo, come una bambina. «Dimmi Giulia» risponde lei, entrando nella stanza. «Portami alla finestra…» «Fai da sola… aiutati con la carrozzina… perché vuoi andare alla finestra?» perché… «Voglio vedere il mondo fuori, voglio sapere se ci sono le nuvole, o il sole, voglio sentire il vento, corri alla finestra, corri alla finestra, aprila…» La madre sorpresa di tanta sollecitudine va alla finestra e la spalanca; Giulia si accosta e socchiude gli occhi di fronte all’irrompere dei raggi nella stanza. Il mondo fuori gira con tutte le cose al loro posto. Si può ripartire. Basta ricominciare a guardare. «Giulia, guarda, non è Andrea quello?... Sta venendo qui, sembra…» Giulia guarda col cuore improvvisamente in gola. «Sì, è lui…» «Ecco, anche lui c’è. Si può ripartire. Adesso. Come fa quella canzone? “Ho aspettato a lungo Qualcosa che non c’è Invece di guardare il sole sorgere…” 54 La scelta APPENDICE 1. Somebody that i used to know I.I.S. “G. Carducci” di Comiso (RG) - classi IA/B classico, IIIA/B scientifico Dirigente Scolastico M. Concetta Prestipino Giarritta Docente referente della Staffetta Rosanna Maganuco Docenti responsabili dell’Azione Formativa F. Cassarino, R. Maganuco, M.R. Schembari Gli studenti/scrittori delle classi IA classico - Luigi Fiorentino, Ludovica Paci, Ottavio Peligra, Salvatore Randazzo, Laura Romeo IB classico - Giulia Avola, Sara La Cognata, Stefania Occhipinti, Martina Palacino, Alessia Strada IIIB scientifico - Emiliana Buscemi, Marta Carnazza, Carmelo Laterra, Roberta Trapani IIIA scientifico - Sonia Cantelli, Nunzio Corallo, Salvatore Fava, Carolina Petitto Hanno scritto dell’esperienza: “…Il primo momento di confronto all’interno del gruppo è nato dall’interpretazione dell’incipit, sviluppato in chiave allegorica (la Bestia, l’albero) e dall’ipotetica relazione tra la chiave di lettura individuata e la struttura narrativa del capitolo. Abbiamo deciso di valorizzare solo alcuni elementi del testo che ci veniva proposto, identificato nella droga la Bestia che incalza e assale la sua vittima, e posto al centro della nostra storia una nostra coetanea che, proprio partendo dai segni di decadimento e di sofferenza che coglie nel proprio corpo, dal ricordo degli anni spensierati passati, acquista coscienza del baratro di autodistruzione e morte in cui è precipitata...” per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa APPENDICE 2. Alla ricerca di me I.I.S.S. “ Giovanni Paolo II“ di Diamante (CS) – classi IIIAFM IND. S.I.A, IVB Corso Geom, VB Corso Geom, IVB Corso Programmatori, IVD Corso Programmatori, VC Corso Programmatori, VA Corso Geom. Ind. ETA Dirigente Scolastico Concetta Smeriglio Docente referente della Staffetta Maria Stella Fabiani Docenti responsabili dell’Azione Formativa Maria Stella Fabiani, Paolo Montemarano Gli studenti/scrittori delle classi IIIAFM IND. S.I.A. - Federica Forestiero, Federica Bianco, Anna Ricca, Luigi Cersosimo, Noemi Casella, Umberto Perrone, Raffaele Fiorentino, Barbara Di Falco, Alessia Laino IVB Corso Geom. - Anna Presta, Sarah Martorello, Francesco Cirimele VB Corso Geom. - Melania Picerno, Leo Carrozzino, Luca Carluccio, Antonio Martorello, Fabio Filiberto, Gianni Barletta, Mario Bencardino IVB Corso Programmatori - Gessica Trifilio IVD Corso Programmatori - Lidia Maffeo, Teresa Grosso, Francesca Avolicino, Francesco Fittipaldi VC Corso Programmatori - Mario Castellano VA Corso Geom. Ind. ETA - Irene Truscelli Hanno scritto dell’esperienza: “…Gli alunni coinvolti nella Staffetta di Scrittura Creativa hanno manifestato grande interesse e notevole partecipazione nel formulare idee e proposte dirette alla redazione del secondo capitolo del progetto...” per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa APPENDICE 3. L’incontro I.I.S. “Majorana-Marro” di Moncalieri (TO) – classe IIIA relazioni internazionali per il marketing Dirigente Scolastico Sergio Michelangelo Blazina Docente referente della Staffetta Elena Cristina Docente responsabile dell’Azione Formativa Elena Cristina Gli studenti/scrittori della classe classe IIIA relazioni internazionali per il marketing Adelina Andor, Alice Astuti, Ana-Maria Bogdan, Francesca Camia, Sara Coggiola, Martina Foco, Marco Grimaldi, Ludovica Icardi, Ophelia Lalahy, Redon Lika, Jessica Lo Verso, Sheila Lotrecchiano, Alessia Maggiulli, Daphne Martins, Luca Pelissero, Andrea Rosa, Riccardo Ruotolo, Ilaria Sforza, Sara Somà, Elena Volpiano, Maria Vittoria Zanchin Hanno scritto dell’esperienza: “…Innovativa, interessante, creativa, divertente, formativa, coinvolgente, impegnativa, utile, costruttiva, originale, fantasiosa: ecco come abbiamo definito l’esperienza della staffetta letteraria. Ci siamo messi in gioco, abbiamo dato il via libera alla nostra fantasia, che spesso a scuola viene sopita, abbiamo collaborato per raggiungere un obiettivo imparando ad ascoltare e a rispettare le idee dei nostri compagni e cogliendo il meglio da ciascuno di noi. Ci ha intrigato continuare un lavoro iniziato da altri studenti che non conosciamo, lasciare traccia delle proprie idee (confrontate, amalgamate, riadattate, riformulate ma sempre condivise da tutti noi), passare il testimone in attesa di conoscere il proseguo del libro di cui noi siamo stati parte attiva”. APPENDICE 4. Il Piacere d’incontrarti Istituto Professionale di Stato per i Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera di Pagani (SA) – classi IIIE/F Dirigente Scolastico Rosanna Rosa Docente referente della Staffetta Annamaria Simeone Docenti responsabili dell’Azione Formativa Gerardo Amarante, Antonio Battipaglia, Teresa Guida Gli studenti/scrittori delle classi IIIE - Marica Amatruda, Giuseppe Aquino, Mariarosaria Aquino, Alina Burkot, Annalaura De Maria, Sharon Desiderio, Lucia Esposito, Ida Grosso, Grazia Federica Langella, Filomena Loffre, Iryna Makarenko, Dario Panciullo, Raffaele Raino, Giuseppina Serrafica, Michela Spirito, Gabriella Sposato IIIF - Antonio Bracone, Lucia Curatella, Martina De Rosa, Felice De Vivo, Federica Esposito, Margherita Finizio, Gaetano Forino, Gianluca Giordano, Flavia Giordano, Valentina Murhovschi, Erika Orlando, Simona Piedepalumbo, Annarosa Rodomonte, Anna Rosa Ronca, Sara Vitelli Hanno scritto dell’esperienza: “…Quando ci hanno proposto di partecipare a questo progetto eravamo tutti un po’ tesi, pensavamo di non farcela ma poi con il passare dei giorni, le riunioni fatte con tutta la squadra ci siamo resi conto che stando insieme e ascoltare il pensiero di ognuno di noi sarebbe stata una cosa piacevole e infatti così è stato. Ci siamo messi tutti alla prova, ci siamo impegnati e siamo molto soddisfatti del nostro lavoro. Quest’esperienza ci ha fatto diventare non solo compagni di classe ma AMICI. È stato un progetto molto costruttivo! Speriamo di partecipare di nuovo l’anno prossimo”. APPENDICE 5. Una svolta? Liceo Classico e Internazionale “Carlo Botta” di Ivrea (TO) - classe III gamma Dirigente Scolastico Lucia Mongiano Docente referente della Staffetta Teresa SKurzak Docente responsabile dell’Azione Formativa Cinzia Burzio Gli studenti/scrittori della classe III gamma Benedetta Ambroggio, Andrea Barone, Eugenia Bellotto, Anna Bena, Milena Bertone, Miruna Brocco Pirvu, Leonardo Calabrese, Stefania Corradini, Asia Della Rosa, Luca Fausti, Alice Fessia, Greta Francesconi, Riccardo Invernizzi, Irene Lucia Malpeli, Letizia Marotta , Riccardo Mei, Luca Mondino, Alessia Mosca, Eleonora Nesci, Elisa Penno, Fabio Polesel, Cristina Simoncini, Annalisa Vigliocco, Giulia Vironda, Carlo Ziano Hanno scritto dell’esperienza: “…Riteniamo che il progetto della staffetta di scrittura sia importante per la sua strutturazione poiché compone un prodotto con le mani di tanti autori e propone di condividere un’esperienza come la scrittura, che può apparire invece come molto privata. Anche la fase di elaborazione del capitolo in classe è stata molto stimolante perché abbiamo dovuto riconoscere il buono che c’era nella scrittura di altri e, magari, ammettere che un’idea altrui funzionava meglio della nostra. Ci è piaciuto molto lavorare provare a scrivere una storia, ci ha fatti sentire capaci…”. APPENDICE 6. Il risveglio Liceo Scientifico “E. Fermi” di Aversa (CE) – classi III/IV Dirigente Scolastico Adriana Mincione Docente referente della Staffetta Patrizia Cuomo Docente responsabile dell’Azione Formativa Giovanna Antico Classi che hanno composto il capitolo: III/IV APPENDICE 7. Petali sfioriti Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte (TO) – classe IIIA Dirigente Scolastico Ennio Rutigliano Docente referente della Staffetta Marcella Restagno Docente responsabile dell’Azione Formativa Marcella Restagno Gli studenti/scrittori della classe IIIA Sarah Capuzzo, Rossella Carvelli, Martina Di Liberto, Arianna Freisa, Martina Freisa, Emanuela Gjomarkaj, Stefania Maffa, Federica Nigretti, Giulia Pane, Selene Sacco, Francesca Garda, Cristina Isaila, Eva Michieletto, Francesca Orizio, Giuditta Pini, Erika Tuberosa Hanno scritto dell’esperienza: “…L’esperienza si dimostrata molto positiva, ha coinvolto tutte le alunne che hanno avanzato la proposta di scrivere un racconto per intero, secondo la loro idea di “consapevolezza”. Anche i genitori si sono espressi favorevolmente, poiché la vicenda ha suscitato scambi di idee e discussioni in famiglia. Sebbene il nostro periodo di stesura del capitolo sia stato molto ridotto, a causa delle vacanze del Carnevale, le allieve hanno continuato a lavorare a casa, mantenendosi in contatto via mail e siamo riuscite a rispettare i tempi. La consideriamo un’esperienza da ripetere”. APPENDICE 8. L’ossessione della Bestia IPSIA “L. Da Vinci” di Savona (SV) – classe III EMA Dirigente Scolastico Domenico Buscaglia Docente referente della Staffetta Maria Paola Topasso Docenti responsabili dell’Azione Formativa Maria Paola Topasso, Bruno Gibbone Gli studenti/scrittori della classe III EMA Michael Arrais, Stefano Battistutta, Eugenio Bubeqi, Stefano Calcagno, Cristiano Carai, Roberto Caviglia, Richard Cellerino, Armando Cyrbja, Paolo Cosentino, Matteo Cosenza, Alois De Tullio, Damiano Giusto, Yassine Hijji, Simone Magliotto, Steljon Muco, Yassine Najjaa, Klaidi Nerjaku, Giuseppe Pastorino, Christian Patrone, Luca Patrone, Andrea Pronsati, Giuseppe Rugolino, Fabio Teodoro, Luca Vallauri, Alban Varangu, Nicolae Verciuc, Mattia Violante Hanno scritto dell’esperienza: “…Come al solito quest’anno ci siamo divisi in gruppi scelti da noi. È stata un’esperienza piacevole che ci ha permesso di staccare dal lavoro prettamente scolastico e di rapportarci con i nostri compagni. L’esperienza non è stata limita solo alla produzione del testo, ma ci ha permesso di discutere e confrontarci per condividere idee e riflessioni a volte inaspettate dal proprio compagno di classe, anche coloro che spesso sono svogliati hanno preso parte spontaneamente per non auto-escludersi. È anche vero che nel lavoro di gruppo non ci sono solo privilegi, infatti spesso e volentieri ci si ritrova a non concordare con le idee dei compagni e per questo di dibatterne anche a lungo. La tematica del racconto è stata molto coinvolgente, infatti il contenuto dell’incipit rappresentava una storia traumatica che avrebbe toccato nel vivo i sentimenti di chiunque, a tal punto che non abbiamo trovato difficoltà nel continuare il racconto che dava molta libertà decisionale sull’argomento. Concludiamo dicendo che come al solito siamo stati onorati ed è stato un piacere partecipare alla staffetta”. APPENDICE 9. Abbiamo fallito? I.I.S. “Albert Einstein” di Torino (TO) - classi II/IIID Liceo Scienze Umane – III/IVB Liceo Scientifico - IIIDS Liceo Scienze Applicate - IVAL Liceo Scientifico - IVDS Liceo Scientifico Dirigente Scolastico Emaunuela Ainardi Docente referente della Staffetta Mariester Negro Docenti responsabili dell’Azione Formativa Bianca Danna, Mariester Negro Gli studenti/scrittori delle classi IID Liceo Scienze Umane - Fabiana Ferrero, Giorgia Lasepo, Alessandro Modica, Valeria Recchia IIIB Liceo Scienze Umane - Anita Rossetti IIIB Liceo Scientifico - Alice Ardizioia, Costanza Beck, Federica Gavello, Giorgia Tagliati III DS Liceo Scienze Applicate - Giulia Spagnolo Caruso IVAL Liceo Scientifico - Cristina Andreea Andrei, Matilde La Marca, Milena Parotti IV B Liceo Scientifico - Matilda Fontanarosa, Alessia Tavernese IV DS Liceo Scientifico - Marco Cacalano Hanno scritto dell’esperienza: “…Nel nostro liceo la Staffetta è stata condotta da un gruppo interclasse in prevalenza di studentesse e studenti del triennio appartenenti ai diversi indirizzi presenti nell’istituto: scienze applicate, scientifico, scienze umane. Hanno seguito l’attività due docenti, ognuna collegata a uno dei due plessi della scuola. È stato creato un gruppo Facebook per collegare i membri della Staffetta e fornire a tutti le informazioni necessarie...” per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa APPENDICE 10. La scelta IIS “Nobili” (Settore Professionale) di Reggio Emilia Dirigente Scolastico Vittorio Messori Docente referente della Staffetta Monica Bottai Docente responsabile dell’Azione Formativa Monica Bottai Gli studenti/scrittori: Monir Zirai, Brian Aloba, Stephen Saylon, Khalid Madkour Hanno scritto dell’esperienza: “L’esperienza di scrittura creativa ha permesso di far emergere competenze e abilità che spesso restano nascoste durante un consueto svolgimento dell’attività didattica. Inoltre, Ha permesso lo scambio e l’ascolto fra i ragazzi su argomenti importanti della loro vita quotidiana”. NOTE NOTE NOTE NOTE INDICE Incipit di DAVIDE MATTIELLO..........................................................................pag 14 Cap. 1 Somebody that i used to know ............................................................» 16 Cap. 2 Alla ricerca di me ......................................................................................» 20 Cap. 3 L’incontro ......................................................................................................» 24 Cap. 4 Il Piacere d’incontrarti ..........................................................................» 28 Cap. 5 Una svolta? ..................................................................................................» 32 Cap. 6 Il risveglio ....................................................................................................» 36 Cap. 7 Petali sfioriti ................................................................................................» 40 Cap. 8 L’ossessione della Bestia ........................................................................» 44 Cap. 9 Abbiamo fallito? ........................................................................................» 48 Cap. 10 La scelta ..................................................................................................» 52 Appendici ..................................................................................................................» 56 Finito di stampare nel mese di aprile 2013 dalla Tipografia Gutenberg Srl – Fisciano (SA) ISBN 978-8897890-77-5