Come la bellezza uccise la bestia… una storia di droga

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Come la bellezza uccise la bestia… una storia di droga
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COME LA BELLEZZA
UCCISE LA BESTIA...
UNA STORIA DI DROGA
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Partendo dall’incipit di Davide Mattiello e con il coordinamento dei
propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e
delle classi appresso indicate:
I.I.S. “G. Carducci” di Comiso (RG) - classi IA/B classico, IIIA/B scientifico
I.I.S.S. “Giovanni Paolo II“ di Diamante (CS) – gruppo misto
I.I.S. “Majorana-Marro” di Moncalieri (TO) – classe IIIA relazioni internazionali per il marketing
Istituto Professionale di Stato per i Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera di Pagani (SA) – classi IIIE/F
Liceo Classico e Internazionale “Carlo Botta” di Ivrea (TO) - classe III gamma
Liceo Scientifico “E. Fermi” di Aversa (CE) – classi III/IV
Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte (TO) – classe IIIA
IPSIA “L. Da Vinci” di Savona (SV) – classe III EMA
I.I.S. “Albert Einstein” di Torino – gruppo misto
I.I.S. “L. Nobili” di Reggio Emilia
Editing a cura di: Alfonso Tramontano Guerritore
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali
Ente Formatore per docenti accreditato MIUR
Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani
Staffetta Bimed/Exposcuola 2013
La pubblicazione rientra tra i prodotti del Percorso di Formazione per Docenti “La Scrittura
Strumento indispensabile di evoluzione e civiltà” II livello. Il Percorso di Formazione è promosso
dal MIUR Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per il Personale Scolastico Ufficio
VI e si organizza in interazione con l’Istituto Comprensivo “A. De Caro” di Lancusi/Fisciano (SA)
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Monitoraggio dell’azione
e delle attività formative collegate
Maurizio Ugo Parascandolo
Responsabili di Area per le comunicazioni, il
coordinamento didattico, l’organizzazione
degli Stages, le procedure e l’interazione con
le scuole, le istituzioni e i fruitori del Percorso
di Formazione collegato alla Staffetta 2013
Linda Garofano
Marisa Coraggio
Andrea Iovino
Area Nord
Area Centro
Area Sud
Segreteria di Redazione
e Responsabile delle procedure
Giovanna Tufano
Staff di Direzione
e gestione delle procedure
Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo
Responsabile per l’impianto editoriale
Alfonso Tramontano Guerrirore
Grafica di copertina:
Valentina Caffaro Rore, Elisa Costanza
Giuseppina Camurati, Iulia Dimboiu, Giulia
Maschio, Giulio Mosca, Raffaella Petrucci,
Dajana Stano, Angelica Vanni - Studenti
del Corso di Grafica dell’Istituto Europeo
di Design di Torino, Docente Sandra Raffini
Impaginazione
Bimed Edizioni
Relazioni Istituzionali
Nicoletta Antoniello
Piattaforma BIMEDESCRIBA
Gennaro Coppola
Amministrazione
Rosanna Crupi
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della
Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola
2013 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dai
Comuni che la finanziano perché ritenuta
esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli
Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2013 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta,
Cetara, Pinerolo, Moncalieri, Susa, SaintVincent, Castellamonte, Torre Pellice, Castelletto Monferrato, Forno Canavese,
Rivara, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese. Si
ringrazia, inoltre, il Consorzio di Solidarierà Sociale “Oscar Romero” di Reggio
Emilia, Casa Angelo Custode di Alessandria, Società Istituto Valdisavoia s.r.l. di
Catania, Associazione Culturale “Il Contastorie” di Alessandria, Fondazione
Banca del Monte di Rovigo.
La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione
degli Eventi di presentazione dei Racconti 2013 dai Comuni di Bellosguardo,
Moncalieri, Ivrea, Salerno, Pinerolo, Saint
Vincent, Procida e dal Parco Nazionale
del Gargano/Riserva Naturale Marina
Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato
per il buon esito della Staffetta 2013 e
che nella Scuola, nelle istituzioni e nel
mondo delle associazioni promuovono
l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle
nuove generazioni. Ringraziamenti e
tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per
la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up
dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche
e agli Uffici Scolastici Provinciali che si
sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S.
E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2013 con uno dei premi
più ambiti per le istituzioni che operano
in ambito alla cultura e al fare cultura, la
Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo Prot.
SCA/GN/0776-8 del 24/09/2012.
Partner Tecnico Staffetta 2013
Si ringraziano per l’impagabile apporto
fornito alla Staffetta 2013:
i Partner tecnici
UNISA – Salerno, Dip. di Informatica;
Istituto Europeo di Design - Torino;
Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly
Company;
ADD e EDT Edizioni - Torino;
il partner Must
Certipass, Ente Internazionale Erogatore
delle Certificazioni Informatiche EIPASS
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2013 viene stampata in parte su
carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il
rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi
intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono
risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di
recupero e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2012/2013
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati
unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura
Bimed/ExpoScuola.
PRESENTAZIONE
dedicato alle maestre e ai maestri
… ai professori e alle professoresse,
insomma, a quell’esercito di oltre mille
uomini e donne che anno dopo anno
ci affiancano in questo esercizio straordinario che è la Staffetta, per il sottoscritto, un miracolo che annualmente
si ripete. In un tempo in cui non si ha la
consapevolezza necessaria a comprendere che dietro un qualunque prodotto vi è il fare dell’essere che è, poi,
connotativo della qualità di un’esistenza, la Staffetta è una esemplarità su
cui riflettere. Forse, la linea di demarcazione che divide i nativi digitali dalle
generazioni precedenti non è nel fatto
che da una parte vi sono quelli capaci
di sentire la rete come un’opportunità
e dall’altra quelli che no. Forse, la differenza è nel fatto che il contesto digitale che sempre di più attraversa i nostri
giovani porta gli individui, tutti, a ottenere delle risposte senza la necessità
di porsi delle domande. Così, però, è
tutto scontato, basta uno schermo a risolvere i nostri bisogni… Nel contempo,
riflettere sul senso della nostra esistenza
è sempre meno un bisogno e il soddisfacimento dei bisogni ci appare come
il senso. Non è così, per l’uomo, l’essere,
non può essere così.
Ritengo l’innovazione una delle più rilevanti chiavi per il futuro e, ovviamente, non sono contrario alle LIM, a
internet e ai contesti digitali in generale, sono per me un motore straordinario e funzionale anche per la relazione
tra conoscenza e nuove generazioni,
ma la conoscenza è altro, non è mai e
in nessun caso l’arrivo, l’appagamento
del bisogno… La conoscenza è nella
capacità di guardare l’orizzonte con la
curiosità, il piacere e la voglia di conquistarlo, questo è! Con la staffetta il
corpo docente di questo Paese prova
a rideterminare una relazione con l’orizzonte, con quel divenire che accomuna
e unisce gli uomini e le donne in un afflato di cui è parte integrante il compagno di banco ma, pure, il coetaneo che
a mille chilometri di distanza accoglie la
tua storia, la fa sua e continua il racconto della vita insieme a te… In una
visione di globalizzazione positiva.
Tutto questo ci emoziona anche perché è in questo modo che al bisogno
proprio (l’egoismo patologico del nostro tempo), si sostituisce il sogno di
una comunità che attraverso la scrittura, insieme, evolve, cresce, si migliora. E se è vero come è vero che
appartiene alla nostra natura l’essere
parte di una comunità, la grande
scommessa su cui ci stiamo impegnando è proprio nel rideterminare
con la Staffetta una proficua interazione formativa tra l’innovazione e la
cultura tipica dei tanti che nell’insegnare hanno trovato… il senso.
Dedico questo breve scritto ai docenti ma vorrei che fossero i genitori e
gli studenti, gli amministratori e le imprese, la comunità e l’attorno, a prendere consapevolezza del fatto che è
proprio ri/partendo dalla Scuola che
potremo determinare l’evoluzione e la
qualificazione del nostro tempo e
dello spazio in cui viviamo. Diamoci
una mano, entriamo nello spirito della
Staffetta, non dividiamo più i primi
dagli ultimi, i sud dai nord, i potenti
dai non abbienti…
La Staffetta è, si, un esercizio di scrittura che attraversando l’intero impianto curriculare qualifica il contesto
formativo interno alla Scuola e, pure,
l’insieme che dall’esterno ha relazione
organica e continuativa con il fare
Scuola, ma la Staffetta è, innanzitutto,
un nuovo modo di esprimersi che enuclea nella possibilità di rendere protagonisti quanti sono in grado di
esaltare il proprio se nel confronto,
nel rispetto e nella comunanza con
l’altro.
Andrea Iovino
L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola
italiana.
Quando Bimed ci ha proposto di
operare in partnership in questa importante avventura non ho potuto far a
meno di pensare a quale straordinaria
opportunità avessimo per sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti
ancora sconosciuto, tema di “innovazione e cultura digitale”.
Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia, di Rete e di 2.0,
ma cosa sono in realtà e quali sono le
opportunità, i vantaggi e anche i pericoli che dal loro utilizzo possono derivare?
La Società sta cambiando e la
Scuola non può restare ferma di
fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie ha
portato anche nella didattica: cambia il metodo di apprendimento e
quello di insegnamento non è che una
conseguenza naturale e necessaria
per preparare gli “adulti di domani”.
Con il concetto di “diffusione della
cultura digitale” intendiamo lo svi-
luppo del pensiero critico e delle
competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i nostri ragazzi
a districarsi nella giungla tecnologica
che viviamo quotidianamente.
L’informatica entra a Scuola in modo
interdisciplinare e trasversale: entra
perché i ragazzi di oggi sono i “nativi
digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e
che porta inevitabilmente la Scuola a
ridisegnare il proprio ruolo nel nostro
tempo.
Certipass promuove la diffusione della
cultura digitale e opera in linea con le
Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e
nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del
contesto sociale contemporaneo.
Poter anche soltanto raccontare a
una comunità così vasta com’è quella
di Bimed delle grandi opportunità che
derivano dalla cultura digitale e dalla
capacità di gestire in sicurezza la re-
lazione con i contesti informatici, è di
per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di
organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e
considerato anche che è acclarato il
dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di
alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano,
Research, Quality, Competitiveness.
European Union Technology Policy for
Information Society II- Springer 2012)
non soltanto di carattere digitale, ci è
apparso doveroso partecipare con
slancio a questo format che opera
proprio verso la finalità di determinare
una cultura in grado di collegare la
creatività e i saperi tradizionali alle
moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro,
partecipazione e condivisione… I
docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica, i giovani a inventarsi un pezzo di una storia che poi
vivono e condividono grazie al web
con tanti altri studenti che altrimenti,
molto probabilmente, non avrebbero
mai incontrato e, dulcis in fundo, le
pubblicazioni…
Il libro che avrete tra le mani quando
leggerete questo scritto è la prova
tangibile di un lavoro unico nel suo
genere, dai tantissimi valori aggiunti
che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia,
le nostre tradizioni e la nostra civiltà
all’innovazione tecnologica e alla
cultura digitale. Certipass è ben lieta
di essere parte integrante di questo
percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento tecnologico.
Il Presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
DAVIDE MATTIELLO
Basta trattenere il respiro.
All’inizio non è facile. Quand’ero più piccola e ci provavo mi sembrava di soffocare. Poi un po’ per volta si impara. Trattieni il respiro, pensi a qualcosa di piatto
e tac! Tutto va come deve andare. Io mi sono abituata a pensare ad un tronco
gigantesco che un fulmine ha schiantato quasi alla radice. Deve essere stato
parecchio tempo fa. Questo albero gigantesco se ne è venuto giù, immagino
con quale chiasso, spaccandosi tutti i rami di sotto. E dove è arrivato, è stato:
colpito, abbattuto. Fine della storia. E che sarà mai! Io penso a quel tronco nella
foresta perché non c’è niente di più piatto di un tronco così abbandonato a se
stesso. Così buttato. Prima stava dritto e serviva in un modo... ora sta coricato e
serve in un altro. E che sarà mai! Adesso sono qui e ho una paura terribile che
quella grossa Bestia ringhiosa si accorga di me e mi sbrani. Tra poco potrei essere
abbattuta a colpi di artiglio, lunga e distesa per terra. Ci sarà qualcos’altro da
fare anche per me, come c’è stato qualcos’altro da fare per l’albero. La Bestia
si aggira a poca distanza. Sembra che possa vedere anche dietro la testa, sentire nel silenzio. Il silenzio di chi si nasconde, che è un silenzio diverso: vibra. Ogni
volta che appoggia una zampa per terra lo fa per ascoltare il suolo, per catturare il brivido della preda. Lo so io e lo sa lei. La terra respira con chi ci sta sopra.
Compie cerchi lenti e precisi, vedo il pelo irto sul dorso: rosso. Zampa appoggiata, muso che punta un po’ più in su, fremito delle narici e poi di nuovo, zampa
appoggiata, muso puntato un po’ più in là e fremito delle narici. Ha diviso lo spazio circostante in spicchi e uno dopo l’altro ci ficca i suoi sensi dentro. Uno dopo
l’altro, senza saltarne nessuno. Senza fretta: non ne ha. La Bestia sa che l’unica
salvezza per la preda è l’assoluta immobilità. Troppo veloce per chiunque la Bestia. Fuggire equivale a morire. L’unica mossa possibile è l’elusione: immobile con
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tutto, immobile dentro e fuori, trattenere il respiro e farsi pietra tra le pietre, ramo
tra i rami. La Bestia non si sarebbe messa ad azzannare una pietra, né un ramo.
Chissà quanto tempo c’è voluto per capire questo trucco. Chissà quanti sono
morti! Tutti quelli che hanno cercato di correre, di saltare, di arrampicarsi: ma non
ci sono mai state gambe abbastanza rapide, buchi abbastanza profondi, né
rocce abbastanza alte. La Bestia ne ha fatto il suo pasto. E sono morti anche tutti
quelli che hanno cercato di fermarla tirandole addosso un sasso o un bastone.
Forse qualcuno ha anche cercato di infilzarla, affrontandola con un ramo appuntito tenuto basso e saldo sulle cosce. Tutto inutile. Poi qualcuno c’è riuscito,
trattenendo il respiro e pensando a qualcosa di piatto. Era normale per noi farlo,
ma non per difenderci: questa era stata la novità. Di fronte alle Bestie nessuna
fuga, né lotta: elusione. Lei pensa che tu ci sia, tu in effetti ci sei, ma se non ti
sente è come se non ci fossi. È una questione di ruoli: il predatore deve sbavare
famelico e minaccioso, la preda deve atterrirsi prima e difendersi in qualche
modo poi. Che razza di preda può mai essere un pezzo di legno, immobile dentro
e fuori? Così me ne sto immobile dentro e fuori, a rovinare la parte alla Bestia. Col
muso indugia nell’aria, colgo per un attimo il bagliore dei suoi occhi neri: smarriti?
E poi nel volgere di pochi istanti la fine. Per me è arrivato il momento del Sonno...
e accidenti! Su per un sacco di tempo e compiono percorsi lunghissimi. Noi siamo
come questi uccelli, ma per terra. Non me lo posso permettere! È come quando
gli uccelli volano in cielo: per un po’ si danno da fare, sbattono le ali, orientano
il collo e il becco per fendere l’aria, ne indovinano le correnti più calde e ci si
infilano. Poi basta. Poi gli uccelli arrivano ad un certo punto, ad una certa altezza
e da lì, volare è come scivolare sull’aria. Non si deve più fare niente, è l’aria che
ti porta. Ci sono alcuni uccelli che così, volando senza più volare, stanno.
“Il Sonno è volare senza più volare”.
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CAPITOLO PRIMO
Somebody that i used to know
Solo adesso vedo che le altre volte sono stata cieca, nonostante gli occhi aperti
di fronte alla realtà. Non so di preciso in quale assurdo posto mi trovi. L’unica
cosa di cui sono certa è lo scroscio martellante della pioggia. Una siringa alla
mia destra mi fa compagnia in un posto vuoto e immerso nella penombra. Attorno
a me solo polvere. E io persa, con le spalle al muro. Di fronte a me colonne di cemento, come una gabbia. Io e la mia cara bestia. L’ho sognata di nuovo oggi, e
non so che giorno sia. Sembrano tutti uguali. È buio, dovrei tornare a casa ma
piove, e soprattutto non riesco ad alzarmi. Dannazione. Non voglio più stare con
te, ma non ho scelta. Non ho la forza. Mi ritrovo a casa. Come ci sia arrivata non
so. Sempre più spesso mi accade di vivere in stato confusionale, di non avere ricordi nitidi… Passo una mano sullo specchio appannato dal mio respiro, eliminando una striscia di condensa. La sua superficie rivela l’immagine che non vorrei
mai vedere. Eppure sono io, o meglio, la parte di me che è emersa da un anno
a questa parte. Lo so perché sono lucida. Ma quando la bestia mi aggredisce,
perdo la cognizione della realtà. Alla luce incerta del bagno, osservo il mio viso.
Mi ricordavo diversa. Di solito, quando sono cosciente, cerco di evitare di guardare il mio aspetto, perché è così difficile da accettare. Scosto il ciuffo nero
dalla fronte. Una volta ero bionda, poi ho deciso di tingere i capelli, per uniformarli al buio del mio animo. Il nero copre il mio viso e il mio sguardo perso, tenendo lontani gli occhi degli altri. Passo le dita tra la mia lunga chioma, i capelli
sono sporchi, grassi. Un conato di vomito mi sale in gola. Per quanto tempo sono
rimasta incosciente? Mi chino sul lavandino e sciacquo la faccia con l’acqua
gelida, per scacciare i pensieri. Prendo l’elastico nero che porto indosso come
un bracciale, e lego quegli orribili capelli in una coda di cavallo. A quel punto,
non mi resta altro che osservare il mio viso vuoto, inespressivo e pallido come
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Somebody that i used to know
quello di un cadavere. I miei occhi color ghiaccio sembrano innaturali. Una volta
tutti invidiavano la luce che vi brillava dentro e che mi faceva apparire una ragazza solare, adesso sono solo orbite vuote, carcasse abbandonate sul mio
volto. Gli zigomi prominenti deformano i contorni del mio viso. Le labbra sottili e
violacee non sono che un pallido ricordo del sorriso che un tempo segnava le
guance con piccole fossette. Ma allora TUTTO era diverso. Quando IO ero diversa… Scuoto la testa per allontanare quella visione e, freneticamente, frugo
nel beauty tra i cosmetici, alla ricerca del mio rossetto rosso. Una passata basterà
a coprire il colore delle mie labbra e mi farà sembrare più simile alla ragazza che
ero una volta. Mi manca, quella ragazza. Le mie mani insicure non riescono ormai
neanche ad assecondare la forma delle mie labbra e non tracciano che una
linea deforme. Innervosita scaravento il rossetto da un’altra parte, ma sono talmente debole che anche quel semplice gesto di lanciare un oggetto, così piccolo e leggero, mi affatica. Ormai tutto il mio corpo è ridotto ad uno scheletro,
le scapole e le ossa dei fianchi sembrano voler bucare la pelle e uscire fuori, le
vertebre sono dei contapassi per il viale dissestato della schiena. Spesso la forza
mi abbandona le gambe, facendomi accasciare. E così avviene. Cado, inizio a
piangere, e desidero tutto quello che ho perduto. Torno indietro a prima che la
Bestia iniziasse a possedermi. Resto a terra, ma anche in questa posizione lo
specchio continua a riflettere la mia immagine, impietoso e luccicante. Come uno
sguardo, si spinge dentro la mia anima lacerandola di consapevolezza. “Non riconosco ciò che vedo, non posso credere che quella Cosa sia Io”. Me lo ripeto
ma non funziona. Ogni volta dico a me stessa che sarà l’ultima, ma mi ritrovo sempre con lo stesso stato d’animo. Sempre peggio. Inizio a perdere le speranze,
forse è meglio abbandonarmi. Meglio un sonno profondo, senza risveglio. Via
dai miei pensieri, dai sensi di colpa, dalle responsabilità. Via dai ricordi. Un
tempo, studentessa modello e di belle speranze, mi appassionavano i poeti e
leggevo che per Ovidio il Sonno è “l’immagine della gelida morte”. Proprio quello
che vorrei. “E non è a questa – penso – che mi sto avviando? E allora fuggo.
Capitolo primo
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Fuggo da quello stesso sonno in cui mi rifugio. Via da quel Sonno vuoto, nero, baratro verso il nulla, popolato di incubi. Via dalla Bestia che si affaccia padrona.
Non posso restare inerme. Non posso scegliere l’elusione, la sospensione. Senza
fuga e senza lotta, attraverso il sogno, come antidoto al Male. Ma con la mia Bestia non serve. Non basta aprire le ali come un falco e restare sull’aria, confidando nella corrente, facendosi trascinare senza far niente. Devo conservare
lucidità. Senza abbandonarmi. Devo svegliarmi per propiziare la bellezza e ritrovarla quando avrò distrutto le ombre. Non ho altra scelta che combattere”.
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Somebody that i used to know
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CAPITOLO SECONDO
Alla ricerca di me
Non so per quante ore ho dormito. A svegliarmi, di soprassalto, è il rumore sgradevole del Mondo che mi riporta alla Realtà. Sono vestita tra le coperte. Le
frugo e faccio fatica a trovare il cellulare che squilla senza pausa. Con gli occhi
ancora chiusi, cerco tra le lenzuola, sul comodino accanto al letto, nella borsa
gettata sul pavimento. Finalmente lo trovo e con grande fatica, sollevo le palpebre per leggere sul display il nome del chiamante. È mia madre.
«Ciao Giulia...»
L’unica cosa che resta della mia vita precedente è il mio nome. E mia madre lo
pronuncia in un modo tutto suo. L’angoscia mi prende allo stomaco, insieme ad
un oscuro senso di colpa, mentre per rispondere provo un tono di voce il più
possibile normale.
«Ciao Mamma. Si, va tutto bene... No, non fa freddo... L’esame è fra una settimana...»
Mentre rispondo, meccanicamente e a monosillabi, mi chiedo con preoccupazione se anche questa telefonata, come tutte le altre, si concluderà con la solita
domanda, e con la solita risposta.
«Quand’è che vieni a trovarci, Giulia?»
«Non lo so. Quando posso».
Perché quella domanda suscita in me sentimenti contrastanti. Da un lato voglio
tornare nel mio paese, per illudermi brevemente d’essere ancora quella di prima,
quando la Bestia non c’era. Dall’altro sono stretta nella mia vita attuale, che m’impedisce di andare... con la Bestia che mi tiene sempre vicino a sé. Per quello appena trovo un pretesto chiudo la telefonata. Fine della recita.
«Okay mamma, ti farò sapere, ora devo scappare. Un bacio».
Butto via il cellulare con rabbia, mi sento disonesta, sporca, i miei non sanno che
ho lasciato l’Università, che non diventerò mai medico come mio padre e non
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Alla ricerca di me
tornerò mai più a casa... Casa, la parola dovrebbe indicare un luogo di pace e
serenità, e cosi è stato fino a quando non sono cambiata. Forse è per questo che
ora non è più il luogo adatto per me. Perché una casa può diventare anche una
gabbia. Talvolta vorrei davvero rinchiudermi, fuori dal mondo, per stare al sicuro.
Vorrei farmi curare, ma non posso, non ho il coraggio di dire a mia madre quello
che mi sta uccidendo. La verità.
“Cara mamma, per un po’ non mi vedrai, perché vado in una clinica a disintossicarmi…”
Prendo fiato e mi alzo dal letto, lavo la faccia e i denti veloce, mi tolgo di dosso
i vestiti della sera prima e indosso il solito jeans e la felpa blu. Ho un attimo di debolezza... un capogiro... Mi assale la paura di cadere, dovrei mangiare qualcosa
ma ho fretta, non posso permettermi ritardi al lavoro e correre il rischio di essere
licenziata. I soldi che mi mandano da casa per pagare i miei studi non bastano,
non sono sufficienti, me ne servono di più... sempre di più... “La Bestia è affamata
e nutrirla costa!”
Non ho neppure il tempo di una doccia, sono in ritardo. Mi spruzzo un po’ di profumo e lego i capelli. Provo a truccarmi per cancellare i segni che la Bestia, ad
ogni incontro, lascia sul mio volto. Guardo l’orologio. È tardissimo. Prendo la borsa
ed esco di casa. La foschia annebbia i pensieri e mi distoglie dalla meta, eppure
mi rende più consapevole. La strada di prima mattina mi riflette perfettamente,
vuota e spoglia come l’anima che trattengo. Cammino sempre a testa bassa, perché il solo pensiero di incrociare il mio sguardo con quello degli altri mi tormenta.
È autunno e il fruscio delle foglie sotto i piedi mi ricorda quand’ero bambina e facevo a gara con le amiche per calpestarle. Allora ero ignara di tutto, e le cose
erano semplici. Arrivo al lavoro con mezzora di ritardo. Colgo di sfuggita lo
sguardo di rimprovero del capo, lo evito e mi precipito nel retro. In fretta e furia
indosso la divisa, camicetta bianca, pantalone scuro e il berretto che porta impresso il nome del locale. Lavoro al Bar Centrale, nome anonimo in piena sintonia
con tutto il resto. Clienti compresi. Ogni mattina sempre gli stessi e sempre le stesse
Capitolo secondo
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ordinazioni. Due caffè macchiati con cornetto alla crema, un cappuccino con
cacao, caffè alla nocciola e brioches al cioccolato, thè al limone con biscotti.
«I biscotti sono finiti... Cosa le porto al posto dei biscotti? Abbiamo un’ottima
crostata alla marmellata, va bene lo stesso?»
Sento il telefono squillare e mi affretto a rispondere.. Dallo studio legale in fondo
alla strada ordinano una colazione abbondante. Con l’aiuto della barista sistemo il vassoio, avvolgo di carta argentata il bordo del bicchiere di caffè, dispongo con precisione i cucchiaini, i bicchieri d’acqua e infine sistemo le bustine
di zucchero. Quei semplici gesti mi costano uno sforzo di concentrazione notevole, perché la mia testa è sempre altrove, e persino reggere il vassoio mi viene
sempre più difficile, devo fare attenzione a non farlo cadere perché mi tremano
le mani. Fuori dalla porta del bar mi attende Roma, frenetica e incasinata. La sua
vita si fa gioco della mia assenza. Arrivo davanti al palazzo e appena prima di
suonare al citofono, mi cerco un’espressione serena, per quanto difficile, e provo
a sorridere. Perché se sorridi è più probabile la mancia, e io ho bisogno di soldi,
per soddisfare la Bestia. Non voglio immaginare cosa farei se i soldi non dovessero più bastarmi. Ho il pensiero terribile che potrei vendermi. “La cosa la più
schifosa è anche la più facile”. Proprio come sorridere. Scaccio il pensiero con
una smorfia, tiro le labbra, entro in ascensore e fisso lo specchio.
La segretaria dell’avvocato mi accoglie nello studio ed esclama con allegria, ad
alta voce.
«È arrivata la ragazza del bar!»
Poso il vassoio sulla scrivania, mentre un uomo in giacca e cravatta mi porge
una banconota da 20 euro.
«Tieni il resto».
Scene di vita normale, gente normale. E io che resto distante e la sfioro senza mai
entrarci, e la osservo ogni volta come una spettatrice distratta. Scendo le scale
e mi rendo conto che mancano pochi minuti alla fine del turno. Anche per oggi
è fatta. Anche per oggi sono a pezzi, stanca, con le gambe che non reggono.
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Alla ricerca di me
Così decido di prendere il tram, torno a casa e mi accuccio con gli occhi ai
vetri. Dal finestrino la città scorre illuminata, le piazze, i monumenti, le piccole vie
con i sanpietrini, la case coi fiori alla finestra, i ristorantini all’aperto, una coppietta che si tiene per mano. La vita intorno mi viene addosso in senso contrario.
Ho nostalgia del tempo concorde, quando io e la mia vita camminavamo all’unisono e nella stessa direzione. Tornerà mai quel tempo?
Capitolo secondo
23
CAPITOLO TERZO
L’incontro
Sono sul tram, come sempre a testa bassa. Scarpe in continuo movimento, odori
strani, gente che spinge, voci di ragazzini allegri, pieni di vita. Non pensano che
potrebbero diventare anche loro prede. Alzo gli occhi. Strade, alberi e monumenti scorrono sotto il mio sguardo. Mi fermo a fissare una statua sconosciuta.
Vorrei essere come lei. Ferma, indifferente e soprattutto insensibile. Vorrei essere
uno di quegli uccelli che le volteggiano intorno e poi su, nel cielo grigio, liberi.
Inconsapevoli della lotta che ogni giorno ingaggiano per arrivare a domani. Devono sopravvivere al mondo che li circonda. Come me. Sono selvatici e irrequieti.
Sono animali come me, che conosco la Bestia, la curo e la sento. Vorrei potermene dimenticare, lasciarla fuori dai pensieri e smettere di saziarla continuamente.
Il suo potere mi logora, mi trasforma, mi allontana da me stessa. Come un ragazzo
che non ti vuole, e più non ti vuole più lo cerchi e lo pensi. “E io non riesco a liberarmi di lei”.
Le luci della città mi circondano, disseminate tutte intorno al tram che mi trasporta,
come un campo di fiori luccicanti, che per un attimo mi distrae dai miei pensieri
ossessivi. Le vetrine addobbate mi strappano un sorriso debole. Quant’era bello
il Natale. Passarlo con mamma e papà e sentire tutto il loro affetto. Sono quasi
arrivata. La prossima fermata è mia. Mi alzo lentamente, cerco il pulsante, mi
muovo come un fantasma tra le persone, guardo il vuoto, cammino e di colpo mi
ritrovo in strada. Sono di nuovo sola. Io e la Bestia. Sento il suo fiato addosso e
come ogni volta tremo. Voglio soltanto andare a casa, dove la Bestia mi aspetta
come fa un cane col padrone. Percorro le strisce pedonali frugando nella borsa,
sento la sciarpa, il portafoglio, il telefono e il rossetto… cerco le chiavi, troppo
piccole per quel portone enorme. Varco l’ingresso del palazzo e salgo. Le scale
sentono la mia ansia, e ogni giorno mettono un gradino di traverso. Mi poggio al
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L’incontro
corrimano. Dietro, sento qualcuno entrare. Non mi giro. Non faccio troppo caso.
Salgo, salgo e salgo, faticosamente, ho i piedi stanchi e le gambe sfatte. Di colpo
sembro una bambina che non sa ancora camminare. La gamba destra mi cede,
barcollo all’indietro, provo ad aggrapparmi alla ringhiera che sostiene il corrimano, ma la presa scivola. Sto cadendo! Una gelida sensazione di groppo mi
prende la gola, ho paura, mi farò male. Sto per schiantarmi, manca poco, chiudo
gli occhi per non vedere.
«Attenzione!»
Riapro gli occhi e mi ritrovo di colpo tra due braccia muscolose.
«Tutto bene? Stavi per fare un bel volo!»
“Ehi, tutto bene?”
È una voce gioviale. Sento il calore di una mano sulla spalla, è un uomo. Non lo
guardo. Mi copro il volto con la mano che tiene ferme le lacrime.
«Ti sei fatta male? Dammi la mano ti aiuto ad alzarti».
Non voglio che mi aiuti, non voglio essere aiutata. Ho male al piede e voglio entrare in casa. Voglio nascondermi.
«Sei Giulia, giusto?»
Mi metto in piedi lentamente. Sono davanti a lui. Alzo lo sguardo piano e lo
guardo negli occhi. Sono color nocciola. È Luca, il mio vicino. Quello che vive
nell’appartamento di fronte al mio. L’avrò guardato un paio di volte, quelle poche
concesse dalla mia eterna confusione. I suoi zigomi bassi parlano del Sud, ma il
suo accento è romano. Ha spalle larghe e una borsa da palestra, capelli mossi
e asciugati in fretta, con qualche punta bagnata, rasati ai lati e lunghi sulla testa.
Avrà poco più di vent’anni. Un sorriso aperto gli incornicia il viso illuminandolo,
dietro un leggero velo di barba. È strano che io non lo abbia mai notato. È strano.
Devo andare.
«Giulia, giusto?» mi ripete.
Annuisco zitta, sposto una ciocca fuori dalla coda di cavallo, nascosta appena
dietro l’orecchio. Ricorda il mio nome. Mi sta guardando. Mi perdo un attimo.
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Capitolo terzo
Torno a pensarmi donna. Avrò i capelli sporchi. Avrò un cattivo odore. Era da
tempo che non pensavo a cose del genere.
«Allora ci eravamo già presentati, vabbè se non te lo ricordassi comunque io
sono Luca e…»
«…Abiti di fronte al mio appartamento» lo interrompo, facendo una piccola smorfia. Come un sorriso sfuggito, subito abbassato dallo sguardo.
«Esatto» risponde lui, mentre sorride e resta fisso su di me, in mezzo a qualche secondo di silenzio.
«Beh… Ehm… Io ora dovrei andare, ma, se ti serve qualcosa, sai dove abito»
termina lui con un sorriso, mentre lo guardo e sento che sono nervosa. Troppo.
Sorrido anch’io. E tutto a un tratto torno indietro nel tempo, a quando la mia vita
aveva ancora molte sfumature, quando non ero ancora una pagina bianca. “Ho
sorriso!”, penso. Senza la maschera, di nuovo Giulia, quella di un tempo, quella
scherzosa e fiera. Poi Luca mi saluta. «Allora, ciao. Devo studiare. Domani ho
l’esame di anatomia».
Lui se ne va e io resto ferma. Penso alle sue parole. Esame di anatomia… Lo
stesso esame che mi ha fermata. Quello che non ho superato. Sono di nuovo
sola. Il mio viso si oscura e torno alla realtà. Penso alla bestia ed alla sua insostenibile fame. Ritorno dentro le mie guerre. Mi sento nuda e mi vergogno.
Appena metto piede in casa mi svesto e cammino a piedi nudi. Mi punisco col
freddo del pavimento. Mi lego meglio i capelli logorati. Mi guardo allo specchio. Come ogni volta. Posso truccarmi quanto voglio ma non riesco più a nascondere i segni della bestia, che mi ha bruciato la vita e il futuro. Lo so e mi
vergogno. Sento le lacrime appena dietro gli occhi, ma non piango. Le sento
dentro, come lame, che non vedono luce e rigano il cuore. Mia madre mi ha
chiamata di nuovo e mi ha chiesto quando andrò a trovarla. Al solo pensiero
sento il mio stomaco rivoltarsi. Ho rimandato con una scusa. Non voglio dirle
niente. Mi aiuterebbe, certo, ma nei suoi occhi leggerei tutto il dolore per aver
sprecato la mia vita. Di colpo piango. E sento le parole di mio padre. «Piangi,
26
L’incontro
piangi, non risolverai mai nulla e rimarrai sempre debole; invece di frignare perché non fai qualcosa? Lo sapevo che sei un’incapace». Me lo diceva tutte le
rare volte che lo vedevo.
«Sei un’incapace. Sei una fallita. Piangi».
27
Capitolo terzo
CAPITOLO QUARTO
Il Piacere d’incontrarti
Proprio come ora, piango. Finalmente piango, lacrime incontrollate che solcano
il mio volto perlaceo e inespressivo. La disperazione mi rapisce, dinnanzi a me il
baratro… il vuoto… il nulla. Questo è il termine che uso per descrivermi. Io sono
il nulla, preda della Bestia che non mi dà scampo e che mi ha catturata, quel
giorno, quando improvvisamente tutto sembrò vano, le mie scelte, l’università e
tutto ciò in cui avevo creduto fino ad allora. Mio padre aveva ragione. Ero solo
una fallita. E poi quell’esame, quel maledettissimo esame… il volto severo del
professore… e mio padre. In quel momento rividi mio padre. Come un giudice inquisitore. Uscii dall’aula sconfitta, delusa, devastata. Attraversai il corridoio a
testa bassa per sfuggire agli sguardi curiosi e pieni di pregiudizi, aumentai il
passo, incontrai Mirko. Era uno che conoscevo appena.
«Ciao Giulia, come stai?»
«Non tanto bene. Bocciata all’esame di anatomia…»
«Dai, non preoccuparti, stasera daremo una festa a casa di Elisa, ti va di venire?»
«Beh, non so, ci penserò!»
Accettai quell’invito, andai a quella festa ed ebbi il primo maledetto incontro
con la Bestia. C’era un sacco di gente e io mi sentivo altrove. Provai. Premetti un
bottone dentro di me. Improvvisamente tutti i miei pensieri, le preoccupazioni furono sostituite da una piacevole sensazione. Qualcosa che mi faceva sentire importante, mi faceva sentire qualcuno, finalmente avevo un posto nel mondo,
dove mi ero sempre sentita un avanzo. Da quel momento avviai la mia storia con
la Bestia, una volta, un’altra e poi ancora. Divenni succube, preda, vittima. Divenne abitudine. Nei momenti di lucidità, mi fermavo a riflettere, ero consapevole
che quella sensazione mi stava uccidendo giorno per giorno, attimo per attimo,
ma non c’era via di scampo. Non c’è via di scampo. Tutto da quella festa, quella
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Il Piacere d’incontrarti
maledetta festa. Un raggio di luce caldo mi riporta a casa. Mi illumina il viso e
chiude i ricordi. Ho dormito. È l’alba di un nuovo giorno, devo alzarmi. È ora di
andare a lavoro. E come sempre, con me si è svegliata anche la Bestia. Come uno
sguardo puntato addosso. Indosso i soliti jeans, la solita felpa blu e le solite scarpette di tela fuori stagione, raccolgo i capelli nella solita coda e scappo. Mi
precipito per strada, sono in ritardo, c’è un’atmosfera strana. Ah si, è Natale!
Corro, evito la gente, spingo, è tardi, e mentre mi affretto mi tornano in mente
come dei flash improvvisi i giorni di festa a casa mia, mio padre che urlava per il
chiasso che facevo con i miei cugini, e mia madre indaffarata che non sentiva
niente. Cerco di soffocare la nostalgia. Penso ad altro e continuo a correre, cercando di evitare un ennesimo ritardo. Il mio buongiorno affrettato, accompagnato dalla solita occhiata di rimprovero del mio capo, le mie scuse inutili, mi
confermano ancora una volta che tutto il mio tempo è dominato dalla Bestia. Lei
prevale su tutto, anche il lavoro occupa un ruolo di secondo piano di fronte al
suo nido, acquattato come un fuciliere dietro il cuore delle mie azioni. Non ho
tempo per le riflessioni. La prima consegna da fare è allo Special coiffeur centre,
centro per parrucchieri nel bel mezzo dell’affollatissima zona Prati. Mi tuffo nella
città come nell’acqua di un mare ostile e confuso. La giornata scorre monotona
tra le solite consegne e i soliti clienti. Sembra tutto uguale, e invece qualcosa accade. Mi trovo nel retro del bancone, in attesa degli ultimi dieci minuti prima che
arrivi la mia collega, quando all’ingresso del bar intravedo il profilo di un volto
a me noto. Luca. Ha lo sguardo stanco e infastidito da uno scorcio di sole, e le
dolcissime labbra impegnate in un ultimo tiro di sigaretta. Sento qualcosa di
strano dentro me, una sensazione che non provavo da molto, come un sfarfallio
di ali nello stomaco. Mi irrigidisco, cerco di rendermi presentabile, per un attimo
vorrei tornare la ragazza d’un tempo, ma non posso, vorrei essere almeno carina,
per i suoi occhi, cancellare tutti i segni che porto. Per una volta vorrei cancellare
il disprezzo per me stessa. È inutile. Continuo a fissarlo, mentre varca lentamente
la soglia. Sta entrando. Mi sento agitata. Scappo. Vado velocemente in bagno,
Capitolo quarto
29
aggiusto i capelli, metto un filo di rossetto per coprire le labbra sbiadite, mi
guardo. Non sono abbastanza... frugo in borsa, cerco un fondotinta, me lo stendo
in faccia rapidamente. Mi riguardo, un attimo, mi risistemo. Esco dal bagno e ho
ancora più ansia. Filo silenziosamente dietro al bancone. Lui è lì, in attesa del suo
caffè. Alza lo sguardo.. mi ha vista, di colpo divento di pietra. Sorride.
«Ehi, ciao Giulia. lavori qui…?!»
Lui mi parla e io sento il battito del mio cuore, come un martello su un pezzo di
stoffa. Le mani mi sudano, temo il suo sguardo, ho una terribile paura di non aver
coperto i segni della Bestia. Accenno un sorriso e fingo il lavoro, cerco qualcosa
per nascondere la mia timidezza. Poi sbotto.
«Ciao Luca… sono due mesi che lavoro qui, sto aspettando il cambio del turno
e poi rientro a casa».
«Io ho finito adesso l’ultima all’università, se vuoi torniamo insieme».
In quel momento arriva la mia collega.
«Ho finito anch’io».
Usciamo insieme dal bar e imbocchiamo la strada di casa. Cerco di camminare
alla sua stessa velocità. Mi sforzo. I finestrini delle auto riflettono la mia immagine,
per un secondo mi soffermo a guardarmi, mi vedo e mi sento diversa, per un attimo
non mi disprezzo. Sento l’attenzione di qualcuno. E non è la bestia. Lungo il tragitto Luca parla, parla tanto, quasi non riesco a seguirlo, rapita dal fatto che a
riempire il mio tempo non era più il pensiero di una siringa ma quella di Luca. Arrivati sotto il portone, lui mi precede con le chiavi. Saliamo le scale e senza accorgermene mi ritrovo sulla porta di casa. Un semplice saluto e rientro. Richiuso,
respiro e resto per un attimo ferma, lì, dietro la porta, e penso. Penso a quello che
mi è successo e che mi sta succedendo. Sento una pace dimenticata. Poi lo
squillo del mio cellulare mi riporta alla realtà. Mia madre. Ha la solita voce entusiasta e poco piacevole. Nel fine settimana passa a trovarmi. Mi ritorna il panico.
«Ho bisogno della Bestia».
30
Il Piacere d’incontrarti
3
CAPITOLO QUINTO
Una svolta?
«Ti sei tinta i capelli! »
È sempre la stessa mia madre. Ha occhi solo per l’aspetto fisico, non si accorge
di quello che sono diventata, di tutto quello che mi sta accadendo dentro.
«Già…», le rispondo, mentre sfodero il mio sorriso migliore, e lei, di nuovo, non
sembra accorgersi di quanto sia falso.
«Ti danno un’aria un po’ spenta» prosegue imperterrita, continuando a fissarmi.
Come un’insegnante che non sa che voto dare a un’interrogazione andata male.
Vorrei scomparire o vorrei gridare. Perché non riesce a guardarmi dentro?
Faccio un altro sorriso , talmente finto che mi fanno male le labbra. Mia madre è
implacabile e ora mi osserva stranita, quasi non mi riconoscesse. «Sei così diversa… cosa ti è successo? E l’università? Voglio sapere tutto! Tuo cugino si è
laureato il mese scorso, abbiamo fatto una festa bellissima, con i parenti, anche
quelli lontani, peccato non ci fossi». Già…, mi viene in mente un’altra festa, la
festa della mia vita, la festa che mi ha ammazzato la vita, quella in cui ho incontrato la Bestia, sinuosa, melliflua, pronta a consolarmi a non farmi sentire sola, a
non farmi sentire in colpa, ma violenta e spietata.
«Cos’hai? Non hai detto una parola!» Mi incalza mia madre, decisamente irritata.
Si dice che le mamme sentano se c’è qualcosa che non va, se le figlie nascondono qualcosa, se soffrono, ma la mia procede inflessibile con i suoi sguardi di
superficie, con le sue domande e io, zitta, non ho niente da dirle. Le mie parole
cadono nel vuoto appena provo a pensarle. E lei riattacca con i cugini, con i
voti, le soddisfazioni, con i parenti che ora aspettano la mia laurea. E io non la
ascolto più. Non voglio sapere cosa è successo. Non mi interessa. Quella nella
mani della Bestia sono io. Non loro. Io sono il burattino e la Bestia il burattinaio.
Il problema è che questa è la mia sola realtà. «Giulia, mi stai ascoltando?»
32
Una svolta?
Scuoto la testa. Da quanto tempo sta parlando? Indignata, si alza di scatto.
«Ma insomma! Non ci vediamo mai! È possibile che tu non abbia nient’altro di meglio da dire a tua madre! Sembra che non te ne importi nulla! E almeno guardami
quando ti parlo!»
È troppo! Sono esausta. Con le poche forze che mi rimangono lo faccio! Glielo
dico.
«Basta mamma! Non ho passato l’esame. Non passerò mai più nessun esame. Ho
lasciato l’università. Lavoro in un bar. poche ore per pochi soldi. Ecco! Sei contenta adesso?!»
Silenzio. Lunghi minuti di silenzio. Poi mia madre, gelida, reagisce.
«Esco, ho bisogno di prendere aria», mi fa. Poi esce di scena così com’era entrata, in un attimo. Non una parola, non un cenno che mi faccia capire la sua delusione. Non una richiesta di spiegazioni, non uno sguardo che mi faccia capire
quanto della mia vita è parte della sua vita. Se n’è andata a prendere aria, mentre io consumo tutta l’aria che c’è qua dentro. E sono sola, di nuovo. Sola come
sempre. dopo l’ennesimo disastro. Ho bisogno di scappare, di piangere, di urlare,
ma soprattutto ho bisogno di non pensare. Mi avvicino alla finestra e osservo
Roma. Tutto scorre. Il mondo non si ferma a piangere con me. Mi sento un nulla in
mezzo a tutte la vite degli altri. Sono fragile come una foglia terrorizzata dal vento,
che soffia e mi trascina via. E ho paura che di me non resti più nulla. Allora provo
a pensare di non nascondermi più, di non aspettare immobile e ferma. Penso che
voglio essere il primo albero abbattuto che cerca di rimettersi in piedi, dritto sulle
sue radici. Voglio che gli uccelli tornino a fare il nido sui miei rami. E poi sento un
conato. Un attacco di nausea come una tenaglia micidiale allo stomaco.
È lei, è tornata, la riconosco. È la Bestia che mi vuole, che ha bisogno di me. E
io che ho bisogno di lei, che le vado incontro senza capire chi cerca chi, chi è
la vittima e chi il carnefice. La sento vicina, orrenda e tentatrice. L’appartamento,
il palazzo, l’intera città mi soffocano. Le pareti mi si stringono intorno e mi manca
l’aria. Non respiro più. Con uno sforzo disperato corro verso la porta e ondeggio
Capitolo quinto
33
penosamente, la apro, ci picchio contro, la malmeno finché si apre e mi butto per
le scale. Sono lì, aggrappata alla ringhiera, incerta se compiere lo sforzo più
grande del mondo e scendere tutti quegli scalini o accasciarmi per terra, e aspettare qualcosa, quando mi ritrovo a fissare gli occhi nocciola di Luca.
Luca é la certezza del suo sguardo caldo e silenzioso tutti i giorni dopo il lavoro
al bar. Luca, la leggerezza dei nostri ritorni a casa a piedi. Luca, qualcuno con
cui non devi misurare le parole ogni volta, con cui non devi nasconderti, con cui
non devi fingere. Luca, qualcuno che non mi giudica. Tutto questo mi riempie la
mente in un lampo, in un attimo di consapevolezza, che mai avrei creduto di
poter avere in queste condizioni, mentre la Bestia si allontana e ringhia, anche
se mi tiene d’occhio, mi lascia le forze per i pensieri. In questi giorni Luca è stato
il mio rifugio, il mio pensiero bello. Lo capisco ora, mentre lo guardo senza una
parola, mentre la Bestia mi lancia occhiate minacciose e sempre più lontane.
«Giulia tutto bene?»
Allora lo abbraccio, di colpo, e non mi importa di nulla. Lui mi abbraccia a sua
volta e finalmente mi sento al sicuro, per un attimo lontana da tutto, protetta. E
ora anche la Bestia è davvero lontana. Piano piano il cuore torna a battere regolarmente, il respiro diventa regolare e la tenaglia allo stomaco si allenta.
Quando mi allontano dal suo abbraccio sento una strana sensazione, le mie
guance arrossiscono ma lui sorride, senza il minimo imbarazzo, come se fosse appena successa la cosa più naturale del mondo.
«Ehi! Non so perché sei così triste, ma sono felice di rivederti».
Io sono praticamente paralizzata. Ho le nuvole e il sole di fronte, la carezza del
vento a un passo, e resto ferma, come un uccello al primo volo. Ma io sono in
gabbia, e mi limito a sognare. Luca continua a fissarmi, aspetta una risposta. Gli
sorrido.
«Scusa» dico timidamente «Non è mia abitudine abbracciare le persone che salgono le scale…»
34
Una svolta?
«Figurati! Sembri distrutta. Non vorrei essere invadente ma penso che parlarne
con qualcuno, di qualsiasi cosa si tratti, ti farebbe bene».
Le parole più semplici che ho sentito da tanto tempo, dette con un tono così
pacato e attento, mi sciolgono il cuore, mi fanno intravedere una possibilità, mi
riportano al mondo che ho perso. «Sì, credo tu abbia ragione».
È tutto quello che riesco a dirgli.
«Lo so che certe cosa possono sembrare difficili e insuperabili, ma una soluzione
si trova sempre, basta avere un po’ di fiducia!»
Non posso crederci. Qualcuno sta cercando di darmi speranza. Sarei voluta rimanere lì per sempre, a fissare i suoi occhi, le sue spalle larghe e le sue mani che
sembrano poter sorreggere tutto. Alzo gli occhi e lo guardo in faccia. Li tengo
sempre bassi perché ho paura di mostrare la mia verità.
«Ci proverò». Annuisco convinta.
«Bene. Sono contento, sembri già stare meglio».
«Non so come ci riesci, ma quando ti vedo la fame della Bestia si placa».
Terrorizzata, mi accorgo di aver parlato ad alta voce, convinta che fosse un
pensiero. Le parole sono scappate senza avvertirmi. Mi copro la bocca velocemente con le mani.
È troppo tardi. Luca mi guarda perplesso.
«Bestia?»
Capitolo quinto
35
CAPITOLO SESTO
Il risveglio
“Bestia” è una parola lontana che mi riporta alla realtà.
Sento profumo di fresie. Le avrei riconosciute tra mille altri fiori. Sono i miei preferiti.
Cerco di indirizzare a fatica lo sguardo verso quell’essenza familiare. È l’unica
cosa che riesco a percepire con chiarezza. Non distinguo colori e forme, tutto
mi appare sbiadito e confuso. Sento le membra rigide, immobili, quasi fossi ospite
d’un corpo non mio.
Cerco di mettere a fuoco gli oggetti intorno e tutto sembra avvolto da un velo. Di
fronte a me intravedo un letto, di certo non sono nella mia camera. La rigida struttura
in ferro, laccata di grigio, mi fa capire di essere in ospedale.
La stanza è vuota. È come se una miriade di indistinti rumori si frapponesse tra me e i
miei pensieri, che oscillano tra un confuso presente e un altrettanto confuso passato.
Vestita d’un camice bianco e con aria meravigliata, una donna si avvicina lentamente e mi sussurra con dolcezza.
«Ben svegliata Giulia».
Mi dice di chiamarsi Serena, mentre mi prende la mano per rassicurami. Poco dopo,
mentre lei continua ad accarezzarmi la fronte, vedo al suo fianco un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati e lo stesso camice bianco.
«Ciao Giulia! Bentornata tra noi!»
Sorride, e io cerco di ricambiare quel saluto nonostante il notevole sforzo, visto il
dolore ai muscoli facciali.
«Ora cerca di riposare, immagino sia faticoso per te parlare in questo momento, magari domani ci facciamo una bella chiacchierata».
Poi si allontana raccomandando all’infermiera di vegliare su di me.
Indago con lo sguardo per scrutare ciò che mi sta intorno, e sulla parete distinguo
chiaramente una data: 26 Giugno. La mente ne richiama automaticamente un’altra.
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Il risveglio
Maledetto esame! Chiudo gli occhi e tutto nella mia mente torna ad essere chiaro.
«Sig.na Ferrara, lei non è idonea».
Non idonea. Queste parole mi fanno rabbrividire. Rivivo lo sgomento e la corsa
in lacrime fuori dall’aula, sembrava che il mondo mi stesse crollando addosso.
Cosa avrei detto a mio padre? Alla mia famiglia?
Mi facevo spazio tra la gente senza volto che affollava i corridoi. Mi scontrai con
Mirko, un mio compagno di corso
«Giulia che succede? Sei sconvolta!»
Non gli risposi. Continuavo a correre. Uscii dalla facoltà con gli occhi gonfi e arrossati . Mi sentivo inutile, era un nuovo fallimento, un altro.
Nonostante Roma fosse illuminata da caldi raggi di sole, avevo il gelo dentro.
Una brusca frenata destò improvvisamente la mia attenzione, ma non bastò.
L’attimo in cui l’auto sopraggiunse fu tanto breve da non lasciarmi scampo, ma
lungo abbastanza da permettermi di distinguervi alla guida un volto familiare.
Mentre le forze mi stavano per abbandonare esclamai: «Luca!»
«Stai ferma e tranquilla. Andrà tutto bene, vedrai!», mi rispose.
Non ero del tutto cosciente, la sua voce sembrava così lontana e così simile a
quella di Luca. Il mio Luca.Il suo ricordo comincia a farsi sempre più vivo mentre
ripercorro il tempo a ritroso. Credevo di aver dimenticato, di avercela fatta, invece la sua ombra mi segue ancora fedele, riaprendo una ferita da poco rimarginata. Avevamo solo diciotto anni, ci sentivamo padroni del mondo e pieni di
sogni, speranze e aspettative da realizzare. Affrontavamo senza timore le difficoltà della vita fiduciosi che uniti avremmo superato qualsiasi ostacolo. Stando
al suo fianco avevo conosciuto un mondo per me nuovo, fatto di rave party e
divertimento. La sua indole ribelle e irrequieta era diventata per me fonte di preoccupazione costante. La mattina prima di entrare in classe mi assicuravo che
fosse arrivato e non avesse fatto uso di stupefacenti.
«Sei tu che rendi migliore la mia vita, con te accanto non ho bisogno d’altro», mi
diceva sorridendo.
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Capitolo sesto
Tutte fandonie! Basta poco per precipitare di nuovo nel baratro. Basta una scintilla per far divampare un incendio spaventoso capace di distruggere tutto ciò
che incontra lungo il suo cammino. Ancora oggi non so cosa scattò in lui, cosa
lo indusse a riprovare. C’era cascato! Dopo poco, una dose tagliata male iniettata nelle vene pose fine alla sua vita.
Quel giorno ero a casa. Lo seppi al telefono. Nei giorni seguenti il dolore diventò
sempre più insopportabile. Piansi fino a esaurire le lacrime. Luca se ne era andato
portando via i nostri sogni e le nostre aspettative. Tutto era andato in fumo. Il
nostro amore era nato senza speranza. Col passare del tempo mi sentii invasa da
un gran senso di vuoto. Tutte quelle immagini scorrevano nella mia mente in modo
nitido. Volevo solo che smettessero di rincorrermi. Riapro gli occhi e vedo al mio
fianco, seduta su una sedia che sembra essere scomoda, l’infermiera. Serena.
«Hai bisogno di qualcosa?»
Faccio cenno di no con la testa e con grande sforzo cerco di parlarle.
«Da quanto sono qui?»
La mia voce è flebile tanto che lei è costretta ad avvicinarsi per capire.
«Trenta giorni» mi risponde.
«Un’auto ti ha investita. Il conducente ha riferito che sei apparsa dal nulla e che
non è riuscito a frenare in tempo. È stato lui a chiamare l’ambulanza. Era sconvolto».
Anche io ricordavo l’incidente, ma c’era qualcosa che non tornava. Ricordavo
un finale diverso nel quale nessun auto mi aveva investita.
«È possibile sognare durante il coma?» le chiedo, mentre un brivido mi corre lungo
la schiena al solo pensiero di quanto mi era accaduto.
«Certo, è possibile. Spesso i pazienti che si riprendono raccontano di aver visto
se stessi dall’alto, altri invece sostengono di non ricordare nulla».
«Non so se definirlo un sogno o un incubo…»
Le racconto della mia storia con Luca e di come lo sentivo con me, mentre ero
preda della Sua Bestia. ogni giorno più debole e vuota. A stento riesco a voltare
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Il risveglio
il capo verso di lei, gli occhi iniziano a bruciarmi, un nodo mi stringe la gola, ma
resisto e non cedo al pianto. La sua mano si avvicina e lentamente mi accarezza
il volto. Dalla porta che si è aperta il silenzio della stanza viene interrotto da un
brusio di voci confuse che proviene dal corridoio.
«È permesso?» chiede una voce esitante che si distingue dal caos esterno.
Intravedo una figura alta e snella che indugia ad entrare.
«Ah, sei tu! Vieni, entra. Giulia, lui è Andrea».
Riconosco quegli occhi e quella voce, sono inconfondibili.
«Come stai?» mi chiede con un sorriso sincero.
Non rispondo, è Serena a farlo per me.
«Ha ripreso conoscenza da qualche ora».
Poi rivolgendosi a me dice che non c’era stato un solo giorno, da quando mi
aveva investita, che non fosse passato, per sapere se miglioravo…
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Capitolo sesto
CAPITOLO SETTIMO
Petali sfioriti
Il confine tra un sogno e la dura realtà è labile, basta aprire gli occhi. Peccato
non sia davvero così. Sognare spesso è sinonimo di illudersi, e forse sarebbe
stato meglio non svegliarsi. A volte rifugiarsi in un’illusione è più facile. Sono sempre stata una vigliacca, ho sempre avuto una via di fuga. Invece c’ero, che lo
volessi o no, col mio peso come un macigno sul letto,dove una forza ignota mi
inchiodava tra le lenzuola. C’ero, anche se non riuscivo a muovere neanche un
muscolo. Ho sognato Luca come la persona che non è mai stata. Ho sognato
Luca come la persona che immaginavo diventasse. Ma l’amore ti cambia solo
nelle favole, e io non ci credevo più. Luca non è mai cambiato per me, né per
quel labile soffio di vento rimasto del nostro amore. Osservo dai vetri il giorno che
invecchia e mi ritrovo a pensare a quel ragazzo di ieri. Andrea. La sua voce riemerge da un passato sepolto da una coltre di sogni nebulosi, come la neve, lattea e luccicante, eppure pesante e maledettamente immobile, che costringe la
natura a chetarsi sotto il suo manto. Vorrei tanto che tornasse. Ho il bisogno di
guardarlo di nuovo negli occhi, come prima dell’incidente.
Sul comodino le fresie cominciano a sfiorire insieme al giorno. Con notevole sforzo
allungo le dita tremanti verso i petali tristi di un fiore a capo chino, ma non faccio
in tempo a sfiorarli che una voce familiare mi fa sobbalzare il cuore.
«Effettivamente sono proprio da sostituire».
Andrea.
Perché sono così felice e impaurita allo stesso tempo? La risposta forse la conosco già, ma è chiusa in fondo al cuore, la nascondo anche a me stessa. Ho un
brivido che mi percorre tutta la schiena. Non capisco, eppure quella voce non
mi convince, so di averla sentita da un’altra parte, ne sono sicura. Mi sta guardando con un sorriso schietto e quegli occhi color nocciola.
40
Petali sfioriti
«Ciao Giulia, come stai oggi?»
E io con la testa fra le nuvole lo guardo senza dargli una risposta.
«Lo so che certe cose sembrano insuperabili, ma una soluzione si trova sempre,
basta avere un po’ di fiducia».
Mi si illuminano gli occhi, quella frase l’ho già sentita e quegli occhi già visti... Mi
ricordano Luca.
«Sai, Giulia, io in questo ultimo mese ero spesso qui a sperare di rivedere i tuoi
occhi aperti e ogni giorno venivo per raccontarti qualcosa di me. Parlavo col tuo
silenzio e non vedevo l’ora di sentire la tua voce. Ti va di raccontarmi qualcosa?
Ovviamente se non sei stanca». Ecco chi sei... Tu sei Luca ma non il mio, sei il Luca
che io vorrei.
«Ci sono cose difficili da raccontare e non sempre si trovano le parole giuste
per esprimerle». Un nodo mi stringe alla gola e quasi non mi lascia scampo, sto
per piangere ma raccolgo il coraggio a due mani e decido. Sono sul fondo e
posso risalire. Posso smettere di piangere e prendere quello che mi è rimasto. Andrea mi guarda curioso. Sorride. «Provaci, io non ho fretta».
Quindi mi è rimasto solo questo? Solo un tempo lungo per raccontare la mia storia? Come tornare da una guerra e raccontarla, come fosse una favola triste, ancora in cerca di lieto fine.
Alzo lo schienale del letto.
«Ci sono momenti in cui lasciarsi cadere sembra l’unica via» dissi tremando «e
quando tutto crolla, crolli anche tu, e… io non penso di essere abbastanza forte
per ricordarli. Non voglio riviverli ancora una volta». Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi. Ho come una sorta di timore per ciò che potrei leggervi e per
quello che lui potrebbe scorgere nei miei.
«Va bene» rispose lui «non posso costringerti a lottare contro i tuoi demoni. Ciao,
Giulia».
La parola demoni richiama la bestia. Me la rimette in testa. Avrebbe vinto di
nuovo lei, implicitamente, giocando l’asso dei miei silenzi. Io ferma a guardare, e
41
Capitolo settimo
lei padrona di me, con la mia vita a scivolare in balia degli eventi. Devo fare
qualcosa per me stessa.
«Luca! Aspetta».
Parlo e mi rendo conto di ciò che ho detto solo quando vedo la perplessità sul
volto di Andrea. Ho di nuovo cercato di recuperare dall’oblio la figura di quella
persona perduta che ora si sovrappone a questo ragazzo stupito, fermo davanti
alla porta. Ho le idee confuse. Stranamente lui non fa domande, mi guarda, scruta
il mio volto, poi si siede sul bordo del letto in attesa di qualche mio segno.
«Cosa vuoi dire?»
Mi gira la testa, violentemente, come mi capitava nel sogno durante il coma,
quando a sorreggermi appariva sempre Luca, proprio nel momento in cui altrimenti sarei caduta. Forse sto cadendo anche ora, e di fronte a me c’è Andrea.
«Durante il coma si sogna» confessai «ho sognato una persona che ho perduto
nel passato, una persona su cui avevo riversato tutta me stessa, l’ho sognata diversa da com’era, mi parlava con la tua voce e mi guardava con i tuoi occhi».
È tutto ciò che riesco a dire. Andrea rimane pensieroso, mi accarezza i piedi
sopra le coperte, così delicatamente che non lo sento. Poi si alza ed esce con
un sorriso triste sulle labbra. Rimane il silenzio, la solitudine bianca delle pareti
della stanza. Quanto darei per sapere cosa stia pensando Andrea di tutto questo, di una sciocca nel letto d’ospedale che sogna i fantasmi del proprio passato,
pensando di poterli sostituire col primo che capita, come nulla fosse. Mi addormento così, tra i flebili rumori che arrivano dall’esterno, una tormentata ninna
nanna che mi porta direttamente al mattino. Quando mi sveglio sono più stanca
che mai, ho il nodo in gola ancora più stretto. Nell’aria c’è qualcosa di diverso,
un dolce profumo. Fresie. Mi volto istintivamente verso il comodino, e sento l’aria
entrarmi nei polmoni come se fosse il mio primo respiro. Un bigliettino richiama la
mia attenzione, lo prendo con fatica e il cuore inizia a battermi forte. «Effettivamente erano proprio da cambiare». Guardo i fiori e sorrido. Andrea. Mi perdo
per un attimo , quando delle voci nel corridoio mi riportano alla realtà, prima
42
Petali sfioriti
lontane, poi crescenti e sempre più vicine. Le riconosco. Sono quella di mio
padre, dura e rancorosa, e quella malinconica di mia madre.
«Come è possibile su di una sedia? Voglio un consulto!»
43
Capitolo settimo
CAPITOLO OTTAVO
L’ossessione della Bestia
Guardo le fresie e torno a quando ero bambina, ai mesi estivi in campagna
con mia nonna, quando mi divertivo a correre nei campi e giocare coi fiori. Mi
piacevano le rose, le margherite e soprattutto le fresie, i più bei fiori al mondo.
Li raccoglievo per portarli a mia nonna, che li adorava, e adorava quel gesto.
Finché un giorno, tornando a casa, la trovai sulla sedia a guardare il suo programma preferito, e solo dopo mi accorsi che era morta.
«Mi mancherai…» le sussurrai in lacrime all’orecchio «Ti ho voluto sempre bene».
Ripenso a quelle parole e mi sento morire. Una parte di me è ancora con lei, in
quella stanza.
Le voci che giungono dal corridoio mi distolgono da questi tristi pensieri.
«Come è possibile su di una sedia? Voglio un consulto!»
La frase mi rimbomba nella testa, provo a riflettere sul significato, non ancora
chiaro. Il tono grave della voce di mia madre suscita in me preoccupazione.
Troppe domande affiorano nella mia mente. Dalla penombra si avvicinano i
miei genitori che confabulano. Il mio cuore inizia a battere ininterrottamente,
non so da quanto siano qui. Sento i passi vicini, talmente vicini che ne percepisco le vibrazioni sul pavimento. È una sensazione che non avrei voluto riprovare e mi fa sentire inseguita, sono di nuovo una preda, e come tale devo
trovare rifugio. Devo scappare, nascondermi.
“Ecco”, penso “mi fingerò morta”.
Devo agire in fretta, senza destare sospetti. Mi concentro e trovo un altro ostacolo, il mio cervello non collabora col corpo, manda impulsi di movimento ma
non c’è risposta, mentre parti di me si muovono per conto proprio. Le palpebre
tremolano compulsivamente, i denti digrignano uno contro l’altro come una
44
L’ossessione della Bestia
guerra all’interno della mia bocca, la lingua striscia sinuosamente verso le labbra per derubarle della loro secchezza.
Come posso sfuggire ai miei, evitando di mostrarmi? Come faccio a fingermi
morta?
«Bisogna fare una distinzione tra il morire e la morte. Non è tutto un morire ininterrotto. Se si è sani e ci si sente benissimo, è un morire invisibile. La fine, che è una
certezza, non deve essere per forza annunciata con splendore». Sono parole di
Philiph Roth. Il mio ultimo pensiero. Poi chiudo gli occhi, come mai nella mia vita,
soffoco la vista e strangolo i pensieri, rallento il respiro e tengo a bada i nervi e
così, succede.
Inizio a sentire i rumori e il borbottio di quelle voci familiari, mi stanno addosso, dio
solo sa quanto sarebbe bello alzarsi semplicemente e abbracciarli senza rimpianti.
All’improvviso la voce di mia madre assume un tono insoddisfatto mentre il medico
le dice che la paziente deve riposare. Ci sono riuscita. Ho respinto il nemico.
Sento le forze abbandonarmi e mi ritrovo ad abbracciare Morfeo.
Inizia tutto col buio sino al momento in cui la mia spalla è appesantita da una sospetta forza ma a me cara e non del tutto misteriosa. È Luca, ma non il solito Luca.
È triste e ha l’aria cupa, i suoi occhi trasmettono rabbia, il suo volto malinconia
che si confonde con la mia. Siamo di nuovo vicini come nella morte, lui sembra
deluso da me ma non mi attribuisce colpe, vuole il mio bene, senza domandarsi
perché mi ha procurato tanto dolore. Mi sento tirare dalla vita, vengo sbalzata
verso l’alto a gran velocità e pian piano avvolta da una morbidezza sublime
che poi, di colpo, si concretizza, come un profumo dolce che mi avvolge e mi riporta alla realtà. Sono sdraiata in un orribile letto d’ospedale, sento parlare i miei
genitori con il medico. Mia madre piange,la rassicuro e le dico che sto bene
anche se so che non è vero, le dico è tutto a posto ma proprio in quel momento
entra il dottore. Le sue parole fredde arrivano da un altro mondo.
«Durante l’incidente la sua spina dorsale è stata lesionata nell’impatto con l’auto
e quindi...»
45
Capitolo ottavo
Un lungo istante di silenzio.
«Giulia è paralizzata dalla cinta in giù».
Sono shoccata. Ho un nodo alla gola. Sento la paura. Mi chiedo come sia possibile che la Bestia possa fare questo. Come può la Bestia privarmi delle mie
gambe? Non so cosa fare, i medici e i miei genitori cercano di calmarmi, ma è tutto
inutile. Ho in mente solo una cosa.
«Andrea, dov’è Andrea? Voglio Andrea».
Mi chiedo cosa penserà Andrea, come mi guarderà adesso che non posso più
usare le gambe? I medici provano a calmarmi, dicono che c’è ancora speranza,
che ci vuole del tempo per capire. Ho sperato che la Bestia si fosse dimenticata
di me, ma si vede che non vuole lasciarmi in pace neanche quando sono inferma.
I miei genitori provano a parlare, fanno domande, mi mettono all’angolo, ma io
non ho spazio, non riesco a pensare. Le loro domande mi fanno sentire in colpa.
Loro non conoscono la Bestia, non l’hanno mai vista in faccia, non sanno cosa
può fare. Poco per volta passano i minuti, e mi trovo sola con mio padre seduto
di fianco al mio letto.
«Giulia, Giulia».
Mi chiama, mi tiene la mano e parla con voce tranquilla per non spaventarmi
«Raccontami che è successo».
Sono stanca. Non mostro resistenza. Le mie parole scivolano fuori. Parlo di me.
Poco per volta. Lo guardo, è partecipe e commosso. Sorride amaro.
«Sai, Giulia, devo rivelarti una cosa…»
46
L’ossessione della Bestia
CAPITOLO NONO
Abbiamo fallito?
«…Luca è venuto a cercarmi».
Luca. Una ferita ancora aperta che non lascia intravedere cicatrice.
«Non sapevo neanche chi fosse», racconta mio padre. E io lo ascolto.
«Venne nel mio studio quando sei partita per Roma. Era confuso, spaesato. Era
un paziente come gli altri, ma dai suoi occhi traspariva paura. Aveva bisogno di
aiuto, sapeva di non potercela fare da solo, sapeva di essere a un passo dall’oblio. Così lo presi in cura e iniziammo il nostro percorso. La prima cosa evidente
era il suo avanzato stadio di dipendenza. Perciò decisi di incontrarlo due volte
alla settimana. Fin dalle prime sedute venne fuori un difficile rapporto familiare,
che lo lasciava senza sostegno. Ma probabilmente tu queste cose le sai già.
Sono stato più presente di quanto tu possa immaginare, fino a quando lui me lo ha
permesso. Poi le sedute sono diventate sempre meno costanti. Era irregolare in tutto».
In quell’attimo mio padre smette di parlare e mi fissa dritto negli occhi. Non riesco
a dire nulla, rimango impassibile. Sento il vuoto. La situazione è troppo difficile.
Ho voglia di piangere, ma piangere non serve. Ho voglia di urlare, ma non ho la
forza. È come se ciò che mi è appena stato detto avesse creato delle barriere
alle mie emozioni, cancellando tutte le sicurezze. Mi sento sempre più fragile e
fredda. Se piangessi starei meglio, mi sentirei viva e invece ora sono immobile. Immobili le gambe, immobile il cuore. Il mio mondo mi sta scivolando dalle mani.
Forse dovrei provare a rispondere. Ma è mio padre a ricominciare.
«Non avrei mai saputo che eri tu la sua fidanzata se un giorno non avessi trovato
il portafoglio di Luca. Lo aveva perso nello studio, dopo una seduta. Lo aprii
per capire di chi fosse e vidi una foto sbiadita. C’era Luca con una ragazza accanto, si sorridevano. I contorni di lei mi sembrarono familiari. Quella giovane
donna eri tu».
48
Abbiamo fallito?
Abbasso lo sguardo, un sorriso amaro e una lacrima.
«Avrei voluto dirtelo subito, ma prima che potessi spiegarti qualcosa mi hai gridato piangendo che lui non c’era più. Non sono riuscito ad aggiungere altro.
Eri già sconvolta per la morte di Luca e di lì a poco avresti avuto un esame.
Ora sei qui. Un mese di coma. Dopo tutto quello che mi hai raccontato, ho capito che così non puoi andare avanti. Non avrei mai pensato che Luca...»
La sua voce si spezza per un attimo.
«…che Luca fosse questo per te! Lo credevo un amore da liceo, una semplice
cotta. Invece per te era molto di più. I suoi problemi erano diventati i tuoi e io...
non me ne sono mai reso conto».
Quando ci siamo messi insieme sapevo che si drogava. Qualche volta, diceva
lui. Non l’aveva mai fatto davanti a me, ma un giorno successe. Eravamo a casa
sua, ci stavamo divertendo, era uno dei nostri momenti felici. A un tratto si alzò,
prese la dose, mi chiese un cucchiaio e io, senza neanche pensarci, glielo passai. Mise la polvere sul cucchiaio e la sciolse. Dopo averla messa nella siringa,
come fosse la cosa più naturale del mondo, la iniettò nel braccio, stretto da
un elastico per capelli. Solo vedendo esaurirsi l’eroina nella siringa realizzai ciò
che aveva appena fatto, e quanto quella Bestia fosse parte di lui. Pian piano
si allontanava, iniziava a cambiare mondo. Si accasciò sul divano, lo sguardo
perso nel vuoto in una continua lotta con le sue palpebre sospese. Io rimasi
ferma. Lo guardavo con gli occhi sbarrati. Provavo disgusto, rabbia, ma al contempo paura. Perché?! Eravamo io e lui, ci stavamo divertendo, era uno dei
nostri momenti felici. Perché aveva dovuto rovinare tutto questo? Non gli bastavo io? Evidentemente no, c’era bisogno di Lei per completarlo, per completarci. Sentivo l’amore sprecato. Gli volevo bene, anzi, lo amavo e questo
sentimento – più forte di lui, più forte di me – mi portò a rimanergli accanto, ad
aiutarlo. Le colpe erano sue, ma era fragile, non potevo andarmene. Guardai
mio padre.
«Abbiamo fallito entrambi».
Capitolo nono
49
«No Giulia, non fare nostro il suo fallimento; noi ci abbiamo provato, ognuno con
i suoi mezzi, gli siamo stati vicino, abbiamo combattuto al suo fianco per sconfiggere la Bestia, ma la droga si era impadronita di lui. La droga è una tentatrice
gelosa che non ti molla. Nessuno può aiutarti a liberarti di lei, devi essere tu a rinunciare».
Forse mio padre ha ragione. Avevo sempre creduto di essere l’unica, la sola a
provarci, a tentare di salvarlo, di allontanarlo da questa Bestia, dalla sua Bestia.
Che era diventata anche la mia. Mi ero presa la colpa della sua morte, ma la
colpa era tutta sua. Solo lui era in grado di aiutarsi, io non potevo guarirlo, non
c’era riuscito mio padre, un medico, una persona che di mestiere faceva esattamente quello. Mi sento piccola, una bambina con il ginocchio sbucciato che per
guarire ha bisogno di cure. Le stesse che anche questa volta mi ha dato mio
padre. Senza paura. Ma le ferite bruciano finché non si chiudono. E io, a modo
mio, cerco di spegnere l’incendio.
50
Abbiamo fallito?
CAPITOLO DECIMO
La scelta
Mio padre mi guarda, profondamente. Inizia a capire. Capisce che anche io,
come Luca, sono vittima della Bestia. Ora sa bene di non avere davanti la Giulia
di un tempo. Davanti al suo sguardo sperduto mi sento inutile, carica di menzogne
verso me stessa e verso gli altri. Ero convinta che la Bestia mi impediva di fare
qualsiasi cosa. Ma era stata la Bestia a prendermi o ero stata io a lasciarmi afferrare?
«Voglio che tu sappia una cosa» disse mio padre «ciò che più conta, l’unica
cosa che importa, è la scelta. La tua scelta. Luca lo sapeva. E sapeva che,
anche se non fosse riuscito ad allontanare la Bestia, l’importante era affrontarla
fino in fondo, guardare in faccia la realtà e non rimanere impassibili davanti alla
sua fame…»
Il pensiero di Luca mi strinse l’animo e, appoggiando la testa sulle braccia del mio
vecchio, iniziai a piangere. Le sue parole aprivano in me pensieri mai confessati,
reali come pietre, e niente poteva ferirmi più della crudezza di tanta verità, sbattuta in faccia come un secchio di acqua gelida. Non riuscivo a dire neanche
una parola. Mio padre mi sollevò la testa e mi disse: «La scelta è tua come lo era
per Luca… cosa vuoi fare?»
Ascoltai quella domanda e mi sentii vicina a lui, per la prima volta. Volevo voltare
pagina. Volevo vivere un’altra vita. E quella notte non chiusi occhio. Era difficile
dormire immaginandomi su una sedia a rotelle, stremata dalla bestia. L’unico pensiero che mi incoraggiava era Andrea. Con lui non tutto era nero. Forse con lui
potevo allontanare anche la Bestia…
Mi sveglio e sono di nuovo nel mio letto. Non ricordo come ho fatto ad arrivarci.
Mi piace pensare che mio padre mi ci abbia portato in braccio, per poi rimboccarmi le coperte, come faceva quando ero piccola. Mi guardo intorno. La mia
52
La scelta
vecchia camera, la mia vecchia casa, quella dei miei. Non credevo ci sarei più
tornata se non per pochi giorni fra un esame e l’altro. E ora ci sarei rimasta chissà
quanto. «Ha bisogno di assistenza continua» aveva detto il medico. Neanche un
filo di polvere: il mio specchio, la mia scrivania, alcuni libri che avevo lasciato…
Mi trovavo nel luogo più splendente della mia vita, un luogo sicuro, in cui potevo
avere tutto l’affetto che potevo desiderare, tuttavia… era tutto cambiato. Ero
sola. Sola con la Bestia, che già bussava alla mia anima, di nuovo, con la sua
fame che continuava ad ossessionarmi. Mi aveva privato anche dell’uso delle
gambe e adesso non ero più libera, non avrei più potuto fare ciò che volevo.
Anche una camminata, senza meta, per le strade del centro, adesso era impossibile.
Ero persa, sperduta. Avevo smarrito ogni senso. Ho passato l’ultimo periodo della
mia vita in un estenuante tira e molla con l’eroina, senza una direzione. Ho visto
morire Luca, ho allontanato i miei genitori, ho lasciato gli studi, per diventare una
reietta che sgusciava tra le ombre solo per rifocillare un appetito malato. Per
quanto tempo ho fatto questo. Solo ora, ora che ho perso tutto, col cuore gonfio
di dolore, tra queste mura familiari, solo adesso comprendo quanto sia stato
vano tutto ciò. Sono caduta in quell’inferno perché non affrontavo i miei timori
quotidiani, non avevo nessuno che mi guardasse con occhi veri, nessuno con
cui chiacchierare per ore senza essere giudicata. Tutti volevano che fossi perfetta, mentre io soffocavo, e quando arrivarono i primi problemi comparve con
loro un sentimento d’inettitudine a stringermi l’anima. e ho fatto quello che ho
fatto… mi sono lasciata cadere fra le braccia della Bestia.
Sembra tutto così lontano. Sono io, Giulia Ferrara, questa è la mia vita, sono
stanca di gettarla via. Ho un’altra possibilità. Forse l’ultima. Ho uno spiraglio di
luce, si chiama Andrea. Ed ho i miei genitori stretti attorno a me. Voglio lanciarmi
come fosse un avventura, senza timore. Le loro presenze appaiono nitide come
qualcosa da scoprire, come non me ne fossi mai accorta…
Adesso che sono immobile, col corpo paralizzato, scopro un’anima in fiamme. Non
mi sentivo così viva da un pezzo… e di colpo, un pensiero: «Mamma, mamma».
Capitolo decimo
53
La chiamo, come una bambina.
«Dimmi Giulia» risponde lei, entrando nella stanza.
«Portami alla finestra…»
«Fai da sola… aiutati con la carrozzina… perché vuoi andare alla finestra?»
perché…
«Voglio vedere il mondo fuori, voglio sapere se ci sono le nuvole, o il sole, voglio
sentire il vento, corri alla finestra, corri alla finestra, aprila…»
La madre sorpresa di tanta sollecitudine va alla finestra e la spalanca; Giulia si
accosta e socchiude gli occhi di fronte all’irrompere dei raggi nella stanza. Il
mondo fuori gira con tutte le cose al loro posto. Si può ripartire. Basta ricominciare a guardare.
«Giulia, guarda, non è Andrea quello?... Sta venendo qui, sembra…»
Giulia guarda col cuore improvvisamente in gola.
«Sì, è lui…»
«Ecco, anche lui c’è. Si può ripartire. Adesso. Come fa quella canzone?
“Ho aspettato a lungo
Qualcosa che non c’è
Invece di guardare il sole sorgere…”
54
La scelta
APPENDICE
1. Somebody that i used to know
I.I.S. “G. Carducci” di Comiso (RG) - classi IA/B classico, IIIA/B scientifico
Dirigente Scolastico
M. Concetta Prestipino Giarritta
Docente referente della Staffetta
Rosanna Maganuco
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
F. Cassarino, R. Maganuco, M.R. Schembari
Gli studenti/scrittori delle classi
IA classico - Luigi Fiorentino, Ludovica Paci, Ottavio Peligra, Salvatore Randazzo,
Laura Romeo
IB classico - Giulia Avola, Sara La Cognata, Stefania Occhipinti, Martina Palacino,
Alessia Strada
IIIB scientifico - Emiliana Buscemi, Marta Carnazza, Carmelo Laterra, Roberta Trapani
IIIA scientifico - Sonia Cantelli, Nunzio Corallo, Salvatore Fava, Carolina Petitto
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Il primo momento di confronto all’interno del gruppo è nato dall’interpretazione
dell’incipit, sviluppato in chiave allegorica (la Bestia, l’albero) e dall’ipotetica relazione tra la chiave di lettura individuata e la struttura narrativa del capitolo. Abbiamo deciso di valorizzare solo alcuni elementi del testo che ci veniva proposto,
identificato nella droga la Bestia che incalza e assale la sua vittima, e posto al
centro della nostra storia una nostra coetanea che, proprio partendo dai segni di
decadimento e di sofferenza che coglie nel proprio corpo, dal ricordo degli anni
spensierati passati, acquista coscienza del baratro di autodistruzione e morte in cui
è precipitata...”
per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa
APPENDICE
2. Alla ricerca di me
I.I.S.S. “ Giovanni Paolo II“ di Diamante (CS) – classi IIIAFM IND. S.I.A, IVB Corso
Geom, VB Corso Geom, IVB Corso Programmatori, IVD Corso Programmatori, VC
Corso Programmatori, VA Corso Geom. Ind. ETA
Dirigente Scolastico
Concetta Smeriglio
Docente referente della Staffetta
Maria Stella Fabiani
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Maria Stella Fabiani, Paolo Montemarano
Gli studenti/scrittori delle classi
IIIAFM IND. S.I.A. - Federica Forestiero, Federica Bianco, Anna Ricca, Luigi Cersosimo, Noemi Casella, Umberto Perrone, Raffaele Fiorentino, Barbara Di Falco,
Alessia Laino
IVB Corso Geom. - Anna Presta, Sarah Martorello, Francesco Cirimele
VB Corso Geom. - Melania Picerno, Leo Carrozzino, Luca Carluccio, Antonio
Martorello, Fabio Filiberto, Gianni Barletta, Mario Bencardino
IVB Corso Programmatori - Gessica Trifilio
IVD Corso Programmatori - Lidia Maffeo, Teresa Grosso, Francesca Avolicino,
Francesco Fittipaldi
VC Corso Programmatori - Mario Castellano
VA Corso Geom. Ind. ETA - Irene Truscelli
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Gli alunni coinvolti nella Staffetta di Scrittura Creativa hanno manifestato
grande interesse e notevole partecipazione nel formulare idee e proposte dirette
alla redazione del secondo capitolo del progetto...”
per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa
APPENDICE
3. L’incontro
I.I.S. “Majorana-Marro” di Moncalieri (TO) – classe IIIA relazioni internazionali per
il marketing
Dirigente Scolastico
Sergio Michelangelo Blazina
Docente referente della Staffetta
Elena Cristina
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Elena Cristina
Gli studenti/scrittori della classe classe IIIA relazioni internazionali per il marketing
Adelina Andor, Alice Astuti, Ana-Maria Bogdan, Francesca Camia, Sara Coggiola, Martina Foco, Marco Grimaldi, Ludovica Icardi, Ophelia Lalahy, Redon
Lika, Jessica Lo Verso, Sheila Lotrecchiano, Alessia Maggiulli, Daphne Martins,
Luca Pelissero, Andrea Rosa, Riccardo Ruotolo, Ilaria Sforza, Sara Somà, Elena
Volpiano, Maria Vittoria Zanchin
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Innovativa, interessante, creativa, divertente, formativa, coinvolgente, impegnativa, utile, costruttiva, originale, fantasiosa: ecco come abbiamo definito
l’esperienza della staffetta letteraria. Ci siamo messi in gioco, abbiamo dato il via
libera alla nostra fantasia, che spesso a scuola viene sopita, abbiamo collaborato per raggiungere un obiettivo imparando ad ascoltare e a rispettare le idee
dei nostri compagni e cogliendo il meglio da ciascuno di noi. Ci ha intrigato continuare un lavoro iniziato da altri studenti che non conosciamo, lasciare traccia
delle proprie idee (confrontate, amalgamate, riadattate, riformulate ma sempre
condivise da tutti noi), passare il testimone in attesa di conoscere il proseguo del
libro di cui noi siamo stati parte attiva”.
APPENDICE
4. Il Piacere d’incontrarti
Istituto Professionale di Stato per i Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera di Pagani (SA) – classi IIIE/F
Dirigente Scolastico
Rosanna Rosa
Docente referente della Staffetta
Annamaria Simeone
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Gerardo Amarante, Antonio Battipaglia, Teresa Guida
Gli studenti/scrittori delle classi
IIIE - Marica Amatruda, Giuseppe Aquino, Mariarosaria Aquino, Alina Burkot, Annalaura De Maria, Sharon Desiderio, Lucia Esposito, Ida Grosso, Grazia Federica
Langella, Filomena Loffre, Iryna Makarenko, Dario Panciullo, Raffaele Raino, Giuseppina Serrafica, Michela Spirito, Gabriella Sposato
IIIF - Antonio Bracone, Lucia Curatella, Martina De Rosa, Felice De Vivo, Federica
Esposito, Margherita Finizio, Gaetano Forino, Gianluca Giordano, Flavia Giordano, Valentina Murhovschi, Erika Orlando, Simona Piedepalumbo, Annarosa Rodomonte, Anna Rosa Ronca, Sara Vitelli
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Quando ci hanno proposto di partecipare a questo progetto eravamo tutti
un po’ tesi, pensavamo di non farcela ma poi con il passare dei giorni, le riunioni
fatte con tutta la squadra ci siamo resi conto che stando insieme e ascoltare il
pensiero di ognuno di noi sarebbe stata una cosa piacevole e infatti così è
stato. Ci siamo messi tutti alla prova, ci siamo impegnati e siamo molto soddisfatti
del nostro lavoro. Quest’esperienza ci ha fatto diventare non solo compagni di
classe ma AMICI. È stato un progetto molto costruttivo! Speriamo di partecipare
di nuovo l’anno prossimo”.
APPENDICE
5. Una svolta?
Liceo Classico e Internazionale “Carlo Botta” di Ivrea (TO) - classe III gamma
Dirigente Scolastico
Lucia Mongiano
Docente referente della Staffetta
Teresa SKurzak
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Cinzia Burzio
Gli studenti/scrittori della classe III gamma
Benedetta Ambroggio, Andrea Barone, Eugenia Bellotto, Anna Bena, Milena Bertone, Miruna Brocco Pirvu, Leonardo Calabrese, Stefania Corradini, Asia Della
Rosa, Luca Fausti, Alice Fessia, Greta Francesconi, Riccardo Invernizzi, Irene Lucia
Malpeli, Letizia Marotta , Riccardo Mei, Luca Mondino, Alessia Mosca, Eleonora
Nesci, Elisa Penno, Fabio Polesel, Cristina Simoncini, Annalisa Vigliocco, Giulia Vironda, Carlo Ziano
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Riteniamo che il progetto della staffetta di scrittura sia importante per la sua
strutturazione poiché compone un prodotto con le mani di tanti autori e propone
di condividere un’esperienza come la scrittura, che può apparire invece come
molto privata.
Anche la fase di elaborazione del capitolo in classe è stata molto stimolante
perché abbiamo dovuto riconoscere il buono che c’era nella scrittura di altri e,
magari, ammettere che un’idea altrui funzionava meglio della nostra. Ci è piaciuto
molto lavorare provare a scrivere una storia, ci ha fatti sentire capaci…”.
APPENDICE
6. Il risveglio
Liceo Scientifico “E. Fermi” di Aversa (CE) – classi III/IV
Dirigente Scolastico
Adriana Mincione
Docente referente della Staffetta
Patrizia Cuomo
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Giovanna Antico
Classi che hanno composto il capitolo: III/IV
APPENDICE
7. Petali sfioriti
Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte (TO) – classe IIIA
Dirigente Scolastico
Ennio Rutigliano
Docente referente della Staffetta
Marcella Restagno
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Marcella Restagno
Gli studenti/scrittori della classe IIIA
Sarah Capuzzo, Rossella Carvelli, Martina Di Liberto, Arianna Freisa, Martina
Freisa, Emanuela Gjomarkaj, Stefania Maffa, Federica Nigretti, Giulia Pane, Selene
Sacco, Francesca Garda, Cristina Isaila, Eva Michieletto, Francesca Orizio, Giuditta Pini, Erika Tuberosa
Hanno scritto dell’esperienza:
“…L’esperienza si dimostrata molto positiva, ha coinvolto tutte le alunne che
hanno avanzato la proposta di scrivere un racconto per intero, secondo la loro
idea di “consapevolezza”. Anche i genitori si sono espressi favorevolmente, poiché la vicenda ha suscitato scambi di idee e discussioni in famiglia. Sebbene il
nostro periodo di stesura del capitolo sia stato molto ridotto, a causa delle vacanze del Carnevale, le allieve hanno continuato a lavorare a casa, mantenendosi in contatto via mail e siamo riuscite a rispettare i tempi. La consideriamo
un’esperienza da ripetere”.
APPENDICE
8. L’ossessione della Bestia
IPSIA “L. Da Vinci” di Savona (SV) – classe III EMA
Dirigente Scolastico
Domenico Buscaglia
Docente referente della Staffetta
Maria Paola Topasso
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Maria Paola Topasso, Bruno Gibbone
Gli studenti/scrittori della classe III EMA
Michael Arrais, Stefano Battistutta, Eugenio Bubeqi, Stefano Calcagno, Cristiano
Carai, Roberto Caviglia, Richard Cellerino, Armando Cyrbja, Paolo Cosentino,
Matteo Cosenza, Alois De Tullio, Damiano Giusto, Yassine Hijji, Simone Magliotto,
Steljon Muco, Yassine Najjaa, Klaidi Nerjaku, Giuseppe Pastorino, Christian Patrone, Luca Patrone, Andrea Pronsati, Giuseppe Rugolino, Fabio Teodoro, Luca
Vallauri, Alban Varangu, Nicolae Verciuc, Mattia Violante
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Come al solito quest’anno ci siamo divisi in gruppi scelti da noi. È stata
un’esperienza piacevole che ci ha permesso di staccare dal lavoro prettamente
scolastico e di rapportarci con i nostri compagni. L’esperienza non è stata limita
solo alla produzione del testo, ma ci ha permesso di discutere e confrontarci per
condividere idee e riflessioni a volte inaspettate dal proprio compagno di classe,
anche coloro che spesso sono svogliati hanno preso parte spontaneamente per
non auto-escludersi. È anche vero che nel lavoro di gruppo non ci sono solo privilegi, infatti spesso e volentieri ci si ritrova a non concordare con le idee dei
compagni e per questo di dibatterne anche a lungo. La tematica del racconto
è stata molto coinvolgente, infatti il contenuto dell’incipit rappresentava una storia traumatica che avrebbe toccato nel vivo i sentimenti di chiunque, a tal punto
che non abbiamo trovato difficoltà nel continuare il racconto che dava molta libertà decisionale sull’argomento. Concludiamo dicendo che come al solito siamo
stati onorati ed è stato un piacere partecipare alla staffetta”.
APPENDICE
9. Abbiamo fallito?
I.I.S. “Albert Einstein” di Torino (TO) - classi II/IIID Liceo Scienze Umane – III/IVB Liceo
Scientifico - IIIDS Liceo Scienze Applicate - IVAL Liceo Scientifico - IVDS Liceo Scientifico
Dirigente Scolastico
Emaunuela Ainardi
Docente referente della Staffetta
Mariester Negro
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Bianca Danna, Mariester Negro
Gli studenti/scrittori delle classi
IID Liceo Scienze Umane - Fabiana Ferrero, Giorgia Lasepo, Alessandro Modica,
Valeria Recchia
IIIB Liceo Scienze Umane - Anita Rossetti
IIIB Liceo Scientifico - Alice Ardizioia, Costanza Beck, Federica Gavello, Giorgia
Tagliati
III DS Liceo Scienze Applicate - Giulia Spagnolo Caruso
IVAL Liceo Scientifico - Cristina Andreea Andrei, Matilde La Marca, Milena Parotti
IV B Liceo Scientifico - Matilda Fontanarosa, Alessia Tavernese
IV DS Liceo Scientifico - Marco Cacalano
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Nel nostro liceo la Staffetta è stata condotta da un gruppo interclasse in prevalenza di studentesse e studenti del triennio appartenenti ai diversi indirizzi presenti
nell’istituto: scienze applicate, scientifico, scienze umane. Hanno seguito l’attività
due docenti, ognuna collegata a uno dei due plessi della scuola.
È stato creato un gruppo Facebook per collegare i membri della Staffetta e fornire
a tutti le informazioni necessarie...”
per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa
APPENDICE
10. La scelta
IIS “Nobili” (Settore Professionale) di Reggio Emilia
Dirigente Scolastico
Vittorio Messori
Docente referente della Staffetta
Monica Bottai
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Monica Bottai
Gli studenti/scrittori: Monir Zirai, Brian Aloba, Stephen Saylon, Khalid Madkour
Hanno scritto dell’esperienza:
“L’esperienza di scrittura creativa ha permesso di far emergere competenze e
abilità che spesso restano nascoste durante un consueto svolgimento dell’attività
didattica. Inoltre, Ha permesso lo scambio e l’ascolto fra i ragazzi su argomenti
importanti della loro vita quotidiana”.
NOTE
NOTE
NOTE
NOTE
INDICE
Incipit di DAVIDE MATTIELLO..........................................................................pag
14
Cap. 1 Somebody that i used to know ............................................................»
16
Cap. 2 Alla ricerca di me ......................................................................................»
20
Cap. 3 L’incontro ......................................................................................................»
24
Cap. 4 Il Piacere d’incontrarti ..........................................................................»
28
Cap. 5 Una svolta? ..................................................................................................»
32
Cap. 6 Il risveglio ....................................................................................................»
36
Cap. 7 Petali sfioriti ................................................................................................»
40
Cap. 8 L’ossessione della Bestia ........................................................................»
44
Cap. 9 Abbiamo fallito? ........................................................................................»
48
Cap. 10 La scelta ..................................................................................................»
52
Appendici ..................................................................................................................»
56
Finito di stampare nel mese di aprile 2013
dalla Tipografia Gutenberg Srl – Fisciano (SA)
ISBN 978-8897890-77-5