giurisprudenza del cnf e della cassazione

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giurisprudenza del cnf e della cassazione
La Rivista del Consiglio
Giurisprudenza del CNF e della Cassazione
n. 3/2014
GIURISPRUDENZA DEL CNF
E DELLA CASSAZIONE
a cura di Remo Danovi
1. Consiglio Nazionale Forense - Terzieta` del giudice
In tema di giudizi disciplinari dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, la circostanza che esso, nella sua funzione di indirizzo e di coordinamento dei vari
Consigli dell’Ordine territoriali, abbia sollecitato gli stessi all’adozione di provvedimenti di cancellazione dall’albo per incompatibilità, ai sensi della l. 25 novembre 2003 n. 339, non costituisce violazione dell’art. 111 cost. sotto il profilo del difetto di terzietà, giacché le norme che disciplinano, rispettivamente,
la nomina dei componenti del Cnf e il procedimento di disciplina dei professionisti iscritti al relativo Ordine offrono sufficienti garanzie con riguardo all’indipendenza del giudice ed alla imparzialità dei giudizi; né, in senso contrario, possono invocarsi le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea
del 19 settembre 2006 e del 19 febbraio 2009 (emesse, rispettivamente, nella
C 506-04 e nella C 308-07), giacché la prima si è limitata a sancire - nel contesto dell’esercizio della professione forense da parte di tutti gli avvocati dell’Unione europea nell’ambito dei diversi Paesi dell’Unione stessa - il diritto di un
avvocato europeo, cui sia stata negata l’iscrizione all’albo degli avvocati di uno
Stato membro diverso da quello di appartenenza del richiedente, ad impugnare
tale diniego innanzi ad organi non composti esclusivamente o prevalentemente
da avvocati con il titolo professionale dello Stato membro ospitante, mentre la
seconda sentenza, nell’’affermare che il dovere di imparzialità del giudice implica, per un verso, che nessuno dei membri dell’organo giudicante manifesti
opinioni preconcette o giudizi personali, nonché, per altro verso, che il giudice
offra garanzie sufficienti ad escludere, al riguardo, qualsiasi legittimo dubbio,
non offre ex se argomenti a sostegno dell’illegittimità della composizione del
Cnf.
(Cass. sez. un., 16 gennaio 2014, n. 775)
2. Iscrizione albi - Presidente di consiglio di amministrazione - Incompatibilita`
In tema di ordinamento professionale forense, il legale che ricopra la qualità
di presidente del consiglio di amministrazione di una società commerciale si
trova - ai sensi dell’art. 3, 1º comma, n. 1, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578,
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convertito in l. 22 gennaio 1934 n. 36 (norma abrogata dall’art. 18 l. 31 dicembre 2012 n. 247, ma applicabile ratione temporis) - in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense, qualora risulti che tale
carica comporta effettivi poteri di gestione o di rappresentanza (in applicazione
di tale principio, la Suprema Corte ha annullato la decisione con cui il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto che la carica di presidente del consiglio di
amministrazione di una società commerciale - nella specie, srl costituita per la
gestione del servizio municipalizzato di farmacia in forma diversa dal c.d. in
house providing - fosse di per sé incompatibile con l’esercizio della professione
di avvocato, omettendo, invece di accertare se l’incolpato, nella sua qualità di
presidente dell’organo amministrativo, fosse titolare di effettivi poteri di gestione).
(Cass. sez. un., 18 novembre 2013, n. 25797)
3. Norme deontologiche - Volontarieta` della condotta
Al fine di integrare l’illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo, è sufficiente l’elemento della suitas della condotta, intesa come volontà consapevole
dell’atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in
rapporto alle possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo
finalistico e, quindi, di dominarlo. L’evitabilità della condotta tenuta delinea,
pertanto, la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto.
(Consiglio naz. forense, 17 luglio 2013, n. 106)
4. Norme deontologiche - Espressioni sconvenienti e offensive
Violano l’art. 20 del codice deontologico forense le espressioni usate dal professionista che rivestano un carattere obiettivamente sconveniente ed offensivo
e che si situino ben al di là del normale esercizio del diritto di critica e di confutazione delle tesi difensive dell’avversario, per entrare nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell’operato dell’avvocato della controparte, dovendo peraltro ritenersi
implicito l’‘‘animus iniuriandi’’ nella libera determinazione di introdurre quelle
frasi all’indirizzo di un altro difensore in una lettera ed in un atto difensivo
(nel caso di specie, il CNF ha considerato le espressioni utilizzate dall’incolpato come gravi e forti di indubbia valenza offensiva, poiché con esse il professionista aveva qualificato, peraltro gratuitamente, l’iniziativa di un collega come ‘‘incauta’’ e determinata dalla ‘‘assenza di cognizioni tecniche specifiche’’).
(Consiglio naz. forense, 17 luglio 2013, n. 99)
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5. Norme deontologiche - Dovere di riservatezza
L’art. 28 del codice deontologico vieta non solo di produrre la corrispondenza riservata ma anche di riferirne in giudizio il contenuto, sussistendo riservatezza sia nell’ipotesi in cui la missiva contenga proposta transattiva sia in
quelle in cui venga espressamente definita come riservata dal mittente (nella
fattispecie la lettera prodotta in giudizio era espressamente dichiarata come riservata e conteneva una proposta transattiva, onde ricadeva nel vincolo della
non producibilità sotto il duplice profilo).
(Consiglio naz. forense, 23 luglio 2013, n. 135)
6. Norme deontologiche - Restituzione documenti
Sussiste violazione dell’art. 42 codice deontologico forense, secondo il quale
l’avvocato è tenuto a restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazione ricevuta per l’espletamento del mandato ogni qualvolta il cliente ne faccia richiesta, laddove risulti accertato che il professionista si sia reso responsabile di un tentativo di ostruzione messo in atto per ritardare e rendere difficoltosa la riconsegna della documentazione richiestagli dalla cliente.
(Consiglio naz. forense, 17 luglio 2013, n. 100)
7. Norme deontologiche - Adempimento del mandato e obbligo di informazione
L’aver omesso l’adempimento del mandato e l’aver ciononostante fornito
assicurazioni alla parte assistita non corrispondenti alla realtà integra la violazione di doveri essenziali dell’avvocato. L’avvocato che, pur continuando ad
assicurare il cliente dell’avvenuta instaurazione del giudizio e dell’imminenza
della sua positiva conclusione, non vi abbia in realtà dato seguito, pone in
essere un comportamento disciplinarmente rilevante sotto il duplice profilo
dell’art. 38 (inadempimento del mandato, sotto la specie del mancato compimento dell’atto iniziale, con rilevante e non scusabile trascuratezza degl’interessi della parte assistita) e dell’art. 40 (obbligo d’informazione, sotto la specie della corretta comunicazione sullo svolgimento del mandato) del codice
deontologico.
(Consiglio naz. forense, 17 luglio 2013, n. 101)
8. Norme deontologiche - Assistenza dei coniugi in controversie famigliari Conflitto di interessi
La norma di cui all’art. 51 codice deontologico forense al canone I prevede
espressamente l’ipotesi del professionista che, avendo congiuntamente assistito
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i coniugi in controversie familiari, tra cui certamente è ricompreso il ricorso
per separazione consensuale, successivamente assuma mandato per la rappresentanza di uno di essi contro l’altro. La previsione si caratterizza per una forma di tutela anticipata al mero pericolo derivante anche dalla sola teorica possibilità di conflitto d’interessi, non richiedendosi specificatamente l’utilizzo di
conoscenze ottenute in ragione della precedente congiunta assistenza. La norma non richiede che si sia espletata attività defensionale o anche di rappresentanza, ma si limita a circoscrivere l’attività nella più ampia definizione di assistenza, per l’integrazione della quale non è richiesto lo svolgimento di attività
di difesa e rappresentanza, essendo sufficiente che il professionista abbia semplicemente svolto attività diretta a creare l’incontro delle volontà seppure su
un unico punto degli accordi di separazione.
(Consiglio naz. forense, 23 luglio 2013, n. 137)
9. Norme deontologiche - Rapporti con i magistrati
È responsabile dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 53 del codice deontologico forense l’avvocato che sottoscriva un atto - nella specie, di opposizione
alla richiesta di archiviazione di un procedimento penale, ex art. 410 c.p.p. contenente espressioni offensive nei confronti del p.m., irrilevante essendo la
circostanza che l’atto sia stato sottoscritto anche da altro difensore, giacché la
sottoscrizione di un atto processuale è sufficiente ad individuare la paternità e
la provenienza.
(Cass. sez. un., 22 luglio 2013, n. 17776)
10. Procedimento disciplinare - Legittimita` costituzionale
È manifestamente infondata, alla luce della sentenza n. 262 del 2003 della
Corte costituzionale, la questione di legittimità costituzionale della intera disciplina del procedimento disciplinare a carico degli avvocati, che, a causa del numero ristretto dei componenti dell’organo disciplinare, può rendere difficoltoso
garantire la terzietà del giudice attraverso un adeguato meccanismo di incompatibilità, in quanto l’eliminazione dell’inconveniente potrebbe verificarsi non
mediante la correzione di un dettaglio che non alteri il sistema normativo, ma
solo a mezzo del venir meno di tale giurisdizione speciale e domestica, ovvero
con una radicale modifica dell’intero sistema, di spettanza del legislatore e non
della Corte costituzionale (nella specie, l’avvocato sottoposto a procedimento
disciplinare aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale rilevando
che il collegio che aveva deciso sull’istanza di ricusazione da lui proposta era
stato composto in parte da giudici da lui ricusati, e che la normativa vigente
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non consentiva, mediante adeguate sostituzioni, di porre rimedio a situazioni
di incompatibilità).
(Cass. sez. un., 16 gennaio 2014, n. 775)
11. Procedimento disciplinare - Contestazione degli addebiti
Nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti la professione forense,
la contestazione degli addebiti non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l’illecito, essendo, invece, sufficiente
che l’incolpato, con la lettura dell’imputazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere condannato per fatti
diversi da quelli ascrittigli (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte
ha respinto il ricorso dell’incolpato, rilevando che la contestazione elevata a
suo carico - avente ad oggetto gli illeciti previsti dagli art. 9, 1º comma, canone 1, e 51 del codice deontologico forense, per avere egli utilizzato, in un procedimento penale in cui assisteva il querelante, notizie acquisite in ragione di
un precedenti incarico, svolto in favore dell’imputato - risultava sufficientemente esplicita).
(Cass. sez. un., 18 novembre 2013, n. 25975)
12. Procedimento disciplinare - Eccezione di prescrizione
Nel giudizio disciplinare a carico di avvocato, l’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare può essere sollevata, per la prima volta, con il ricorso per
cassazione avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense, allorché il relativo esame non comporti indagini fattuali.
(Cass. sez. un., 9 ottobre 2013, n. 22956)
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