due secoli di storia dell`emancipazione femminile.

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due secoli di storia dell`emancipazione femminile.
III
Verso la parità.
Dalle leggi giacobine alla Costituzione repubblicana
l- Le leggi giacobine ed il Code Civile in Italia
Le fonti della storia giuridica sono strumenti indispensabili per l’analisi
dei fatti e degli avvenimenti della storia , questo è tanto più importante
quando si affronta un argomento complesso come quello della storia
della condizione femminile: delle evoluzioni, involuzioni e delusioni che
hanno segnato quella storia a partire dalla Rivoluzione francese,
attraverso le vicende dei codici preunitari, del Codice italiano, con le
polemiche che l'hanno preceduto e seguito, del codice del '42 sino alla
Costituzione ed alle ultime vicende che hanno segnato la nostra società
nel costume e nel diritto1.
Questa è una storia che va affrontata essenzialmente attraverso quella del
diritto di famiglia, da sempre osservatorio privilegiato per lo studio della
storia della donna e della sua condizione giuridica. Un territorio che “può
essere riconosciuto solo prendendo le mosse da quella lontana 'preistoria'
della famiglia italiana moderna che sul fondamento della romanistica e
del tardo diritto comune si prolunga in quella grande fase di trapasso e
mediazione storica che dall'urto del Codice Napoleone del 1804 si
articola attraverso le legislazioni della Restaurazione fino al grande
compromesso dei codice nazionale unitario del 1865, e sotto certi aspetti
fino a quello del 1942, anno ventesimo dell'Era Fascista e designato
termine di una vittoria e instaurazione di nuovo ordine mondiale” 2.
1
Donne e diritto, due secoli di legislazione: 1796-1986, a c. di A.A. COPPIELLO, E.
MARINUCCI, G.F. RECH, L. REMIDDI, Roma 1988.
2
Cfr. P. UNGARI, Donne e famiglia nella legislazione italiana: gli ultimi due secoli,
p. XV, in Donne e diritto cit..
40
Le leggi giacobine che, in nome dell'uguaglianza, avevano affermato
l'abolizione di ogni distinzione di nascita venivano adattate, per quel che
concerne il diritto di famiglia ed il matrimonio, alle situazioni locali
3
mentre quella pietra miliare della storia giuridica che è il Code Napoléon
seguì l'indirizzo del Comité de Legislation che dopo aver auspicato, nel
1793, l'eguaglianza dei sessi vi rinunciò, nel 1796, ritenendo che non
fosse conforme all'ordine naturale.
Il C.N., il cui successo fu dovuto principalmente, come si ritiene dalla
storiografia giuridica più autorevole, “al felice innesto dei principi di
libertà ed eguaglianza che avevano ispirato le riforme della Rivoluzione
dell’ 89, sul vecchio tronco della tradizione giuridica” 4,
rafforzò
l'autorità del marito e del padre a spese della donna e dei figli, privò la
donna del diritto di essere testimone, di agire in giudizio in nome proprio
e di gestire la proprietà senza il consenso del marito.
Non era più il caso di parlare di uguaglianza della donna. “Nell'ordine
naturale, nella differente costituzione che natura ha dato a uomo e donna,
nella fragilità del sesso femminile, si trova la ragione dell'obbedienza
della moglie al marito, che esercita la sua supremazia nell'interesse della
famiglia” 5.
Il C.N., infatti, si presenta come la più autorevole espressione degli
interessi e delle aspirazioni della società borghese che emergeva dalla
Rivoluzione e delle sue concezioni della famiglia 6. La donna coniugata
non era solo soggetta al marito, ma civilmente incapace, limitata nella
3
G. VISMARA, Il diritto di famiglia in Italia. Dalle riforme ai codici, Milano 1978, pp.
33 ss.; C. GHISALBERTI, Le costituzioni Giacobine, (1796-1799), Milano 1976, pp. 198201.
4
Cfr. G. ASTUTI, “Il Code Napoléon, in Italia e la sua influenza sui codici degli stati
italiani successori” , in Annali di storia del diritto., XIV-XVII (1970-73), ora in
Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, vol. II, Napoli 1984, p. 717.
5
Cfr. VISMARA, Il diritto cit., p. 39.
6
J.B. LANDES, Women and the Public Sphere in the Age of the French Revolution,
Ithaca 1988, pp. 145-146. Per quel che riguarda la sostituzione di una classe ad un'altra
nella guida della società si veda: V.J.KNAPP, Europe in the Era of Social
Transformation: 1700-Present, Englewood Cliffs, N.J., 1976, p. 67; J. SOLÉ, La
41
sfera privata e bisognosa di autorizzazione per ogni atto di rilievo.
L'adulterio della donna tornò ad essere represso severamente dal Codice
penale del 1810 (artt. 215-226).
Particolarmente dura apparve la condizione della vedova privata anche
dei lucri vedovili che il medioevo aveva tramandato all’ancien régime.
Finita anche l'eguaglianza nel divorzio, il marito poteva chiederlo per
adulterio della moglie, questa solo nel caso che il marito avesse
introdotto la concubina in famiglia (art. 339 c.p.), ed anche le sanzioni
dei due reati furono assai diverse.
Nel corso della prima decade del XIX secolo furono formulati principi,
che troveranno larga e durevole applicazione, come quello della
subordinazione della donna all'uomo e di una rigida differenziazione
sessuale nell'ambito dei compiti e degli obiettivi della società, le donne
furono in sostanza escluse dalla definizione della cittadinanza anche se si
riconoscevano diritti uguali a tutti i cittadini, che infatti erano intesi come
uomini. Il C.N. fu il punto di arrivo ed il suggello giuridico di questa
filosofia e il punto di avvio delle successive forme di discriminazione e
dinieghi costituzionali dei diritti delle donne.
Con le conquiste napoleoniche si diffusero in Italia i principi della
rivoluzione e furono importate le innovazioni ispirate dal codice
francese. Come sottolinea Paolo Ungari quel che colpisce è l’assenza di
voci femminili italiane contro i ‘privilegi del sesso maschile’ che in
Francia avevano provocato un fiorire di appelli, libelli, Cahiers de
doléances ecc. 7
Révolution en questions, Paris 1988, pp. 294 ss.; F. FURET, Penser la Révolution
Franςaise, Paris 1978.
7
P. UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia, Bologna 1974, pp. 90-1, “ Nella diffusa
pubblicistica sui temi della nuova famiglia di cui risuona da ora l’Italia, un’assenza quasi
completa subito colpisce, ed è quella di voci femminili: non solo rispetto al multicolore
movimento di cahiers e petizioni contro i ‘privilegi del sesso maschile’ che in Francia aveva
avuto il suo apice nella famosa Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne, ma
perfino con la parte che le ‘dame’ avevano pur preso nel dibattito settecentesco introno
all’educazione femminile e- di scorcio- al ruolo della donna nella società. Anche in
manifestazioni di qualche rilievo, come la lettera firmata da ‘2550 cittadine’ al genovese
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Il tramonto dell'astro napoleonico ebbe come conseguenza, più o
meno immediata, l'abrogazione del Code da parte dei governi della
Restaurazione che, tuttavia, riconoscevano come conquista irrinunciabile
ed irreversibile la codificazione, e così alla abrogazione formale del C.N.
seguì la recezione sostanziale del suo spirito e di gran parte del suo
tessuto normativo, nei diversi stati della penisola.
2. La Restaurazione.
In Italia ogni Stato della Restaurazione accettò il sistema del diritto
codificato adeguandosi, in tutto o in parte, al modello napoleonico. Le
divergenze di maggior rilievo si verificarono per il diritto delle persone e
della famiglia, per la definizione del regime dei rapporti patrimoniali fra
coniugi e delle successioni ereditarie 8.
Furono aboliti il matrimonio civile ed il divorzio, che maggiormente
contrastavano con le tradizioni giuridiche e culturali del nostro paese; per
le stesse ragioni non trovò riconoscimento la comunione dei beni fra
coniugi che il diritto germanico poneva come regime legale e normale
per i beni mobili; per gli acquisti ed anche per i beni mobili, fu invece
confermato il sistema dotale romano 9. La comunione fu ammessa solo in
via convenzionale eliminando le ampie e diverse specificazioni previste
del C.N.
Difensore della libertà, dove si faceva rimostranze contro il governo provvisorio che,
compiacendo ‘all’egoismo mascolino’ offeso aveva ‘barbaramente troncato’ l’articolo sulla
parificazione dei diritti successori (il 261 del progetto di costituzione sopra riferito), si aveva
cura di precisare che non si pensava a rivendicazioni di diritti politici sia pure ‘per non urtare
direttamente contro i pregiudizi’ di chi non poteva capire che il vero obbiettivo era la tirannia
domestica delle suocere alle quali i poteri legali del marito facevano scudo. Proposte sui diritti
da concedere alle donne, e apologie di quelli concessi non mancano, almeno nell’area
settentrionale: ma senza che sulla scena comparissero di norma leinteressate”.
8
G. ASTUTI, La codificazione del diritto civile, in La formazione del diritto moderno in
Europa. Atti del III Congr. intern. della Soc. Ital. di Storia del diritto, Firenze 1977,
ora in Tradizione cit. , vol. Il, pp. 803-846; P. UNGARI, Storia del diritto di famiglia in
Italia, Bologna 1974, pp. 121-150; VISMARA, Il diritto cit., p. 52.
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Per quel che riguarda le successioni i “ legislatori della Restaurazione
oscillarono tra il riconoscimento della uguaglianza dei successibili, senza
distinzione di linea o di sesso, e il proposito di ripristinare talune
disposizioni a favore della parentela agnatizia, di ridurre o escludere i
diritti successori delle femmine e dei loro discendenti a favore dei maschi
e loro discendenti maschi” 10.
In sostanza la Restaurazione ripristinò l'inferiorità giuridica della
donna in termini più rigorosi di quelli sanciti dal C.N., già poco liberale
in questo campo. Si manifestò, nel complesso, un generale ritorno alla
famiglia agnatizia, si limitavano i diritti successori delle donne che
venivano sottoposte alla necessaria autorizzazione maritale anche per
tutti gli atti di disposizione dei beni non costituiti in dote ne vincolati alla
comunione; l'autorizzazione maritale si ritrova in tutti i Codici preunitari,
con “una disciplina che riprende molto da vicino gli artt. 215 ss. del Code
Napoléon” 11.
All'influenza del Code si sottrasse il Lombardo-Veneto dove dal 10
gennaio 1816 fu introdotto il Codice civile austriaco, la cui stesura era
stata iniziata per volere di Maria Teresa 12. La legislazione austriaca, pur
mantenendo il governo della famiglia sotto il severo controllo del padre
13
, concedeva una diversa posizione alla donna, sottratta, unico Stato in
Italia, all'autorizzazione maritale ed ammessa in condizione di parità alla
successione familiare
14
. Il marito dirigeva l'economia domestica ed
aveva il dovere di mantenere la famiglia, la moglie, tuttavia, poteva
amministrare da sola il suo patrimonio, stare in giudizio e fare contratti
senza bisogno alcuno di autorizzazione maritale.
9
ASTUTI, Il Code Napoléon cit., p. 752.
Ibidem, p. 755.
11
Cfr. VISMARA, Il diritto cit., p. 59
12
A. CAVANNA, La codificazione dei diritto nella Lombardia austriaca, in Economia,
istituzioni, cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa, a cura di A. DE
MADDALENA, E. ROTELLI, C. BARBARISI, vol. III, Bologna 1982, pp. 611-657.
13
G. DI RENZO VILLATA, Il governo della famiglia: profili della patria potestà nella
Lombardia dell’età delle riforme, ibid., pp. 771-805.
14
UNGARI, Storia. cit, p. 123.
10
44
Il Codice civile austriaco in queste disposizioni si distaccava dai
codici della restaurazione e dal Codice napoleonico e si presentava, sotto
questi aspetti, più liberale e moderno; ma esso non fu preso in
considerazione come modello della prima codificazione dell'Italia unita.
3- Il Codice civile italiano
Nell'Italia che aveva raggiunto finalmente l'unificazione politica una
nuova codificazione apparve subito come un'esigenza irrinunciabile.
Non è il caso di ricordare qui le travagliate vicende dei tre progetti di
elaborazione di un nuovo Codice: sono i progetti che portano i nomi di
Cassinis (1860), Miglietti (1862) e Pisanelli (1863); finalmente il 25
giugno del 1865 si pervenne alla promulgazione del Codice Civile
15
.
La discussione fu incentrata, oltre che sul Codice Napoleone, anche
sui modelli dell'Italia preunitaria, in special modo sui modelli albertino e
napoletano 16.
L'apparente eterogeneità degli ordinamenti non era, in
15
Sulla formazione del Codice Civile italiano del 1865 e sui suoi rapporti con il Code
Napoléon e con i precedenti codici si vedano: A. AQUARONE, L'unificazione legislativa
e i codici del 1865, Milano 1960, con nota bibliografica alle pp. 47-76; V. PIANO
MORTARI “1865. Unità politica ed unità giuridica”, in Siculorum Gymnasium XXII
(1966) ; P. UNGARI, L'età del Codice Civile. Lotta per la codificazione e scuole di
giurisprudenza nel Risorgimento, Napoli 1976; C. GHISALBERTI, Storia costituzionale
d’ Italia, 1848-1949, Bari l974; Dall'antico regime al 1848: le origini costituzionali
dell'Italia moderna, Bari 1978; Unità nazionale e unificazione giuridica in Italia: la
codificazione del diritto nel Risorgimento, Bari 1982.
16
Una esauriente ed ampia bibliografia si trova nel citato saggio di G. ASTUTI, Il 'Code
Napoléon..., per le elaborazioni più recenti della dottrina si vedano: UNGARI, L'età cit.;
GHISALBERTI, Storia cit., Dall'antico cit. e Unità cit.; M.VIORA, Ricerche sulla
codificazione sabauda, I. Progetti di riforma dell' ordinamento giudiziario, Torino
1981; I. SOFFIETTI, Introduzione a Ricerche sulla codificazione sabauda, Torino 1981;
G.S. PENE VIDARI, “Ricerche sulla giurisdizione commerciale negli stati sabaudi (18141830). Contributo alla storia della codificazione sabauda “, in Bollettino. storico
bibliografico subalpino LXXVI (1978); “Un centocinquantenario. Il codice civile
albertino” , estr. da Studi piemontesi XVI,2 (1978). Su alcuni aspetti della cultura
giuridica piemontese nella prima metà dell'Ottocento si veda: L. MOSCATI, Da Savigny
al Piemonte: Cultura storicogiuridica subalpina tra la Restaurazione e l'Unità, Roma
1984; V. PIANO MORTARI, Tentativi di codificazione nel Granducato di Toscana nel
sec. XVIII, Napoli 1971; A. DE MARTINO, La nascita delle intendenze. Problemi
dell'amministrazione periferica nel Regno di Napoli, 1806-1815, Napoli 1984; R.
45
realtà, così grave, infatti i vari codici civili vigenti nella penisola al
momento dell'unificazione erano tutti, con l'eccezione del Codice
austriaco imperante in Lombardia, riproduzioni, più o meno fedeli, del
Code francese. Più della metà delle province del nuovo regno, cioè le
antiche province della dinastia sabauda, quelle modenesi e parmensi e
quelle meridionali godevano di una legislazione sostanzialmente
uniforme 17.
Tutte le legislazioni si prestavano alla formulazione di uno schema di
famiglia patriarcale più accentuato di quanto non fosse possibile
individuare in alcuni aspetti più moderni e liberali del Codice austriaco
che parve meno idoneo alle concrete condizioni della società italiana che,
grazie soprattutto all’influenza della Chiesa cattolica, riteneva necessario
mantenere un modello familiare più rigidamente patriarcale 18.
Per questa ragione nel Codice civile non fu accolta la legislazione
relativa al divorzio che faceva parte tanto del Codice austriaco quanto di
quello francese e, a differenza di quanto previsto da quest'ultimo, nei
rapporti patrimoniali fra coniugi fu preferito il regime dotale in ossequio
alla tradizione giuridica romanistica mentre invece il Codice francese
prevedeva la comunione dei beni fra coniugi, derivata dall'antico diritto
franco, che vedeva in questo regime il giusto riconoscimento al
contributo della moglie nella vita della famiglia 19.
FEOLA, La monarchia amministrativa: il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Napoli
1984; M. MOMBELLI CASTRACANE, La codificazione civile nello stato pontificio, vol. I.
Il progetto Bartolucci del 1828, Napoli 1987.
17
AQUARONE, L’Unificazione cit., pp, 2 ss.
18
Si veda: C.F. GABBA, Della condizione giuridica delle donne nelle legislazioni
francese, austriaca e sarda. Studio di legislazione comparata, Milano 1861, e la
successiva edizione ampliata e riveduta con il titolo Della condizione giuridica delle
donne. Studi e confronti, Torino 1880. L'impronta patriarcale non fu una caratteristica
esclusiva dei Codice italiano, ne fu profondamente influenzato anche quello tedesco, si
veda al riguardo, H. SCHRÖEDER Die Rechtlosigkeit der Frau im Rechtsstaat
Dargestellt an Allgemeinen Preussischen Landrecht, am Búrgerlichen Gesetzbuch und
an J.G. Fichtes Grundlage des Naturrechts, Francofurt-New York 1979.
19
M.T. GUERRA MEDICI, I diritti delle donne nella società altomedievale, Napoli 1988,
pp. 109-110.
46
Fu mantenuto invece il principio del matrimonio civile come unico
vincolo rilevante per lo Stato che in questo modo voleva riaffermare la
sua indipendenza e laicità. Il Codice civile, come il suo modello francese,
doveva realizzare l'unità nazionale nel diritto e dar vita ad un modello di
società corrispondente alla nostra tradizione civile e proiettata nel futuro.
Per quel che concerne la condizione femminile il Codice, soprattutto
attraverso il diritto di famiglia, provvide a formulare uno stato di
minorile subalternità della moglie alla quale, senza l'autorizzazione del
marito, non era consentito di fare donazioni, alienazioni di immobili,
cessioni o riscossioni di capitali, accensioni di ipoteche, gestire conti
bancari; in sostanza non le era consentita l'autonoma e indipendente
amministrazione del suo patrimonio.
Ne risultava uno stato di
dipendenza familiare e di mancanza di autonomia nella società civile che,
a maggior ragione, si rifletteva nella politica 20.
La prima conseguenza della condizione familiare era, per esempio, il
divieto del suffragio femminile che nella Lombardia delle riforme di
Maria Teresa aveva ricevuto un riconoscimento. Là, infatti, le donne
possidenti partecipavano con elettorato attivo e passivo all'assemblea
generale della comunità21.
Ma il Codice austriaco, abbiamo detto, non fu preso in
considerazione dai nostri legislatori che gli preferirono quello
piemontese. Questo oltre ad escludere le donne dal voto politico vietò
loro anche quello amministrativo, fondato sul censo. Alcune donne
possidenti avrebbero potuto trovarsi nella condizione di elettrici.
E
quindi esplicitamente il Regio decreto legislativo del 7 ottobre 1848,
emanato per attuare la 'riforma' della legge comunale sancita col R.
Editto 27 novembre 1847 (che rimase in vigore come norma transitoria
fino alla legge Rattazzi del 23 ottobre 1859, a sua volta divenuta legge
20
Si veda in proposito di L. MARTONE, “L’incapacità della donna nel sistema giuridico
dell’Italia Liberale” in Democrazia e diritto XXXVI, 2-3 (1996) pp. 515-47.
47
nazionale col 17 marzo 1861, data dell'unificazione del Regno in Regno
d'Italia), dichiarava che “non possono essere elettori o eleggibili
analfabeti, donne, interdetti detenuti in espiazione di pena e falliti” 22.
In realtà nel parlamento nazionale il dibattito suffragista, che verteva
sull'elettorato amministrativo, conobbe tre disegni di legge che
prevedevano il voto alle donne, due nel 1861, Minghetti e Ricasoli, ed
uno nel 1863, Peruzzi.
Ai promotori era evidentemente presente il
modello toscano dell'illuminato Pietro Leopoldo che consentiva
l'elettorato amministrativo a tutti coloro che avessero superato i 21 anni
di età e, per evitare alle donne di recarsi alle urne, ammetteva l'esercizio
del voto per delega ad un parente maschio o per lettera
23
. La proposta
venne respinta e le donne continuarono ad essere escluse con gli
analfabeti, i minori, gli incapaci, i delinquenti.
Per le donne del Lombardo-Veneto divenire italiane significò regredire,
infatti furono sottoposte alla autorizzazione maritale, ignorata dal codice
austriaco, e fu loro vietato il diritto di voto nelle elezioni amministrative.
Il codice italiano seguì gli indirizzi degli altri codici. L'autorizzazione
maritale, prevista da tutti, venne imposta a tutte e fu intesa come forma di
protezione nei confronti della donna alla quale si faceva anche divieto di
testimoniare o far parte del consiglio di famiglia 24.
4 -Riforme: tentativi e fallimenti
Ma contrariamente a quanto era avvenuto all'epoca della Restaurazione
questa volta si levò la voce delle donne . Le italiane protestarono come
avevano fatto le europee e le americane. Queste, che si erano sentite
21
Si veda al riguardo, A.M. GALOPPINI, Il lungo cammino verso la parità, Bologna
1980, pp. 5 sa.
22
Cito da GALOPPINI, Il lungo cit., pp. 6-8.
23
Ibidem, p. 7.
24
VISMARA, Il diritto cit., p. 73.
48
tradite dagli esiti della Rivoluzione, avevano dato vita a movimenti di
protesta che trovarono la loro espressione nella Dichiarazione dei diritti
della donna di Seneca FalIs nel 1848
25
. Due anni prima era stato
pubblicato il libro di Margaret Fuller che aveva provocato un certo
scandalo per le sue tesi azzardate sulla parità dei diritti delle donne 26.
La delusione per la rivoluzione mancata e aveva colpito anche le
francesi, fu sentita in Italia ed Anna Maria Mozzoni, che ben conosceva
ciò che avveniva all'estero, fu la persona più autorevole a dare voce alle
frustrazioni delle italiane e delle eroine del Risorgimento
che non
avevano trovato spazio come cittadine nel nuovo stato nazionale alla cui
nascita avevano contribuito.
Nata in Lombardia, nel 1837, educata da un padre laico ed
anticlericale,
Mozzoni pubblicò nel '64 La donna e i suoi rapporti
sociali con il quale, si poneva al di fuori della tradizione cattolica e si
discostava anche dalla visione della condizione femminile del suo eroe,
Giuseppe Mazzini 27.
Mazzini, che ricavava la sua concezione del futuro dell'Italia
basandosi sul passato, continuava a vedere realizzate le aspirazioni delle
donne, per la cui libertà si batteva, sempre e comunque nell’ambito della
famiglia. Proponeva una libertà che doveva svolgersi nell’ambito delle
tradizionali funzioni familiari di 'angeli del focolare’
28
.
Mozzoni,
invece, puntava sulla emancipazione della donna attraverso il lavoro e la
partecipazione alla vita sociale e politica. Il suo riferimento era a quanto
avveniva in Francia, in Inghilterra, nel nord d’Europa e, soprattutto, negli
25
Alla Convenzione parteciparono 260 donne e 40 uomini, si pronunciarono
sull'eguaglianza delle donne e sul loro diritto al voto, cfr. L. BENSANDON, Les Droits
de la femme, Paris (1980) 1983, pp. 48-49.
26
M. FULLER, Woman in the Nineteenth Century), New York (1846)1971.
27
A. M. MOZZONI, La donna e i suoi rapporti sociali. In occasione della revisione del
codice civile italiano, Milano 1984; J. STUART MILL, The subjectíon of woman, Londra
1869, trad. ital. La servitù delle donne, Milano 1870; II ed. La soggezione delle donne,
Lanciano s.d., rist. 1971. Sull'autrice si veda, F. PIERONI BORTOLOTTI, Alle origini del
movimento femminile in Italia, 1848-1892, Torino 1963.
28
Cfr. MEYER, Sex and cit., p. 122.
49
Stati Uniti. A lei si deve anche la traduzione in italiano del saggio di J.
Stuart Mill, La soggezione delle donne.
Nel 1865 Mozzoni pubblicò La donna in faccia al progetto del
nuovo codice civile italiano, con il quale criticava la forma, e la sostanza,
che stava assumendo la legislazione in materia di diritti femminili. Il
saggio è ora riprodotto nel secondo volume di Donne e Diritto 29 con altri
documenti importanti per comprendere la discussione che precedette,
accompagnò e seguì la promulgazione del Codice.
A.M. Mozzoni con i suoi scritti
30
sottoponeva ad un esame razionale
l'assetto patriarcale della società, così come era sostenuto dal diritto, che
avrebbe potuto essere modificato solo attraverso la creazione di forme di
vita e norme giuridiche diverse da quelle formulate dal Parlamento
italiano che poco si discostavano dalle indicazioni dal papato. “Questo
col suo immobilismo peripatetico-tridentino, e quello con la sua vecchia
cariatide del Diritto Romano, che ormai i secoli dovrebbero aver rosicata,
ambedue si presentano incompatibili colle nuove condizioni d'Italia e
collo spirito della sua nuova generazione ”
31
.
L'ideale della Mozzoni era quello di una donna autonoma, inserita
nel mondo del lavoro e della vita pubblica: un ideale che si discostava da
quello delle “madri dei cittadini”
32
caro ad un altro gruppo di donne,
anch'esse di provenienza mazziniana, che senza contestare il modello
patriarcale di famiglia al quale si riferivano, auspicava, tuttavia, una
maggior consapevolezza ed un'adeguata educazione delle donne in vista
29
Donne e diritto cit., Il, pp. 1220-1240.
Si vedano anche: “La questione dell' emancipazione della donna in Italia”, in La
Roma del popolo, 21 marzo 1871; “Del voto politico alle donne: Lettura tenuta da A.M.
Mozzoni”. Estratto dal periodico La Donna, IX, 290 (1877); “La legislazione in difesa
delle donne lavoratrici”, in Avanti l 7 marzo 1898
31
Cfr. La donna in faccia cit., p. 1239.
32
L’espressione dominò la letteratura femminista intorno al 1870, l’immagine di madre
cittadina, madre di cittadini, fu usata da Gualberta Adelaide Beccari ed era cara ai
mazziniani in generale; la Beccari è la fondatrice del giornale La Donna che sviluppò e
diffuse le idee del femminismo.
30
50
di un migliore adempimento dei loro compiti tradizionali di madri e di
mogli 33.
In sostanza si voleva sostituire alla consueta madre cattolica, un po'
ignorante, che appariva inadeguata ai nuovi compiti di educatrice degli
uomini del paese, una madre laica, ma era sempre e comunque il ruolo
familiare e materno quello riservato alle donne. Era un più fedele
riconoscimento degli ideali mazziniani nei quali si riconosceva anche
Salvatore Morelli, il deputato meridionale, che con un libro, La donna e
34
la scienza, pubblicato nel 1865
, numerosi discorsi e proposte
parlamentari, fu il più convinto, ed inascoltato, paladino dei diritti delle
donne.
Attraverso il diritto di famiglia si dava vita ad un modello di
matrimonio fortemente patriarcale improntato sulla supremazia del
marito e sulla sottomissione della moglie. La proposta di istituire il
divorzio fu respinta dal Parlamento e trovò, pressoché, unanimemente
contrarie la dottrina e l'opinione pubblica
35
, mentre invece altri aspetti
della legislazione furono sottoposti a critiche che venivano da più parti.
Fra le norme più contestate quella iniqua, come scrisse G. Saredo, che
proibiva la ricerca della paternità
36
, e quella che sottoponeva le donne
33
J. JEFFREY HOWARD, Patriot Mothers in the Post-Risorgimento: Women After the
Italian Revolution, in Women, War and Revolution, a cura di C.R. BERKIN e C.M.
LOVETT, New York-Londra 1980, pp. 237-258; C. LOVETT, The Democratic Movement
in Italy, 1830-1876, Cambridge, Mass. 1982.
34
S. MORELLI, La donna e la scienza, o la soluzione del problema sociale, Napoli
1869, III ed., con cenno critico e biografico del prof. V. ESTUVAL; sul Morelli si veda:
PIERONI BORTOLOTTI, Origini cit., pp. 23-27; UNGARI, Storia cit., pp. 182 e ss.
Salvatore Morelli (1824-1880). Emancipazione e Democrazia nell’Ottocento europeo,
a c. di G. CONTI ODORISIO, Napoli 1992; M. T. GUERRA MEDICI, Un salentino nel
Risorgimento italiano, Ibid., pp. 131-143.
35
F. CRISCUOLO, La donna nella storia del diritto italiano, Palermo 1885, pp. 80-83.
La dottrina in verità non era sempre stata unanimemente contraria ed ancora prima della
promulgazione del Code Civil era stata pubblicata da M. GIOIA, Teoria civile e penale
del divorzio cit.. Il libro era ispirato dall'analisi della legge del 30 ventoso, anno XI,
che istituiva il divorzio in Francia. Si veda inoltre, T.L. RIZZO, “I progetti di divorzio
dall' avvento al potere della Sinistra alla fine del secolo XIX” , in II diritto di famiglia e
delle persone IV (1975).
36
Cfr. Trattato delle leggi, dei loro conflitti, Firenze 1886, p. 116: “...mentre con
iniqua disposizione è severamente interdetta la ricerca della paternità, si lasciano aperte
51
all'autorità maritale, norma che non esisteva nella maggior parte dei paesi
europei, e che la Mozzoni, morta ottantatreenne nel 1920, riuscì a veder
abolita. Fu la “sola grande riforma della famiglia ”
37
attuata dall' Italia
liberale, fu una riforma che non provocò problemi, rapidamente
approvata dal Parlamento, ricevette anche la benedizione della Civiltà
cattolica.
Ma era soprattutto in materia di parificazione delle donne agli
uomini nel diritto pubblico che appariva più evidente la riluttanza della
magistratura ad accogliere idee nuove, dato che già quelle vecchie
trovavano, spesso, una interpretazione restrittiva. Il 30 luglio del 1868 la
Cassazione di Napoli aveva interpretato restrittivamente l'articolo 206
delle Leggi civili napoletane che consentiva alla madre di far donazione
al figlio comune senza l'autorizzazione del marito.
La sentenza,
considerando la disposizione eccezionale, negava che si potesse
estendere alla fideiussione, con la motivazione che “Dar questo diritto
alla donna a favore dei suoi figli, emanciparla in questi casi dalla
sorveglianza del marito, sarebbe stato più che improvvido, pericoloso, e
sarebbe sovente riuscito a turbare l'armonia domestica e ad arrecar danno
all'avvenire degli stessi figliuoli”
38
. Sorte analoga ebbe la successiva
vicenda relativa all'accesso all'avvocatura da parte delle donne stante la
legge professionale 8 giugno 1874 che non disponeva in proposito. La
le indagini per riscoprire la maternità, e così addossarle tutto il carico di alimentare ed
educare il figlio nato fuori dal matrimonio”; sulla questione si vada anche A.
GIACOBONE, I diritti della donna sedotta: Appunti di legislazione civile e penale, patria
e straniera, Varzi 1890. Il libro era frutto delle ricerche precise e dotte di un avvocato
lombardo ed è segno dell'interesse che il problema suscitava nella società
contemporanea. G. CONTI ODORISIO, Il divieto di ricerca della paternità nello stato
italiano liberale, in.. D. LOMBARDI, Padri e madri: una questione di responsabilità, in
“Ricerche storiche” “ (1997) pp. 1-13. Per quel che riguarda il modo in cui si poneva il
problema nella dottrina medievale si veda A. LEFEBVRE TEILLARD, ‘Pater is est quem
nuptiae demonstrant’: jalons pour une histoire de la présomption de paternité, in
Miscellanea Domenico Maffei dicata. Historia-Ius-Studium, a c. di A. GARCIA Y
GARCIA-.P. WEIMAR , Goldbach 1995, v. I. pp. 173-82.
37
UNGARI, Diritto cit., p. 217.
38
Cfr. Giurisprudenza italiana I, (1868) c. 763.
52
Cassazione di Torino si pronunciò sulla questione con una sentenza del
18 aprile 1884 negando che le donne potessero divenire avvocati
39
.
Di qualche interesse per comprendere la mentalità e conoscere gli
argomenti dei partiti che si contrastavano sulla questione femminile in
generale e sulla istruzione delle donne in particolare può essere la
battaglia
combattuta
tra
progressisti
e
conservatori
in
merito
all'ammissione delle studentesse nel prestigioso Collegio Ghislieri di
Pavia. La polemica , sorta negli anni 1910-15, fu accesa e alla fine vinta
quando il Consiglio di amministrazione deliberò, all'unanimità, in favore
dell'ammissione, delle donne.
Ma la guerra che incalzava rese
irrealizzabile l'attuazione del progetto che fu poi accantonato nella epoca
fascista 40.
Con la legislazione dell'epoca fascista si riconfermava e rafforzava la
concezione di un sistema sociale fondato sulla tradizionale divisione dei
ruoli che voleva le donne essenzialmente dedicate ai compiti familiari e
domestici. L'attività dei legislatori si mosse essenzialmente in questo
quadro, furono istituiti i Licei femminili che avevano lo scopo di
impartire una cultura generale “alle giovanette che non aspirano né agli
studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale"
41
.
Nelle intenzioni di chi li aveva voluti i licei femminili dovevano fornire
un'adeguata e sufficiente preparazione alle future mogli e madri di
famiglia.
Non che alle donne fossero preclusi gli studi ma si ha
l'impressione che non fossero incoraggiati.
39
Foro italiano I, (1884) c. 341. come ha messo in evidenza LUCIANO MARTONE,
L’incapacità cit. Il rifiuto della magistrature era motivato dal fatto che, all’epoca,
attraverso la avvocatura si poteva essere nominati magistrati. L’accesso delle donne alla
carriera forense avrebbe potuto provocare un successivo accesso alla magistratura,
questo appariva inammissibile,
40
La vicenda è descritta in Il Collegio Ghislieri, 1567-1967, a cura dell'Associazione
alunni, Milano 1967, pp. 169-172.
41
Donne e diritto cit, vol. I, Dalla marcia su Roma del 1922 al Codice civile del
1942, c. VII, art. 65, p. 1196.
53
Se gli studi non erano incoraggiati, fu protetta ed incoraggiata la
maternità con la creazione della Cassa di maternità, che aveva lo scopo
di sussidiare le operaie, e fu istituita l' Opera nazionale per la protezione
della maternità e dell'infanzia (ONMI).
Nell'epoca compresa tra le due guerre mondiali molte delle istanze
femminili vennero assorbite, e neutralizzate, in una forma di coscienza
nazionalista che si riconnetteva al binomio Patria e Famiglia tanto caro a
larghissima parte della classe media italiana.
Sarà grazie alla Costituzione repubblicana, che affermava con solennità
principi di uguaglianza tra i sessi, ed ai movimenti femministi, che di
quei principi hanno preteso l'applicazione, che si rimetterà in moto il
processo di emancipazione delle donne e di parificazione dei sessi.
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