INTERVISTA A RAFFAELE CANTONE 03 agosto 2015 Recuperare

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INTERVISTA A RAFFAELE CANTONE 03 agosto 2015 Recuperare
INTERVISTA A RAFFAELE CANTONE 03 agosto 2015
Recuperare lo spirito cooperativistico che è stato snaturato rispetto all’idea originaria»
arrivando a essere «un meccanismo di abuso, un vero e proprio bubbone, un sistema di
finanziamento stabile di partiti e fondazioni, senza controlli e trasparenza». Ma anche
«riaprire il discorso sul finanziamento pubblico alla politica con una logica che sia meno
moralista ma anche di grande rigore». E la denuncia di «un mondo dell’antimafia che
dimentica l’attività concreta per diventare solo istituzione, e che può essere utilizzato
anche in una logica speculativa e affaristica».
È un Raffaele Cantone a tutto campo, molto poco "politicamente corretto", quello che
riflette sul sistema emerso nelle inchieste sul mondo della cooperazione, da "Mafia
Capitale" a Cpl Concordia, sui legami con la politica e i problemi dell’antimafia. E il
presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione avverte: «Se non c’è una riflessione vera
non ci si può poi meravigliare che avvengano queste cose, o che ritornino. Il meccanismo
di difendersi dicendo che si tratta di quattro mariuoli di un sistema sano non regge. Pur
all’interno di un sistema sano bisogna avere il coraggio di dire che quei quattro mariuoli
sono stati favoriti da regole che facevano sì che i mariuoli potessero fare i mariuoli».
Cooperative da riformare?
Il mondo delle cooperative ha dimostrato che soprattutto quando si interfaccia in territori
difficili, dove c’è la presenza delle mafie, dimentica il suo carattere per comportarsi come
gli imprenditori più spregiudicati, perfino peggio, come è emerso in modo abbastanza
chiaro dalle vicende della Cpl Concordia. Veri e propri colossi, che vincono cinquecento o
mille appalti non hanno nulla più di cooperativo. Nelle intenzioni della Costituzione il
mondo cooperativo nasceva come un apporto del lavoro alla proprietà, ma questo è
diventato ormai una pia illusione.
Tutto da buttare via?
Nei giorni scorsi sono stato a Modena per una riunione sulla Cpl. Lì ho visto l’altra faccia di
questa cooperativa, il grande legame al territorio. I sindaci ne parlavano come un pezzo
della propria realtà. E ho avuto anche un’ottima impressione del nuovo management che
in qualche modo prova a prendere le distanze e rivendica quanto di buono hanno fatto
nell’economia emiliana. I nostri stessi amministratori evidenziano un livello di
attaccamento da parte dei dipendenti che è difficile trovare in un’impresa ordinaria. Il
problema vero è lo snaturamento di chi vive sostanzialmente di appalti, senza più nessun
rapporto tra proprietà e lavoro.
Bisogna cambiare le leggi?
La questione si pone per le cooperative sociali di tipo B che nascono non per svolgere
attività di lucro e che proprio per questo possono accedere al sistema degli appalti senza
gare ma con affidamenti diretti, una corsia preferenziale. Non ci dovrebbe essere utile, ma
contribuire al volontariato, al Terzo settore.
Poi è arrivata "Mafia Capitale" che ha coinvolto proprio questo tipo di cooperative.
Attraverso questo sistema e uno scarso controllo, si è strutturato un meccanismo di abuso,
un vero e proprio bubbone. Le vicende che stanno emergendo in tutt’Italia, hanno fatto
emergere che dietro queste cooperative si nascondono affaristi spesso legati a personaggi
della politica locale, e che si improvvisano per fornire servizi per immigrati, rom, disabili,
bambini in condizioni disagiate, e poi distraggono il denaro verso altre finalità.
Peggio delle altre cooperative?
Peggio. Mentre le prime sono ormai diventate dei colossi che mettono in discussione l’idea
del sistema cooperativo, le seconde sono spesso interfaccia di piccoli meccanismi locali e
servono anche alle amministrazioni locali per aggirare il sistema degli appalti. Da un punto
di vista dei comportamenti criminali sono certamente più piccoli quantitativamente ma
spesso più eclatanti perché si arriva perfino a rubare i soldi agli immigrati.
Qui servono regole nuove?
Sicuramente. I meccanismi di affidamento devono avere regole di maggiore trasparenza
ma anche un minimo di gara. Vogliamo affidare a una cooperativa di tipo B l’accoglienza
degli immigrati? Va bene, ma facciamo un bando tra tutti quelli che hanno i requisiti, non
affidiamola agli amici degli amici, magari inventandoci una cooperativa ad hoc...
Alcune di queste sono poi diventate dei giganti.
Il salto di qualità nasce quando riescono a diventare veri e propri monopolisti. Hanno
capito l’importanza di quel settore, nato con una logica dell’emergenza, e questo ha
consentito di inserirsi in affari che si sono rivelati iperlucrosi, soprattutto per l’assenza
completa di controlli.
Come è stato possibile?
Oggi ci meravigliamo per la cooperativa "29 giugno" o il gruppo "La Cascina", ma nessuno
si meravigliava quando finanziavano campagne elettorali, davano contributi. Ma come
faceva una cooperativa che non dovrebbe avere utili ad avere questa disponibilità?
Potevamo immaginare che il sistema cooperativo tradizionale finanziasse la politica, ma
poi abbiamo scoperto che le cooperative sociali avevano drenato una quantità talmente
enorme di denaro da essere elargitori ancora maggiore di prebende. Un sistema di
finanziamento stabile di partiti e fondazioni. Non si può dire che tutto fosse do ut des, ma
un pezzo sicuramente sì.
Va rivisto in questo senso il tema del finanziamento alla politica?
Il tema del finanziamento della politica in Italia è stato affrontato con una logica ipocrita.
Anche l’ultima riforma. Eppure dovrebbe essere uno dei temi centrali nel contrasto al
sistema della corruzione. Invece anche i meccanismi di controllo sono completamente
sganciati rispetto a quelli di controllo tradizionale della corruzione. Se penalmente faccio
un’indagine per corruzione e evidenzio anche il finanziamento illecito, in genere le due
vicende vengono gestite insieme. Nell’attività di prevenzione della corruzione abbiamo
messo in campo un sistema più o meno efficace, ma le parti che riguardano il
finanziamento della politica sono completamente sganciate, come se fossero un’altra
cosa. Sbagliando. Sull’onda del populismo si è eliminato il finanziamento pubblico, si sono
previste delle regole di certificazione e di trasparenza che riguardano il finanziamento
privato ma i meccanismi sono assolutamente ridicoli e risibili. E non tengono conto che
una parte vera del finanziamento comunque non riguarda i partiti. Questi hanno un minimo
di regole di trasparenza e controllo. Non funzionano ma ce l’hanno. Ma ora sono le
fondazioni, le associazioni a svolgere la vera funzione di motore della politica, come
abbiamo visto nelle inchieste. Non vanno assolutamente criminalizzate perché sono
meccanismi di elaborazione culturale, ma dovrebbero avere standard di controllo,
pubblicità e trasparenza quantomeno analoghi a quelli dei partiti, e anche di più.
Sarebbe uno scandalo riaprire il dibattito sul finanziamento pubblico?
Sarebbe assolutamente indispensabile riaprire il discorso con una logica che sia meno
moralista ma anche di grande rigore. Oggi il meccanismo di controllo nei confronti dei
partiti non sta dando nessun risultato e probabilmente non li darà. E ne stanno fuori quelle
realtà che partiti non sono. I sindacati possiamo, ad esempio, continuare a considerarli
realtà assolutamente privatistiche? Soggetti che svolgono un ruolo di elaborazione delle
scelte della politica e che maneggiano molti soldi, devono avere regole di trasparenza
analoghe a quelle che chiediamo al comune. Se un comune dà una sovvenzione di mille
euro a un poveretto la deve mettere sul suo sito, se una fondazione prende una
sovvenzione di 100mila euro e dà una consulenza a un "amico" non deve dirlo a nessuno
……..…
Che fine faranno le grandi cooperative commissariate, come Cpl Concordia e La
Cascina? Quanto possono reggere?
È una situazione provvisoria, che ha la pretesa forse un po’ presuntuosa di provare a un
ritorno in bonis da un punto di vista del rispetto delle regole. Questi commissariamenti
devono anche essere l’occasione per una riflessione sulla governance delle cooperative,
mantenendo il buono che c’era. Consentono di andare avanti per un breve periodo, ma poi
devono tornare in mare aperto, veramente competitive. Ma se il sistema resta così il
rischio è che una volta abbassato il livello di attenzione torneranno a fare quello che,
purtroppo, hanno dimostrato di saper fare…
Queste inchieste, soprattutto in Campania, hanno intaccato anche il mondo
dell’antimafia.
L’antimafia è diventata una sorta di brand, che consente di accedere a una serie di
vantaggi come poter utilizzare i beni confiscati, diventare paladino della legalità e così
anche accedere a rapporti preferenziali con gli enti pubblici. Antimafia come istituzione e
non come attività fatta di atti concreti. Ma mi preoccupa che qualcuno possa darti il bollino
dell’antimafia a prescindere dall’attività. Invece è soprattutto svolgere un ruolo attivo nei
territori, essere di supporto agli imprenditori che denunciano, occuparsi dei beni confiscati
ma in una logica che non è necessariamente di tipo economico. Se dimentica questo può
essere utilizzata anche in una logica speculativa. Un meccanismo istituzionale che ha
consentito carriere politiche, di nascondere affari illeciti. «Tanto io sono antimafia»,
quindilegibus solutus.
Anche per affari con le mafie?
Ricordo che Provenzano aveva capito subito come utilizzare lo scudo dell’antimafia,
quando invitava un imprenditore a iscriversi all’associazione antiracket. Lo abbiamo visto a
Casapesenna dove alcuni imprenditori hanno usato il brand antimafia per provare a ridarsi
una verginità. Ma anche mondi associativi lasciano qualche perplessità, soprattutto gli
ultimi arrivati. Le stesse preoccupazioni che nell’ultimo periodo vengono espresse in modo
esplicito e continuo da don Ciotti, che non è uno che parla a vanvera, sono il segnale che
questo mondo sta diventando sempre più variegato, frastagliato, e in alcuni aspetti ha
perso completamente il carattere di volontariato e di impegno, per diventare tutt’altro.
Quello che conta non è l’affiliazione ma quello che si fa, concretamente. Una riflessione va
fatta, senza voler fare attacchi a nessuno perché io resto dell’idea che l’antimafia sia un
valore positivo, ma proprio perché penso che vada tutelata bisogna avere il coraggio di
mettere in evidenza quello che di negativo sta avvenendo.