Il barone di Bangalore

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Il barone di Bangalore
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INDIA
DOSSIER
Il barone
di Bangalore
REUTERS/CONTRASTO/STRINGER
Sarojini Damodaran Shibulal, per
tutti S.D. Shibulal, fondatore e CEO
della Infosys, colosso indiano
dell’Information Technology.
Cinquantottenne, ha iniziato nel 1981
con 7 dipendenti e 250 dollari di
capitale. Ora ha 155.629 dipendenti,
7 miliardi di dollari di ricavi annui e
un’azienda che ne vale 30, di
miliardi. Ma la crisi si fa sentire
anche a Bangalore.
di Antonio Sansonetti
\ S.D. Shibulal,
fondatore e CEO della
Infosys, durante
l’annuncio dei risultati
finanziari della società
presso la loro sede a
Bangalore.
S
arojini Damodaran Shibulal è un uomo
pacato, dimesso, un velo di bianco su baffi
e capelli, faccia da castoro buono. Non è
un grande comunicatore ma sa essere persuasivo, è paziente e secondo i suoi detrattori un
po’ arrogante. Ha un patrimonio personale di
770 milioni di dollari e sulle sue spalle grava un
peso enorme: guida la Infosys, colosso indiano
dell’Information Technology che dà lavoro a
155.629 persone nelle sue 65 sedi e 74 centri di
sviluppo sparsi in tutto il mondo. La storia della
sua clamorosa ascesa, del suo presente di grandezza e del suo futuro pieno di punti interrogativi è un po’ la metafora dell’economia indiana.
Shibulal nasce otto anni dopo l’indipendenza
dell’India, il 1° Marzo 1955 ad Alappuzha , detta
la “Venezia dell’Est” perché con la sua rete di
canali è la città più turistica del già turistico
Kerala. Uno stato all’estremo sud-ovest dell’In-
numero 48 luglio/agosto 2013
dia che ha tre caratteristiche. È ricco, con un
tasso di alfabetizzazione del 91% (61% nel resto
del Paese). È “rosso”: comunisti e socialisti si
alternano al governo da 60 anni. È tollerante:
induisti (56%), musulmani (24%), cristiani (19%)
convivono pacificamente. Il futuro CEO della
Infosys viene da una famiglia della middle-class
indiana. Figlio unico di un medico ayurvedico
e di una impiegata del fisco, completa la sua
formazione matematica con un master in Fisica
all’università del Kerala. Si perfeziona con un
master in ingegneria informatica che conseguirà alla Boston University nel 1988.
Nel 1979, Shibulal – che all’università ha
conosciuto sua moglie Kumari – si trasferisce
a Pune, vicino Bombay. Qui c’è la sede della
Patni Computer Systems, azienda pioniere
dell’informatica nel Subcontinente, dove il giovane inizia a lavorare come ingegnere.
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DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE
Y La città elettronica:
“Infosys” a Bangalore.
Infosys è una delle
più grandi compagnie
informatiche in India,
ha uffici in 22 stati.
DIRK KRUELL/LAIF/CONTRASTO
Z Infosys deve
fronteggiare la prima
inversione di
tendenza dopo tre
decenni di
espansione continua.
Colpa della crisi e
della competizione
con le Filippine che
sono diventate la
nuova patria
dell’outsourcing.
Alla Patni conosce N.R. Narayana
Murthy, centro di gravità intorno al
quale si coaugula il nucleo originario
della Infosys: sette ingegneri che lavorano tutti alla Patni ma che hanno
l’ambizione di fondare un marchio
indipendente. Le prime riunioni avvengono nel gennaio del 1981. Dopo
qualche mese, i sette fondatori si licenziano dalla Patni e costituiscono
ufficialmente la società Infosys Consultants Pvt Ltd, con un capitale sociale di 10.000 rupie (250 dollari, prestati dalla moglie di Murthy).
Racconta Sudha Murthy che nei
primi quattro anni di vita della Infosys suo marito le chiedeva continuamente soldi in prestito. Ma la pa60
zienza di Sudha, creditrice fiduciosa,
aveva una scadenza: “Ti do tre anni,
Murthy”. Il 1983 è una data importante perché con il primo cliente indiano arriva anche il secondo – questa volta americano – la Data Basics
Corporation di New York. La Infosys
sbaracca da casa Murthy per trovarsi
un piccolo ufficio a Bangalore, la capitale della Silicon Valley indiana.
Il giro di boa arriva nel 1989: la Infosys è in piedi da 8 anni. I suoi fondatori lavorano sui codici di software.
Concentrati più sulla qualità di quello
che fanno che sulla necessità di venderlo. Negli anni del decollo sarà proprio Shibulal “il venditore”, quello che
riuscirà a piazzare il marchio in Oc-
cidente. Per rompere il ghiaccio e superare lo scetticismo porta con sé una
mappa e si presenta così: “Sì, parlo
inglese; sì, siamo l’azienda che fa al
caso vostro; questa è l’Asia, questa è
l’India. E Bangalore è proprio qui.”
Un piccolo corso di geografia per
sgombrare il campo dalle perplessità
di chi vede negli indiani solo un popolo
di fachiri e incantatori di serpenti. Il
primo vero tentativo di entrare nel
mercato americano non va bene e
coincide con la prima seria crisi della
Infosys. Murthy capisce la gravità del
momento e parla chiaro: “Chi vuol lasciare lo faccia pure, io voglio continuare”. Tutti rimangono al suo fianco.
Quell’anno diventa un nuovo inizio.
east european crossroads
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Sono gli anni della crescita in progressione geometrica. Nel 1992 Infosys si quota sul mercato azionario
indiano ed è la prima a offrire pagamenti in stock option ai suoi dipendenti. Nel 1999 è la prima azienda
indiana a entrare nel listino del Nasdaq. I ricavi superano in quell’anno
i 100 milioni di dollari. Arriveranno
a mezzo miliardo nel 2002, un miliardo nel 2004, due miliardi nel
2006, sette miliardi nel 2012.
Un anno prima, nel 2011, Shibulal
è stato nominato Chief Executive Officer della Infosys: è il quarto dei fondatori ad alternarsi in quel ruolo,
dopo Murthy, Nilekani e Gopalakrishnan. Sa che il suo mandato – altra
regola interna – scadrà il 1° marzo
2015, giorno in cui compiendo 60
anni avrà superato il limite di età. È
il minore dei suoi problemi. Deve
fronteggiare la prima inversione di
tendenza dopo tre decenni di espan-
sione continua. Colpa della crisi delle
economie trainanti, colpa delle Filippine che sono diventate la nuova patria dell’outsourcing perché sono più
convenienti dell’India, colpa dell’Infosys che fa fatica a cambiare pelle.
Shibulal ne è consapevole e infatti
ripete: “Quello che ti sta facendo arricchire oggi, non ti farà arricchire domani” oppure “non voglio mai più sentire ‘Infosys’ e ‘conservatrice’ nella
stessa frase”. Ha lanciato l’operazione
“Infosys 3.0”, una scommessa in cui
punta a fare concorrenza a giganti
della consulenza come McKinsey. Intanto uno smacco per l’azienda che
esplose grazie alla Reebok: da qualche
mese Adidas non fa più parte della sua
lista clienti. È sull’orlo di un baratro:
precipiterà o riprenderà a volare? La
sua sfida è quella di tutta l’India: riuscire ad arrivare primi nella competizione globale perché si è i migliori,
senza il “doping” del “low cost”.
DIRK KRUELL/LAIF/CONTRASTO
Si riparte dalle scarpe: la Reebok, il
primo grosso cliente, affida al software
della Infosys la gestione della sua distribuzione in Francia. Sarà il primo
di una lista di grandi marchi: Visa,
Boeing, Cisco, Volkswagen, Adidas,
Abn-Amro, Credit Suisse, Microsoft,
Procter & Gamble, Pfizer.
La parola chiave, che negli anni
Novanta è sulla bocca di tutti i manager, è “outsourcing”, mal tradotta
in italiano con “esternalizzazione”:
l’azienda A appalta all’azienda B funzioni che non sono il suo core-business
e che le costerebbero tempo e assunzioni. Esempio: la casa produttrice di
macchine che si rivolge a una società
di call-center che si occupi del rapporto
con i clienti; il colosso della distribuzione che delega a un’azienda informatica la gestione del management.
L’India diventa l’Eldorado dell’outsourcing perché offre personale altamente qualificato a prezzi molto
bassi. Questo significa: boom nel
Subcontinente, disoccupazione in
Usa ed Europa. L’Infosys è vista come
“l’anima nera” di questo processo che
fa decollare – alleggerendone il carico di costi e posti di lavoro – le
grandi corporation occidentali.
All’alba del world wide web, che
centuplicherà le opportunità per i
sette nerd di Bangalore, Shibulal vive
negli Stati Uniti. Anche lui come Steve
Jobs lascia l’azienda che aveva fondato per poi tornarci. Dal 1991 al 1996
passa alla californiana Sun Microsystems (vi dice niente la parola Java?).
Qui crea il primo prodotto di e-commerce. Un’esperienza che porterà alla
casa madre, dove viene riaccolto
come capo della divisione Internet.
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