India - TOAssociati
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India - TOAssociati
All’alba di un nuovo mondo Tratto da Qui Touring novembre 2007 Da Bangalore a Hayderabad, Delhi e Calcutta, il vento della rivoluzione tecnologica cambia a velocità impressionante la fisionomia di megalopoli un tempo note solo per la povertà degli abitanti. Non senza generare forti squilibri sociali. "Qui a Bangalore stanno mettendo in discussione il principio di incompenetrabilità dei corpi. Sorridendo, Guido - informatico statunitense di origini italiane che fa il pendolare tra il New Jersey e la Silicon Valley indiana – commenta provocatoriamente lo stile di guida del nostro autista mentre ci allontaniamo dall'aeroporto: clacson alla mano, cerca di insinuare il suo polveroso bolide dovunque si manifesti un pertugio. "Non è il frutto di un software innovativo ma è un sistema efficiente, pur richiedendo anni di allenamento. Ecco perché alcuni colleghi appassionati di teoria del caos - prosegue studiano il 'modello Bangalore' per vedere se può essere utile nel decongestionare le metropoli occidentali", Benvenuti a Bangalore, nota un tempo per essere anche un piacevole luogo di villeggiatura, oggi paradigma del nuovo miracolo economico indiano e del boom del settore informatico che, nel volgere di qualche anno, ha cambiato - per sempre e a velocità impressionante - il volto dell'India urbana. Il settore informatico, il primo a svilupparsi, ha fatto da traino al boom dell'edilizia privata, delle biotecnologie, della Borsa, della finanza e dei servizi. L'accesso al credito laureati che parlano inglese, si sentono parte del mercato globale e beneficiano di una grande familiarità con internet. Nella sola Bangalore hanno sede adesso circa cinquecento società straniere, tra cui Hewlett-Packard, Dell, Ibm e Accenture. E l'anno scorso hanno investito in loco, per più di un miliardo di dollari, Cisco (che ha annunciato la creazione di un nuovo centro con seimila posti di lavoro) e Intel. I tecnici indiani si sono dimostrati preziosi anche nello sviluppo del nuovo sistema operativo Vista, tanto che la stessa Microsoft ha aperto a Hyderabad, altro santuario dell'informatica indiana, un centro di ricerca: il terzo, dopo quello americano e quello cinese. E Hyderabad, cattedrale informatica nel deserto economico dell'Andhra Pradesh, è stata l'altra protagonista del grande salto dal medioevo al futuro. Un futuro fatto di palazzi dalle grandi vetrate azzurre in cui si riflette, sempre più lontano, il volto del Paese com'era fino a un attimo fa. L'India che abbiamo immaginato o sognato leggendo Dominique Lapierre o Narayan, l'India di Madre Teresa o di Allen Ginsberg, decisamente non abita più qui. E non abita più nemmeno a Calcutta, la "nuova" Calcutta inventata dall'ex governatore del Bengala Buddhadeb Bhattacharya: una megalopoli in cui ti ritrovi d'un tratto immerso dentro a una selva di tangenziali e sopraelevate che sovrastano centri commerciali, tra foreste di nuovi grattacieli che rimpiazzano le vecchie case coloniali circondate dai giardini lasciate in eredità dagli inglesi. Gli slum non esistono più, al loro posto sorgono file e file di caseggiati di appartamenti e i monumenti cittadini sono in restauro. Non più (o almeno non in bella vista) gente che vive sulla strada, non più traffico selvaggio, niente più black-out, niente più città paralizzata dalla pioggia. Ma soprattutto, Bhattacharya ha regalato a Calcutta credibilità sul mercato economico interno e internazionale, è riuscito ad attirare investimenti esteri e a creare le fondamenta per uno sviluppo che, secondo le previsioni di molti, dovrebbero portare la metropoli e lo Stato a diventare, nel prossimo futuro, uno dei cardini dell'economia indiana: nella cittadina satellite di Salt Lake City, per esempio, si trovano i campus di ricerca di Ibm, Philips e Siemens. I gruppi industriali stranieri, ma anche gli indianissimi Tata e Ambani, fanno la Bla per investire da queste parti. Perché poco distante sta sorgendo il fiore all'occhiello di Bhattacharya: Rajarhat. Qui, dove i terreni hanno già raggiunto prezzi proibitivi, sta per sorgere il nuovo campus del gigante informatico Infosys. Sempre a Rajarhat sorgeranno l'Indian insanite of technology, vivaio di cervelli e di forza lavoro per il polo informatico, e anche un nuovissimo ospedale: il Tata medicai center. A Rajarhat, a Salt Lake City e nei nuovi quartieri residenziali che spuntano come funghi attorno alla metropoli, ci sono piscine e giardini pensili, le costruzioni hanno colori pastello usciti dalla tavolozza di un bambino, ci sono luce e acqua corrente tutto l'anno, ventiquattro ore su ventiquattro. Stesso quadro a Gurgaon, a venti chilometri da Delhi, villaggio trasformato con un colpo di tecnologica bacchetta magica in un lembo d'America o di Hong Kong. Schiere di palazzi dai colori rosati come quinte teatrali, shopping mali splendenti di luci, marmi, specchi e schermi al plasma. Le vendite al dettaglio sono cresciute negli ultimi anni quasi del doppio, e in gran parte grazie alla costruzione, un po' dappertutto, di nuovi, faraonici e scintillanti centri commerciali di ispirazione, più che europea, texana. A Gurgaon si respira aria condizionata tutto l'anno, si balla al ritmo delle ultime hit di New York, si mangia europeo, si guardano Mtv e Sex and the City. A Gurgaon hanno aperto sedi, tanto per fare un po' di nomi, Generai Motors, Honda, Coca-Cola, Nestlé, Gillette, Alcatel. E altri ancora arriveranno. Si fa la fila, intanto, per investire a Greater Noida, altra città satellite alle porte di Delhi. A differenza delle altre è stata pensata e pianificata per potersi confrontare con Hong Kong e Singapore. Nasce già dotata di infrastrutture, ospedali, scuole. E, soprattutto, di reti idriche ed elettriche adeguate e di strutture per lo smaltimento di rifiuti. Greater Noida, metropoli indiana del futuro, è interamente cablata. Case e uffici sono immersi nel verde; pulizia e ordine regnano sovrani. C'è perfino silenzio, la mercé più rara da trovare in una città del subcontinente. Ma non è tutto oro ciò che luccica e si riflette nei grandi palazzi dalle vetrate a specchio. È vero che i nuovi posti di lavoro e i tagli alle imposte sul reddito hanno creato una nuova, ricca, media borghesia con aspirazioni, idee e modi di vita tipicamente occidentali. Il precedente governo, però, che aveva basato la sua campagna elettorale del 2004 proprio sullo slogan "India shining", su questo splendere dell'India urbana, ha perso le elezioni. E soltanto uno striminzito dieci per cento della popolazione, difatti, che di questo luccicare ha beneficiato e continua a beneficiare. Se giri l'angolo, se vai sui cantieri degli edifici e delle infrastrutture in costruzione, dietro ai viadotti avveniristici e agli edifici scintillanti, il Paese di un tempo rispunta prepotente. L'India dei più, quella che non brilla e non splende e che è lontana dall'India del boom più che da New York, pur vivendo nella strada accanto. O, magari, sul bordo della strada. Come accade per la nuova tangenziale a sei corsie che collegherà in venti minuti Greater Noida a Delhi: accanto a scavatrici e mezzi moderni, manovali con uno straccio intorno ai fianchi e un elmetto giocattolo di plastica gialla, scalzi, scavano la terra con la pala e la trasportano in cesti alzati sulla testa. Donne coi sari colorati spostano contenitori pieni di cemento mescolato da uomini seminudi. E incredibile che qualcosa di così moderno si costruisca in così poco tempo e con mezzi così primitivi. Del resto, se gli Egizi hanno realizzato le piramidi, è anche possibile che una folla di sconosciuti operai indiani contribuisca a costruire una moderna cattedrale a sei o otto corsie che un giorno, forse, porterà proprio i loro figli al lavoro. Dentro a uno dei tanti palazzi a specchio, magari, senza restare sul bordo della strada