Briciole dal pianeta carcere - Centro Francescano di Ascolto

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Briciole dal pianeta carcere - 2005 n.2
CARCERI PRIVATE
di Stefania Medetti
(da D di Repubblica del 19.3.2005)
Il suo cliente è la paura. Su quella, prospera la correction industry degli Stati Uniti, dove
negli ultimi vent'anni sono cresciute vere e proprie multinazionali del controllo carcerario.
Ma il metodo americano convince anche altrove e sono sempre di più gli Stati che appaltano
il sistema correzionale ai privati, Europa inclusa e civilissima Francia in testa. Proprio in
Francia, secondo l'Observatoire international des prisons (Oip), la percentuale di detenuti
rinchiusi in strutture private o semi private supera quella statunitense. Le stime sono più
che credibili, visto che l'Oip è fra le associazioni usate per consulenze dall'Onu. Francois
Carlier, supervisore ricerche dell'Oip, elenca: "Siamo arrivati a una media del 30% sul
totale, mentre negli Stati Uniti è il 6,5% e in Gran Bretagna il 9,3%. E con le nuove prigioni
volute ora da Chirac, che saranno pronte nei prossimi cinque anni, arriveremo a 30 mila
posti, ovvero il 50% della popolazione carceraria totale".
Non tutti i Paesi, fortunatamente, arrivano a numeri e percentuali analoghe, e chi, negli
Stati Uniti, aveva pronosticato un'esplosione del fenomeno, è stato almeno in parte
smentito. Ora, però, questo business punta al mercato globale. Secondo Michael Welch,
professore di Criminologia alla Rutgers University di New Brunswick, in New Jersey, "per
capire cosa sta succedendo bisogna pensare in termini di mercati liberi, quindi di spazi da
conquistare. Per l'industria carceraria privata, Europa, Africa e Asia sono aree sempre più
interessanti". Così, mentre il sogno commerciale di dominare le "piazze" interne non si è
realizzato, e la crisi economica non ha risparmiato neppure chi puntava sulla voglia
crescente di "isolare" il pericolo, la possibilità di sfruttare i mercati esteri fa sì che il
mercato delle prigioni ritrovi vitalità e interesse.
Prima fra tutte, la Corrections corporation of America (CcA), nata nel 1983 con i soldi degli
stessi finanziatori della Kentucky fried chicken, pur avendo scelto di giocare molto in casa,
negli Usa, ha ora aperto la Corrections corporation of Australia: e la filiale gestisce un
mercato considerevole, visto che il 17,8% dei carcerati è rinchiuso in strutture private. Poi
viene la multinazionale francese del catering Sodexho (di recente vittima di uno sciopero
del consumo in mensa promosso nei college e nelle università americane), che pur avendo di
recente ceduto le sue quote di maggioranza della CcA a una società controllata, opera
sempre molto nel settore, soprattutto fuori dagli Stati Uniti. In particolare, oltre ad avere
carceri in Gran Bretagna e Australia, offre servizi di gestione - ma non di custodia - in
Francia, dove la legge non consente l'uso di personale penitenziario privato. E ha tre nuovi
contratti in Cile, che si aggiungono a quelli per le forniture alimentari delle prigioni in
Spagna, Paesi Bassi e Portogallo. Seguono altri tre grossi gruppi. L'americana Geo group,
che gestisce la base di Guantanamo, e ha 69 centri sparsi fra Stati Uniti, Gran Bretagna,
Nuova Zelanda, Australia e Canada. Nel maggio 2003 ha totalizzato più di 43 mila posti
letto e oltre 11 mila dipendenti. La danese Group 4 Securicor è attiva in 108 Paesi. La si
distingue per la sigla "Global solu-tions", con la quale cura tutto ciò che riguarda la
carcerazione. La Serco, infine, presidia la Gran Bretagna attraverso la controllata Premier
prisons, ma vanta contratti anche in Nord America, Medio Oriente, Asia ed Europa. Ha
avuto la prima assegnazione in Germania, nazione da poco convertita al privato. Da Bonn, il
direttore locale della Serco, John Rusling, spiega: "Qui non sono permessi servizi di
sicurezza privati. Noi forniremo tutto il resto, dal catering all'amministrazione, dalla
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videosorveglianza al lavoro per i detenuti, in partnership con imprese manifatturiere". La
prigione di Hunfeld, annuncia il manager, sarà operativa dal 2006 e ospiterà 502 carcerati.
Grazie alla prevalente cultura del controllo, che influenza il sistema della giustizia dando
importanza più alle conseguenze che alle cause di un crimine, non si può certo dire che alla
correction industry manchi la "materia prima". Secondo Dario Molossi, che insegna
Criminologia all'università di Bologna, "nel mondo non si era mai visto un aumento delle
carcerazioni così vertiginoso. Solo negli Stati Uniti, negli ultimi tren-t'anni, sono aumentate
di sette volte". Nell'aprile 2003, infatti, gli States hanno raggiunto la cifra record di due
milioni di carcerati sui nove milioni che sono in cella in tutto il pianeta. Secondo statistiche
recenti, ogni 100 mila americani, 700 sono dietro le sbarre. Catherine Ellies dirige la
Criminal Justice Task Force dell'American Legislative Exchange Council, una fra le lobby
più potenti degli Stati Uniti, finanziata dai principali magnati del correctional business. La
dirigente non ha dubbi: "Senza prigioni private", dice, "si potrebbero fare solo due cose: o
costruire nuove carceri pubbliche, che però peserebbero sul bilancio del Paese, oppure
scarcerare in anticipo i detenuti, mettendo in pericolo la sicurezza dei cittadini. La
privatizzazione è la soluzione del dilemma". Secondo le stime del 2001, i detenuti costano ai
contribuenti americani più di 56 miliardi di dollari l'anno, circa 250 dollari a cittadino.
Il giornalista Stephen Nathan studia il settore da ventidue anni ed è autore della
newsletter bimestrale Prison privatisation report international, pubblicata dalla Greenwich
University. A suo parere, l'idea del risparmio è una favola. "Davvero lo Stato non ha i soldi
per costruire prigioni e ritiene che la privatizzazione sia più economica?", chiede polemico.
E poi spiega: "I privati devono ricavare comunque un guadagno dall'impresa e questo al
contribuente costa inevitabilmente di più". Ma c'è dell'altro. "La verità", fa notare il
professor Welch, "è che dal 1978 l'incremento del numero di carcerati negli Stati Uniti è
legato alla detenzione di persone che non hanno commesso crimini violenti. Oggi sono oltre
un milione su 295 milioni di cittadini. L'Unione Europea, che ha 370 milioni di abitanti, ha
300 mila carcerati in tutto".
La percezione della realtà da parte dei cittadini è pesantemente influenzata dai mezzi di
comunicazione: le statistiche dimostrano infatti che semmai il livello di criminalità è in calo.
"Alla fine", osserva Melossi, "prevale la volontà politica, che porta a un aumento delle
carcerazioni". Catherine Ellies tiene a distinguere: "È lo Stato", dice, "che decide i termini
delle carcerazioni, mentre le prigioni private si limitano a fornire un servizio vincolato da un
contratto. Quando una prigione è costruita bene, e i detenuti sono trattati con equità, che
importanza ha chi sia il carceriere e per quali motivi lo faccia? C'è un evidente vantaggio
per la collettività: ottenere il miglior servizio al prezzo più conveniente è l'obiettivo, e chi
paga le tasse vi dirà che non gli importa se un ente pubblico o privato fornisce il servizio".
Judy Greene, fondatrice di Justice Strategies, un'organizzazione che informa i legislatori
sugli istituti di detenzione, non è però d'accordo: "A vent'anni di distanza, lo vediamo
chiaramente: le prigioni pubbliche sono entrate in competizione con quelle private. Per avere
contratti federali, gli sceriffi e gli amministratori delle prigioni locali hanno imparato da
quelle private a speculare: cercano fondi, aumentano la capienza, fanno "shopping" di
detenuti per diventare sempre più grandi".
È stato nei Paesi di lingua anglosassone che la correction Industry ha messo le prime radici:
Gran Bretagna, Australia, Sud Africa. E Nuova Zelanda, dove però, nel maggio dello scorso
anno, il governo ha votato una legge in base alla quale il servizio di carcerazione può fare
capo solo allo Stato. In Gran Bretagna, invece, la nuova frontiera della detenzione è
rappresentata dai centri per immigrati: e quasi tutti sono gestiti da imprese private. Dai
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250 detenuti del 1993, si è passati agli oltre 2.600 di oggi, e il governo prevede di
aumentare ulteriormente la capienza delle strutture. "L'industria", commenta il professor
Welch, "ha già capito che quello dell'immigrazione è un settore ancora più redditizio. Negli
Stati Uniti, il mantenimento di un detenuto di una prigione locale costa in media 44 dollari al
giorno, ma quando si tratta di un rifugiato si arriva a 88 dollari". Anche in Italia, dove i
Centri di permanenza temporanea (Cpt) gestiti da Caritas, Croce rossa e Confraternita
della Misericordia, percepiscono da 27 a 88 euro per persona al giorno a seconda dei
contratti, i punti di contatto con l'industria carceraria sono molti. Angela Oriti, consulente
legale di Medici senza frontiere in Italia, ha scritto un rapporto sull'argomento. E spiega:
"II sistema della detenzione amministrativa, che funziona da cinque anni, è diventato
un'estensione del carcere giudiziario. La totale chiusura di queste strutture al mondo
esterno, e l'alto numero di casi di autolesionismo, dimostrano come i Cpt siano a volte ben
peggiori del regime carcerario".
Tornando al Paese che ha inventato la correction industry, si scopre che il business della
galera premia anche le amministrazioni locali. "Le aree rurali", sottolinea il professor
Welch, "non esitano a offrire terreni e incentivi economici e fiscali alle imprese del
settore: l'industria delle prigioni non inquina, non conosce crisi e ha un impatto positivo sui
tassi di disoccupazione, stimando in due punti percentuali il numero di persone che impiega.
Inoltre, alimenta l'indotto dei servizi: centri commerciali, ristoranti e motel, che, a loro
volta, accrescono la base fiscale". Elaine Bailey, direttore dello sviluppo di Premier
Custodial Group a Londra, in passato lavorava nelle prigioni pubbliche. E difende il privato.
"Ci si dimentica che la differenza è la qualità del servizio. L'attenzione, infatti, deve essere
focalizzata sul prigioniero. Il contratto è molto esigente. Noi offriamo molti programmi di
riabilitazione e siamo sempre monitorati dai nostri clienti. Quanto al profitto, in realtà è
modesto. In media, si aggira fra il 5 e 1'8% lordi". Secondo Justice Strategies e Judy
Greene, la realtà è molto diversa. "Nelle carceri private", spiega, "il livello di violenza è
molto più alto. sia fra i detenuti che fra loro e il personale".
Nel capitolo "programmi di riabilitazione", poi, sono inclusi i contratti con le industrie che
usano il lavoro dei carcerati. La Bailey vede la cosa molto positivamente: "I detenuti", dice,
"possono lavorare, guadagnare, imparare delle professioni riqualificanti per il loro ritorno
nella società". Qualche cifra in proposito. Fra i principali fornitori dell'amministrazione
statunitense c'è la Federal Prisons Industries (Fip), azienda governativa che ha oltre 20
mila carcerati alle proprie dipendenze, distribuiti in più di 100 fabbriche. Fondata nel 1934
dal presidente Franklin Delano Rooseveft, la Fip, anche nota con il nome commerciale di
Unicor, ha chiuso il 2003 con un giro d'affari di 667 milioni di dollari abbondanti.
I detenuti producono mobili da ufficio, recinzioni e abiti da lavoro (comprese le divise della
polizia e dell'esercito), e anche componenti per missili e armi, Sono pagati fra i 23
centesimi e il dollaro e 15 centesimi l'ora: il 6% del bilancio della Fip. Commenta il professor
Welch: "L'effetto è che stanno più "tranquilli", ma i soldi servono appena per uno snack o
una bibita". Va meglio ai detenuti francesi, che guadagnano fra uno e tre euro l'ora, pur non
avendo diritto ad avere un sindacato. Quanto all'Italia, il ministero della Giustizia sia
valutando il da farsi. Il governo ha comunque in programma la ristrutturazione e la
costruzione di nuove carceri, attrezzate per il lavoro dei detenuti. La vera novità, però, è
rappresentata dalla costituzione di Dike Aedifica Spa, una società che si occupa di
realizzare programmi di edilizia carceraria attraverso la dismissione dell'edilizia
penitenziaria storica, e tramite lo strumento del leasing finanziario. Presieduta da Adriano
De Maio, rettore dell'Università Luiss di Roma, Dike Aedifica vanta nel proprio Consiglio di
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amministrazione anche Vico Valassi, già presidente dell'Associazione nazionale costrut-tori
edili. Per Patrizio Gonnella, coordinatore nazionale dell'associazione per i diritti e le
garanzie nel sistema penale Antigone, resistenza di questa società edilizia "è una sorta di
embrione di quanto già avviene all'estero". Ma il ministero smentisce ogni ipotesi di
privatizzazione. Intanto, in Europa, la tradizione anglosassone dei Centri di detenzione
conquista nuovi Paesi. Sia Germania che Danimarca stanno valutando la possibilità di
costruire strutture semiprivate, formula che raccoglie sempre più consensi. "La tendenza",
dice John Rusling della Serco di Bonn, "è costruire prigioni con fondi privati, da gestire poi
insieme al settore pubblico nei mercati in cui i servizi di custodia non possono essere
appaltati".
Anche il governo Irlandese sta spingendo per la privatizzazione: sono già state approvate
leggi che aprono al mercato i servizi di trasporto dei prigionieri.
"Il problema", osserva il ricercatore dell'Oip, Fracois Carlier, "è che ormai è diventato
automatico appoggiarsi a questo tipo di strutture. Lo ha fatto anche Jospin, nel 1998, quindi
non c'è più differenza tra governi di destra e di sinistra". Anzi, negli Stati Uniti, sono
paradossalmente proprio i democratici a mostrarsi particolarmente interessati alla politica
delle reclusioni. Spiega Judy Greene: "Sembra proprio che i democratici non possano
permettersi di apparire liberali sul tema della criminalità, mentre i repubblicani. pur senza
voler intaccare l'istituzione delle carceri private, sostengono anche politiche a favore di
comunità alternative al carcere".
Il resto del mondo non sta a guardare, Israele sta investendo risorse in studi di fattibilità
di carceri private. Il Cile ha siglato un accordo con un consorzio privato per la costruzione e
gestione di dieci nuove prigioni, per una capienza di 16 mila posti. Bas, che ha vinto uno dei
primi contratti, è una cordata formata, oltre che da un'impresa di costruzioni locali, anche
dalla francese Sodexho e dall'italiana Torno Engeneering Group. Secondo il ministero della
Giustizia cileno, le prigioni private sono un buon affare; anche se ogni detenuto costerà un
poco di più dei nove dollari al giorno delle prigioni pubbliche, saranno forniti servizi
aggiuntivi come le uniformi, il servizio lavanderia e un catering migliore. Oltre a un profitto
del 12% per gli investitori. Il Giappone, infine, dopo aver dato il via a un primo progetto per
una struttura semi-privata da mille posti, ha chiesto alla Price Waterhouse Cooper uno
studio per una seconda struttura. "Ma prima di costruire nuove prigioni, siano pubbliche o
private", riflette il giornalista Stephen Nathan, "bisognerebbe tarsi una domanda
fondamentale: perché mandiamo tanta gente in carcere, ogni anno?".
"Gerace, Calabria.
Carcere per piccoli"
di Giuliano Santoro (da Carta n. 11)
Correva l'anno 1975, quando nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli morì bruciata
nel letto dov'era legata Antonia Bernardini. I direttori del manicomio giudiziario di Aversa
e Napoli, furono entrambi accusati delle gravi violazioni dei diritti dei astenuti. Condannati
in primo grado, furono assolti in appello dalle accuse che erano state loro mosse. Ciò non
riuscì a placare i rimorsi dei due dirigenti che si suicidarono. Da allora, grazie alla riforma
dell'ordinamento penitenziario del 1975 e alla legge Basaglia, i manicomi sono stati
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rimpiazzati da struttura chiamate "ospedali psichiatrici giudiziari". Nacquero per
rispondere ad un bisogno dì accoglienza e trattamento medico. Tuttavia, queste strutture
hanno mantenuto l'organizzazione penitenziaria. Gli addetti ai lavori sanno che l'ospedale
psichiatrico giudiziario è ormai un'istituzione superata.
Queste strutture non sono entrate ne nei cambiamenti normativi della 180, e neppure nelle
riforme che riguardano i detenuti, come la legge Gozzini. Occorre proporre delle
alternative nuove per la gestione dalla categoria dei "prosciolti", come nel gergo giuridico si
definisce chi commette un reato ma è giudicato "incapace di intendere e di volere", e quindi
"non punibile".
La necessità è quella di superare ogni confusione, tra detenzione e cura, che hanno
accompagnato il manicomio giudiziario fìn dalla sua origine. Non è così per l'amministrazione
penitenziaria e per il ministero della giustizia, che ha progettato di aprire nuovi ospedali
psichiatrici giudiziari, in aggiunta alle sei strutture ancora attive in Italia.
E così nel manicomio criminale di Castiglione delle Stiviere, vicino Mantova, è stata da poco
creata una "comunità psichiatrica protetta per minori", mentre in Sardegna, grazie
all'immediata mobilitazione del Forum per la salute mentale, è stato da poco revocato il
provvedimento, preso dal precedente assessorato alla salute, che prevedeva la costruzione
di una struttura da cento posti "per la cura e la custodia giudiziaria dei malati psichiatrici".
Nerina Dirindin, neoassessore alla sanità della giunta di Renato Soro, ha negato
l'autorizzazione che era stata concessa dal suo predecessore, affermando che non c'è
bisogno di custodia giudiziaria dei malati psichiatrici".
"La legge Basaglia non è applicabile"
Adesso, il Forum per la salute mentale ha lanciato un altro allarme. A Gerace, alle pendici
dell'Aspromonte, si vorrebbe costruire un ospedale psichiatrico giudiziario per minori, da
ottanta posti. Un documento firmato dal ministero della giustizia, dal dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria e dal provveditorato calabrese afferma esplicitamente
che "i principi e metodi della legge Basaglia non sono estendibili ai manicomi giudiziari", e
parla di "conciliare l'attività sanitaria con l'esigenza custodiale". Chi conosce gli "ospedali
psichiatrici giudiziari" sa che si tratta di un carcere per minori, con sbarre, agenti e celle.
Lo sa bene Giovanna Del Giudice, che è direttore del dipartimento di salute mentale di
Aversa e portavoce del Forum nazionale sulla salute mentale. Nel 1972 si era appena
laureata in medicina, e stava a Trieste con Franco Basaglia. Oggi continua la battaglia per il
riconoscimento della dignità dei malati psichiatrici e il loro ritorno alla vita dopo anni di
internamento e di violenze. "Parlano di custodia attenuata e di integrazione con le comunità
locali, ma di fatto stanno aprendo nuove carceri - ci spiega - Dicono che a Gerace verranno
trasferiti alcuni degli internati all'ospedale psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, ma
sappiamo che non è così. Saranno posti aggiuntivi. L'indirizzo è quello di recludere e non
curare, o supportare chi ne ha bisogno nella propria comunità locale. Il progetto di Gerace,
poi, parla di collaborazione con l'università. Ma sappiamo bene che l'università è abituata a
studiare i pazienti in situazioni chiuse e non in un contesto più ampio, che tiene conto di una
situazione sociale". "Il Forum sulla salute mentale ha chiesto ai candidati alla presidenza
della Calabria di pronunciarsi sul progetto di Gerace, per adesso abbiamo raccolto il
sostegno del sindaco di Cosenza Eva Catizone e del suo assessore Franco Piperno - continua
Del Giudice - Come è capitato altre volte, i sostenitori del progetto fanno leva sul fatto che
l'ospedale creerebbe nuovi posti di lavoro". È proprio per questo motivo che il sindaco di
Gerace, Salvatore Galluzzo, ha steso i tappeti rossi, mentre monsignor Giancarlo Brigantini,
vescovo di Locri e Gerace, e molto attento alle questioni sociali, in un primo momento ha
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sottolineato l'importanza di sottrarre un'area al degrado.
A colloquio con il vescovo di Locri
"L'ospedale psichiatrico per minori dovrebbe sorgere in un,complesso che doveva ospitare
un centro geriatrico, che non è mai stato completato ed è abbandonato da dieci anni",
racconta Del Giudice. In Calabria il senso di appartenenza alla famiglia è ancora forte, e i
calabresi curano i loro anziani in casa e raramente si affidano a strutture esterne. Il
vescovo, tuttavia, dopo un primo colloquio informale con i rappresentanti del Forum ha preso
atto dell'opposizione contro il progetto di governo e regione. La partita, insomma, è ancora
in piedi. "Offrendo servizi qualificati è possibile fornire un'alternativa alla detenzione dice ancora Giovanna Del Giudice - Noi ad Aversa siamo riusciti a tirare fuori dall'ospedale
tredici persone, anche giudicate colpevoli di reati gravi. Oltre a combattere una a battaglia
di principi, credo che si debba essere pragmatici e capire cosa si può fare caso per caso. Poi
arriveremo a un nocciolo duro e bisognerà spingere per superare quegli istituti, che si
portano dentro una violenza inaudita. Oggi anche i sostenitori dell'utilità degli ospedali
psichiatrici giudiziari ammettono che un terzo dei detenuti nei sei istituti italiani hanno una
pericolosità sociale evanescente".
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