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ASIA
E PACIFICO
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I PAESI
Afghanistan
Australia
Bangladesh
Brunei Darussalam
Cambogia
Cina
Corea del Nord
Corea del Sud
Filippine
Figi
Giappone
India
Indonesia
Laos
Maldive
Malesia
Mongolia
Myanmar
Nauru
Nepal
Nuova Zelanda
Pakistan
Papua Nuova Guinea
Singapore
Sri Lanka
Taiwan
Thailandia
Timor Est
Vietnam
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Panoramica regionale su
Asia e Pacifico
La regione Asia e Pacifico copre la metà del mondo e contiene più di metà della sua popolazione, in
gran parte giovani. Per anni, la regione è cresciuta in forza politica ed economica e sta rapidamente
modificando l’orientamento del potere e della ricchezza globali. Cina e Stati Uniti si disputano
l’influenza a livello mondiale. Sono state significative anche le dinamiche tra le grandi potenze della
regione, come tra l’India e la Cina e l’Asean. Le tendenze in materia di diritti umani devono essere
lette in questo contesto.
Nonostante alcuni sviluppi positivi nel 2014, tra cui le elezioni di alcuni governi che hanno promesso
miglioramenti nel campo dei diritti umani, la tendenza generale è stata regressiva a causa di
impunità, continua disparità di trattamento e violenza contro le donne, ricorso alla tortura e uso della
pena di morte, repressione delle libertà d’espressione e di riunione, pressioni sulla società civile e
minacce contro difensori dei diritti umani e operatori dell’informazione. Ci sono stati preoccupanti
segnali di una crescente intolleranza e discriminazione religiosa ed etnica con la complicità delle autorità o con la loro mancata adozione di misure per combatterle. In alcune parti della regione, i
conflitti armati sono continuati, in particolare in Afghanistan, nelle aree tribali di amministrazione
federale (Federally Administered Tribal Areas – Fata) del Pakistan e in Myanmar e Thailandia.
Le Nazioni Unite hanno reso pubblico un rapporto completo sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord), che ha fornito dettagli sulle violazioni sistematiche di quasi tutta l’intera gamma dei diritti umani. Centinaia di migliaia di persone hanno
continuato a essere detenute in campi di prigionia e in altre strutture di detenzione, molte senza
essere né accusate né processate per reati riconosciuti a livello internazionale. A fine anno, queste
preoccupazioni sono state riconosciute dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e discusse nel
Consiglio di sicurezza.
Rifugiati e richiedenti asilo hanno continuato ad affrontare significative difficoltà. Diversi paesi,
come la Malesia e l’Australia, hanno violato il divieto internazionale di refoulement, rimandando forzatamente rifugiati e richiedenti asilo verso paesi in cui hanno subito gravi violazioni dei diritti
umani.
Vari paesi della regione hanno continuato a infliggere la pena di morte. A dicembre, un attacco guidato
da talebani pakistani contro la scuola militare pubblica di Peshawar ha provocato 149 morti, tra cui
134 bambini: l’attacco terroristico più letale nella storia del Pakistan. Per tutta risposta, il governo ha
revocato la moratoria e ha rapidamente eseguito le condanne a morte di sette uomini, già condannati
per altri reati connessi al terrorismo. Il primo ministro ha annunciato di voler far processare i sospettati
di terrorismo nei tribunali militari, aumentando così le preoccupazioni sull’equità processuale.
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L’omosessualità è rimasta reato in diversi paesi della regione. In India, la Corte suprema ha concesso
il riconoscimento legale alle persone transgender e in Malesia la corte d’appello ha dichiarato incostituzionale la legge che rendeva illegale il travestitismo. Tuttavia, non sono cessate le segnalazioni
di molestie e violenze contro le persone transgender.
Un aspetto positivo è stato l’aumento dell’attivismo tra i giovani, collegati da tecnologie di comunicazione più accessibili. Tuttavia, a fronte delle rivendicazioni dei loro diritti, le autorità di molti paesi
hanno fatto ricorso a restrizioni alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica e hanno
tentato di indebolire la società civile.
AUMENTO DELL’ATTIVISMO
Il 2014 ha visto crescere l’attivismo nella regione, grazie alla rivendicazione dei diritti da parte della
popolazione più giovane, collegata da tecnologie di comunicazione a prezzi accessibili e in virtù
dell’uso dei social media; spesso le donne sono state in prima linea.
Le elezioni hanno fornito alle persone lo spazio per dar voce alle loro rimostranze ed esigere cambiamenti.
In Indonesia, le elezioni di luglio hanno portato al potere Joko Widodo, che durante la campagna
elettorale aveva promesso di migliorare la situazione dei diritti umani. Nelle Isole Figi, le elezioni pacifiche svoltesi a settembre, le prime dal colpo di stato militare del 2006, sono state precedute da un
forte dibattito della società e sui mezzi d’informazione, nonostante le continue limitazioni alla libertà
d’espressione. A fine 2014, un anno dopo le elezioni e le manifestazioni di massa in Cambogia, le
proteste pacifiche nella capitale Phnom Penh erano divenute un evento quasi quotidiano.
Attivisti e difensori dei diritti umani si sono sempre più uniti nel chiamare i governi a rendere conto
del loro operato. A febbraio, nel Myanmar, i membri della comunità michaungkan hanno ripreso il sitin di protesta davanti al municipio di Yangon, dopo che le autorità non avevano risolto la disputa
sulla terra che li vedeva coinvolti.
Sempre più attivisti per i diritti umani hanno rivolto lo sguardo alla scena internazionale per ottenere
sostegno. Le autorità vietnamite hanno permesso ad Amnesty International di visitare il paese per la
prima volta in più di 20 anni. Anche se si sono formati diversi nuovi gruppi e gli attivisti hanno
esercitato sempre più spesso il diritto alla libertà d’espressione, hanno continuato a subire una
rigida censura e dure punizioni. Nonostante il rilascio anticipato di sei dissidenti ad aprile e giugno,
almeno 60 prigionieri di coscienza sono rimasti in carcere.
A Hong Kong, migliaia di manifestanti, prevalentemente guidati da studenti, sono scesi in piazza a
partire da settembre per chiedere il suffragio universale. Più di 100 attivisti sono stati successivamente
arrestati in Cina per aver sostenuto i manifestanti di Hong Kong e, a fine anno, 31 erano ancora in
detenzione.
REPRESSIONE DEL DISSENSO
Di fronte all’aumento dell’attivismo, le autorità di molti paesi hanno reagito imponendo restrizioni
alla libertà d’espressione e di riunione pacifica. In Cina, il giro di vite sull’attivismo per i diritti si è
intensificato durante l’anno. Persone associate a una rete diffusa di attivisti chiamata Movimento
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dei nuovi cittadini sono state condannate a periodi di reclusione tra i due e i sei anni e mezzo.
L’attivista per i diritti umani Cao Shunli è morta in ospedale a marzo, dopo che in carcere le erano
state negate cure mediche adeguate.
In Corea del Nord non è stata rilevata la presenza di organizzazioni della società civile, giornali o
partiti politici indipendenti. I cittadini nordcoreani potevano essere perquisiti dalle autorità e puniti
se ascoltavano, guardavano o leggevano materiali provenienti dalla stampa estera.
Le forze militari e di sicurezza hanno fatto uso eccessivo della forza per reprimere ulteriormente il
dissenso. In risposta alle proteste pacifiche in Cambogia, a gennaio le forze di sicurezza hanno fatto
uso eccessivo della forza, sparando contro i manifestanti munizioni vere e uccidendo lavoratori tessili
che protestavano. Attivisti per il diritto all’alloggio sono stati incarcerati per aver protestato pacificamente. In Thailandia, il colpo di stato di maggio e l’imposizione della legge marziale hanno portato
alla detenzione arbitraria di molte persone, al divieto di tenere riunioni politiche con più di cinque
partecipanti e al processo di civili in tribunali militari senza diritto di appello. La legislazione è stata
utilizzata anche per limitare la libertà d’espressione.
In Malesia le autorità hanno iniziato a utilizzare la legislazione sulla sedizione risalente all’epoca coloniale per indagare, incriminare e imprigionare difensori dei diritti umani, politici d’opposizione, un
giornalista, docenti universitari e studenti. Gli organi d’informazione e le case editrici hanno subito
forti restrizioni ai sensi della legislazione che imponeva l’ottenimento di licenze per stampare pubblicazioni; licenze che potevano essere arbitrariamente revocate dal ministro dell’Interno. I mezzi d’informazione indipendenti hanno avuto difficoltà a ottenere tali licenze.
In Indonesia hanno continuato a essere documentati casi di arresto e detenzione di attivisti politici
pacifici, in particolare nelle aree con storici movimenti indipendentisti, come Papua e le Molucche. Le
libertà d’espressione e di riunione pacifica sono rimaste rigorosamente limitate nel Myanmar e decine
di difensori dei diritti umani, giornalisti, attivisti politici e contadini sono stati arrestati o imprigionati
solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti.
I difensori dei diritti umani hanno costantemente subito forti pressioni da parte di alcuni governi.
Nello Sri Lanka, un memorandum emanato dal ministero della Difesa ha comunicato a tutte le Ngo
d’interrompere ogni evento mediatico e di non diffondere comunicati stampa. Ciò ha contribuito a
peggiorare il clima già diffuso di paura e repressione, in cui giornalisti e difensori dei diritti umani
hanno continuato a subire aggressioni fisiche, minacce di morte e accuse politicamente motivate.
Anche i sindacati hanno affrontato crescenti limitazioni nei loro confronti. Nella Repubblica di Corea
(Corea del Sud), il leader sindacale Kim Jung-woo è stato condannato al carcere per aver impedito a
funzionari municipali di smantellare le tende di un sit-in di protesta e un altare commemorativo nella
capitale Seoul. Rischiava di essere condannato a una pena più pesante dall’Alta corte, a causa dell’appello richiesto dal pubblico ministero. Le autorità hanno anche tentato di annullare la registrazione
di alcuni dei principali sindacati e, nei loro confronti, sono anche state intentate cause in tribunale.
Gli attacchi politicamente motivati contro i giornalisti hanno avuto un aumento preoccupante. In
Pakistan, almeno otto giornalisti sono stati uccisi come diretta conseguenza del loro lavoro, rendendo il
paese uno dei più pericolosi al mondo per chi svolgeva tale professione. In Afghanistan è aumentato il
numero di giornalisti uccisi; sono stati particolarmente a rischio coloro che avevano seguito le elezioni.
Nelle Maldive, diversi giornalisti sono stati aggrediti da attori non statali che sono rimasti impuniti.
Lo spazio dei mezzi d’informazione è andato riducendosi. Nello Sri Lanka sono proseguite le intimidazioni,
come la chiusura del quotidiano Uthayan. In Bangladesh, blogger e difensori dei diritti umani sono
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stati arrestati e hanno subito processi e incarcerazioni. In Pakistan sono stati sospesi alcuni canali
televisivi. In Cina, la censura statale ha tentato di vietare la diffusione di fotografie e di bloccare
qualunque riferimento online in favore delle proteste per la democrazia, consentendo alle televisioni
e ai giornali di diffondere soltanto notizie approvate dal governo.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Tortura e altri maltrattamenti hanno continuato a essere commessi dai governi in diversi paesi.
Nelle Filippine, la tortura da parte della polizia è stata raramente indagata o punita. Nonostante la
ratifica dei due principali trattati internazionali contro la tortura, metodi quali gravi percosse, scosse
elettriche e waterboarding (annegamento simulato) hanno continuato a essere impiegati da funzionari,
che torturavano soprattutto per estorsione e per ottenere confessioni. A dicembre, Amnesty International
ha pubblicato il rapporto “Al di sopra della legge: la tortura da parte della polizia nelle Filippine”, in
cui documentava come la dilagante cultura dell’impunità permettesse l’uso indisturbato della tortura
da parte della polizia.
La Cina ha consolidato la propria posizione come uno dei maggiori produttori ed esportatori di una
crescente gamma di strumenti per la polizia, compresi oggetti di uso non lecito per il controllo dell’ordine pubblico quali manganelli stordenti con scosse elettriche e pesanti congegni serra gambe,
nonché equipaggiamenti che potrebbero essere utilizzati legittimamente per il controllo dell’ordine
pubblico ma il cui abuso era assai facile, come ad esempio i gas lacrimogeni. La tortura e altri
maltrattamenti sono rimasti molto diffusi in Cina. A marzo, quattro avvocati che stavano indagando
su denunce di tortura in un centro di educazione alla legalità a Jiansanjiang, nella provincia di
Heilongjiang, sono stati arbitrariamente arrestati e torturati. Uno di loro ha raccontato di essere
stato incappucciato e ammanettato con le mani dietro la schiena e sospeso per i polsi, mentre la
polizia lo picchiava.
Nella Corea del Nord, centinaia di migliaia di persone sono rimaste detenute in campi di prigionia politica e altre strutture di detenzione, dove hanno subito gravi violazioni dei diritti umani come
esecuzioni extragiudiziali, torture e altri maltrattamenti.
I meccanismi per l’accertamento delle responsabilità sono stati ancora inadeguati per affrontare le
denunce di torture, spesso lasciando le vittime e le loro famiglie prive di accesso alla giustizia e ad
altri rimedi efficaci. In Afghanistan, sono continuate le segnalazioni di violazioni dei diritti umani da
parte del personale della direzione nazionale della sicurezza, comprese tortura e sparizioni forzate.
Nello Sri Lanka, la tortura e altri maltrattamenti di detenuti sono rimasti diffusi.
La prolungata detenzione preprocessuale e il sovraffollamento delle carceri sono rimasti un grave
motivo di preoccupazione in India. Arresti indiscriminati, indagini e azioni penali lente, deboli sistemi
di assistenza legale e assenza di garanzie adeguate hanno contribuito al problema. La Corte suprema
ha ordinato ai giudici distrettuali di identificare immediatamente e rilasciare tutti i detenuti in attesa
di giudizio che erano stati in carcere per oltre la metà del periodo di reclusione che avrebbero dovuto
scontare in caso di condanna.
In Giappone, il sistema daiyo kangoku, che consente alla polizia di trattenere i sospettati fino a 23
giorni prima della loro incriminazione, ha continuato a facilitare il ricorso alla tortura e ad altri maltrattamenti durante gli interrogatori per estorcere confessioni. Non sono state adottate misure per
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abolire o riformare il sistema e portarlo in linea con gli standard internazionali. In Thailandia sono
stati segnalati casi di tortura e altri maltrattamenti di detenuti in custodia di militari e polizia.
CONFLITTI ARMATI
In Afghanistan è giunta a conclusione la missione della Nato che durava da 13 anni, anche se è stata
concordata una continua presenza delle forze internazionali. Le violazioni da parte di gruppi armati
sono proseguite in modo significativo, raggiungendo nel primo semestre del 2014 il livello più alto
mai toccato. Anche in Pakistan è perdurato il conflitto armato interno nelle Fata e l’esercito ha
lanciato una grande operazione nel Waziristan settentrionale, a giugno. Sono ripresi gli attacchi dei
droni americani. L’attentato più devastante nella storia del paese si è verificato a dicembre, quando
diversi militanti talebani pakistani hanno attaccato la scuola militare pubblica di Peshawar, uccidendo
149 persone, tra cui 134 bambini, e ferendone decine, con sparatorie che hanno preso di mira allievi
e insegnanti e attentati suicidi.
Il conflitto armato negli stati di Kachin e Shan settentrionale del Myanmar è giunto al quarto anno ed
entrambe le parti si sono rese responsabili di violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti
umani, con uccisioni illegali, torture e altri maltrattamenti, compresi stupro e altri reati di violenza sessuale. In Thailandia, la violenza armata è continuata nelle tre province meridionali di Pattani, Yala, Narathiwat e in alcune zone della provincia di Songkhla. Durante l’anno, le forze di sicurezza sono state
coinvolte in uccisioni illegali e torture e altri maltrattamenti, mentre gli attacchi contro i civili, compreso
il bombardamento di luoghi pubblici, si ritiene siano stati effettuati da gruppi armati.
IMPUNITÀ
Un tema comune è stata la continua impunità per le violazioni dei diritti umani passate e recenti,
anche nei contesti di conflitti armati. In India, le autorità statali spesso non hanno impedito e talvolta
hanno anche commesso crimini contro cittadini indiani. Arresti e detenzioni arbitrari, torture ed esecuzioni extragiudiziali spesso sono rimasti impuniti. Il sovraccarico sistema giudiziario penale ha
contribuito al diniego della giustizia per chi aveva subito abusi e alle violazioni del diritto a un
processo equo. La violenza da parte di gruppi armati ha messo a rischio i civili.
Per i crimini del passato ci sono stati alcuni arresti e condanne. Le Camere straordinarie dei tribunali
della Cambogia (tribunale Khmer Rouge) hanno condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità
Nuon Chea, ex comandante in seconda del regime dei khmer rossi, e Khieu Samphan, ex capo di
stato. Nelle Filippine, il generale maggiore in pensione Jovito Palparan è stato arrestato ad agosto per
le accuse di rapimento e detenzione illegale di due studentesse universitarie.
Le vittime di violazioni e abusi dei diritti umani commessi in passato hanno continuato a chiedere
giustizia, verità e riparazione per i crimini di diritto internazionale occorsi in Indonesia sotto il governo
dell’ex presidente Suharto (1965-1998) e durante il successivo periodo del movimento Reformasi.
Nessun passo avanti è stato segnalato in numerosi casi di presunte gravi violazioni dei diritti umani
che la commissione nazionale dei diritti umani (Komnas-Ham) aveva sottoposto all’ufficio del procuratore generale, dopo aver condotto un’indagine preliminare informale.
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In Sri Lanka, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito un’inchiesta internazionale
sulle denunce di crimini di guerra commessi durante la guerra civile. Funzionari e sostenitori del
governo hanno minacciato i difensori dei diritti umani affinché non entrassero in contatto con gli investigatori e non contribuissero in alcun modo all’inchiesta. Ad aprile in Nepal, il parlamento ha approvato la legge sulla commissione verità e riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission –
Trc), che ha istituito due commissioni, una Trc e una commissione sulle sparizioni forzate, con il
potere di raccomandare amnistie, anche per gravi violazioni dei diritti umani. Ciò è avvenuto nonostante
a gennaio una sentenza della Corte suprema avesse stabilito che un’analoga ordinanza, emessa nel
2013, per la creazione di una Trc con il potere di raccomandare amnistie, violava il diritto internazionale
dei diritti umani e lo spirito della costituzione provvisoria del 2007.
PERSONE IN MOVIMENTO
Diversi paesi hanno violato il divieto internazionale di refoulement, rimandando forzatamente rifugiati
e richiedenti asilo verso paesi in cui hanno subito gravi violazioni dei diritti umani. In Malesia, a
maggio, le autorità hanno rimpatriato forzatamente due rifugiati e un richiedente asilo, che erano
sotto la protezione dell’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, in Sri Lanka, dove erano a
rischio di tortura. Lo Sri Lanka ha arrestato ed espulso con la forza richiedenti asilo senza valutarne
adeguatamente le richieste.
Secondo l’Unhcr, gli afgani rappresentavano un numero molto elevato tra i rifugiati. I vicini Iran e Pakistan ospitavano 2,7 milioni di rifugiati afgani registrati. A marzo, l’Unhcr ha attestato che 659.961
afgani erano sfollati a causa del conflitto armato, del deterioramento della sicurezza e dei disastri
naturali. È stata espressa preoccupazione per il possibile aumento del numero di sfollati, a seguito
del passaggio di responsabilità sulla sicurezza, previsto per la fine del 2014, poiché i ribelli locali
avrebbero lottato per occupare il territorio in precedenza sotto il controllo delle forze internazionali.
Anche i migranti interni sono stati vittime di discriminazione. In Cina, le modifiche al sistema di registrazione delle famiglie, noto come hukou, ha reso più facile per i residenti in zone rurali lo spostamento in città di piccole o medie dimensioni. L’accesso a prestazioni e servizi, tra cui l’istruzione e
l’assistenza sanitaria, ha continuato a essere collegato allo status dell’hukou, che rappresentava un
possibile motivo di discriminazione. Il sistema hukou ha costretto molti migranti interni a lasciare in
campagna i loro figli.
I lavoratori migranti hanno continuato a subire abusi e discriminazioni. A Hong Kong è iniziato un
processo di alto profilo riguardante tre donne indonesiane lavoratrici domestiche migranti.
Sul loro ex datore di lavoro pendevano 21 capi d’accusa, tra cui gravi lesioni personali intenzionali e
mancato pagamento dei salari. A ottobre, Amnesty International ha pubblicato un rapporto basato su
interviste con i lavoratori agricoli migranti in tutta la Corea del Sud, che per gli effetti del sistema del
permesso di lavoro erano stati sottoposti a orari eccessivi, salari inadeguati, negazione del riposo
settimanale e delle ferie annuali retribuite, subappalti illegali e cattive condizioni di vita. Molti sono
stati anche discriminati sul posto di lavoro a causa della loro nazionalità.
L’Australia ha proseguito con la linea dura nei confronti dei richiedenti asilo e chi arrivava via mare
veniva rimandato nel paese di partenza o trasferito in centri di detenzione per immigranti in mare
aperto, sull’isola di Manus (Papua Nuova Guinea) o a Nauru, oppure detenuto in Australia.
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CRESCENTE INTOLLERANZA RELIGIOSA ED ETNICA
Nel 2014 è stato registrato un aumento dell’intolleranza e della discriminazione per motivi religiosi
ed etnici, con la complicità o la mancata adozione di misure per combatterla da parte delle autorità.
In Pakistan, le leggi sulla blasfemia hanno continuato a essere collegate alle violenze dei vigilantes.
La polizia è stata avvertita di alcune aggressioni imminenti di persone sospettate di “blasfemia” ma
non ha preso misure adeguate per proteggerle. Le leggi sulla blasfemia hanno contribuito al clima
d’intolleranza anche in Indonesia. A novembre, Amnesty International ha raccomandato di abrogare
la legge sulla blasfemia in Indonesia e ha chiesto che tutte le persone imprigionate per tale motivo
fossero immediatamente rilasciate.
Le aggressioni violente a causa dell’identità religiosa ed etnica sono continuate su vasta scala. È risultato evidente che i governi non erano in grado di affrontare la crescente intolleranza religiosa ed
etnica. I governi di Myanmar e Sri Lanka non sono riusciti ad affrontare il problema del continuo incitamento alla violenza per motivi d’odio nazionale, razziale e religioso, da parte di gruppi nazionalisti
buddisti, nonostante alcuni episodi violenti. Analogamente, il governo del Myanmar non è stato in
grado di garantire parità d’accesso alla piena cittadinanza per i rohingya. In Pakistan, musulmani
sciiti sono stati uccisi in attacchi di gruppi armati; anche gli ahmadi e i cristiani sono stati presi di
mira. Nello Sri Lanka, musulmani e cristiani hanno subito le violenze dei gruppi armati e la polizia
non è riuscita a proteggerli o a indagare in merito alle aggressioni.
In Cina, i tibetani hanno continuato a subire discriminazioni e restrizioni ai diritti alla libertà di
pensiero, coscienza e religione, espressione, associazione e riunione pacifica. Secondo quanto riferito,
la polizia e le forze di sicurezza hanno sparato contro manifestanti tibetani a Kardze (Ganzi), nella
provincia del Sichuan, quando una folla si era radunata per protestare contro l’arresto di un capo villaggio. Gli uiguri hanno subito discriminazione diffusa in materia di occupazione, istruzione e alloggio,
restrizioni alla libertà religiosa ed emarginazione politica.
Alcune autorità di governo hanno utilizzato la religione come giustificazione per la continua discriminazione. In Malesia, il tribunale federale ha respinto il ricorso che cercava di ribaltare il divieto
imposto a un giornale cristiano di usare la parola “Allah” nelle sue pubblicazioni. Le autorità hanno
sostenuto che l’uso della parola in testi non islamici era disorientante e avrebbe potuto causare la
conversione dei musulmani. Il divieto ha portato a intimidazioni e vessazioni nei confronti dei cristiani.
In India, nel 2014 ricorreva il 30° anniversario del massacro dei sikh del 1984, nella perdurante
impunità per questo e per altri attacchi su larga scala contro le minoranze religiose.
DISCRIMINAZIONE
In molti paesi, le persone hanno continuato a subire discriminazioni, in particolare dove le autorità
non hanno adottato misure adeguate per proteggere loro e le loro comunità.
La discriminazione è perdurata in Nepal, anche per motivi di genere, casta, classe, origine etnica e
religione. Le vittime sono state sottoposte a esclusione e a tortura e altri maltrattamenti, compresa
la violenza sessuale. Le donne appartenenti a gruppi emarginati, come i dalit e le donne povere,
hanno continuato a incontrare particolari difficoltà a causa di molteplici forme di discriminazione. In
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India, le donne e le ragazze dalit hanno continuato a subire più livelli di discriminazione e violenza
basate sulla casta. Consigli di villaggio autonominatisi hanno emesso decreti illegali, con cui hanno
ordinato punizioni contro donne ritenute colpevoli di trasgressioni delle norme sociali.
Il governo giapponese non è riuscito a imporsi contro la retorica discriminatoria né a mettere un freno
all’uso di termini razzisti peggiorativi e alle molestie di stampo razzista contro le persone di etnia coreana e i loro discendenti, comunemente chiamati zainichi (letteralmente “residenti in Giappone”). A
dicembre, la Corte suprema ha vietato al gruppo Zainichi Tokken wo Yurusanai Shimin no Kai l’uso di
un linguaggio discriminatorio contro i coreani, in occasione di manifestazioni pubbliche nei pressi di
una scuola elementare etnica coreana.
Nello Sri Lanka è perdurata la discriminazione nei confronti delle minoranze etniche, linguistiche e
religiose, compresi i membri delle comunità tamil, musulmane e cristiane. Le minoranze sono state
prese di mira con restrizioni arbitrarie alle libertà d’espressione e d’associazione.
DIRITTI SESSUALI E RIPRODUTTIVI
In molti paesi della regione è ancora necessario compiere passi in avanti verso il rispetto, la protezione
e la realizzazione dei diritti sessuali e riproduttivi.
Ad aprile, la Corte suprema delle Filippine ha confermato la legge sulla salute riproduttiva, che
apriva la strada al finanziamento del governo per metodi contraccettivi moderni e intendeva introdurre
nelle scuole l’educazione sessuale e alla salute riproduttiva. Tuttavia, le Filippine hanno ancora una
delle leggi sull’aborto più restrittive al mondo, che vieta l’interruzione della gravidanza in tutte le circostanze, senza eccezioni. In Indonesia, a luglio è stata approvata una legge che ha limitato a 40
giorni il periodo di tempo in cui le vittime di stupro possono accedere legalmente all’aborto. È stato
espresso il timore che questo lasso di tempo più breve potesse impedire a molte vittime di stupro di
riuscire ad accedere a un aborto legale e sicuro.
Gli sforzi dei governi per sradicare la discriminazione di genere contro le donne e le ragazze hanno
continuato a essere inefficaci per ridurre il rischio di prolasso uterino delle donne in Nepal, paese dal
quale il segretario generale di Amnesty International Salil Shetty ha lanciato la campagna “My body
my rights”, tra le donne affette dal problema nelle comunità rurali.
VIOLENZA CONTRO LE DONNE
In tutta la regione le donne hanno continuato a subire violenza, anche quando cercavano di esercitare
i loro diritti. In Pakistan, ad esempio, una jirga (un organo decisionale tradizionale) dei capi tribù
maschi degli utmanzai, nell’agenzia tribale del Waziristan settentrionale, ha minacciato di violenza
le donne che cercavano di ottenere assistenza umanitaria nei campi per sfollati.
In India, le autorità non hanno efficacemente messo in atto le nuove leggi sui crimini contro le donne
emanate nel 2013 né hanno intrapreso riforme significative per garantire che fossero applicate. Lo
stupro all’interno del matrimonio non era ancora riconosciuto come reato se la moglie aveva più di 15
anni di età.
In diversi paesi della regione è proseguita la pratica dei matrimoni forzati di minori. I cosiddetti
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“delitti d’onore” sono stati segnalati sia in Afghanistan, sia in Pakistan. In Afghanistan è cresciuto il
numero delle denunce ai sensi della legge sull’eliminazione della violenza contro le donne, anche se
non era chiaro se questo era dovuto all’aumento dei crimini o all’aumento delle segnalazioni. I reati
di violenza contro le donne sono stati tra quelli meno denunciati. La commissione indipendente per i
diritti umani in Afghanistan ha registrato 4154 casi di violenza contro le donne nei soli primi sei mesi
del 2014. Le autorità hanno approvato o modificato diverse leggi che impedivano di testimoniare sia
ai familiari delle vittime, sia a quelli dei perpetratori dei crimini. Poiché la maggior parte della
violenza di genere è stata segnalata all’interno delle famiglie, ciò ha reso praticamente impossibile
l’azione giudiziaria nei casi di matrimonio forzato e infantile e di violenza domestica.
In Giappone sono stati resi pubblici i risultati del lavoro di un gruppo di studio nominato dal governo
che ha riesaminato il processo di redazione della dichiarazione Kono (una dichiarazione risalente a
due decenni fa, con la quale il governo aveva offerto le proprie scuse alle sopravvissute del sistema
di schiavitù sessuale militare prima e durante la seconda guerra mondiale). Molti personaggi pubblici
di alto profilo hanno rilasciato dichiarazioni per negare o giustificare il sistema. Il governo ha
continuato a rifiutare di utilizzare ufficialmente il termine “schiavitù sessuale” e a negare riparazione
piena ed effettiva alle sopravvissute.
In Papua Nuova Guinea, ci sono state ulteriori segnalazioni di violenze su donne e bambini, a volte
con esiti mortali, dopo che queste persone erano state accusate di stregoneria. Il Relatore speciale
delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie ha evidenziato come una
delle sue principali preoccupazioni fosse quella relativa agli omicidi legati alla stregoneria.
PENA DI MORTE
La pena di morte è stata mantenuta da diversi paesi della regione e la Cina ha continuato ad
applicarla in modo massiccio.
Le esecuzioni sono proseguite in Giappone. A marzo, un tribunale ha ordinato un nuovo processo e
l’immediato rilascio di Hakamada Iwao, condannato a morte nel 1968, dopo un processo iniquo sulla
base di una confessione forzata. Era il prigioniero da più lungo tempo nel braccio della morte in tutto
il mondo.
In Vietnam le esecuzioni sono continuate e diverse persone sono state condannate a morte per reati
di natura economica.
Le critiche nazionali e internazionali hanno avuto un certo impatto. In Malesia sono state rinviate le
esecuzioni di Chandran Paskaran e Osariakhi Ernest Obayangbon. Tuttavia, i tribunali hanno continuato
a infliggere condanne a morte e, secondo quanto riferito, le esecuzioni sono state effettuate in segreto.
A gennaio, la Corte suprema indiana ha stabilito che l’indebito ritardo nell’esecuzione delle condanne
a morte si configurava come tortura e che l’esecuzione di persone affette da malattie mentali sarebbe
stata incostituzionale. La Corte ha anche dettato le linee guida per la tutela dei diritti delle persone
condannate alla pena capitale.
A dicembre, a seguito dell’attacco dei talebani pakistani in una scuola di Peshawar, il Pakistan ha
annullato la moratoria e ha dato il via alle esecuzioni di prigionieri condannati per accuse legate al
terrorismo. È stato riferito che più di 500 persone erano a rischio di essere messe a morte.
L’Afghanistan ha continuato ad applicare la pena di morte, spesso dopo processi iniqui. A ottobre è
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stata eseguita la condanna di sei uomini nel carcere di Pul-e-Charkhi, a Kabul. I procedimenti
giudiziari di almeno cinque di loro per uno stupro di gruppo erano stati considerati iniqui, segnati da
pressioni pubbliche e politiche sui giudici perché emettessero una sentenza severa e gli imputati
hanno sostenuto di aver confessato sotto le torture della polizia durante la detenzione.
RESPONSABILITÀ DELLE IMPRESE
Le aziende hanno la responsabilità di rispettare i diritti umani. Tuttavia, in molti paesi della regione
Asia e Pacifico tale rispetto è mancato. Migliaia di persone sono rimaste a rischio di essere sgomberate
con la forza dalle loro case e terre, per far posto a grandi infrastrutture e progetti commerciali in
India. Sono state particolarmente vulnerabili le comunità native adivasi, che vivono nei pressi di
miniere e dighe nuove e in espansione. A Papua Nuova Guinea, nel sito della miniera d’oro di Porgera,
si sono inasprite le tensioni tra la società mineraria e i residenti locali. A giugno, circa 200 case sono
state rase al suolo dalla polizia per far rispettare un ordine di sgombero. Sono state segnalate
violenze fisiche e sessuali da parte della polizia durante lo sgombero forzato.
Nel mese di dicembre ricorreva il 30° anniversario del disastro di Bhopal del 1984. I sopravvissuti
hanno continuato a soffrire di gravi problemi di salute dovuti alla fuga di gas tossici e al continuo inquinamento proveniente dal sito della fabbrica. La Dow Chemical Company e la Union Carbide non
hanno risposto a una convocazione penale emanata da un tribunale di Bhopal. Il governo indiano
doveva ancora bonificare il sito della fabbrica contaminato.
In Cambogia sono continuati i conflitti per la terra e gli sgomberi forzati. Ciò ha portato a un aumento
delle proteste e degli scontri, che spesso hanno visto coinvolte autorità locali e imprese private. A
ottobre, un gruppo di esperti di diritto internazionale ha fornito informazioni all’Icc per conto di 10
vittime, secondo le quali il “diffuso e sistematico” accaparramento di terre da parte del governo
cambogiano era un crimine contro l’umanità.
DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE
L’omosessualità è rimasta reato in diversi paesi della regione. Un progresso positivo si è avuto in
India ad aprile quando, con una sentenza storica, la Corte suprema ha concesso il riconoscimento
legale alle persone transgender. Ha imposto alle autorità di riconoscere l’autoidentificazione delle
persone transgender come maschio, femmina o “terzo genere” e di mettere in atto politiche di
assistenza sociale e quote nel campo dell’istruzione e del lavoro. Tuttavia, hanno continuato a essere
segnalati casi di molestie e violenza contro le persone transgender.
Con una decisione storica, a novembre, la corte d’appello della Malesia ha dichiarato incostituzionale
una legge dello stato di Negeri Sembilan, basata sulla sharia, che aveva reso illegale il travestitismo.
Tuttavia, Amnesty International ha ricevuto segnalazioni di arresti e detenzione di persone Lgbti,
esclusivamente sulla base della loro sessualità, e queste hanno continuato a subire discriminazioni.
A ottobre, la Corte suprema di Singapore ha confermato la sezione 377A del codice penale, che criminalizzava le relazioni omosessuali consensuali tra uomini. Nel Brunei, il nuovo codice penale ha
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imposto la morte per lapidazione come possibile punizione per comportamenti che non dovrebbero
essere considerati reati, come i rapporti sessuali extraconiugali e il sesso consensuale tra persone
dello stesso sesso, oltre che per reati come il furto e lo stupro.
In conclusione, gli epocali cambiamenti geopolitici ed economici che stanno avvenendo nella regione
di Asia e Pacifico rendono ancora più urgente tutelare i diritti umani e colmare le mancanze, in modo
che tutte le persone della regione possano godere della vera cittadinanza senza il rischio di subire
sanzioni.
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