Tendenze regionali - amnesty :: Rapporto annuale
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Tendenze regionali - amnesty :: Rapporto annuale
RAPPORTO ANNUALE 2013 – TENDENZE REGIONALI (periodo di riferimento: gennaio –dicembre 2012) AFRICA SUBSAHARIANA I conflitti armati si sono aggravati in gran parte del continente, tra cui Repubblica Democratica del Congo, Mali e Sudan. La popolazione civile ha pagato maggiormente il prezzo della violenza e migliaia di persone sono state sfollate. Numerosi gruppi armati e forze di sicurezza hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani. La violenza comunitaria ha provocato la fuga di migliaia di persone in Kenya, Nigeria e Sud Sudan. Si stima che in Costa d’Avorio 13.000 persone siano sfollate a seguito di scontri violenti nei villaggi lungo il confine liberiano. Gli abusi commessi dai gruppi armati islamisti si sono protratti in Nigeria e Somalia. Sono state commesse violazioni anche da parte di servizi di sicurezza e d’intelligence in nome del “controterrorismo”. In Niger, numerose persone accusate di far parte di al-Qaeda nel Maghreb islamico sono state sottoposte a maltrattamenti per estorcere loro confessioni. Il ricorso ai bambini soldato è stato documentato in Ciad, Mali, Repubblica Democratica del Congo e Somalia. Le discriminazioni nei confronti delle persone per il loro reale o presunto orientamento sessuale o per l’identità di genere si sono inasprite nella maggior parte del continente. In Camerun c’è stato un aumento nel numero e nella frequenza degli arresti per “omosessualità” e in Uganda ci sono stati nuovi tentativi di far passare una legge controversa con l’obiettivo di inasprire le pene relative alla condotta sessuale tra persone dello stesso sesso. Nelle zone di conflitto armato le donne sono state sottoposte ad alti livelli di violenza sessuale. In Kenya e Sudafrica sono avvenuti attacchi xenofobi contro migranti e rifugiati. Nel corso dell’anno ci sono stati gravi episodi di brutalità da parte della polizia. In Sudafrica, la polizia ha impiegato unità armate con fucili d’assalto e proiettili letali per reprimere uno sciopero di minatori della miniera di platino Lonmin di Marikana. Trentaquattro minatori sono stati uccisi. Almeno sei persone sono state uccise dalle forze di sicurezza durante le agitazioni del periodo pre-elettorale in Senegal. Numerosi governi hanno continuato ad attaccare la libertà di espressione. In paesi come Etiopia, Ruanda e Sudan è aumentata la sorveglianza nei confronti degli attivisti per i diritti umani, che in Gambia, Nigeria e Sud Sudan sono stati vessati, intimiditi e imprigionati. In Somalia sono stati uccisi 18 giornalisti. La pena di morte è stata imposta in diversi paesi ma applicata solo in alcuni. In una decisione preoccupante, in Gambia sono state eseguite le prime condanne a morte dopo quasi 30 anni. L’uso della tortura da parte delle forze di polizia e di sicurezza è rimasto diffuso. Casi di tortura sono stati riportati in vari paesi tra cui Guinea, Etiopia, Senegal e Zimbabwe. Nella maggior parte dei paesi si sono verificati arresti arbitrari. In Costa d’Avorio più di 200 persone sospettate di aver minacciato la sicurezza dello stato sono state detenute illegalmente. 1 AMERICHE Vi sono stati limitati progressi nella lotta all’impunità. Le ampie violazioni dei diritti umani del passato, e l’assenza di misure per chiamare i responsabili a risponderne di fronte alla giustizia, hanno gettato una lunga ombra su molti paesi della regione. Tuttavia, alcuni emblematici procedimenti giudiziari in Argentina, Brasile, Cile, Guatemala e Uruguay hanno fatto compiere significativi passi avanti alla richiesta di giustizia per le violazioni commesse sotto le giunte militari del passato. I tentativi di ottenere giustizia sono destinati a continuare. Ad Haiti, il procedimento nei confronti dell’ex presidente Jean-Claude Duvalier è rimasto fermo per tutto il 2013 e l’imputato è comparso di fronte a un giudice solo nel marzo 2013. Negli Usa, ben pochi passi avanti sono stati fatti per portare in giudizio i responsabili degli abusi commessi nel contesto del programma di detenzioni segrete della Cia durante l’amministrazione Bush. Un segno di speranza è arrivato dal Guatemala: l’ex presidente militare Ríos Montt è comparso in tribunale nel marzo 2012 ed è stato condannato, nel maggio 2013, per genocidio e crimini contro l’umanità. Molto resta ancora da fare per sconfiggere l’impunità che ha accompagnato le massicce violazioni dei diritti umani commesse durante i 36 anni di conflitto interno terminati nel 1996. Nel vicino El Salvador, 20 anni dopo il rapporto della Commissione per la verità sulle violazioni dei diritti umani nel conflitto armato, nessuno è stato portato di fronte alla giustizia. Il sistema interamericano dei diritti umani, in particolare la Commissione interamericana dei diritti umani, è stato criticato da molti governi. Il Venezuela è arrivato al punto di ritirarsi dalla Convenzione americana dei diritti umani. L’Assemblea generale dell’Organizzazione degli stati americani ha comunque approvato una serie di riforme presentate dalla Commissione impegnandosi a sostenerle e a finanziarle adeguatamente. Qualche progresso è stato registrato nel campo della pena di morte. Negli Usa, il solo paese della regione in cui si eseguono condanne a morte, il Connecticut è diventato il 17° stato abolizionista, seguito nel maggio 2013 dal Maryland. Nei paesi anglofoni dei Caraibi hanno continuato a essere emesse condanne a morte ma non vi è stata alcuna esecuzione. I conflitti sociali sulle risorse naturali, e gli attacchi ai diritti umani a essi collegati, si sono intensificati in molti paesi. Tuttavia, il riconoscimento dei diritti dei popoli nativi ha ottenuto un grande impulso da sentenze giudiziarie che hanno riaffermato il loro diritto al consenso libero, preventivo e informato sui progetti di sviluppo che li riguardino. A giugno, per esempio, la Corte interamericana dei diritti umani ha emesso un verdetto storico in favore dei sarayaku, giudicando colpevole l’Ecuador di aver violato i loro diritti consentendo a una compagnia petrolifera straniera di operare nelle loro terre ancestrali senza il loro consenso. La violenza contro le donne è rimasta un grave problema. In tutta la regione, sono proseguite le campagne contro la discriminazione e la violenza e per il pieno riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi. Milioni di donne non hanno potuto esercitare il loro diritto a prendere decisioni libere e informate in tema di maternità. In paesi quali Cile, El Salvador, Nicaragua e Repubblica Dominicana, donne e ragazze rimaste incinte a seguito di uno stupro o la cui vita era posta a rischio dalla gravidanza non hanno avuto accesso a servizi sicuri e legali di aborto. L’impatto di questa negazione dei diritti umani è risultato particolarmente acuto per le ragazze e le donne appartenenti a gruppi svantaggiati. Gli attacchi ai giornalisti e ai difensori dei diritti umani sono andati avanti senza sosta. I giornalisti hanno continuato a svolgere un ruolo fondamentale nella denuncia delle violazioni dei diritti umani e, per questo, sono stati bersaglio della repressione governativa così come delle bande armate e del crimine organizzato. Difensori dei diritti umani, che spesso già vivevano in condizioni rischiose e difficili, sono stati oggetto di atti di violenza, abusi giudiziari e delegittimazione pubblica. 2 In molti paesi, la violenza quotidiana e l’insicurezza hanno preso il posto dei conflitti armati interni e della repressione politica del passato, soprattutto in El Salvador, Guatemala, Honduras e Messico e nelle grandi città di Brasile, Colombia e Venezuela. ASIA E PACIFICO Una brutale repressione si è abbattuta sulla libertà di espressione sia nelle strade che online, determinando vessazioni, aggressioni, arresti e uccisioni di chi avesse osato contrastare le autorità. Il Vietnam ha messo in prigione oltre 20 dissidenti pacifici, mentre in Cambogia le forze di sicurezza hanno ucciso persone che protestavano pacificamente contro gli sgomberi forzati. Nello Sri Lanka, giornalisti sono stati minacciati e aggrediti o sono “scomparsi” per aver criticato le autorità. In Cina, le proteste di massa contro gli sgomberi forzati sono state affrontate con arresti, imprigionamenti e condanne alla rieducazione nei campi di lavoro; almeno 130 persone sono state arrestate o sottoposte ad altro tipo di restrizioni per impedire critiche e proteste in vista del periodo di transizione della leadership, avviato a novembre. Le proteste contro le dimissioni del primo ministro delle Maldive sono state represse violentemente dalle forze di sicurezza. In Corea del Sud, si è fatto ricorso ai vaghi contenuti della Legge nazionale sulla sicurezza per effettuare fermi di polizia e sorvegliare il dibattito online sulle vicende della Corea del Nord. In Indonesia, le autorità hanno continuato a fare ricorso a una legislazione dai contenuti generici per criminalizzare attivisti politici pacifici: almeno 70 persone di Papua e Maluku sono state imprigionate per aver pacificamente espresso il loro punto di vista. Nonostante non avessero commesso alcun crimine, migliaia di persone sono rimaste trattenute in campi di prigionia politica in Corea del Nord, sottoposte a condizioni estreme tra cui i lavori forzati, la tortura e anche esecuzioni extragiudiziarie. Milioni di rifugiati, sfollati e migranti – in seguito a conflitti, disastri naturali o per ragioni economiche – hanno continuano a soffrire. In Afghanistan, alla fine dell’anno, circa 500.000 persone risultavano profughi interni, molte delle quali in condizioni disperate in campi privi di forniture adeguate. Durante il rigido inverno 2011 - 2012, numerose persone sono morte nei campi per freddo o malattia. In Myanmar, centinaia di migliaia di persone hanno lasciato le loro terre a causa del conflitto armato o della violenza comunitaria tra musulmani e buddisti, mentre crescevano i timori circa il loro accesso agli aiuti umanitari. La Thailandia ha reso noto che 146.900 rifugiati di Myanmar avrebbero potuto essere rimpatriati entro un anno, nonostante i rischi ancora presenti nel paese di origine. In Cina, decine di milioni di migranti interni hanno continuano a vivere in povertà nelle città nelle quali si sono spostati, spesso privati di protezione legale e dell’accesso ai servizi di cui godono gli altri lavoratori. In Australia è entrata in vigore la legge che ha ripristinato le procedure “offshore” d’esame delle domande d’asilo: alla fine dell’anno, oltre 300 richiedenti asilo politico erano detenuti nell’isola di Nauru e in quella di Manus, in Papua Nuova Guinea. L’impunità è rimasta la norma per i responsabili delle violazioni dei diritti umani passate e recenti. Non vi è ancora stata un’indagine internazionale, indipendente e imparziale sulla sanguinosa guerra civile dello Sri Lanka, durante la quale si ritiene che decine di migliaia di persone siano state uccise dalle forze governative e dalle Tigri Tamil. In Indonesia, vittime di precedenti violazioni dei diritti umani in Aceh, Papua Nuova Guinea e Timor Est prima della sua indipendenza e altrove, sono restati in attesa della verità, della giustizia e di risarcimento ed è emersa chiaramente la mancanza di volontà politica del governo di occuparsi di tutto questo. In Pakistan, le sparizioni sforzate sono proseguite con un tasso allarmante e impunemente, in particolare nelle Aree tribali e nel Balucistan. I conflitti armati hanno continuato a rovinare la vita di decine di migliaia di persone, ferite, uccise o costrette a lasciare le loro terre a causa di attentati suicidi, bombardamenti indiscriminati, attacchi aerei o uccisioni mirate. Il numero dei civili uccisi in Afghanistan ha raggiunto il picco nel 2012. In Pakistan l’esercito e i gruppi armati hanno continuano a perpetrare abusi nelle Aree tribali e nel Balucistan, tra cui sparizioni forzate, rapimenti, torture e uccisioni illegali. Le minoranze religiose, come i musulmani sciiti hazara, sono state al centro di un’ondata di uccisioni brutali da parte dei gruppi armati e sono state perseguitate dopo che alcuni leader religiosi avevano aizzato le folle contro di loro. 3 In Myanmar, alla fine dell’anno si è intensificato il conflitto armato nello stato di Kachin, dove sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate. In Thailandia i civili sono rimasti esposti al rischio di attacchi, alcuni dei quali hanno provocato morti e feriti nelle province dell’estremo sud. Insegnanti e scuole governative sono stati presi di mira, costringendo le autorità a chiudere gli istituti nell’ultima parte dell’anno. Donne e ragazze si sono viste ancora negati i loro diritti fondamentali. La scioccante aggressione subita dalla quattordicenne Malala Yousufzai da parte dei talebani pakistani a settembre, ha portato alla ribalta la questione. In Afghanistan e Pakistan, molte donne e ragazze hanno continuato a non avere alcuna possibilità di partecipare alla vita pubblica e in alcuni casi sono state vittime di vere e proprie esecuzioni per mano dei talebani. In India, le proteste seguite allo stupro di gruppo e poi alla morte di una studentessa hanno messo in evidenza il persistente fallimento dello stato nel tenere a freno le violenze contro donne e ragazze. A Papua Nuova Guinea questa violenza assai diffusa è rimasta largamente impunita in assenza di una legge adeguata sulla violenza domestica. In Indonesia, le donne e le ragazze hanno continuato a imbattersi in barriere legali per esercitare i loro diritti sessuali e riproduttivi e, per il terzo anno successivo, il parlamento non è riuscito a discutere e promulgare una legge sulle lavoratrici domestiche. Nelle Filippine, invece, è stata approvata una nuova legge sulla salute riproduttiva dopo anni di campagne da parte delle organizzazioni per i diritti umani. L’attuazione della legge, tuttavia, è risultata ancora in stallo in attesa di un giudizio di costituzionalità da parte della Corte suprema. In tema di pena di morte vi sono stati sviluppi contrastanti. Afghanistan, Giappone, India e Pakistan hanno ripreso le esecuzioni dopo periodi anche relativamente lunghi (otto anni nel caso dell’India). Singapore e Malesia hanno fatto alcuni passi avanti verso la cancellazione dell’obbligatorietà della pena di morte, mentre il Vietnam, per la prima volta dopo decenni, non ha praticato alcuna esecuzione. EUROPA E ASIA CENTRALE Gli attacchi alla libertà di espressione, di manifestazione pacifica e di associazione, compresi procedimenti giudiziari, aggressioni e intimidazioni ai danni dei difensori dei diritti umani, sono proseguiti in molte delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica. In Bielorussia, Russia e Tagikistan le autorità hanno applicato leggi repressive per sospendere o limitare l’operato delle Organizzazioni non governative (Ong) e perseguitare gli attivisti della società civile. In Russia è entrata in vigore una nuova legge che impone a tutte le Ong che ricevono fondi dall’estero e che svolgono attività politiche di registrarsi come “organizzazioni che svolgono le funzioni di agenti stranieri”, con la chiara intenzione di delegittimare l’azione delle Ong che si occupano di temi quali le violazioni dei diritti umani, la corruzione e l’abuso del sistema elettorale. L’Azerbaigian ha modificato la sua legislazione per aumentare le pene per chi prende parte a proteste “non autorizzate” o “vietate” e ha messo in cantiere una nuova legge per inasprire le pene per il reato di diffamazione. Il Kazakhistan ha continuato a ricorrere alle accuse di “estremismo” per mettere il bavaglio alla libertà di stampa. La Turchia ha proseguito a usare le leggi antiterrorismo per punire il legittimo dissenso, la partecipazione alle manifestazioni e l’associazione a gruppi politici riconosciuti. Politiche e prassi restrittive in materia di controllo dell’immigrazione in diversi paesi dell’Unione europea hanno posto i migranti a rischio di arresto, espulsione e respingimento e di altre violazioni dei diritti umani. I governi si sono concentrati sul rafforzamento dei controlli di frontiera e hanno firmato nuovi accordi bilaterali con paesi di origine e di transito, pur essendo a conoscenza della negativa situazione dei diritti umani in tali paesi. Le persone in fuga dai conflitti, come quello siriano, hanno cercato rotte ancora più pericolose nel tentativo di trovare un rifugio sicuro in Europa. La Grecia, in particolare, non ha garantito le condizioni minime di riparo e sicurezza ai rifugiati. I richiedenti asilo si sono imbattuti in grandi ostacoli nel presentare le loro domande e sono sempre più spesso andati incontro alla detenzione in condizioni disumane o alla violenza da parte di gruppi xenofobi. In tutt’Europa, la discriminazione nei confronti delle minoranze etniche come i rom è andata avanti senza sosta. I rom hanno subito sgomberi forzati in ogni parte del continente, come in Francia, Italia, Romania, Serbia e Slovenia, finendo ulteriormente intrappolati in un ciclo di povertà e segregazione. 4 Gli alunni e le alunne rom hanno continuato a essere inseriti in scuole o classi al di sotto degli standard in Repubblica Ceca e Slovacchia. Sono stati segnalati numerosi atti di violenza contro i rom. La Commissione europea non ha preso alcuna iniziativa contro gli stati che violano i diritti umani dei rom, pur avendo competenza legale per aprire procedure d’infrazione sulla base della Direttiva sull’uguaglianza razziale. È proseguita anche la discriminazione verso le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate. Russia e Ucraina hanno manifestato l’intenzione di mettere fuorilegge la “propaganda dell’omosessualità tra i minori”, limitando in questo modo i diritti alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica. L’Unione europea ha adottato una strategia quadro sui diritti umani nelle relazioni esterne e un piano d’azione. Se adeguatamente attuata, potrebbe aumentare la coerenza dell’azione comune sui diritti umani nel mondo. Tuttavia, l’adozione della strategia ha messo in risalto la mancanza di meccanismi interni sui diritti umani e di strumenti di revisione reciproca tra gli stati membri. Quanto alla sicurezza e al controterrorismo, in Italia due alti dirigenti e tre agenti dei servizi segreti sono stati condannati per il rapimento del cittadino egiziano Abu Omar, avvenuto nel 2003, prima che la Cia lo trasferisse illegalmente in Egitto. Sono stati condannati anche tre alti funzionari della Cia. Tuttavia, nell’aprile 2013, il presidente della Repubblica ha graziato un ufficiale dell’Air Force statunitense che era stato a sua volta condannato per il caso Abu Omar. In un’altra vicenda, la Corte europea dei diritti umani ha giudicato l’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia responsabile della detenzione illegale, della sparizione forzata, della tortura e di altri maltrattamenti, nel 2004, ai danni del cittadino tedesco Khaled El-Masri. Il Parlamento europeo ha dato finalmente seguito alle sue richieste agli stati membri dell’Unione europea affinché assumessero le loro responsabilità, adottando un importante rapporto che ha dato nuovo impulso alla richiesta di giustizia e alla ricerca dei responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse nel contesto del programma di rendition della Cia. Russia e Ucraina hanno espulso persone verso le repubbliche dell’Asia Centrale, ponendole a rischio di tortura e ignorando le sentenze della Corte europea dei diritti umani che avevano bloccato queste decisioni. La tortura e i maltrattamenti sono rimasti diffusi nell’Asia Centrale e l’impunità per le violazioni dei diritti umani è restata la norma. MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD Il conflitto armato e la crisi hanno ancora fatto pagare un alto tributo alla regione. Il brutale conflitto in Siria ha devastato il paese, con oltre 70.000 morti dal 2011, secondo i dati delle Nazioni Unite. Le forze e le milizie fedeli al governo hanno continuato a compiere attacchi indiscriminati e mirati sui civili. Arresti arbitrari, sparizioni forzate e torture nei centri di detenzione sono rimaste prassi diffuse. Alcuni gruppi dell’opposizione hanno continuato a prendere in ostaggio e a uccidere sommariamente, anche civili, sulla base della loro nazionalità, opinione politica e appartenenza settaria. Lo stallo internazionale ha impedito azioni significative come il deferimento della situazione alla Corte penale internazionale. In Iraq un’escalation di violenza ha fatto crescere i timori di un rinnovato conflitto interno: gli scontri mortali tra gruppi armati sunniti e forze di sicurezza sono risultati in aumento, a seguito delle proteste nelle aree a maggioranza sunnita contro la presunta discriminazione da parte del governo dominato dagli sciiti e gli abusi contro i detenuti. Alcune zone dello Yemen sono state ancora interessate da episodi di violenza tra forze governative e gruppi armati. Il governo di Israele ha portato avanti le sue politiche di punizioni collettive nei Territori Palestinesi Occupati, incluso il blocco sulla Striscia di Gaza e le restrizioni al movimento dei palestinesi della Cisgiordania, dove è proseguita l’espansione degli insediamenti illegali. A novembre, ha lanciato una campagna militare di otto giorni contro i gruppi armati palestinesi responsabili del lancio indiscriminato di razzi da Gaza verso Israele: sei israeliani e più di 160 palestinesi, in maggioranza civili, sono stati uccisi durante il conflitto. 5 Per quanto riguarda la libertà di espressione e riunione, un maggiore spazio per i mezzi d’informazione e la società civile è stato conquistato in paesi dove leader da tempo al potere l’avevano perso a seguito delle rivolte del 2010 - 11. Tuttavia, i nuovi governi si sono sottratti alle promesse. In Egitto decine di attivisti dell’opposizione sono stati arrestati con accuse inventate o motivate politicamente, giornalisti della carta stampata e di emittenti televisive e blogger sono stati convocati per interrogatori per aver criticato le autorità o “diffamato” la religione. In Tunisia le leggi dell’era di Ben Ali sono state utilizzate in diverse occasioni per accusare artisti, blogger e giornalisti di “insulto alla religione” o “disturbo dell’ordine pubblico”, in un crescendo di attacchi contro la libertà di espressione. In Libia è entrata in vigore una legge che pone restrizioni ingiustificate alla libertà di riunione pacifica. Altrove nella regione, attivisti politici e per i diritti umani hanno continuato a subire arresti, detenzioni e, in alcuni casi, torture o altri maltrattamenti. In Bahrein le autorità, nonostante avessero annunciato trionfalmente una serie di riforme, hanno continuato ad arrestare prigionieri di coscienza, tra cui i principali esponenti dell’opposizione e attivisti per i diritti umani. In Iran, la repressione di dissidenti e giornalisti cui si è assistito nel 2012 potrebbe acuirsi in vista delle elezioni del giugno 2013. Tra gli altri paesi dove c’è stato un giro di vite nei confronti di difensori dei diritti umani, attivisti politici e giornalisti figurano l’Arabia Saudita (dove sono proseguite le agitazioni nella provincia orientale a prevalenza sciita), i Territori Palestinesi Occupati (tanto da parte di Israele quanto dell’Autorità palestinese e di Hamas), Emirati Arabi Uniti e Marocco. Nuove leggi in Algeria e in Marocco hanno rafforzato il controllo sui mezzi d’informazione. Molti paesi della regione hanno tentato di soffocare la società civile attraverso leggi restrittive sulle Organizzazioni non governative e il controllo sui finanziamenti. Torture e altri maltrattamenti sono rimasti endemici in Libia e in Egitto, in un clima di totale impunità. In Yemen, soprattutto nella regione meridionale, persone che avevano preso parte a manifestazioni hanno subito un uso eccessivo della forza e torture o maltrattamenti mentre erano in custodia. In Siria il conflitto ha spinto più di 1.4 milioni di rifugiati ad abbandonare il paese, mentre il numero dei profughi interni è arrivato a circa 4 milioni. L’aggravarsi della crisi umanitaria ha fatto crescere enormemente la tensione nei paesi vicini. I lavoratori migranti che si sono riversati nei paesi del Golfo per sfuggire alla povertà hanno trovato pessime condizioni lavorative e il cosiddetto sistema del lavoro tramite sponsor che li ha spesso intrappolati in un circolo di sfruttamento. In Libia le autorità non hanno trovato una situazione duratura per intere comunità sfollate a causa del conflitto, come i tawargha e i mashashya, che hanno continuato a vivere in campi scarsamente attrezzati e non hanno potuto ancora rientrare nelle loro case per paura di rappresaglie. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo hanno ancora subito detenzioni a tempo indeterminato, torture e altri maltrattamenti, anche da parte delle varie milizie. Rifugiati e richiedenti asilo eritrei rapiti dai campi per i rifugiati nel Sudan orientale sono stati portati nel deserto del Sinai in Egitto, dove sono stati tenuti prigionieri da bande criminali beduine in attesa del pagamento del riscatto da parte delle loro famiglie. Le donne sono state in primo piano durante le proteste nella regione ma sono stati registrati pochi passi avanti significativi nel riconoscimento dei loro diritti o nella diminuzione dell’intensa discriminazione alla quale sono sottoposte nella legge e nella prassi. Le ripetute aggressioni sessuali in Egitto e altrove hanno portato fortemente alla ribalta il tema della violenza sulle donne. Le autorità in Arabia Saudita, Iran, Iraq e Yemen hanno continuato a fare ricorso su larga scala alla pena di morte: le esecuzioni in questi quattro paesi rappresentano il 99 per cento del totale regionale. In Algeria, Giordania, Libano, Marocco e Tunisia è rimasta in vigore una duratura moratoria de facto. 6