Metodi infinitesimali File

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Metodi infinitesimali File
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Storia delle Matematiche 1
a.a. 2014-15
Capitolo III La determinazione della retta tangente nel XVII secolo
1. La retta tangente nella Géométrie di René DESCARTES (1596-1650)
Nato a La Haye, in Francia nel 1596, la sua famiglia era agiata, apparteneva alla
cosiddetta “noblesse de robe”. Fu allievo del collegio dei gesuiti di La Fleche, dove ricevette
una moderna educazione sia in matematica, sia in fisica (che includeva le scoperte di Galileo
sul telescopio), sia in filosofia e negli studi classici. Laureatosi in legge all’Università di
Poitiers nel 1616, viaggiò a seguito di diverse campagne militari. Ebbe così l’occasione di
visitare molti paesi come la Francia, l’Olanda, la Germania, l’Ungheria e l’Italia. Nel 1617
entrò come volontario nell’esercito di Maurizio di Nassau, principe d’Orange e nel 1618
incontrò a Breda Isaac Beeckmann, che lo iniziò alla ricerca scientifica, proponendogli vari
problemi, soprattutto di meccanica e di acustica. Si accostò, su suggerimento di Beeckmann ai
testi di Pappo e di Diofanto e agli scritti degli algebristi cossisti tedeschi, come Rothe e C.
Clavius. Questi ultimi gli furono consigliati da un insegnante di Uhlm, J. Faulhaber. Nel
Discour de la méthode e in lettere ad amici Descartes confessò di aver ideato nel 1619 una
scienza completamente nuova. In quel periodo 1619-20 era a seguito del duca di Baviera e
proprio nell’inverno del 1619 mise a punto le sue quattro famose regole per la ricerca della
verità:
1. accettare per vero solo ciò che è evidente
2. dividere le difficoltà in parti, per meglio risolverle
3. ordinare i pensieri dal semplice al complesso
4. fare ovunque enumerazioni complete.
Nel 1620-28 andò viaggiando e sul finire del 1628 decise di stabilirsi nei Paesi Bassi.
Durante tale soggiorno stese un trattato di metafisica e ebbe notizia di uno straordinario
fenomeno, quello dei pareli (rifrazione dei raggi solari sulle alte nubi dell’atmosfera,
responsabile della formazione di dischi luminosi attorno al sole), osservato a Roma il 29
marzo 1629. Si applicò allora allo studio della fisica e scrisse l’opera Del mondo (1632-33) in
cui mostrava di preferire il sistema copernicano a quello tolemaico, ma la condanna di Galileo
(1633) lo convinse a desistere dalla pubblicazione di questo libro.
Nel 1631 il suo amico Jacob Golius lo invitò a risolvere un celebre problema
dell’antichità: il problema di Pappo per 3 o più rette. Descartes applicò al problema la sua
nuova metodologia e lo risolse in generale per un qualsiasi numero di rette. Questa
circostanza lo portò a scrivere l’esposizione sistematica della sua nuova teoria analitica nel
trattato Géométrie che venne pubblicato a Leida nel 1637, insieme alla Dioptrique e alle
Metéores, tutte e tre Appendici del Discour de la méthode. Nella Diottrica esponeva parte
delle teorie elaborate nel Traité du monde sull’ottica e in particolare sul fenomeno della
rifrazione, mentre nelle Meteore troviamo le sue teorie sulla natura della luce e
dell’arcobaleno. La Géométrie contiene invece le prime basi della moderna geometria
analitica. Presupposto per il costituirsi di questa disciplina era l’interesse che nel XVII secolo
venne ad avere lo studio delle curve e la ricerca di metodi di generale applicazione per
ottenere le conoscenze desiderate sulle proprietà di alcune curve. I greci si erano limitati a
risolvere i loro problemi caso per caso, con ingegnosi accorgimenti, ma senza produrre
un’impostazione generale. Fu questo forse il motivo principale che spinse Descartes a ideare e
costruire una nuova geometria. A ciò si deve anche aggiungere che a quell’epoca, l’algebra
era una disciplina molto popolare e importante, dopo i successi ottenuti sulle equazioni di
terzo e quarto grado dai matematici italiani del Rinascimento. Mancava però un legame con la
geometria. Per questi motivi nel Discour de la méthode Descartes confessava:
“Quanto poi all’analisi degli antichi e all’algebra dei moderni,oltre a riferirsi
esclusivamente a materie astrattissime e che sembrano inutili, la prima è talmente
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vincolata alla considerazione delle figure da non poter esercitare l’intelletto senza
affaticare molto l’immaginazione, e la seconda è talmente assogettata a certe regole e a
certe cifre da divenire un’arte confusa e oscura, che confonde la mente invece di
coltivarla.”
Nel 1641 Descartes pubblicò le Meditationes de prima philosophia, che furono attaccate dal
G. Voet, rettore dell’Università di Utrecht. Nel 1643 iniziò la sua corrispondenza epistolare
con la principessa Elisabetta. Nel 1644 vennero editi i Principia Philosophiae e nel 1649
Descartes accolse l’invito rivoltogli dalla regina Cristina di Svezia a recarsi alla sua corte a
Stoccolma, dove però non sopravvisse al rigido clima nordico e morì il giorno 11 febbraio
1650.
Géométrie 1637
Nel libro I intitolato “Problemi che si possono costruire usando
soltanto cerchi e rette” vengono presentate le notazioni
B algebriche moderne: x, y, z, ... per le incognite e a, b, c, ...per le
A
costanti; +, x, - e la linea di C
E
D
frazione
per
le
quattro
B
operazioni e xx, x3, x4, ...per le potenze. Tale simbolismo
A
verrà seguito da quasi tutti i matematici dopo il 1637 e
D
dominerà incontrastato nella seconda metà del secolo. Dopo
I
l’introduzione delle notazioni Descartes spiega come possono
essere interpretate geometricamente le operazioni aritmetiche e
quelle algebriche.
K
F
H Vediamo ad esempio la moltiplicazione: AB=1, DB=a, BC=b
G
unisce A con C e traccia la parallela ad AC, che incontra BC in E, per cui in virtù della
similitudine si potrà scrivere AB:BC = BD:BE, 1: b  a: BE, BE = ab.
Divisione: analogamente per dividere BD per
BC si unisca D con C e si prenda AB=1 e si
tracci da A la parallela a CD, per cui O
N
DB: BC = AB:BE, a: b  1: BE, BE = b: a.
Estrazione di radice: se GH=a per esprimere
in modo geometrico a si prende FG=1 e
M
L
con centro nel punto medio K di FH si traccia
il cerchio di raggio FK, il segmento IG perpendicolare a FH sarà il cercato
IG 2  FG  GH, b 2  a , b= a
Equazione
z 2  az  b 2
E
C
a
a2

 b2
2
4
Dati a e b si tratta di trovare geometricamente z. Si innalza sull’estremo L del segmento
a
LM=b la perpendicolare NL= e si traccia il cerchio di centro N e raggio NL. Unendo N e M
2
e prolungando fino ad incontrare la circonferenza in O, si trova la radice cercata OM=z
OM = ON + NM
z
a
a2
OM  
 b2
2
4
60
Problema di Pappo
Descartes attribuisce grande importanza alla risoluzione di questo problema che i Greci
avevano risolto solo nel caso di 3 e 4 rette. Si tratta della determinazione di un particolare
luogo geometrico, che Descartes ottiene tramite l’introduzione delle coordinate.
Nella sua formulazione più generale l’enunciato del problema è il seguente: se sono date un
certo numero di rette ri nel piano e i sono degli angoli dati e di i segmenti che rappresentano
le lunghezze dei segmenti Pri dove P è un punto generico del piano, in modo tale che i
segmenti formino con le ri angoli dati i ( per cui se i fosse un angolo retto, i di sarebbero le
distanze dei punti dalle rette), il prodotto dei di dalla metà delle rette sta a quello dall’altra
metà in un certo rapporto fissato :. Si tratta in altre parole di esprimere il luogo geometrico
dei punti P che soddisfano le seguenti proprietà:
 3 rette
d1  d 2 : d 3 2  : 
 4 rette
 2n1
 2n
d
d
d
1
1
1
 d 2 : d 3  d 4   : 
 d 2 ....d n : d n1  d n2 ...d 2 n1  a  : 
 d 2 ....d n : d n 1  d n 2 ...d 2n   : 
Nel caso di 3 e 4 rette il luogo è una conica, come dimostrò già Pappo, mentre in generale se
le rette non sono tutte parallele è una curva. Descartes affrontando il problema al termine del
primo libro della Géométrie pone le coordinate d1=y e fissa uguale ad x la distanza sulla retta
r1 da un punto fisso A (origine degli assi) e dall’intersezione di d1 con r1. Con semplici
considerazioni geometriche egli mostra che tutti i di si possono esprimere linearmente in x e y,
per cui si può scrivere
d i  ai x  bi y  ci
e osserva che nel caso di ri tutte parallele, non compare x nell’espressione dei di. I prodotti, di
cui sopra, diventano dunque espressioni algebriche in x e y di grado al più uguale ad n. Risulta
infatti nel caso di 2n rette l’equazione
y (a 2 x  b2 y  c 2 )..... a n x  bn y  c n  

a x  bn1 y  cn1 ....a 2n x  b2n y  c2n  .
 n 1
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Le posizioni assunte da Descartes sull’esistenza delle equazioni dei luoghi geometrici, della
costruibilità per punti di ciascuna curva e dell’equivalenza di tali costruzioni con il
tracciamento delle curve con moto continuo (un’affermazione non dimostrabile) lo portano a
concludere che ogni equazione corrisponde ad una curva. Egli
chiama queste curve curve geometriche e le distingue da quelle
P
meccaniche, ottenute con la composizione di moti. Le sue curve
geometriche corrispondono alle curve algebriche, mentre quelle
meccaniche alle curve trascendenti. Nella sua geometruia egli
rifiuta le curve meccaniche e accetta solo le altre (geometriche,
C
algebriche).
Determinazione della retta tangente
Per le curve geometriche Descartes elabora un metodo per determinare la tangente nel libro
secondo della Géométrie. Egli determina in realtà la normale alla curva, un problema
equivalente a quello, essendo la normale sempre perpendicolare alla tangente nel punto dato.
Data l’equazione della curva F(x, y) =0 se si desidera trovare la normale nel punto P(a, b) si
considera il cerchio avente centro su uno degli assi e si studiano le intersezioni con la curva.
Imponendo che tali intersezioni coincidano nel punto in cui si vuole la normale, il raggio del
cerchio indica la posizione della retta normale per il fatto che è ben noto che il raggio è
sempre perpendicolare alla tangente. Dunque dall’equazione risultante del sistema formato fra
la curva e la circonferenza, utilizzando il principio d’identità dei polinomi, ovvero il metodo
dei coefficienti indeterminati si giunge ad un sistema che permette di trovare le incognite del
problema.
Se il sistema fra la curva e la circonferenza è il seguente
F  x , y  0
 x  c 2  y 2  r 2
sostituendo il valore di y della prima equazione nella seconda, si ottiene l’equazione risultante
di grado n  2 che si può esprimere nella forma
x, c, r   0
Tale equazione andrà confrontata con l’equazione in cui due intersezioni coincidono in x=a,
cioè con l’equazione
n


 x  a 2  x n 2    i x n i   0 .


i3
Il sistema ottenuto dal confronto dei coefficienti delle due equazioni permetterà di ottenere c
ed r e dunque di risolvere il problema scrivendo la retta per P e il centro C del cerchio.
Si tratta di un metodo molto rigoroso, ma applicabile solo a curve algebriche.
Esempio: Si consideri la curva y=x4 e si determini la retta normale nel punto di ascissa
x=a. Descartes considera il sistema
y  x4
 x  c 2  y 2  r 2
da cui trae
x 8  x 2  2cx  c 2  r 2  0
che va confrontata con
x  a2 x 6  px5  qx4  sx 3  tx 2  zx  v  0
che in x=a ha due soluzioni coincidenti. Dal confronto delle due equazioni
62
x 8  x 2  2cx  c 2  r 2  0 e
x 8  ( p  2a) x 7  (q  2ap  a 2 ) x 6  ( s  aq  a 2 p) x 5  (t  2as  a 2 q) x 4  ( z  2at  a 2 s) x 3
 (v  2az  a 2 t ) x 2  (a 2 z  2av) x  a 2 v  0
si ricava il sistema di otto equazioni in otto incognite, che permette di risolvere il problema:
z  2at  a 2 s  0
p  2a  0
q  2ap  a 2  0
s  2aq  a 2 p  0
t  2as  a 2 q  0
v  2az  a 2 t  1
 2av  a 2 z  2c
a 2v  c 2  r 2
Determinato c si può scrivere l’equazione della retta normale passante per i due punti P e C.
Nei commenti all’edizione latina della Géométrie curata dall’olandese Frans van
Schooten ed edita nel 1649 (e poi in edizioni successive apparse in 2 volumi nel 1659-61, nel
1679 e nel 1695) Schooten cercò di semplificare il metodo di Descartes introducendo al posto
del cerchio una retta secante e imponendo che le due intersezioni con la curva coindano in un
punto solo, quello di tangenza. Johann Hudde nel suo Commento alla stessa opera fornì delle
scorciatoie di calcolo per evitare le lungaggini del metodo di Descartes, soprattutto nella parte
finale dei sistemi di equazioni.
2. Massimi, minimi e retta tangente in Pierre Fermat (1601-1665)
Il padre di Fermat era commerciante; ricevette un’educazione classica, conosceva
infatti sia il latino che il greco, oltre al francese, l’italiano e lo spagnolo. Successivamente
scelse la professione di magistrato che esercitava a Tolosa. Come matematico diede contributi
nel campo della geometria analitica, del calcolo infinitesimale (Laplace e Lagrange lo
considerarono l’iniziatore del calcolo differenziale), del calcolo delle probabilità e della teoria
dei numeri. Dalle lettere e dagli scritti spediti a contemporanei è possibile risalire al suo
sviluppo come matematico. Nell’ambiente culturale francese Fermat era una figura un po’
isolata, soprattutto perché viveva a Tolosa, nel sud della Francia, lontano da Parigi, che era il
vero centro culturale dell’epoca. Tuttavia Fermat intrattenne una fitta corrispondenza con
Mersenne, che lo mise in contatto con Descartes, Roberval e Pascal. Approfondì lo studio
delle opere di Viète, da cui apprese la nuova algebra simbolica e la teoria delle equazioni,
strumenti che utilizzò moltissimo nella sua ricerca. Egli stesso dichiarava di essere sulla scia
di Viète. Approfondì anche lo studio dei classici, quali Euclide, Archimede, Apollonio e
Diofanto. I suoi lavori hanno per lo più il carattere di brevi saggi o lettere ad amici; quasi
nulla venne scritto in vista della pubblicazione. I suoi contributi vennero editi dal figlio
Samuel nel 1679 col titolo Varia Opera Mathematica. Inoltre Fermat amava scrivere in
margine ai suoi libri le idee che gli venivano in mente. Per esempio la maggior parte dei suoi
risultati in teoria dei numeri venne pubblicata dal figlio sulla base delle note marginali
all’edizione dell’Arithmetica di Diofanto a cura di Bachet de Méziriac e nella seconda metà
del Seicento fu pubblicata una nuova edizione di quest’opera coi commenti di Fermat. Nel
‘700 Fermat era poco noto, proprio perché pubblicò pochissimo; solo verso la metà dell’800,
soprattutto grazie al rinascere delle ricerche in teoria dei numeri, nacque un nuovo interesse
per questa figura di scienziato geniale, ma piuttosto riservato.
Nel 1629 Fermat trovò un nuovo metodo per la risoluzione dei problemi di massimo e
minimo, che tuttavia non dimostrò rigorosamente, per cui divenne oggetto di discussioni tra i
matematici dell'epoca. Con il suo metodo Fermat risolve tre tipi di problemi:
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 problemi di massimo e di minimo, fra i quali quello di trovare il cilindro di superficie
massima inscritto in una sfera e il problema della rifrazione della luce;
 problemi delle rette tangenti alla parabola, all'ellisse e ad altre curve;
 problemi di determinazione di centri di gravità.
Per le curve algebriche y=f(x) elaborò un metodo ingegnoso per trovare i punti in cui la
funzione assume un valore massimo o minimo. Confrontò il valore di f(x) in un punto con il
valore di f(x+E) in un punto a questo molto vicino; solitamente questi valori risultano diversi,
ma nei punti di massimo o di minimo di curve continue la differenza dei valori di ordinate
infinitamente vicine è quasi impercettibile, per cui se si indica con a l’ascissa del punto di
massimo o minimo, si può scrivere che
f a   f a  E 
si stabilisce cioè una adeguaglianza, o “quasi eguaglianza”. Effettuata questa Fermat procede
nel trattamento con metodi algebrici delle quantità trovate, semplifica, poi divide per E
(supponendo dunque implicitamente che E sia diverso da 0) e infine pone E=0. I valori così
ottenuti forniscono le ascisse dei punti massimo o minimo della curva considerata. Con
questo metodo, pur non giungendo ancora al concetto di limite, fu il primo ad ideare il
f ( x  E )  f ( x)
rapporto incrementale
, gettando così le basi del futuro concetto di derivata.
E
Ecco come nel saggio Methodus ad disquirendam maximam et minimam (del 1637, ma
pubblicato nel 1679 in Varia Opera Mathematica) il metodo di Fermat si esplica sul seguente
problema di ricerca del massimo:
"dato il segmento di lunghezza b dividerlo in due parti, in modo che il loro prodotto sia
massimo, cioè sia massima l’area formata da queste parti":
ab  a   (a  E)b  a  E 
Si ottiene quindi:
ab  a 2  ab  a 2  aE  bE  aE  E 2
da cui
0  2aE  bE  E 2
e dividendo per E:
0  2a  b  E
ponendo poi E=0:
b
a
2
cioè è il quadrato la figura di area massima così costruita.
Si noti che la terminologia e il simbolismo utilizzati da Fermat quando stabilisce
l’adeguaglianza e quando poi giunge al risultato finale è il seguente:
B in E adaequabitur A in E bis+Eq
B adaequabitur A bis.
Fermat applicò il suo procedimento per trovare i massimi e minimi alla determinazione della
retta tangente ad una qualsiasi curva algebrica.
La retta tangente per Fermat era, come per i Greci, quella retta che lasciava la curva
tutta da una stessa parte, e per questo la sua determinazione poteva essere collegata al
problema dei massimi e dei minimi. Infatti se si vuole la tangente in P 0(x0, y0) appartenente
alla curva y = f(x) una volta scritta la retta per P0
y  y0   x  x0 
si determinano i punti di massimo o di minimo della funzione
y  y0    x  x0 
64
ora si vede che se la curva è concava verso il basso, P0 sarà un punto di massimo essendo
nulla in x=x0 e per il resto y  y 0    x  x 0   0 , mentre se la curva ha la concavità rivolta
verso l’alto y  y 0    x  x 0   0 , cioè P0 sarà un punto di minimo.
Applicando dunque il metodo dell’adeguaglianza alla funzione semplificata, ma equivalente
f  x  x con ad esempio un massimo in x0 si avrà
f  x 0   x 0  f  x 0  E     x 0  E 
Se la curva fosse y  x si avrebbe
2
x 0 2  x 0   x 0  E     x 0  E 
2
x 0 2  x 0  x 0 2  E 2  2 Ex 0  x 0  E
E 2  2 Ex 0  E  0
E  2 x0    0
2 x0    0
  2 x0 .
3. Roberval e la determinazione della retta tangente per via cinematica
Roberval considera un punto che descrive con il suo moto la curva; pensa alla velocità e dice
che essa è tangente alla curva, per cui nota la velocità del punto è nota la direzione della retta
tangente:
"La direzione del movimento di un punto che descrive la curva è la retta tangente della
curva in ogni posizione di quel punto."
P
Questo assioma era già stato ammesso da Galileo e da Torricelli, e Roberval lo pone in modo
esplicito per poter enunciare la sua regola per determinare la retta tangente ad una curva in un
punto dato:
"Per le proprietà specifiche della curva, che vi sono date, esaminate i diversi
movimenti che compie il punto che la descrive proprio là dove intendete condurre la tangente:
componete poi tutti questi movimenti in uno solo, tracciate la linea che rappresenta la
direzione del moto composto e avrete la tangente alla curva."
Caratteristica di Roberval è la possibilità, ammessa a priori, di scomporre la velocità in
infiniti modi: "Ogni moto può essere scomposto in infiniti modi".
65
Il metodo di Roberval consiste nell’esprimere la velocità con la teoria dei moti
composti, esaminando le proprietà della curva, che suggeriscono le scomposizioni opportune.
Nel caso dell’ellisse, Roberval afferma:
"Si abbia un’ellisse e sia F un punto sulla curva. Tracciamo le rette
I
D BFC e AFD condotte a partire dai fuochi A e B. Siccome il punto F si
allontana da uno dei punti A e B tanto quanto si avvicina all’altro, è
sufficiente dividere l’uno dei due angoli AFC o BFD in due parti
B
F
uguali tramite la retta FI che sarà la tangente."
C
Essendo AF+BF = costante si può pensare di scomporre la velocità
di F in due velocità uguali in modulo: l’una diretta verso D, l’altra
verso B e dalla loro composizione si può costruire la tangente. In
 


termini moderni, se u1 , u2 sono le due velocità, tali che | u1 | = | u2 |,
componendole si trova F' e la sua direzione, dunque la tangente.
Il risultato trovato da Roberval è esatto, come la moderna teoria può dimostrare. Se (r,θ) sono
 

  
le coordinate polari,  1 e  2 i versori di F  A e di F  B ,  1 e  2 i versori ortogonali nel
senso di θ crescente in senso antiorario; A e B i fuochi dell’ellisse e F un punto sull’ellisse,
considerando come piano di riferimento dapprima il piano solidale con AF = r1 le componenti
di F' saranno:
A



v F  r1 1  r1 11
B
Considerando ora il piano solidale con BF = r2,si avrà



v F  r2  2  r2 2  2
α1

e per conoscere l’angolo compreso fra v F e AF oppure BF
basterà considerare
 
v F   2  r2
ed essendo r1+r2 = cost., r1  r2 = 0 cioè r1  r2 ,
 
v F   1  r1
F
da cui
 
 
v F   1   v F   2 , cioè


| v F | cosα1 = - | v F | cosα2,
α2
A
dunque α1 = α2, cioè la tangente coincide con la bisettrice dell’angolo BFD.
66
Se si considera la parabola y 2  2 px la retta tangente sarà la bisettrice dell’angolo
formato dalla congiungente il punto col fuoco e dalla parallela all’asse passante per il punto.
1

2
P
i

T
F(p/2,0)
vP  xi  yj
vP    
vP  i    x
ed essendo vP    
vP  i  vP    cos 1  cos  2  1   2 

2
.
4. Il metodo di Isaac Barrow (1630-1677) con l’uso degli infinitesimi
Amante dei classici, l’inglese John Barrow nel 1655 emigra a causa della dittatura di
Cromwell e ritornerà in Inghilterra nel 1660, con la restaurazione di re Carlo II sul trono,
diventando professore di greco a Cambridge, poi professore di geometria a Londra e nel 1663
ottiene la cattedra lucasiana di geometria a Cambridge. Fra i suoi allievi ebbe Isaac Newton.
Il suo nome è legato al teorema di inversioneo teorema fondamentale del calcolo integrale che
costituisce il vero iniziodel calcolo infinitesimale moderno, l’anello di congiunzione fra il
calcolo integrale (problema di aree, volumi, …) e quello differenziale (tangenti).
Nelle sue Lectiones opticae et geometricae del 1669-70 al Trinity College di Cambridge
Barrow propone di risolvere il problema delle
tangenti, introducendo incrementi alle variabili,
precisamente l’incremento a alla x e l’incremento e
alla y. L’equazione della curva espressa in forma
implicita F(x,y)=0 si intende valida ancora per le
Q
variabili incrementate F(x+a,y+e)=0.
P(x0,y0) e
Si passa così dal punto P(x0,y0) al punto
a
Q(x0+a,y0+e). Sviluppata l’espressione così
ottenuta Barrow trascura tutti i termini in cui a ed e
y
hanno grado maggiore o uguale a 2, affermando
che se 0  a  1, a 2  a e per valori piccolissimi
di a è trascurabile rispetto ad a. Lo stesso
St
ragionamento è ripetuto per e, per cui trascura i
3
2
3
2
termini in cui compaiono a , a ,e ,e .
67
Dalla similitudine fra il triangolo finito formato dalla tangente, dall’ordinata e dalla
sottotangente e quello di lati infinitesimi a, e e l’elemento infinitesimo di curva deduce la
sottotangente in P(x0,y0):
S t : y0  a : e
può ricavare il rapporto e/a e dunque la sottotangente.
Ad esempio per la curva di equazione
x3  y 3  r 3
imponendo che Q(x0+a,y0+e) appartenga alla curva si avrà
x0  a 3   y0  e3  r 3
x0  3ax0  3a 2 x0  a 3  y0  3ey 0  3e 2 y0  e 3  r 3
3
2
3
2
trascurando poi i termini in cui compaiono a 3 , a 2 ,e 3 ,e 2 ottiene
x0  3ax0  y0  3ey 0  r 3
3
2
3
2
e sapendo che x0  y0  r 3 deduce  3ax0  3ey 0  0 , cioè  x0  y 0
3
2
3
2
2
2
e
 0 , da cui per
a
la proporzione ricavata dalla similitudine si avrà:
S t x0  y 0 y 0  0 , S t  
2
2
y0
3
2
x0
Esempio di determinazione della sottotangente dell’iperbole nel punto P(x0,y0)
9 x 2  25 y 2  225 , con x>0, y>0
9x0  a   25 y0  e  225
18ax0  25ey 0  0
2
9 x0
2
St
 25 y 0  0
y0
2
25 y 0
.
9 x0
Oltre all’utilizzo di infinitesimi, non sanciti dalla teoria delle grandezze vigente, il limite di
questo metodo consiste nel non essere applicabile alle curve nelle quali le variabili nelle
equazioni non sono separate. Barrow propose delle regole per trovare le tangenti e quest’idea
fu ripresa dal matematico belga François Sluse (1622-1685) che trovò una regola analoga a
quella di Barrow e la comunicò alla Royal Society nel 1672.
St 
Vedi sulla presentazione in ppt il Teorema fondamentale del calcolo integrale in I. Barrow.