Isola Nera 1/33

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Isola Nera 1/33
Isola Nera 1/33
Casa di poesia e letteratura.
La prima in Sardegna, in Italia, aperta alla creazione letteraria degli autori
italiani e di autori in lingua italiana.
Isola Nera è uno spazio di libertà e di bellezza per un mondo
di libertà e bellezza che si costruisce in una cultura di pace.
Direzione Giovanna Mulas. Coordinazione Gabriel Impaglione.
[email protected] - maggio 2006 - Lanusei, Sardegna
Pubblicazione Patrocinio UNESCO. Inserita nella categoria Riviste (italia)
http://www.unesco.org/poetry/
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“(…) Al tempo che rinnova i miei sospiri/per la dolce memoria di quel
giorno/che fu principio a sì lunghi martiri”
Francesco Petrarca
LA LIBERTA’, LA FELICITA’ … E ANCHE L’ECONOMIA
John Kenneth Galbraith
(http://eddyburg.it)
Alcuni brani "storici" del’economista recentemente scomparso, su grandi temi della
vita, straordinariamente anticipatori. The Atlantic Monthly, giugno 1967. Titolo
originale: Liberty, Happiness... and the Economy – Scelto e tradotto per
eddyburg_Mall da Fabrizio Bottini
Tra la fine del secolo scorso e primi decenni di questo, nessun soggetto è stato tanto
discusso quanto il futuro del capitalismo. Economisti, uomini di competenze non
precisate, filosofi della politica, ecclesiastici acculturati, anche George Bernard Shaw,
tutti hanno dato il contributo della propria personale rivelazione. Tutti concordavano sul
fatto che il sistema economico era in uno stato di sviluppo, e che nel tempo si sarebbe
trasformato in qualcosa di sperabilmente migliore, certamente differente ... Il prossimo
passo sarà un riconoscimento generale delle convergenze dei due moderni sistemi
industriali, anche se essi sono etichettati in modo diverso, come socialismo o
capitalismo. E dobbiamo anche presumere che questa sia una buona cosa. Col tempo,
risolverà il problema dell’inevitabile conflitto sulla base di differenze inconciliabili ...
Le due domande che sorgono più di frequente su un sistema economico sono se serva i
bisogni materiali dell’uomo, e se si concilia con la sua libertà e felicità generali. Ci sono
pochi dubbi, sulla capacità del modernosistema industriale di fornire l’uomo di beni ...
La prospettiva della libertà è di gran lunga più interessante. Si è sempre immaginato,
soprattutto da parte dei conservatori, che collegare tutta, o in gran parte, l’attività
economica allo stato, significhi mettere in pericolo la libertà ...
Ma il problema non è la libertà dell’uomo d’affari. Si può considerare regola generale il
fatto che chi parla di più della libertà usa meno quella che ha. L’uomo d’affari che la
considera di più è un disciplinato uomo d’apparato. Il generale in pensione che ora tiene
conferenze sulla minaccia dell’irregimentazione comunista era invariabilmente
unapedina che subordinava la propria esistenza ai regolamenti militari. Il Segretario di
Stato che parla con più sentimento del mondo libero è quello che più ammira il
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conformismo del proprio pensiero.
Il pericolo maggiore è la subordinazione del pensiero alle necessità del moderno sistema
industriale. Come ci convince dei prodotti che compriamo, o come ci persuade sulle
politiche necessarie alla sua evoluzione, nello stesso modo ci adatta ai suoi valori e
obiettivi. Questi consistono nel fatto che la tecnologia va sempre bene, che la crescita
economica è sempre buona, che le imprese devono sempre espandersi, che il consumo di
beni è laprincipale fonte di felicità, che la pigrizia è perversa, che niente deve interferire
alla priorità che accordiamo alla tecnica, alla crescita, all’incremento dei consumi.
Se continuiamo a credere che gli scopi del moderno sistema industriale e le politiche
pubbliche che lo servono vanno di pari passo con la nostra vita in tutti i suoi aspetti,
allora le nostre esistenze saranno al servizio di questi obiettivi. Ciò che è coerente a
questi fini l’avremo o ci sarà consentito; tutto il resto sarà proibito. I nostri desideri
saranno gestiti secondo i bisogni del sistema industriale; lo stato nelle sue politiche civili
e militari sarà pesantemente influenzato dai bisogni dell’industria; l’istruzione verrà
adattata a bisogni simili; il tipodi disciplina richiesto dal sistema industriale sarà la
morale corrente della comunità. Tutti gli altri scopi saranno presentati come un lusso, o
poco importanti, o antisociali. Saremo tutti mentalmente servi del sistema industriale.
Potrà anche essere la servitù benevola di chi cura la casa e a cui viene insegnato ad
amare il padrone e la padrona, a credere che i loro interessi siano anche i suoi. Ma non
si tratta esattamente di libertà.
D’altra parte, se il sistema industriale è visto solo come una porzione, e facendoci noi
sempre più ricchi una porzione che diminuisce, della nostra vita, c’è molto meno da
preoccuparsi. Saranno gli obiettivi estetici ad avere il posto d’onore; chi li perseguirà non
saràsoggetto agli scopi del sistema industriale; lo stesso sistema industriale sarà
subordinato ai fini più alti della vita. La preparazione intellettuale sarà fine a sé stessa, e
non mero servizio al sistema industriale. Gli uomini non saranno più intrappolati nella
convinzione che oltre la produzione di beni e reddito attraverso metodi sempre più
avanzati non c’è altro, nella vita …
C’è il bisogno di subordinare l’economia ai fini dell’estetica per sacrificare
l’efficienza, inclusa quella dell’organizzazione, alla bellezza. Né si devono dire
sciocchezze sulla bellezza che, nel lungo termine, paga. Non deve pagare ... É attraverso
lo stato che la società deve affermare la superiorità dei fini dell’estetica su quelli
dell’economia, e in particolare dell’ambiente sui costi. É allo stato che dobbiamo
guardare per la libertà di scelta individuale su come impegnarci; per un equilibrio fra la
formazione umanistica e l’addestramento tecnico che serve principalmente il sistema
industriale; e deve essere lo stato ad eliminare l’immagine di una politica internazionale
che sostiene la tecnologia al prezzo di pericoli inaccettabili. Se lo stato deve servire questi
fini, il modo scientifico e dell’istruzione, e la più ampia comunità intellettuale, devono
essere consapevoli del proprio potere, dell’occasione che si presenta, e usarlo. Non c’è
nessun altro.
Fonte: http://www.ildialogo.org
Periodico di attualità e cultura il dialogo, diretto da Giovanni Sarubbi
Pier Paolo Pasolini
(Bologna, 1922 - Ostia, 1975)
Poeta, romanziere, autore di opere teatrali, critico letterario, saggista e polemista,
Pasolini è una delle figure cruciali nella cultura nostrana dal XX° secolo. Dopo un
apprendistato quale sceneggiatore per Fellini - collabora ai dialoghi de "Le notti di
Cabiria", 1957 - e più ancora per Bolognini ("La notte brava", 1959; "Il bell’Antonio",
1960; "La giornata balorda", 1960), Franco Rossi ("Morte di un amico", 1960), Carlo
Lizzani ("Il gobbo", 1960), egli debutta nella regia col superbo "Accattone" (1961): al
centro della vicenda, sta quel sottoproletariato già protagonista di due suoi noti romanzi
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("Ragazzi di vita", 1955; "Una vita violenta", 1959), estrema propaggine d’un universo
contadino minacciato dall’imminente avvento del benessere. Sono argomenti che
torneranno, in modi più tradizionali, nel successivo "Mamma Roma" (1962), storia
dell’impossibile riscatto tentato pel tramite del figlio da una non più giovane prostituta.
Nell’episodio "La ricotta" (1963) e ne "Il Vangelo secondo Matteo" (1964), Pasolini si
confronta poi con il tema della Passione: in chiave ferocemente comica nel primo, che gli
costò non poche traversie giudiziarie; secondo un’ottica terzomondista nel secondo, che
resta fra i suoi esiti più alti. Hanno struttura e trasognata cadenza di fiaba gli episodi de
"La terra vista dalla luna" (1967) e "Che cosa sono le nuvole?" (1968): interpretati da Totò
come il lungometraggio "Uccellacci ed uccellini" (1966), sono a quest’ultimo preferibili per
la loro grazia e la capacità di sintesi di temi altrimenti complessi. Il prosieguo della
filmografia pasoliniana si sposta, in forme vieppiù discutibili e regressive, verso i luoghi
del mito: "Edipo re" (1967), "Teorema" (1968), "Porcile" (1969) e "Medea" (1970) sono
lavori involuti e tormentati, sovente mossi da uno sterile e scomposto gusto della
provocazione. Più prolifico il ritorno alla dimensione favolistica della "trilogia della vita":
totalmente immersi in una dimensione edenica e prestorica, all’insegna d’una sessualità
libera e naturale, "Il Decameron" (1971), "I racconti di Canterbury" (1972), "Il fiore delle
Mille e una notte" (1972) mostrano limpide tracce di poesia e sono testimonianza d’una
ritrovata felicità creativa del regista. Il prematuro congedo, tuttavia, è affidato a quel
"Salò o le 120 giornate di Sodoma" (1975) uscito dopo la tragica scomparsa sua.
Perseguitato dalla censura di moltissimi paesi, il film - trasponendo il celebre testo
sadiano nel periodo terminale del fascismo - porta alle conseguenze ultime i coevi
discorsi dell’autore sul genocidio del popolo, compiuto dal Potere in nome dello sviluppo e
della omologazione al consumismo. Stupri, torture, coprofagia ed altro ancora vengono
mostrati attraverso immagini che colpiscono duro e lasciano il segno: il risultato è
irricevibile per molti, ingestibile per alcuni, ma i valori formali della pellicola rimangono
elevati ed innegabili.
Consigliamo, per approfondimenti: http://www.italica.rai.it
PASOLINI E QUEL SOGNO DI COSA
Luigi De Bellis
Pier Paolo Pasolinî nacque a Bologna nel 1922. Seguì il padre, che era militare di
carriera, nei suoi trasferimenti. Frequentò però il liceo e l'università a Bologna, dove ebbe
maestri Contini e Longhi e frequentò Leonetti e Roversi, e dove si laureò in Lettere con
una tesi sul linguaggio del Pascoli, nel 1945. Trascorreva le estati a Casarsa, nel Friuli,
luogo d'origine della madre; e là si era rifugiato dopo I'8 settembre 1943, per sottrarsi
alla chiamata di leva. In friulano compose i suoi primi versi, Poesie a Casarsa (1942), poi
editi con altri testi friulani in La meglio gioventù (1958). Nel 1945 ebbe la notizia che il
fratello Guido era stato ucciso in un conflitto a fuoco fra due gruppi partigiani di diverso
orientamento politico. Nel 1947 si iscrisse al Partito Comunista. Avviatosi alla carriera
dell'insegnamento, vicino a Casarsa, venne allontanato dall'insegnamento e poi anche
espulso dal PCI in seguito a un oscuro episodio di omosessualità che sfociò in un
processo per corruzione di minori. È questo il primo di una lunga serie di processi (oltre
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anche il ruolo pubblico, che egli si ritagliò) di emarginato e ribelle.
In seguito allo scandalo nel 1949 dovette lasciare Casarsa, assieme alla madre (i rapporti
con il padre si erano già deteriorati)., e si trasferì a Roma, stabilendosi dapprima in una
borgata e vivendo di lezioni private e dell'insegnamento in una scuola privata. La
scoperta del mondo del sottoproletariato romano gli ispirò - oltre ad alcuni dei versi
contenuti nelle Ceneri di Gramsci (1957) e nella Religione del mio tempo (1961), che
seguivano quelli dell'Usignuolo della Chiesa cattolica (ma degli anni 1943-1949, e cioè
anteriori alle Ceneri) - soprattutto i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta
(1959), che fecero scandalo, ma lo avviarono al successo letterario. Con gli antichi
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compagni d'università Leonetti e Roversi, fondò e diresse dal 1955 al 1959 la rivista
«Officina», che vide fra i collaboratori Fortini, Volponi e altri importanti critici e letterati
militanti.
Cominciava intanto la sua attività nell'ambito del mondo cinematografico: collaborò ad
alcune sceneggiature (anche per le Notti di Cabiria di Fellini), quindi a partire dal 1961
diresse numerosissimi film, da Accattone a Uccellacci e uccellini, da Edipo re a Teorema,
da Medea al Decameron. Molti di questi film fecero scandalo, come i romanzi, e in
qualche caso costarono a Pasolini processi e condanne.
Negli anni Sessanta pubblicò ll sogno di una cosa (un romanzo scritto nel 1949), scrisse
alcune tragedie, altri versi (Poesia in forma di rosa, 1964; Trasumanar e organizzar,
1971) e svolse un'ìntensa attività di critico militante su vari giornali e riviste (fra l'altro
diresse con Moravia e Carocci «Nuovi Argomenti»), attività che, dopo la raccolta Passione
e ideologia (1960), sfociò in numerosi volumi, in parte usciti postumi: da Empirismo
eretico (1972) e Scritti corsari (1975) a Descrizioni di descrizioni (1979). Morì assassinato
a Ostia in circostanze oscure nel 1975.
Società dei consumi e omologazione
Il progressivo affermarsi in Italia di comportamenti e valori tipici della civiltà dei consumi
è stato esami 'nato da Pisolini; a metà degli anni Settanta, con appassionata attenzione
in una serie di interventi giornalistici che per la radicalità di certi giudizi hanno suscitato
vivaci e frequenti polemiche. Pasolini vede nella spirale dei consumi basata su bisogni
artificiosamente creati, nello "sviluppo" mitizzato dalla società contemporanea, un
meccanismo che stritola culture e valori differenziati da secoli e rende gli esseri umani
identici e interscambiabili in un processo di omologazione.
Via via che egli le formulava sulla stampa, le tesi di Pasolini hanno suscitato accesi
dibattiti, e certamente sono per molti aspetti discutibili. Noi abbiamo riportato questi
testi anzitutto per testimoniare un aspetto del dibattito dei primi anni Settanta.
È certo comunque (questa la nostra opinione) che - al di là di certe volute paradossalità o
delle strumentalizzazioni in senso reazionario alle quali talor a si prestano - scritti di
questo genere hanno avuto un merito: quello di far riflettere sulle contraddizioni della
società in cui viviamo e sull'alto prezzo - in termini di valori umani - che comporta il
mitizzato "sviluppo".
Tra lirismo e impegno civile
L'itinerario poetico di Pier Paolo Pasolini è complesso e anche contraddittorio, ricco di
esperienze linguistiche e stilistiche diverse, di tensioni, di suggestioni accolte e di
polemici rifiuti. Pasolini in quest'epoca si impose una difficile sintesi di lirismo e poesia
civilmente impegnata, di cui sono testimonianza le raccolte Le ceneri di Gramsci (1957) e
La religione del mio tempo (1961). Dalla prima raccolta riproduciamo la seconda parte
del lungo poemetto Il pianto della scavatrice, in cui il poeta rievoca il suo primo impatto
col mondo sottoproletario delle borgate romane.
Emarginazione e impegno. Pasolini, scrive questo testo sul finire degli anni Cinquanta,
proprio negli anni cioè della crisi del neorealismo e del ritorno all'intimismo e al privato.
Qui, come nelle Ceneri di Gramsci e in qualche altro testo coevo, la difficile operazione di
restituire alla poesia una funzione civile, senza per questo trascurare la propria vita e
storia interiore, fatta di pulsioni anche violente e confuse e di tensioni e lacerazioni
profonde, dà i suoi frutti forse migliori. La rievocazione del proprio approdo alle borgate
romane, dopo la drammatica separazione dal mondo friulano vagheggiato (anche nei
versi dialettali de La meglio gioventù) in quanto depositario di una cultura arcaica ancora
intatta, si fonde naturalmente con la rappresentazione (accusatoria) della desolazione e
degradazione dell'ambiente suburbano e con l'assunzione del sottoproletariato a possibile
forza traente della storia. Quello che qui si coglie in atto è un processo di mitizzazione del
sottoproletariato urbano, processo analogo e opposto a quello di mitizzazione della
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società rurale arcaica dell'infanzia friulana. A legare i due mondi è forse proprio il dato
della comune marginalità (che nella gente di borgata è vera e propria emarginazione)
rispetto ai grandi movimenti innovatori della storia (il capitalismo e il neocapitalismo, ma
anche il marxismo ortodosso: di questi anni è l'invasione dell'Ungheria), contro cui
Pasolini assume sempre una posizione fortemente critica e provocatoria (talora
confusamente, talaltra lucidamente critica e provocatoria). Ma è da notare, anche a
giustificazione dell'esito artistico del poemetto, che questa comune marginalità dei due
mondi si fonde con il senso di personale emarginazione, che costituisce uno dei nodi
fondamentali del vissuto e della riflessione pasoliniana e che Pasolini in qualche misura
coltiverà anche quando - dopo i processi e gli scandali - gli arriderà il successo, come
scrittore, uomo di cultura e cineasta.
La forma discorsiva. Da un punto di vista formale, l'assunzione di un linguaggio
discorsivo e di una struttura metrica relativamente tradizionale (si veda la nota
sull'estenuazione della terzina) segna una netta svolta rispetto al lirismo della raccolta di
versi friulani e al multiforme mimetismo dell'Usignolo della Chiesa cattolica (1943-1949,
dove simbolismo, ermetismo, manierismo, barocco e vari altri modelli culturali facevano
sentire il loro influsso). Pasolini aspira ora a una poesia che fonda elementi narrativi,
lirici e argomentativi, una poesia che anche da questo punto di vista sia espressione
della propria passione e della propria ideologia (Passione e ideologia è il titolo di una
raccolta di saggi pubblicata in questi medesimi anni). È pure significativo, sul piano
critico, che egli veda nel Pascoli, cui deve il modello novecentesco della terzina
"dantesca", il poeta chiave del rinnovamento poetico del secolo.
RAGAZZI DI VITA
Un quadro corale di vita plebea nei sobborghi romani
La definizione del critico Pullini ben coglie la particolare natura di Ragazzi di vita: non
romanzo in senso proprio (manca un protagonista, un vero e proprio intreccio, una
struttura organica), ma serie di scene sostanzialmente autonome. Attraverso di esse,
Ragazzi di vita offre una cruda testimonianza della vita nelle borgate romane tra la fine
della seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni cinquanta. Se osservato attraverso i
parametri delle convenzioni romanzesche, il romanzo può effettivamente apparire privo
«di spina dorsale» (Pullini); occorre però innanzitutto tener conto del fatto che
l'ispirazione del libro è più saggistico-documentaria che propriamente narrativa. Inoltre è
lecito pensare che Pasolini abbia conferito al libro una struttura volutamente "aperta"
proprio perché rispecchiasse realisticamente il "ritmo" anarchico della vita dei suoi "eroi"
(attaccando così le convenzioni romanzesche anche sul piano strutturale, oltre che, come
vedremo, linguistico).
Tipologia dei personaggi
I personaggi del romanzo, tutti giovanissimi, appartengono esclusivamente al
sottoproletariato urbano. Solo in alcuni casi vengono presentati con i nomi propri
(Amerigo, Marcello, Genesio), mentre l'autore preferisce identificarli con il soprannome in
codice" che hanno nel gruppo di sbandati di cui fanno parte (il Lenzetta, il Piattoletta, il
Riccetto), quasi a sottolineare la separatezza del mondo dei "ragazzi di vita" dal corpo
sociale. Legati ad una dimensione di pura "fisicità", essi si muovono spinti sempre da
esigenze elementari, addirittura biologiche (il cibo, il sesso), non hanno una coscienza,
men che meno politica, sono pura energia vitale. Vivendo alla giornata, di espedienti,
incorrono in continue avventure, ora comiche, ora grottesche, ora tragiche. Neppure
queste ultime però lasciano il segno su di loro: sospinti da una esuberante energia, essi
vengono riassorbiti dal ritmo della loro vita vagabonda, disperata e insieme allegra. Sono
personaggi elementari che si esprimono esclusivamente nell'azione (in cui mettono in
mostra la loro animalesca agilità) o nel dialogo assai scarno, spesso ridotto a insulto
gridato, che accompagna le loro scorribande. Assai di rado l'autore ne illumina qualche
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tratto interiore, facendo affiorare qualche "sentimento", che riguarda per lo più
l'indulgente protezione dei più piccoli e la tenerezza verso gli animali (la rondinella del
cap. I, il cagnolino di Marcello). Nessuno dei "ragazzi di vita" conosce una reale
evoluzione, una crescita interiore: essi restano legati pe r tutto il romanzo ad una
fanciullesca ignoranza, a un'esistenza «aurorale» (Ferretti), preculturale e in un certo
senso addirittura presociale. Infatti il loro mondo non comunica con 1"`esterno" (cioè con
la società e con la storia) e lo stesso gergo ristretto in cui si esprimono sottolinea questa
separatezza. Quando qualcuno di essi entra a far parte del mondo degli "altri" (gli adulti,
la gente che lavora) cessa di interessare l'autore. È emblematica in questo senso la sorte
che Pasolini riserva al Riccetto, il personaggio più importante del romanzo. A partire dal
capitolo quinto, l'autore lo sospinge dal primo piano sullo sfondo, in un certo senso lo
emargina, relegandolo al ruolo di spettatore estraneo, quasi di intruso.
Significativamente poi, alcuni personaggi adolescenti muoiono prima di entrare nella vita
adulta (Marcello, Genesio).
L'ideologia del romanzo
La tematica cui si è fatto riferimento è indubbiamente in relazione con l'ideologia che
sottende il romanzo, ed in particolare con la visione mitica, astorica che Pasolini ha del
popolo: «attratto da una vita proletaria /... è per me religione / la sua allegria, non la
millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza») (così scrive ne Le ceneri di
Gramsci). Alla degenerazione della società borghese Pasolini contrappone la primitiva
sanità del popolo, che, nei suoi strati più bassi (il sottoproletariato) gli appare ancora
immune dagli pseudovalori e dagli snaturanti schemi di vita borghesi (o addirittura
"civili": si veda la citazione di Tolstoj sul popolo come "grande selvaggio" preposta al
quarto capitolo). E proprio l'adesione viscerale (e non certo politico-razionale)
all'istintualità vitalistica, all'esistenza "vergine" dei suoi "ragazzi di vita" che spinge lo
scrittore a rinchiuderli in una sorta di limbo immobile, da cui qualsiasi svolgimento e
qualsiasi dialettica interna sono programmaticamente esclusi, tanto più che in Ragazzi di
vita il mito dello stato di natura si intreccia con quello, tipicamente pasoliniano, della
fanciullezza.
Tecniche narrative
Se nell'insieme Ragazzi da' vita può dare a1 lettore l'impressione di una caleidoscopica,
persino caotica, varietà di situazioni e azioni, osservando più da vicino gli otto capitoli
che costituiscono il romanzo, non è difficile rintracciarvi una scaltrita strategia narrativa,
che tende ad impostare l'azione su uno schema ricorrente. È infatti sempre una ricerca
di denaro da parte dei ragazzi (perennemente affamati ed in bolletta) ad avviare l'azione;
tale ricerca (di solito attraverso un furto) raggiunge il suo obiettivo, ma il risultato è poi
sovente vanificato da una improvvisa perdita, che ripristina le condizioni di partenza. A
ciò può seguire un nuovo ribaltamento che assicura un insperato risarcimento (cap. in).
Questo tipo di procedimento non manca certo di illustri precedenti nella tradizione
letteraria (Boccaccio, Ariosto ad esempio) ed anche lo sfondo notturno degli episodi più
dinamici, è frequentemente presente nella tradizione novellistica e romanzesca. In
Ragazzi di vita la rappresentazione del paesaggio ha notevole rilevanza e riveste diverse
funzioni: anzitutto quella di costruire lo sfondo realistico delle vicende. il narratore
insiste allora costantemente sui tratti più squallidi, degradati della periferia romana,
dove domina incontrastata la «zozzeria»: «Valanghe d'immondezza, case non finite e già in
rovina, grandi sterri fangosi, scarpate piene di zozzeria». L'aggettivazione, scarna e
incisiva, ha un ruolo privilegiato nel definire questo tipo di realtà, come in questi esempi:
scarpate «putride e bruciate», lotti «scrostati e sporchi», loggia «acciaccata e cadente»,
praticelli «tozzi», finestrine «luride», tram «scassati», selciati «sconnessi». Per contro è assai
frequente nel romanzo la presenza di squarci paesaggistici intensamente lirici, che
rallentano i1 ritmo narrativo in pause distese. Si veda ad esempio il luminoso paesaggio
che riflette la gioia del Riccetto per essersi impadronito del malloppo del «napoletano» o la
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rappresentazione della notte stellata durante l'episodio dell'incontro con Amerigo. Un
vero pezzo di bravura è la raffigurazione, tra lirica ed ironica, della notte nell'orto dove
avverrà il furto di cavoli. L'ambigua natura del paesaggio in Ragazzi di vita cui si è fatto
ora riferimento rimanda all'ambiguità stessa del narratore (per la quale si vedano le note
seguenti).
Una lingua sperimentale
In un intervento di poco posteriore a Ragazzi di vita, Pasolini teorizzava la necessità, per
lo scrittore che volesse lasciar "parlare le cose", di attuare una operazione regressivomimetica, il che vuol dire sostanzialmente abdicare alla propria identità socio-culturale e
linguistica di autore colto per lasciar posto alla voce diretta del parlante (popolare). Da
qui la massiccia introduzione in Ragazzi di zita del dialetto, o meglio del gergo (scelta
linguistica che, nel caso di Pasolini presuppone sul piano ideologico una completa
immedesimazione nel popolo). Il gergo delle borgate (ricostruito con filologica precisione)
regna incontrastato nei dialoghi, ed è modulato sull'insulto gridato e sul turpiloquio con
un'insistenza che rischia di creare monotonia: alla sola p. 22 ad esempio 1a locuzione
gergale «li mortacci...» è ripetuta ben sei volte. Nella voce narrante invece (che racconta le
vicende e che arricchisce via via di notazioni psicologiche gli scarni dialoghi), l'autore
impiega una contaminazione dialetto-lingua che conosce diversi esiti, da un massimo ad
un minimo di vicinanza-regressione alla mentalità-linguaggio dei "ragazzi di vita". In
genere l'organizzazione sintattica è in lingua, con imprestiti lessicali dal dialetto-gergo,
come in questo esempio: «La folla però cresceva sempre più, premeva contro i cancelli,
baccajava, urlava, diceva i morti». Non sempre la contaminazione convince, mettendo a
nudo la difficile convivenza di autore "regredito" e autore "colto", come qui: «Pure gli altri
assentivano, ridendo, sentendo tutti i loro istinti di fiji de na mignotta che gli
rinverdivano in fondo all'anima». Nelle descrizioni paesaggistiche, infine, l'autore opta
sovente per un registro linguistico alto, in cui il lirismo, la densità metaforica del lessico,
la stessa sintassi (in genere ipotattica), si collocano agli antipodi della mimesi gergale; si
veda ad esempio un periodo come questo: «... una luce più che viola era venuta a
galleggiare limpida negli spazi delle strade, tra palazzo e palazzo, riverberata fin laggiù da
quella specie d'incendio lontano e invisibile, dietro i colli, mentre tra un cornicione e
l'altro due o tre civette svolazzavano lanciando qualche strillo».
Paralleli
DOVE L’ACQUA DEL TEVERO S’INSALA
Pier Paolo Pasolini e Michelangelo Merisi da Caravaggio
Contributi critico-storici e citazioni relative all'articolo Dove l’acqua del Tevero
s’insala
Pasolini secondo Federico Zeri
Pasolini era un uomo bifronte: da una parte era affascinante, aveva una voce
incredibilmente bella, la voce piu' bella che abbia mai sentito, la voce di un angelo;
dall'altra, accanto a questa voce c'erano dei particolari repellenti, le mani per esempio,
fredde, sudate, non so, mi faceva una grande impressione toccarle, poi aveva l'aspetto, io
l'ho detto altre volte, di una bellissima statua greca in bronzo caduta da un autotreno,
sull'autostrada e ammaccata, aveva qualche cosa di ammaccato, di rovinato, pero' era un
personaggio incredibilmente... unico, io lo considererei. Io lo avvicino molto alla figura di
Caravaggio, anche per la fine. Secondo me c'è una forte affinita' fra la fine di Pasolini e la
fine di Caravaggio, perche' in tutt'e due mi sembra che questa fine sia stata inventata,
sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi.
[...] Pasolini ha avuto una sorta di folgorazione, dalla pittura antica, e quando ha
approfondito questa sua, diciamo, curiosita' ha trovato che la pittura antica puo' fornire
una quantita' enorme di spunti tipologici, formali, che lui ha tutti reinterpretati. Ha
guardato poi in modo particolare Rosso e Pontormo perche' erano pittori dei quali
avvertiva la sostanza agitata tipica di un periodo di crisi, di transmutazione. Ha avvertito
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soprattutto in Pontormo il dramma interno dell'artista solitario, incompreso,
omosessuale e in Rosso ha capito, non so pero' fino a quale punto, il profondo divario fra
le cose che dipingeva e quelle in cui credeva. Secondo me Rosso e' un pittore blasfemo,
un pittore non dico ateo, ma per lo meno molto scettico, che prende in giro anche le cose
piu' sacre della pittura. Io me ne sono accorto quando ho visto l'Ecce Homo, cioe' il Cristo
morto con gli angeli, oggi nel Museo di Boston.
[...] Quella che fosse la religiosita' di Pasolini non l'ho mai capita bene. Debbo dire che
Pasolini, a mio avviso, era profondamente cattolico, nel suo intimo; era formato dall'Italia
cattolica, quindi aveva un forte senso del peccato, un forte senso della redenzione, un
forte senso della liberazione dal peccato e dal senso di colpa. Questo secondo me era
Pasolini. Io quando l'ho conosciuto, l'ho incontrato piu' di una volta e ho avuto sempre
l'impressione di una persona profondamente toccata dal senso di colpa, agitata, quasi
tormentata, lacerata, ecco il vero termine che si addice a Pasolini, lacerata, una persona
che voleva essere punita. Poi anche il culto della mamma, che era molto profondo in
Pasolini, tant'e' vero che la madre addirittura mi sembra appaia come Madonna in un
film che e' Il Vangelo secondo Matteo.
(Tratto dal programma televisivo Pasolini e mandato in onda da Canale 5 nel 1995)
Caravaggio e Pasolini: tragici nella vita, realisti nelle opere
Nel numero di aprile -giugno 1970 della rivista «Nuovi Argomenti» (1), Cesare Garboli,
ricordando lo scomparso Roberto Longhi, i cui corsi di storia dell’arte avevano
appassionato il giovane Pasolini all’università, scrive:
«In modo particolare, è difficile scindere tutta l’esperienza eversiva del Pasolini “romano”
degli anni Cinquanta dall’immagine del Caravaggio che ci è stata a più riprese offerta dal
Longhi fino alla grande mostra caravaggesca da lui organizzata nel’51. Proprio in quegli
anni il Pasolini scendeva dal Nord a Roma, cambiando la giovanile e lirica vena friulana
in tragedia, nella direzione del drammatico realismo religioso e plebeo de Le Ceneri di
Gramsci, dei Ragazzi di vita e di Una Vita violenta. Testi alla mano, si direbbe che il
Pasolini lavorasse allora non allo specchio del Caravaggio, ma allo specchio del
Caravaggio "romano" così come ci è stato dipinto dal Longhi: quello, per intenderci, che
finge per Maddalena la povera ciociarella tradita, gli sciolti capelli che si asciugano al
sole nella stanzetta smobiliata, o quello dei bacchi rifatti su torpidi e assonnati garzoni
d’osteria, o quello, infine, della Vergine morta e gonfia a gambe scoperte, come una
popolana del rione, a dirla gentilmente, o una mignotta agli ultimi rantoli nella
stanzaccia spartita dal tendone. Delle mosse caravaggesche del primo Pasolini, quasi un
«amor de loinh» (2), ebbi occasione di parlare al Longhi qualche mese prima che egli
morisse. Non volle prendere partito. Ma l’interesse che mostrò alle date, le precisazioni
che seguirono, quell’«Oh, guarda!» che si lasciò scappare, mi dicono che la piccola notizia
critica lo aveva fatto riflettere».
(1) diretta da Moravia, Carocci e dallo stesso Pasolini
(2) «Amor de loinh», ossia l’innamoramento da lontano, per sentito dire e raccontare, è un motivo tipico, ed ad
altissima frequenza, della poesia cortese provenzale e della narrativa cavalleresca dei romanzi arturiani
(3) C. Garboli, Ricordo di Longhi, in «Nuovi Argomenti», aprile-giugno 1970, p.39
Cesari Garboli - come ben sottolinea Enzo Siciliano (4) - è stato il primo a mettere in parallelo «tutta l’esperienza
eversiva del Pasolini “romano” col Caravaggio, mediatore Roberto Longhi». Ora, a distanza di tanti anni,
Gabriella Sica traccia un ritratto in parallelo dei due artisti, mettendone in evidenza la sorprendente
somiglianza (5) nel saggio dal titolo L’artista e la croce. Caravaggio e Pasolini, contenuto nel volume Sia dato
credito all’invisibile.
«L’artista e la croce. Caravaggio e Pasolini»
L’accostamento di Pasolini a Caravaggio è senza dubbio spericolato per la distanza che li
separa, anche se nell’eterno ritorno delle cose e della poesia una giustificazione in più si
può trovare.
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[…] Al di là del loro tempo così diverso e lontano, furono entrambi artisti di un tempo di
crisi, sul crinale che separa una vecchia era da una nuova sul punto di nascere. Con
evidenti e fondamentali differenze: Caravaggio ancora grande classico, l’ultimo
straordinario classico della tradizione, come Tasso lo era stato nella poesia; Pasolini
poeta novecentesco con il sentimento dell’antico e il senso tragico della modernità, non
immune dall’ideologia, ostaggio del suo tempo quando perde la forma e la lingua.
Nella vita furono entrambi grandi interpreti del loro tempo, anche se l’eccellenza assoluta
dell’arte caravaggesca non è neppure paragonabile a quella pasoliniana spesso informale
e prolissa, senza misura. Entrambi tuttavia furono nella vita figure smisurate rispetto al
loro tempo. Artisti entrambi irregolari, se non proprio eretici, dal temperamento irruento
e non alieno dallo scandalo, perfino coinvolti in inchieste giudiziarie e perseguitati dalle
incomprensioni, alle prese con la «grande guerra santa», come islamici e indù definiscono
il percorso interiore e spirituale degli uomini. Perché controcorrente lo furono certamente
entrambi, forse anche peccatori, come tante figure bibliche, da Abramo a Mosè. Nei loro
visi segnati e nervosi era già segnato un destino.
Li unisce tuttavia quella povera, misteriosa morte consumata su un litorale, davanti
all’orizzonte del mare, con l’ultima rivelazione vissuta non in un letto, ma nella natura,
loro che avevano avuto come maestra la natura. Non in pace, ma in guerra, perché in
guerra si era consumata la loro vita. E tuttavia una morte semplice e reale come la morte
di un uomo qualsiasi, un evento molto umano e non tragico, nonostante le tante
interpretazioni che ne sono derivate. E neppure emblema o celebrazione di una morte
dell’arte, ma soltanto di una vita torturata e intrepida conclusa prima del tempo
naturale.
Caravaggio muore non lontano da Roma (6) e in terra toscana, vicino al Mar Tirreno,
perseguitato e inseguito come un delinquente, martire come già deve essersi sentito
quando si era dipinto così vicino a Orsola che sia avvia la martirio. Ha trentasette anni,
come il divino Raffello, poco più dei canonici trentatré anni di Cristo, ma nasce alla vita
vera nella memoria degli uomini, come quel raggio di luce che aveva fatto entrare
nell’oscurità di una stanza con un senso di redenzione.
Anche Pasolini muore vicino a Roma, davanti allo stesso mare, alla foce del Tevere presso
Ostia, nome che sa di agnello sacrificale, dove andavano in un lontano passato le anime
salve e dove Agostino aveva perso la madre Monica. Quando Pasolini muore, nel 1975,
lui «più moderno d’ogni moderno», sigilla la chiusura di un’epoca e di un secolo, ben
prima del reale compimento cronologico. Assiste a tutti i rammodernamenti cruciali della
sua epoca: il 1963 nella letteratura, il 1965 nella liturgia ecclesiastica con l’abolizione del
latino, il 1968 nella politica; vede la decadenza e il crollo spirituale del mondo conosciuto
nell’infanzia e anche lui si adegua e spinge il pedale della protesta che in quel decennio
appariva come il primo dovere etico dell’uomo. Entrambi chiudono un’epoca, con la
drammaticità che questo comporta. Caravaggio l’epoca classica dell’arte, come qualche
anno prima Torquato Tasso, sepolto in cima al Gianicolo, aveva chiuso la grande
stagione della poesia italiana. Pasolini chiude l’epoca della modernità e un secolo. E forse
per questo furono entrambi sfregiati, perfino nel fisico.
Caravaggio e Pasolini sanno che devono scendere lungo l’Italia, andare dal nord dove
sono nati verso il sud, essere sempre più naturali. Vanno a Roma, con lo stesso desiderio
di fratellanza con le persone del popolo, con lo stesso furore e disperata vitalità, la stessa
fretta di depositare il loro lavoro e di trovare una lingua. Quando Caravaggio arriva a
Roma, si sta chiudendo la cupola di san Pietro, il ricordo dell’altro Michelangelo è
vivissimo e la città si sta riempiendo di angeli nelle chiese e nelle vie. Le figure
d’adolescenti, i garzoni d’osteria e i ragazzi di strada e di vita che incontra tra un’osteria
e un ponte, tra uno scontro e una sassaiola, sempre tra San Luigi dei Francesi e
Trastevere, sono gli stessi dei quadri. Sono ragazzi belli e gagliardi anche se già
minacciati dall’ombra e dalla malattia, come il Fruttaiolo e il San Giovanni Battista,
dipinti come fossero veri e non come fossero belli. Sono figure vere, popolane bellissime e
donne sfatte del rione, come la Madonna morta e gonfia d’acqua o la stupefacente
9
Madonna davanti alla quale si genuflettono pellegrini miseri che da poco sono arrivati a
Roma per il grande Giubileo del 1600, stupiti da quella concretissima visione.
Quando Pasolini arriva a Roma, nel gennaio del 1950, in pieno Giubileo, scopre, accanto
alla Roma delle cupole e del Tevere, la Roma delle baracche e dei poveri che parlano in
romanesco, con i ragazzi pieni di allegria e di una vita violenta, tra Ponte Mammolo e la
Garbatella, ragazzi belli come i giovani caravaggeschi che suonano o che hanno tra le
mani cesti di frutta. Allievo di Roberto Longhi, Pasolini, che si traveste
cinematograficamente da Giotto, con gli stessi abiti e la fascia bianca sulla fronte, li
aveva già visti quei ragazzi nella Fucina di Vulcano dipinta da Velázques, che nel suo
soggiorno romano aveva preso dalle borgate romane i suoi modelli.
Tuttavia Roma da sola non li sazia, entrambi cercano il sud greco e mediterraneo, l’Africa
e il fondamento di Roma nell’Africa, come altri avevano fatto, a cominciare da Petrarca e
poi Rimbaud. Caravaggio scende a Napoli, si ferma nel luogo dove sono accolti poveri e
infermi, nel cuore di Spaccanapoli; va verso terre arabe e greche in Sicilia, e si spinge
fino a Malta. Pasolini cerca in Africa quello che non trova più nella vecchia Europa e lì
sposta anche la rappresentazione delle Orestiadi.
È in Africa che era nata, prima ancora che a Gerusalemme, l’idea egiziana di una vita
vera tramite l’assimilazione a un dio sofferente. E le loro opere prendono la direzione del
sud mediterraneo, là dove l’umanità è più dimessa e diseredata, dove Roma si è allargata
comprendendolo. La redenzione, la luce nell’ombra, forse potranno trovarla laggiù,
lontano dal centro.
Il miracoloso percorso di Caravaggio, dall’empirismo nordico all’umanità popolare del
sud, non può ripetersi con Pasolini, figlio del suo tempo, che cerca nel sud un mito
ancora romantico e improbabile, lontano dal grande e autentico meridione greco
caravaggesco.
Tuttavia l’essenza cristologica del loro lavoro è innegabile. La croce è il segno presente
nell’opera di entrambi…». (7)
(1) in Vita di Pasolini, Milano, Rizzoli, 1978, p. 159
(2) Somiglianza che – ricorda la Sica - «già era stata azzardata da Federico Zeri». E prima
ancora, ricordiamo noi, da Cesare Garboli.
(3) Caravaggio pare sia morto di malaria, «ma qualcuno azzardò ucciso da qualche
inseguitore», sulla spiaggia di Porto Ercole, «che apparteneva in quel 1610 allo Stato dei
Presidi, appena ai confini dello Stato pontificio da cui il pittore era fuggito, in attesa della
grazia e del via libera per Roma».
(4) Gabriella Sica, Sia dato credito all’invisibile. Prose e saggi, Ricerche, Venezia, Marsilio,
2000, pp. 191-194
Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro
Giovanni Pellegrino, avvocato e senatore della Repubblica, presiede dal 1994 la
Commissione Stragi, istituita dal Governo italiano per far luce, o forse più semplicemente
dare un senso, ai più oscuri ed efferati episodi della recente storia d'Italia, a partire da quel
nefasto 12 dicembre 1969, data in cui una bomba esplodendo all'interno della Banca
dell'Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano, uccise 16 persone innocenti. Il senatore
Pellegrino, in un libro intervista, scritto con due giornalisti, Giovanni Fasanella e Claudio
Sestieri (Segreto di Stato, La verità da Gladio al caso Moro, Gli struzzi, Torino, Einaudi,
2000) riordina le carte e traccia una bozza della relazione finale, sfiorando anche il «caso»
dello scrittore di Casarsa..
D. Oggi, alla luce delle successive inchieste della magistratura e dei nuovi
documenti acquisiti dalla Commissione, si può dire che, almeno per quanto
riguarda piazza Fontana, tutti i tasselli del disegno sono più o meno al loro posto?
Direi di sì, ma non solo per piazza Fontana. Tutto il periodo tra il 1969 e il 1974, sul
piano di una ragionevole ricostruzione storica, è ormai pienamente conosciuto. Tant'è
vero che oggi siamo in grado addirittura di distinguere tra le varie fasi della strategia
10
della tensione: tra piazza Fontana e il tentativo di golpe Borghese del 1970, da una parte,
e le stragi successive (Peteano, la Questura di Milano, Brescia e l'Italicus), dall'altra.
In uno dei suoi Scritti corsari, pubblicato sul «Corriere della Sera» il 14 novembre 1974,
pochi mesi dopo la strage dell'Italicus, Pier Paolo Pasolini affermò di sapere (pur non
avendo prove e neppure indizi) che se le stragi del 1969 erano state anticomuniste, quelle
del 1974 erano antifasciste. Dal momento che mi pare molto probabile che anche la
strage di Brescia sia stata compiuta nel maggio del 1974 da uomini della destra radicale,
continuavo a domandarmi che cosa volesse dire Pasolini nel sottolineare la logica
antifascista...
D. Oggi ha trovato, finalmente, questa risposta?
Sì, oggi sono in grado di dare una risposta. Innanzitutto cerchiamo di identificare i
diversi obiettivi che avevano i vari protagonisti di quella strategia. L'obiettivo della
manovalanza neofascista era quello di provocare allarme, paura, disagio sociale; e quindi
di fare in modo che, al dilagare della protesta studentesca e operaia, si reagisse con una
risposta d'ordine. Quindi le loro azioni erano funzionali al progetto di un vero e proprio
colpo di Stato. A un secondo livello, diciamo degli «istigatori», probabilmente si pensava,
invece, di affidare alla tensione lo stesso ruolo che aveva avuto il «tintinnare delle
sciabole» del 1964: favorire, cioè, uno spostamento in senso conservatore dell'asse
politico del Paese. [...] Al terzo livello, quello internazionale, c'erano interessi geopolitici
volti a tenere comunque l'Italia in una situazione di tensione, di disordine e di instabilità.
Il tentativo in direzione del colpo di Stato o dell'intentona, durò abbastanza poco,
sostanzialmente dagli attentati del 1969 al fallito golpe Borghese. A livello politico, sia
interno sia, soprattutto, internazionale si capì che l'Italia non era la Grecia, che da noi
non era importabile il regime dei colonnelli, perché sarebbe scoppiata la guerra civile: un
prezzo troppo alto da pagare. Dunque, da quel momento ha inizio una nuova fase, sia
pure ovviamente non lineare: quella dello sganciamento dalla manovalanza neofascista.
Lentamente, gli uomini della destra radicale sono richiamati all'ordine, si comincia a
instillare loro l'idea che un piano golpista non può essere attuato fino in fondo, che è
necessario fare un passo indietro. E loro reagiscono. Con una serie di attentati in
qualche modo di ritorsione che segneranno la loro fine: li lasceranno fare, probabilmente
proprio per poterli liquidare.
D. Era questa dunque l'intuizione di Pasolini?
Sì, secondo me era questa.
D. Era il 1974, come poteva sapere?
Chissà, forse nel mondo degli emarginati romani, che Pasolini frequentava, un monte a
volte ai confini con la destra eversiva, qualcuno poteva aver parlato. Di sicuro, fu
assassinato esattamente un anno dopo aver scritto quelle parole, il 2 novembre 1975, tre
giorni prima che iniziasse il processo per il golpe Borghese...
D. Nonostante l'autore materiale dell'omicidio sia stato arrestato e condannato, su
quel caso non si è mai riusciti a fare piena luce. Lei oggi è convinto che uno dei
possibili moventi di quell'assassinio possa essere proprio quello che Pasolini sapeva
e aveva scritto?
Una cosa è certa: Pasolini era arrivato quasi in tempo reale laddove la Commissione,
oggi, è giunta dopo anni e anni di ricerche.
Fonte: http://www.italialibri.net
Uno spazio Libero!!!
Il blog di Isla Negra
http://isla_negra.zoomblog.com
11
Luciano Somma
Italia
E' GIA' SERA
'Int''o mare d''o munno ferito
quanta stelle cadute,
e ll'onne 'mpazzute
se portano a rriva
l'arraggia d''o viento,
pe' copp''a scugliera
se cerca na luce
ca desse nu filo 'e speranza
ma s'è fatto tarde, è già sera...
E' sera pe ll'aria, malata,
addò pure ' respiro
s'ammesca cu''e nnote amare
'e na musica antica
che porta 'o mutivo viulento
d''a sete 'e putere.
Nu scunciglio 'e gabbiano
attuorno
turtura na povera vela
ca tremma e se perde
cadenno pe' copp''a scugliera,
nisciuno cchiù 'a salva
pecch'è troppo tarde, è già sera...
E' sera pe' chi va truvanno
mi pizzo stramano
supplicanno na vita serena
ma cchiù nun trova na mano...
E' sera pe ' chi 'e ll'onestà
ha purtato 'a bannera
frasturnato a stu globbo ca gira
'o cuntrario d'aiere,
e more n'altare 'e speranza
mentre n'organo sona
'o trionfo d''o mmale,
cchiù forte, ogne ghiuorno, cchiù forte,
marturianno 'a tastiera.
'Int''o mare d''o munno ferito
s'è fatto tarde, è già sera...
Traduzione
Nel mare del mondo ferito
quante stelle cadute,
e le onde impazzite
si portano a riva
la rabbia del vento
sulla scogliera
si cerca una luce
che potesse dare un filo di speranza
ma si è fatto tardi, è già sera.
E' sera per l'aria, malata,
dove pure il respiro
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si mischia con le note più amare
d'una musica antica
che porta il motivo violento
della sete di potere.
Un volo disordinato di gabbiani
intorno
tortura una povera vela
che trema e si perde
cadendo sopra una scogliera
nessuno la salva
perchè è troppo tardi, è già sera...
E sera per chi va trovando
un posto fuori mano
supplicando una vita serena
ma più non trova una mano...
E' sera per chi dell'onesta
ha portato la bandiera
frastornato da questo globo che gira
al contraro di ieri,
e muore un altare di speranza
mentre un organo suona
il trionfo del male
più forte, ogni giorno più forte
martoriando la tastiera.
Nel mare del mondo ferito
si è fatto tardi, è già sera...
da MUSICA NOVA- Ed.Lo Stiletto- Napoli- 1993http://www.poetilandia.it/pagineautori/lucianosomma.html
SAL
Quell'estate ero rimasto in città' , una forma di esaurimento nervoso mi aveva impedito di
andare al mare come invece facevo da tanti anni .
Avevo trascorso i giorni di ferragosto passeggiando per i vicoli del mio quartiere
conversando ora con questo ora con quello , assaporando una grande gioia e riscoprendo
quei valori umani da tempo dimenticati .
Abbandonata l'automobile in garage percorrevo ogni giorno quelle strade che conoscevo
fin da bambino e passavo da un'emozione all'altra non vedendo piu' alcune persone che
erano morte o si erano trasferite altrove o incontrando vecchie conoscenze ed amicizie .
Fu verso la fine d'agosto che il portiere una mattina invece del solito saluto quasi urlò : "
Don Gennaro " (non avendo nessuna laurea e nessun diploma il buon uomo aveva
provveduto - fin dal primo giorno - a darmi il caratteristico e nobiliare titolo ) scusate ,
aggiunse , rendendosi conto della foga , ma ci stà il Cavaliere Raguso del 4 ° piano che
vorrebbe parlarvi (chissà perchè i portieri napoletani ci tengono a dire il piano dei
condòmini )
Pensai subito ad una bussata a denari , diamine , uno è privo di salutare gentilmente un
vicino
e questi cerca , alla prima occasione , di spillarti dei soldi .
Il portiere si rese conto di una certa mia perplessità , in quanto non avevo risposto
immediatamente e quasi per rassicurarmi disse : non vi preoccupate credo si tratti d'un
piacere da chiedervi ma non quello che state pensando .
Come faceva Pasquale a leggere nel pensiero poi ..."Va buo' " risposi "dite pure al
Cavaliere che questa sera verso le otto sarò da lui .
"Grazie , Don Gennà , buona giornata " fu l'ossequioso saluto .
Da quando i miei due figli si erano sposati io e mia moglie Rosa vivevamo soli nel vero
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senso della parola . Amici ne avevamo pochissimi perchè nemici entrambi degli inevitabili
pettegolezzi cercavamo di tenerli alla larga , la maggior parte dei parenti si era trasferita
in altre zone della città e l'unico contatto rimasto era telefonico una volta ogni tanto .
Per tutta la giornata non feci altro che pensare all'appuntamento del cavaliere , era un
uomo sulla settantina , pensionato di non ricordo quale ente , che insieme alla moglie
spesso stava fuori Napoli per molti mesi ed i nostri rapporti erano limitati al semplice
saluto . cosa mai poteva volere da me ?
" Certamente ti busserà a quattrini " mi disse Rosa a tavola mentre mi porgeva un ricco
piatto di spaghetti alle vongole . " Li conosco i tipi come il cavaliere Raguso , non vedi i
viaggi che fà ? Sicuramente avrà contratto dei debiti , questo succede quando uno fà il
passo più lungo della gamba ! "
" Rosa , te voglio bbene , quanta confidenza , io si e no 'o saluto ' o Cavaliere . "
Cercai di stoppare la conversazione ma Rosa stava come si dice : " 'e genio " e mi dovetti
sopportare tutta la storia della famiglia Raguso apprendendo così dei particolari a me del
tutto sconosciuti (e che francamente fino al giorno prima non m'interessavano un fico)
Debiti , corna , sporcizia , avarizia ...Nel frattempo ero sprofondato nella poltrona e non
la sentii più abbandonandomi ad un sonno ristoratore .
Mi svegliai intontito , certamente a causa di qualche bicchiere di vino bianco bevuto in
più , con Rosa che sbraitava ricordandomi l'appuntamento .
Alle venti in punto io e mia moglie ci presentammo a casa del Cav.Raguso . Sentimmo
l'abbaiare del cane e poi venne ad aprirci il nostro vicino , in persona , con una vestaglia
da camera di un colore imprecisato , tanto era sporca , confermando in pieno uno dei
difetti che Rosa aveva riscontrato e riferito dopo pranzo .
" Scusatemi Don Gennaro se vi ho disturbato , sembrava sincero , ma debbo chiedervi un
favore che forse solo voi potete farmi " . Istintivamente misi la mano sulla tasca
posteriore del pantalone dove alla destra avevo il portafogli e presentivo che purtroppo
anche in questo probabilmente poteva avere ragione mia moglie . L'esordio è proprio
buono , pensai , e nella mia mente gia' vedevo in una nuvoletta diversi biglietti da
centomila che volavano .
" Prego , accomodatevi " si premurò il Cavaliere , " mia moglie è a Milano da qualche
giorno , scusate la confusione " poi rivolto al cane che abbaiava : " Tu , Sal , stai zitto ! "
Quest'ultimo mogio mogio si accucciò nell'angolo del saloncino .
Ci sedemmo sul divano , abbastanza unto , e dopo qualche minuto sorseggiavamo un
caffè (appena un dito ed amarissimo ed ecco - pensai - la seconda conferma d'un altro
difetto sottolienatomi da Rosa)il padrone di casa mi parlò del suo problema . " Vedete ,
Don Gennà ,
io tra qualche giorno dovrò trasferirmi a Milano in un alloggio molto più piccolo di questo
, già
modesto . Sapete è per stare vicino a mio figlio che lavora presso un'agenzia di credito
Lombarda , noi solo a lui teniamo , se fosse stato per me (capii che fingeva)sarei rimasto
a Napoli ma sapete le madri come sono , non ce la faceva più a stare lontano . "
Ancora una volta , mentre parlava , pensavo ai miei soldi , e probabilmente anche per il
caldo
sentii il sudore scendere a gocce un po' dappertutto ,evidentemente gli servivano per il
viaggio.
" Voi vi chiederete perchè ho interpellato Don Gennaro con tante persone che ci sono nel
condominio , " infatti pensai e sentivo il pericolo sempre più vicino , " io credo che il mio
povero Sal non starebbe in migliori mani , voi avete i figli sposati , vivete soli e la povera
bestia
potrà farvi senz'altro una buona compagnia . "
Per poco non mi venne un colpo ! In un'altra occasione avrei urlato : " No ! " ma
l'allontanarsi del pericolo-prestito mi fece fare buon viso a cattiva sorte .
Questo era dunque il motivo dell'incontro , e quell'infame di Pasquale il custode lo sapeva
, eccome , voleva sbarazzarsi del pastore tedesco che con la coda dell'occhio ci guardava
steso a terra nell'angolo . Rosa mi toccò la mano accondiscendente ma io comunque
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cercai di prendere tempo : " carissimo Cavaliere , , io non troverei nulla in contrario a
prendere Sal , ho sempre amato gli animali e poi sinceramente abbiamo bisogno d'un po'
di compagnia , ma credo che sarà difficile per il cane abituarsi a dei nuovi padroni . "
Chisto pare nu ciuccio , tanto è grande , ad occhio e croce avrà un paio d'anni e per noi
sarebbe come adottare un giovanetto di 13/14 anni .
" Anch'io non sono convinto che si adatterà subito alla nuova condizione , " disse il
Cavaliere ,
ma purtroppo non potrò portarlo a Milano , se proprio non potete tenerlo voi datemi un
consiglio , che dite lo porto al canile ? "
Quella parola ghiacciò sia me che Rosa che all'unisono rispondemmo : " Va bene ,Cavalie'
, siamo a vostra disposizione , prima della partenza portateci il cane , ci arrangeremo .
Istintivamente guardai nel frattempo il cane che a sua volta alzò gli occhi su di me per
poi squadrare dal basso in alto Rosa e poi il padrone .
Chiacchierammo poi del più e del meno , delle striminzite pensioni , del carovita ed alla
fine ci salutammo con una stretta di mano per l'intesa raggiunta .
Passò qualche giorno , mi ero quasi dimenticato di quell'impegno preso , quando un
pomeriggio , sul tardi , una bussata di porta e mi trovai il Cavaliere con le valigie e Sal
davanti . " Don Gennà , ogni promessa è debito , come d'accordo vi lascio il cane , se
sapeste quanto mi dispiace (mi accorsi che mentiva spudoratamente) speriamo che si
abituerà nella vostra casa , del resto è un piano più sotto e la stessa verticale .
Improvvisamente accadde l'imprevisto : Sal mi si avvicinò e cominciò a leccarmi la mano
, si volse a guardare quello che era stato il suo padrone ed abbaiò un paio di volte , come
se avesse voluto dirgli qualcosa , poi andò verso Rosa che lo sistemò nel soggiorno .
Sono trascorsi da allora 6 anni , ormai Sal fa parte della nostra famiglia gli vogliamo
bene, sicuri di essere ricambiati ed affrontiamo per lui il sacrificio di scendere almeno tre
volte al giorno per fargli fare i bisogni .
C'è solo un piccolo particolare : quando salgo le scale , prima di entrare in casa , debbo
lasciarlo libero dal guinzaglio , sale l'altro piano si ferma davanti alla porta dove abitava il
cavaliere e sfoga un piccolo bisogno corporale , ed ogni paio di giorni facciamo questioni
col nuovo condomino , poi ritorna al terzo piano e corre verso la sua cuccia .
Qualche volta mentre dorme ho osservato che singhiozza ma credo si tratti di cattiva
digestione , anche i cani possono essere deboli di stomaco , o no ?.
Antonietta Langiu
Italia
FENICOTTERI, NELL'AZZURRO UN'ISOLA
Lasciava la "sua" isola, statica nella trasparenza della luce abbagliante
dell'estate, e dura nell'assenza delle variazioni di colore; dove al giallo
dei fieni arsi si contrappone il verde -bruno dei cespugli e degli alberi.
Dove il cielo è di un profondo azzurro che si confonde con il mare. Dove
solo i monti del Limbara con le cime merlettate acquistano di sera i toni
dolci e variegati del viola.
"Sua"? Non ci aveva mai pensato. Forse prima non la considerava tale, o
forse era la cosa più naturale essere nata in quella terra; respirare gli
odori forti della zolla bagnata dopo una lunga siccità, dei mirti in fiore,
dei cisti acri, del fieno appena tagliato.
O avere nelle orecchie, come memoria atavica, il rumore del vento che
fischia e scivola sfrigolando tra le foglie coriacee delle querce curve, o
si insinua urlando tra i massi concavi dei graniti.
Udire il belato lontano della pecora alla ricerca del ciuffo d'erba spinoso
ancora non rosicchiato, o il suono lamentoso del campanaccio che accompagna
il suo andare.
E sentire nella profondità dell'anima il senso della finitezza, della
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fatalità sempre incombente, degli accadimenti cui non si può opporre
resistenza.
Lasciava la sua gente e la sua casa, le radici prime che l'avevano nutrita e
l'avevano forgiata: sarda fino in fondo, nel bene e nel male; e tale sarebbe
rimasta sempre. Con quelle caratteristiche che fanno di un isolano un uomo
senza tempo; un uomo vissuto in uno spazio limitato, spesso ostile e aperto
alle prevaricazioni esterne. E di queste prevaricazioni porta ancora il
segno nel suo essere diffidente e guardingo; nel voler studiare le
intenzioni di colui che gli sta di fronte. Ma anche l'orgoglio e la forza
della sua singolarità; del suo essere un uomo vinto ma non piegato.
Si era voltata indietro una sola volta e si era riempita gli occhi e l'anima
dell'azzurro del cielo riflesso in quello del mare.
Un volo radente di uccelli aveva lasciato una pennellata rosa all'orizzonte.
I fenicotteri tornavano a nidificare.
Anche lei un giorno sarebbe tornata per non partire.
Da "Immagini lontane"
Renzo Montagnoli
Italia
Per non dimenticare
Sergio Levi guardò a lungo il soffitto candido come la neve, verso il quale saliva il fumo
della sigaretta in cerchi grigiastri, sempre più larghi mano a mano che s’allontanavano
da lui, fino a spezzarsi diventando evanescenti.
Altri colori avevano segnato la sua vita, un insieme di tinte sbiadite che ricorrevano
spesso nei suoi pensieri: il bianco sporco della neve, segnato dal rosso opaco del sangue
rappreso, il grigio di un cielo sempre opprimente.
E poi c’erano gli odori, puzze che sembravano radicate nelle sue narici: olezzi di corpi
rivestiti di stracci, tanfi di escrementi e quel fetore, così acre, di carne bruciata.
Guardò il tatuaggio al polso: quante volte aveva cercato di toglierlo, usando persino una
spazzola dalle setole dure! Di una cosa era ormai certo: quel numero scritto con
inchiostro indelebile era sceso sempre più in profondità ed era ormai radicato nel suo
animo.
Prese carta e penna e cominciò a scrivere.
C’è stato un tempo felice, in cui gli uomini erano uomini e la vita scorreva tranquilla e
serena, un tempo di cui la memoria ha una presenza ormai di sensazione, senza nitidezze,
perché quello che accadde dopo ha cancellato anche il passato. Rivedo invece nitido, come
fosse oggi, in ogni suo istante un’epoca durata quasi due anni, che sembrano pochi, ma
che, per chi l’ha vissuta, sono un’eternità.
Una tradotta militare in un giorno di ottobre del 1943 arranca sferragliando. Gente
ammassata nei vagoni, senza cibo, senza acqua, in un fetore opprimente di feci e di urina,
qualcuno che, morto, si va già decomponendo; la disperazione è palpabile, fra urla che poco
a poco si esauriscono in un rantolo.
-Dove pensi che ci portino, Sergio?
-Dicono in un campo di lavoro, forse in Germania.
-Ma perché?
-Perché siamo ebrei, ma non è questa la risposta giusta; un uomo può forse odiare un altro
uomo che conosce, ma non una razza; il motivo deve essere ben più profondo e non può
nemmeno essere il timore, visto che siamo inermi.
-E allora cos’è?
-Adesso non lo so e forse un giorno avrò la risposta, ammesso che ci sia.
Il treno si ferma davanti a un cancello che porta un’insegna “Arbeit macht frei” , il lavoro
rende liberi, un’idiozia come mai ho avuto occasione di leggere, perché noi eravamo liberi,
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liberi di vivere, di sognare, e ora invece siamo prigionieri delle nostre paure, dei timori di un
futuro senza sogni.
All’intorno, una recinzione di reticolati, intervallata da torrette occupate da sentinelle, e
dentro tanti vecchi capannoni, tutti uguali, grigi tanto che si confondono con il cielo.
La neve, sporca, crepita sotto i nostri passi e ovunque guardie che urlano, cenciosi che si
trascinano osservandoci con occhi vuoti: più che in un campo di lavoro mi sembra di essere
precipitato nell’inferno.
Sergio Levi si fermò un attimo, appoggiò la penna e si prese la testa fra le mani, perché
quello che aveva appena scritto non era un ricordo riaffiorato, ma solo uno dei tanti
incubi che accompagnavano le sue giornate. Ci sono cose che non solo non si possono
dimenticare, ma che prepotenti riaffiorano in ogni momento, tanto hanno segnato la vita
di un essere umano.
Riappoggiò le mani sul tavolo, riprese la penna e tornò a scrivere.
Il lavoro? Quanto più di massacrante ci possa essere, con le guardie sempre pronte a
frustarti per un niente, quando non accade di peggio.
C’è stato un giorno che ci hanno portato a far legna in un bosco; uno sventurato come me,
un ometto quasi scheletrito, si è fermato un attimo per raccogliere due o tre more, ma non
ha fatto in tempo a portarsele alla bocca che una guardia lo ha afferrato, l’ha sbattuto per
terra e gli ha schiacciato la testa saltandole sopra. Abbiamo guardato appena, con
l’angoscia di fare la stessa fine, e quando abbiamo terminato il lavoro siamo tornati al
campo, abbiamo lasciato in mezzo alla neve quei poveri stracci, niente di più di un oggetto
buttato via.
Ormai la morte non fa più paura, perché siamo già tutti morti.
Quelli che vegetano in questo posto non sono altro che ombre, divise logore che rivestono
un corpo vuoto di carne e di volontà.
Il tempo non esiste più e le uniche ore sono quelle degli appelli, lunghe, interminabili, fermi
in piedi sotto il sole rovente dell’estate, sotto la pioggia fetida dell’autunno e la neve fredda
dell’inverno.
Quello che più mi stupiva all’inizio era perché nessuno si ribellasse. Atavica paura della
morte? Autoconvinzione che effettivamente un giorno saremmo stati di nuovo liberi?
Il motivo di questa sorda rassegnazione non rientrava nelle mie comprensioni, né in quelle
degli altri, ma ora so. Chi ci ha incarcerato ci ha resi prigionieri di noi stessi, ha annullato
le nostre personalità, ci ha svuotato di ogni volontà, ci ha tolto la possibilità di sognare e di
sperare. L’ambiente, le privazioni, l’assoggettamento ci hanno ridotto a considerare la
schiavitù come un fatto completamente normale e poco a poco il passato era come se non
fosse mai esistito.
Le conversazioni fra noi sono pressoché scomparse e d’altra parte che mai avremmo da
dirci?
L’imbarbarimento è avvenuto senza che ce ne accorgessimo e il fatto che uno di noi un
giorno abbia afferrato un passerottino intirizzito e che ancora vivo lo abbia divorato non ci
ha fatto nessuna impressione, perché i sentimenti sono stati da tempo cancellati.
Ricordo un episodio del gennaio del 1945; c’era un freddo polare e qualcuno mi ha
mormorato all’orecchio – E’ morto il rabbino. Ho risposto – Ah sì. Solo queste due sillabe,
senza inflessione, senza angoscia, come se mi avessero detto che ora era.
E quando un giorno di fine aprile del 1945 le guardie sono fuggite e sono arrivati gli
americani li ho guardati con indifferenza, ho rosicchiato le loro zollette di cioccolata come
quando mettevo sotto i denti le vecchie carote ammuffite, non ho capito che mi era stata
ridata la libertà. Loro ci hanno guardato con sgomento e noi abbiamo rivisto dentro quelle
tute mimetiche, quegli elmetti le guardie che regolavano inesorabilmente il nostro tempo.
Ci hanno fatto visitare dai medici e abbiamo obbedito, ma senza gioia o timore, solo perché
eravamo abituati a obbedire.
Rammento Salomon, un sopravvissuto, che mi ha detto – Non sarà una visita per
selezionarci, per decidere chi può ancora vivere?- Ha detto proprio così, senza emozione,
come se avesse parlato della cosa più naturale di questo mondo, e io non gli ho risposto,
perché ormai non m’importava più di nulla.
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Il ritorno a casa ha visto l’emozione dei parenti che non hanno vissuto questo inferno, e non
certo la mia.
C’è voluto un po’ di tempo per rendermi conto che qualche cosa era cambiato, che gli appelli
omai c’erano solo nei miei sogni. Sì, sogno anche ad occhi aperti e sempre le stesse cose:
sono sempre là, vestito di stracci, chino su me stesso.
Il tempo ha riempito la mia carne, ma quello che c’è dentro no.
La vita scorre con la stessa assenza di emozioni di allora, e una giornata finalmente ho
capito il perché della nostra condizione.
Guardavo un telegiornale e parlavano di una delle tante guerre in Africa, di eccidi
incredibili; hanno mostrato un soldato bambino che prendeva a calci uno che aveva forse la
sua età, lo picchiava e quello stava fermo, rassegnato. Le sue colpe? Quelle di appartenere
a un’altra tribù; ma in effetti è la violenza sul più debole e che cela un essere ancor più
debole, è il desiderio del più forte di dimostrare a se stesso che lui può tutto e gli altri
niente.
Che speranza può avere l’umanità se ancora ragiona in questi termini?
La mia esistenza è ormai distrutta, lo è da quando inconsciamente ho accettato di essere
parte passiva di questo modo di intendere la vita; la mia prigionia non è finita in quel
giorno di aprile del 1945, ma è continuata implacabile in tutti questi anni, in tutti questi
incubi e in questa realtà che un giornalista televisivo ha presentato al pubblico.
Ecco perché scrivo queste righe: per non dimenticare, affinché chi è ancora libero dentro di
sé possa non cadere in questo tragico errore.
Per me è troppo tardi; il cerchio si chiude ogni giorno di più.
Un colpo di pistola rintronò nella stanza.
Emilio Gallo
WACHAU
In un recondito e profondo luogo delle Amazzoni viveva una tribu indigena di origine
sconosciuto.
Possiamo affermare, cognita re, che in questa regione l’homo civicus non ha mai messo
piede. Fortunati gli indigeni!
Ë ben saputo che dove arriva la nosrra civiltá, questa, al suo passo, distrugge ogni cosa.
In questa tribu anonima il culto dei morti era una leggenda fra il magico e l’incredibile.
La morte é rappresentata da una bellísima donna. Sbelta, capelli neri molto lunghi,
profondi occhi grigi e di pelle bianca. Un pó pallida come dicono gl’indigeni.
Questi quando si sentivano prossimi a morire, la vedevano arrivare.
Nuda, avvolta dalla lunga capigliatura. Si avvicinava, li abbracciava ed insieme partivano per
l’ultima dimora come se fossero due innamorati. L’aria, un po fredda che circondava la sua
presenza, era temuta al principio; poi, una volta stabilito il contatto con la bella apparizione, la
paura svaniva per dar luogo ad un’allegría incontenibile .
Wachau era uno dei pochi fotunati mortali che poteva vederla e continuare con vita.
Il nostro homo civicus direbbe che aveva dei poteri paranormali molto sviluppati.
Il nostro homo indianus lo considerava benedetto dagli dei che le avevano dato in dono
un potere meraviglioso : vedere ció che agli altri era proibito e concesso solo nei brevi
momenti prima di morire.
Wachau aveva visto per la prima volta la bellísima donna all’etá di cinque anni, in
occasione della morte di suo nonno che gli aveva eredidato il suo stesso nome. Quando la
vide andó correndo al suo incontro. Il freddo circondante frenó la corsa.
Le parló.
Il dialogo fu breve.
-Chi sei?-Sono la nuova vita.-A chi cerchi?-A Wachau.-Sono io.18
La bella e fredda donna sor rise al piccolo indígena per la sua audacia nel fare domande.
Con voce maternale gli spiegó :
-No, piccolo mio, ancora non é arrivata la tua ora. Sono venuta per tuo nonno Wachau. Ha giá
compiuto i doveri di questo mondo.-Dove lo porti? Io gli voglio molto bene. Non fargli del male.-Al luogo dell’eterna dimora, lí non gli si fará alcun male. Da oggi, ti prometto che mi vedrai ogni
volta che vengo a cercare uno dei tuoi. Non ti avvicinare troppo a me e nemmeno toccarmi per
accidente, perché mi vedró costretta a portarti contro la mia volontá.
Il piccolo Wachau le diede il passo.
Con stupore vide come abbracciava il nonno e i due mano nella mano imprendevano il
cammino del non ritorno.
Il piccolo raccontó tutto ai suoi genitori.
Fu portato alla presenza del sommo sacerdote. Non stregone come intende l’homo
civicus.
Da quel giorno Wachau entró a formar parte di quelli che sono stati benedetti dagli Dei.
Il sommo sacerdote lo inizió nel mondo dell’esoterico e del magico. Gli insegnó anche
medicina.
Un giorno, non molto lontano, Wachau sarebbe il sucessore naturale del sommo
sacerdote. Non stregone come intende l’homo civicus.
Quel giorno il giovane avrebe compiuto la sua luna numero 216( all’incirca 18 anni).
Secondo l’usanza per entrare nel mondo dei cacciatori e quindi degli uomini, da solo,
doveva ammazzare una tigre o qualche simile animale feroce. La ricerca lo portó molto
lontano dal suo villaggio.
Ebbe esito.
Riuscí ad ammazzare un felino di due anni.
Era entrato nel mondo degli uomini.
Il problema era incontrare il cammino di ritorno. Stava molto distante e disorientato. Con la preda
sulle spalle, si diresse, istintivamente, al fiume, quando la vide.
Nuda, coperta dalla lunga capigliatura, bella come mai, la fredda donna andava al suo incontro.
Il suo corpo di uomo adolescente si turbó di fronte a tale tentatrice visione.
In tentatione, veritas!
-Per favore, cedimi il passo. La tua ora non é ancora arrivata.Voleva farla sua, ma il freddo frenó i suoi impulsi.
-In questo momento mi desideri con il desío di un uomo. Non posso amarti come vuoi,
piccolo mio, per te sarebe la morte. Cedimi il passo.Questa volta l’ordine fu imperativa.
Le diede il passo.
Notó che andava sola. La vide scomparire lungo il fiume.
La pioggia, che d’immediato cominció a cadere, non presagiava niente di buono. Lo
straripamento del fiume fu cosí violento che trascinava tutto ció che incontrava al suo
passo.
L’indigena si assise ad un legno. Questo gli salvó la vita.
Il villaggio scomparve. Tutti morti. Lui era l’unico superstite.
Da lontano distinse la bella fredda donna che camminava insieme ai suoi. Camminavano
sull’acqua. Non avevano peso. Le anime non hanno peso.
Volle raggiungerla e chiederle spiegazioni. Il fango glielo impedí.
Impotente, pianse sconsolato.
Con dolore si addentró nella foresta. Qualche giorno, promise a se stesso, chiederebbe il
resoconto alla bella fredda donna che da quel giorno incominció ad odiare con tutta la
sua anima.
E lo farebbe.
Ma la sua ora non era arrivata!
Vagó per tre giorni e tre notti. Il cuarto giorno arrivó ad un villaggio di indigeni Pemones.
Poté piú la fame.
Come una tigre famelica cadde sul cibo posto sulla fogata.
Come a una tigre lo braccarono.
19
Il pronto intervento di un padre missionero gli salvó la vita.
Gli diedero da mangiare. Divoró tutto quello che poté.
Durante il fiero pasto il sacerdote non smetteva di parlargli. Whachau non capiva. Il
Pemón era una lingua strana. Solo ascoltava strani suoni ed inflessioni gutturali.
Ripetute volte ascoltó lo stesso suono accompagnato dallo stesso gesticolare. Il sacerdote
voleva sapere a quale tribu apparteneva, cosí poteva aiutarlo a ritornare.
Disse il suo nome: Wachau.
Nessuno aveva mai sentito nominare l’esistenza di tale tribu. Il sacerdote prese sotto la sua
protezione l’indigena. Costui si integró súbito nel nuovo ambiente.
In breve tempo imparó la lingua indígena e non indígena.
Assimiló le usanze indigene e non indigene.
La sua conoscenza in erbe e piante medicinali e naturalmente il suo fiuto per la caccia lo
portarono al grado di sommo sacerdote.
L’incontro con l’homo civicus non fu del tutto gradevole.
Lo vestirono, poteva passare ,era gradevole fino ad un certo punto.
Lo calzarono, non poteva passare , era molto sgradevole.
Lo educarono, poteva passare, la lectura e la scrittura le fe cero conoscere un mondo
nuovo.
Lo evangelizzarono, poteva passare e non poteva passare, rimase nella vía di mezzo.
In medio stat virtus.
Non aveva mai visto tanti santi e tanti dei riuniti in un solo luogo: la chiesa.
Única obiezione : come potevano ascol tarlo stando nella foresta. Misterius fidei.
Vedendo uan scena della resurrezione rimase affascinato da una figura vestita di nero
con un’enorme falce nella mano destra.
-É la morte, cosí la rappresentiamo.- Fu la risposta del missionero.
Non c’era paragone con la bella donna fredda.
Sorrise con amarezza. La ricordó. Il suo piccolo qualche giorno l’affronterebbe.
Qualche giorno!
In breve tempo da homo selvaticus si trasformó in homo civicus.
Con difficoltá il selvaticus coabitó con il civicus. Non l’annulló.
Il nuovo homo civicus piaceva di leggere e studiare in profonditá.
In breve tempo il missionero non sapeva cosa insegnargli. Decise di portalo alla Capitale.
Ovviando il breve trauma con l’urbe meccanizzata, Wachau fece il suo ingresso all’Universitá.
Nela scuola di medicina perfezionó le sue conoscenze e ne imparó di nuove.
Quel giorno la vide.
Sbelta e bella come mai la bella donna, vestita di bianco, andava al suo incontro.
L’homo civicus si trasformó in homo selvaticus.
Il pronto intervento di alcuni colleghi rimedió l’irreparabile.
Seduta sul pavimento con la blusa di ricami trasparenti rotta, Belkis Pérez, piangendo,
implorava che la smettesse di farle del male.
La somiglianza con la sua vecchia amica era straordinaria.
Ma non del tutto!
L’altra era circondata da un’aura fredda. Questa era calda.
L’altra aveva occhi grigi acerati. Questa occhi grigi umani e profondi.
Umilmente chiese scusa. Cercó di spiegare il suo comportamento. No poté.
Belkis lo guardó con disprezzo e si allontanó.
Il secondo incontro fu meno violento.
L’amore domó il cuore dell’homo selvaticus.
Un anno dopo l’incidente, Belkis e Wachau convolarono a giuste nozze.
La vecchia amica non dimenticó Wachau.
Stava uscendo dal chirofano, quando la vide.
Come la prima volta corse al suo incontro.
Come la prima volta il freddo lo frenó-.
Si limitó a riprenderla duramente:
-Cosa fai qui? Questo non é il tuo posto. Perché ti sei portato il mio villaggio ? Ancora
non gli era arrivata l’ora, specialmente i bambini.20
-Come stai piccolo mio ? Vedo che hai fatto progressi.- Replicó lei, educata e gentile.
-Perché sono qui ? Vengo a cercare un paziente indigena che si trova nella stanza sul
fondo. Non solo la tua tribu credeva in me. Ce ne sono altre. Perhé mi sono portato il tuo
villaggio ? Non volevo farlo. Anche a me i bambini causarono dolore. Ma se ben ricordi fu
madre natura che decise per me. Chiedo scusa peri l dolore che ti ho arrecato.Wachau pianse. Volle abbracciarla.
Lei, fermamente, glielo impedí.
-No, piccolo mío la tua ora non é arrivata.Le diede il passo. Poté osservare nel suo viso un sorriso di ringraziamento che lui corrispose.
Il tempo trascorse senza alcun incidente. Wachau e Belkis, circondati di nipoti, non
chiedevano altro dalla vita.
Sucesse una notte.
L’attacco al cuore di Belkis, non diede tempo ad alcun intervento. Wachau, disperato, si
stava togliendo la vita. Quando…..
La bella e fredda donna apparve in un lampo che inondó la stanza dei coniugi. Wachau
la vide come l’ultima spem.
- Non ti chiedo di cambiare niente. Solo voglio essere portato insieme.- Dicendo questo,
andó incontro alla bella fredda donna e la bació. Costei, suo malgrado, accompagnó i due
coniugi all’eterna dimora.
Terezinha Pereira
Minas/MG- Brasile
SE UNA PIANISTA IN UNA NOTTE BIANCA ...
Fu Italo che mi raccontò alcuni fatti. Se fosse così ogni notte, non lo saprei dire... Io
stavo, tranquillo, in un letto d’ospedale.
Era una di quelle notti bianche di San Pietroburgo. Dov’è? Lontano. Una notte calda, rara. Un
uomo grasso giunse presso il palazzo in cui abitava, dopo aver attraversato molte volte il fiume
che solca la città. Una vecchia, vicina di casa, stava al pianoforte. Niente di strano. Tutte le notti,
essendo esse di qualunque colore, quando lui giungeva dal lavoro, la donna era al pianoforte e
suonava la stessa musica che l’uomo grasso non ha mai saputo identificare. Una profusione di
suoni scordati. Quando giunse sul pianerottolo del terzo piano, aveva la testa inzuppata di
sudore, la giacca nera nella mano destra e nella sinistra la chiave pe r aprire la porta del suo
appartamento. Oh! Quel giorno la porta del piccolo appartamento della vecchia, che suonava il
pianoforte, era semiaperta. Cosa nuova! Seduta sul suo sgabello, con una mano sulla tastiera e
con l’altra premendo un tasto nero, gridò il nome dell’uomo quando udì lo stridio della porta che
lui aveva appena aperto, e che cigolò come sempre.
«Signor Nikó, mi aiuti. Oggi non posso premere i tasti neri del piano».
«Ma, lei sta suonando».
«Lei non conosce la musica. Non ha capito che io stavo premendo solamente i tasti
bianchi».
«E, lei capisce...».
«Mi aiuti a sistemare nel pianoforte il tasto che si è saltato. Io non ho la forza e neppure
quegli attrezzi che lei tiene nella stanza di servizio».
«Come sa lei che nel mio appartamento tengo una stanza di servizio con una cassetta di
attrezzi...
«Il signore sente freddo. Sì, sì. Porta sempre un abito nero, ci sia bel tempo, freddo o
pioggia. Ed è grasso. Non dovrebbe essere sensibile al freddo. Non è capace di
accompagnarmi lungo la scala».
«Io non ho l’ho mai vista salire la scala, lei sta sempre solamente a suonare quel
maledetto piano».
«Lei, signore, è grasso, ha grasso in eccesso, che gli pende parimente attorno al cintom
Guarda la pancia! Se non fosse così, io non gli permetterei di entrare nella mia casa,
signor Nikó. Se Lei fosse snello... Se non lo vedessi, in qualche occasione, affaticato come
um cavallo, il sudore scorrere sul viso, io potrei sentirmi costretta, lei potrebbe essere
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uno che pensa... Io voglio dire, potrebbe essere un uomo che pensa di essere ordinario.
Di strano lei non ha nulla, oltre che il grasso. È sproporzionato, riguardo alla sua mole.
Ordinario. Sì, sì. Ha una cassetta con ferramenta e mi può aiutare. Io ho bisogno di
riparare il mio pianoforte, sì, sì, sistemare il tasto nero che è saltato, altrimenti non
posso incantare le sue orecchie questa notte».
«Io non so che attrezzo sarà necessario per sistemare un tasto del piano. Io non ne
capisco nulla».
«Uomo straordinario, che pensa di essere straordinario, cerchi di addolcire la vita delle
donne anziane che vivono sole. E non mi venga a dire che non sa che io vivo sola e che
ho gioielli e gioielli. Un uomo che si crede straordinario ammazza una vecchia per
provare a se stesso quanto vale. Napoleone non era così? Ha decimato gli eserciti...
Qualcuno, per caso, lo ha definito criminale? Poi, che ci sarebbe di male nell’uccidere una vecchia
piena di denaro e che non produce più. Tutto si trova in quel libro sul pianoforte. Lei, signor Nikó,
non ha figli. Non ha mai avuto moglie. Sì, sì. Lasci questa giacca unta sulla sedia, signore. Non ho
mai visto donna nel suo appartamento. Spende, quindi, solamente per il cibo. E di basso costo.
Pane, vino e carne untuosa, rancida, grassa grassa. Una camicia scucita ed un unico abi to nero,
questo è l’abbigliamento che tiene, signore. In estate ha bisogno di lavare ed asciugare il vestito,
al mattino. Ne ha bisogno sul lavoro. Sì, sì. Non va a prendere la cassetta con gli attrezzi? È
ancora intontito questo corpo pesante...
Io non mi preoccupo. Non può commettere alcun crimine, non ne è capace. Né avrà
alcuna punizione. La pena, già la sta soffrendo. Che di peggiore? Portare questo corpo
pesante, lento, per le strade della città. Sì, sì. Sta a guardare solo me? Guardi il tasto
nero. Si muova. Deve sistemarlo al più presto. Il tasto nero. Prenda questo panno per
asciugare il suo volto, non vede che provo disgusto per questo suo untuoso sudore? Sì,
sì>>.
«Mi mostri dove dovrei sistemare il tasto».
«Si avvicini, venga, sembra che abbia paura di prendere uno choc nel mio strumento.
Che mani tanto lente... Lei è tutto grasso. Ordinariamente. Le pieghe nella nuca. Non
vedo il suo collo. Come può lavorare per un giorno intero in quella barca che trasporta
persone da una parte all’altra del fiume? Già basta lei, con quel suo gran corpo a
riempire la barca. Se non fosse lei il proprietario della barca... Non vede che ne ha un
danno? Potrebbe trasportare più persone in ogni viaggio. Occupa il posto di tre.
Straordinariamente grasso>>.
«Come se non bastasse il suono del pianoforte, ora devo sentire la vecchia vomitare la
sua solitudine. Come se io ci entrassi qualcosa con il suo pianoforte danneggiato. Come
se lei avesse il diritto di intrufolarsi nella mia vita>>.
«Sta vedendo, signor Nikó, è facile. È quasi pronto il lavoro. Io l’ho fatta entrare in casa
mia perché so che è uno grasso, lento. La musica, signor Nikó. La musica. Lei non può
dormire senza sentire Beethoven. Sì, sì. Entri nel suo appartamento, senza lavarsi le
mani. Prenda il vino, prenda il resto di quel pane che ha portato ieri e scopra la pentola
di carne nel grasso. Tutto freddo. Come tutto alla stessa maniera. Ha fretta. Divori.
Prenda ciò che deve sostenere quel grasso che le pende».
Italo raccontò che Nikó ne approfittò quando la vecchia si chinò in giù per guardare la tastiera
riparata. Di dietro, con le sue due mani, egli la prese per le spalle. La vecchia era una penna,
tanto leggera. Batté per tre volte la sua testa sullo spigolo del pianoforte. Fu sufficiente. Il cadere
del suo corpo produsse una musica diversa da quella di Beethoven che lei diceva di suonare. I
tasti divennero di colore rosso. Neppure uno schizzo nella camicia strappata, nei pantaloni neri .
Nikó prese la giacca che aveva messo sulla sedia e uscì chiudendo la porta. Entrò nel suo
appartamento, appese la giacca ad un chiodo della parete della stanza di servizio, tirò
l’unica sedia dal tavolo della cucina e si sedette. La tovaglia da tavola la usò per
asciugare il sudore dal suo volto e pulirsi le mani.
Allora, senza il suono musicale di tutte le notti, aprì la bottiglia di vino e riempì il
bicchiere rimasto lì fin dal giorno precedente. Poi, prese il pane del giorno precedente e la
pentola di carne cucinata la settimana scorsa e si servì, mangiando con sollievo.
* traduzione dal portoghese di Angelo Manitta- Accademia Internazionale Il Convívio/ Castiglione di Sicília (CT), Italia
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Hànto
Italia
STORIA
La donna, dopo aver partorito, abbandonò il figlio in un campo. Il neonato morì.
Il sentimento che ho lasciato dentro il sacco,
è la condanna che sconvolge la mia anima.
Mi rincorre, nella notte, come un pazzo,
urlando: "Guarda, sciagurata, cos'hai fatto!".
Quella promessa di bambino concepito
è come un tarlo: mi rode senza posa.
Dico al cielo di capire il mio travaglio.
Dico al mare di portarmelo di nuovo.
E parlo, piano, del dolore che ritorna,
del corpicino che mi manca, senza forza
e chiedo al vento di portargli (se lo vede!)
il mio saluto di materno cuore afflitto.
E parlo al sonno. Raccomando anche alle immagini
di non turbare la celeste incandescenza.
Fu grave errore! Sono pronta a dimostrare
che questa volta (lo prometto) non lo uccido.
E tu mi senti, figlio morto, abbandonato?
Puoi ascoltare le parole di tua madre?
Sai perdonare? Come faccio (mio tormento!)
a supplicarti di tornare nel mio grembo?
SEGNI NEL SOGNO
Una colonna di fumo nero
sembra che avvolga la Cattedrale.
I bianchi corvi volano in alto
per sentenziare, non per lodare.
Lodare l'uomo non serve a niente.
Sta divorando tutto il suo seme.
Si sta mangiando tutta la Terra.
Ditelo ancora. Ditelo sempre.
I laghi chiari sono sporcati
da quello sterco fatto dai massi.
Anche nell'aria, dove danzavo,
vedo le macchie del grave danno.
Siete in ginocchio. Le suore "sbronze"
parlano al Padre, ma senza il Nome.
Tu lo conosci. "Quello" è la chiave
per penetrare nel modo giusto
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Isla Negra
revista en español de poesía y narrativa breve
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Milvia Comastri
Italia
Mario
Ecco lo sapevo la lampadina è ancora fulminata la puzza di piscio di gatto è più forte che
mai poi lui la torcia chissà dove l’ha messa gli dico sempre lascia le cose dove le trovi ma
niente è inutile ahi il mio piede lo sapevo che andavo a sbattere con ‘sto buio di merda
accidenti a lui accidenti a tutti accidenti alla palma tipico tipico di lui andarsi a
schiantare contro quell’albero l’unica palma della città orgoglio del sindaco inserita nel
bilancio annuale con tanto di fattura accompagnatoria in allegato col nome del vivaista
scritto in verde io lo so io ci lavoro in comune ero lì quando è arrivato Bandini con la
faccia tutta bianca e mi fa tuo marito ha avuto un incidente e io mi sono messa a ridere
lui ha sempre incidenti gli ho detto anche l’altro giorno te l’ho pur raccontato stavolta è
diverso ha detto lui è meglio che vieni con me ecco la torcia strano è lì dove doveva essere
magari è un po’ che non scende nel seminterrato ecco perché se no lui sposta tutto
perde tutto dimentica tutto adesso si è dimenticato di tornare a casa l’ultima volta c’era
Bandini che mi teneva una mano può essere che lui abbia creduto che fra noi ci sia una
storia e si sia offeso ma no aveva gli occhi chiusi non ha visto niente certo quel Bandini
è strano stasera voleva rimanere qui a tutti i costi ho dovuto spingerlo fuori dalla porta e
dalla finestra della cucina l’ho visto che continuava ad aggirarsi nel giardino se ne è
andato solo quando ho acceso la luce e ho preso in mano il telefono avrà pensato che
chiamassi il 113 invece ho telefonato a mia madre dovevo dirle una cosa importante
com’è che adesso non me la ricor do forse non era importante a volte le cose sembrano
importanti che non puoi resistere neanche un minuto poi diventano piccole piccole e si
sgonfiano come quando lui voleva fare la recinzione di legno intorno al giardino di legno
figuriamoci che marcisce al primo sputo di pioggia tutto perché si ricordava una figura di
quel libro da ragazzetti Tom Sawyer dove il bambino correndo fa scorrere un bastone sui
paletti della staccionata lui dice che gli sembrava di sentire il suono toctoctoctoctoc
quando guardava quella figura e che era una musica di libertà ma io ho chiamato il
fabbro e gli ho fatto fare un preventivo per una bella recinzione in ferro tutta arrotondata
come va adesso e dopo un mese era pronta e quella dura per sempre e lui non ha detto
niente guarda che casino tutte le sue carte e la chitarra e i libri e quei quadri che si era
messo a fare due anni fa per tre mesi è andato avanti poi ha smesso e non credo perché
io gli ho detto che erano brutti c’è proprio un bel casino qui anche domenica gli ho detto
Mario c’è da mettere a posto lo scantinato c’è anche la finestrella che non si chiude e
entrano i gatti e pisciano dappertutto e lui ho voglia di fare all’amore mi ha risposto
proprio quando avevo l’arrosto che cuoceva nel forno e i vetri da lavare alla sera poi non
me l’ha più chiesto ma cos’è che cercavo ah è vero il suo maglione azzurro quello
slabbrato al collo deve essere là nell’armadio ad angolo un giorno mi fa quando muoio
voglio quello addosso e io non è detto che muori prima tu poi alle cose brutte è meglio
non pensarci anche quando succedono io la penso così se non ci pensi non è successo e
adesso che cazzo sono ‘ste lacrime è un’ora che piango ma dentro no dentro lo aspetto
quando si ricorda torna si alza da quel lettino si pulisce il viso dal sangue e torna.
Isola Niedda
Dae sa Sardinia po su Mondu
cultura sarda in sas paraulas de s’omine
Escribie a [email protected]
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Traduzioni - Correzione di testi
[email protected]
Canción compuesta por Pietro Gori, abogado, poeta y anarquista italiano para su obra
teatral "Primero de Mayo", escrita a finales del siglo XIX. La música es del coro "Va,
pensiero" de la ópera de Giuseppe Verdi "Nabucco". La versión en castellano fue
publicada en el Cancionero Revolucionario de Ediciones Tierra y Libertad (Burdeos,
1947).
INNO DEL PRIMO MAGGIO
Texto: Pietro Gori- Música: Giuseppe Verdi (Opera "Nabucco")
Vieni o Maggio t'aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce Pasqua del lavoratori
vieni e splendi alla gloria del sol
Squilli un inno di alate speranze
al gran verde che il frutto matura
e la vasta ideal fioritura
In cui freme Il lucente avvenir
Disertate falangi dl schiavi
dai cantieri da l'arse officine
via dai campi su da le marine
tregua tregua all'eterno sudor
Innalziamo le mani incallite
e sian fascio dl forze fecondo
noi vogliamo redimere il mondo
dal tiranni de l'ozio e de l'or
giovinezza dolori ideali
primavere dal fascino arcano
verde maggio del genere umano
date al petti il coraggio e la fé
Date fiori ai ribelli caduti
collo squardo rivolto all'aurora
al gagliardo che lotta e lavora
al veggente poeta che muor
HIMNO DEL PRIMERO DE MAYO - (Adaptación al castellano)
Ven ¡oh mayo!, te esperan las gentes,
te saludan los trabajadores;
dulce pascua de los productores
Ven y brille tu espléndido sol.
En los prados que el fruto sazonan
hoy retumban del himno los sones
ensanchando así los corazones
de los parias e ilotas de ayer.
Despertad, oh falanges de esclavos
de los sucios talleres y minas;
los del campo, los de las marinas,
tregua, tregua al eterno sudor.
Levantemos las manos callosas,
elevemos altivas las frentes,
y luchemos, luchemos valientes,
contra el fiero y cruel opresor.
25
De tiranos, del ocio y del oro
procuremos redimir al mundo,
y al unir nuestro esfuerzo fecundo
lograremos al cabo vencer.
Juventud, ideales, dolores,
primavera de atractivo arcano,
verde mayo del género humano,
dad al alma energía y valor.
Alentad al rebelde vencido
cuya vista se fija en la aurora,
y al valiente que lucha y labora
para el bello y feliz porvenir.
Lettere a Isola Nera
Homo Scrivens è felice di informare che nei prossimi giorni vi saranno tre occasioni da non
perdere per assistere agli spettacoli di lettura a cura di Homo Scrivens. Le sedi saranno, in ordine temporale,
la Fiera del Baratto di Napoli, la Fiera del libro di Torino e la Fnac di Napoli. Di seguito sono elencate le
informazioni relative ai singoli eventi. La redazione di Homo Scrivens - Eventi in programma: Napoli, Fiera
del Baratto, 29aprile-1maggio, mostra D'Oltremare, stand HS Torino, Fiera del Libro, 7 maggioNapoli, Fnac, 15 maggio Per proporre una presentazione di Homo Scrivens nella tua città, per informazioni,
eventi e segnalazioni:[email protected] Per inviare un tuo testo:[email protected] - Per
inviare una recensione:[email protected] Ufficio stampa:[email protected]
Da Rete Culturale Virginia ([email protected] ([email protected]):
Vi segnaliamo le novità del sito che, con il mese di maggio, riprende la sua attività.
Sezione "EVENTI"
Siamo liete di annunciarvi che è regolarmente aggiornata la sezione “Eventi” del portale
www.reteculturalevirginia.net. Sarà preziosa la Vostra collaborazione, segnalando le attività artistiche in
corso o imminenti di cui siete o sarete protagoniste. Vi preghiamo di mandare le informazioni basandovi sul
seguente schema, affinché possano essere inserite in modo esaustivo: Data inizio e data fine (o data unica,
trattandosi ad esempio di un concerto)- Titolo e breve descrizione e locandina - Luogo: indirizzo postale (ad es.
via n° civico Città)- Informazioni: recapito telefonico, sito internet, indirizzo e-mail e
Orario. Non tralasciate nessuna di queste notizie, necessarie a segnalare l'Evento.
Sezione "LE INTERVISTE DI VIRGINIA"
Entro la prima settimana del mese di maggio, inizieranno “Le interviste di Virginia”, una nuova rubrica,
che troverete in home page del portale, per incontrare le artiste che hanno trovato le strade dell’autonomia e
del successo con la loro attività artistica. Sono artiste che non sono presenti nel Catalogo multimediale, ma
che ci daranno un contributo per comprendere un percorso d’artista e di donna. Le interviste saranno
mensili.
Da August Highland: PRESS RELEASE FOR IMMEDIATE RELEASE VISUAL ARTS April 26, 2006
Contact: August Highland www.august-highland.com - Poets House is open Tuesday-Friday 11am-7pm &
Saturday 11am-4pm. Poets House | 72 Spring Street, Second Floor | New York, N.Y. 10012 (212) 431-7920
| [email protected] ALPHANUMERIC PAINTINGS by AUGUST HIGHLAND
“Sacred Burial Grounds” Opening Reception: Friday May 12, 2006, 6-8pm On view May 12 through June
24 Admission: Free Like ancient civilization slumbering beneath cities of glass and street, classical poetries
are buried deep in August Highland’s visual texts on large canvases, which explore the modern experience of
language. August Highland is an experimental writer who began as a poet, then novelist. He now uses his
background to create dynamic visual text works. Since developing “Alphanumeric Painting” in 2002, he has
shown in over 25 shows with upcoming shows in Tokyo, Prague, Los Angeles, Arizona and Kansas City.
Highland has also been requested to speak about his original techniques at several Universities, including
Harvard. His work is in many private and public collections. He is fast becoming one of the newest
phenomenons of the contemporary art scene.
FUTURE SHOCK
La Fantascienza come ponte tra le due culture - È andato on line il n.18 di "Future Shock" (anno IX - marzo
1996 [email protected] ), un numero vecchio ma sempre attuale, che precedentemente era stato pubblicato in
formato ridotto. Alla sua uscita nel lontano 1996, ebbe una lusinghiera recensione sulle pagine del
"Messaggero Veneto". Buona lettura e distinti saluti. Antonio Scacco
26
COMUNE DI CAIVANO- www.leparoleperte.it
CAIVANO PRESS 7^ Premio Città di Caivano - Concorso Nazionale di Narrativa e Poesia
Patrocinato dal Comune di Caivano in collabor azione con le associazioni culturali Termopoli d’Italia,
Leonardo e Nuovo mondo (www.nuovomondo.too.it), il laboratorio di scrittura creativa Homo Scrivens, la
Biblioteca Edith Stein, l’Istituto di Studi Atellani ed Il Circolo Degli Universitari di Afragol a. Inserito
nel progetto “Passaggio a nord est” REGOLAMENTO DI PARTECIPAZIONE
SEZIONE A – Narrativa – Gli autori possono partecipare con un racconto non superiore alle 10 cartelle
dattiloscritte. SEZIONE B – Poesia - Gli autori possono partecipare con un componimento non superiore ai
40 versi. SEZIONE C – Poesia in Vernacolo – Stesse modalità di cuoi sopra con traduzione SEZIONE D –
Poesia riservata agli alunni delle scuole elementari della Campania SEZIONE E – Poesia riservata agli
alunni delle scuole medie della Campania Gli elaborati redatti in quattro copie, di cui una firmata con
indirizzo, numero di telefono ed eventuale indirizzo di posta elettronica, dovranno essere spediti alla
segreteria del premio: Giuseppe Bianco - Via Donadio 7 – 80023 Caivano (Napoli) Il termine ultimo per
l’invio degli elaborati è il 15 LUGLIO 2006. LA PARTECIPAZIONE E’ COMPLETAMENTE GRATUITA
I risultati del concorso saranno diffusi attraverso la stampa locale e nazionale ed internet. Le opere premiate
saranno pubblicate sui siti letterari www.leparoleperte.it – www.homoscrivens.it – www.iststudiatell.org
e su un numero speciale monotematico del periodico “Caivano Press”, più eventuale pubblicazione, come
nelle precedenti edizioni, in antologia. Sarà cura della segreteria comunicare a tutti i partecipanti data e
luogo della premiazione che si terrà entro il 2006. Il giudizio della giuria è insindacabile e gli elaborati non
saranno restituiti. INFO: [email protected] [email protected]
Da Alessandro Ramberti: FARANEWS Mensile di informazione culturale a cura di Fara Editore
http://www.faraeditore.it/faranews/nuovo.shtml
Numero 77- Maggio 2006- Editoriale: "indecidibile santo, corrotto di vuoto"
È un verso della miniraccolta poetica di Massimo Orgiazzi che apre questo Faranews. Il vuoto corrotto
potrebbe essere, agostiniamente, il male come privazione di bene. La santità indecisa è forse legata al tema
del libero arbitrio. In una riga una visione dell'uomo (non a caso la poesia si intitola Io sono, che è anche il
nome di Dio): questa è la forza della poesia. Troviamo nelle poesie di Luca Ariano, Giuseppe Callegari e
Franco Casadei altri motivi pro-vocanti che scuotono i nostri occhi ormai abituati a tutto. Il saggio critico di
Vittoria Bartulucci su Acquaforte ci avvicina al mondo creativo (cioè poetico) di Gladys Basagoitia: "la poesia
/ viene da tutti da tutto". Massimo Pasqualone ci suggerisce che il lettore è il vero artefice della poesia e
Romolo Scodavolpe, recensendo FaraPoesia, parla di "voci non peregrine e non flebili". Augurandovi una
buona lettura, vi ricordo il nostro concorso Prosapoetica "terra/di/nessuno" e vi segnalo questo convegno
camaldolese- http://www.faraeditore.it/html/eventi06.html#camaldoli
Il forum dei giovani contro tutte le mafie
Da Sardisches Kulturzentrum Berlin ([email protected])
E' da oggi online il portale SardegnaCultura- http://www.regione.sardegna.it/
"Arriva due anni prima della Biblioteca Digitale Europea, che in questi giorni sta muovendo i primi passi". I
documenti inseriti sono 30mila, 600 gli allegati distribuiti in libri e guide. Cagliari, 5 aprile 2006 - "Questo
non è un semplice sito web - ha detto il Presidente della Regione, a pochi minuti dalla messa on line del
portale – è una grande infrastruttura che rimarrà. Se pensiamo che ci vogliono molti anni e tanti soldi per
fare un museo mentre "SardegnaCultura" costa poco e arriva a molte più persone. Saranno tantissimi quelli
che vi accederanno: i turisti, i non residenti e gli studiosi". Il sito dei Beni culturali della Regione è stato
concepito come un'opera in progress, destinato a contenere tutti i settori di conoscenza più importanti del
patrimonio culturale sardo. Ai testi, alle immagini e ai materiali audiovisivi che costituiscono le sezioni fisse,
se ne affiancheranno delle nuove che saranno aggiornate di continuo, per fornire tutte le informazioni utili
alla vita culturale dell'isola. Allo stato attuale le sezioni comprendono anzitutto i Periodi storici, nei quali è
possibile navigare per una ricostruzione in senso diacronico dei diversi periodi delle complesse vicende che
hanno portato la Sardegna talvolta ad allinearsi, altre volte a discostarsi da quelle italiane ed europee,
sviluppando caratteri originali. Il percorso cronologico può incrociarsi con percorsi tematici, che
rappresentano gli Argomenti, attraverso i quali si può navigare in senso sia diacronico sia sincronico, ma
anche in autonomia rispetto ai Periodi storici. Archeologia, Architettura e Arte sono gli argomenti più vicini e
connessi con i periodi storici, mentre gli altri sviluppano percorsi non strettamente connessi all'evoluzione
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storica. Per i secoli più recenti, Fotografia e Cinema andranno a completare la panoramica delle altre
espressioni artistiche. Un percorso importante è quello della Letteratura, che illustra, dal Medioevo all'età
contemporanea, la produzione scritta nella pluralità di parlate che compongono il mosaico linguistico della
Sardegna. Alla letteratura "in limba" è invece dedicato uno spazio apposito nella sezione Lingua sarda.
Quest'ultima offre la possibilità di un completo aggiornamento su tutti gli aspetti sostanziali della lingua
sarda: la sua storia, la morfologia, la fonetica, le varietà linguistiche (comprese le parlate non sarde come
l'algherese, il sassarese, il tabarchino), le altre lingue minoritarie in Italia e in Europa occidentale, la
legislazione in materia di tutela e promozione della lingua sarda. Di particolare rilievo è l'iniziativa regionale
per la definizione di uno standard, la "Limba Sarda Comuna". Del pari applicative sono le informazioni (linee
guida e dispositivi di legge) che vengono date nell'argomento Paesaggio, focalizzate sulle iniziative regionali in
merito all'elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale. Sempre nella sezione Argomenti è possibile
consultare, in Tradizioni e Feste, alcune prime prospezioni nel ricchissimo patrimonio
demoetnoantropologico della Sardegna: sull'abbigliamento tradizionale, sulla tessitura, sull'artigianato, sulle
feste religiose, sulle grandi sagre e sul Carnevale. Il progetto si completa con alcune sezioni destinate a
successivi incrementi: i Luoghi della cultura, che presentano le biblioteche e gli archivi, le schede dei
monumenti, le aree archeologiche e i Musei che contemplano, in tutto o in parte, la gestione da parte
regionale. Ogni sezione si arricchisce di documenti allegati: testuali, sonori, visivi, compresa la possibilità di
consultare integralmente i volumi di alcune delle più importanti collane sull'archeologia, la storia dell'arte, la
letteratura della Sardegna.
Visita il sito di SardegnaCultura- http://www.sardegnacultura.it/- SARDISCHES Zillestr. 111- KULTUR- D10585 Berlin- ZENTRUM XXXXX www.sardanet.de BERLIN Ruf/Fax +493034356635 - Haltest. Zillestr. (Bus
210)- Haltest. Luisenplatz (Busse 145/109)- U-Bhf. Sophie-Charlotte Platz (Linie U2)
Da la redazione de I racconti di Luvi, quadrimestrale di incursioni letterarie
www.iraccontidiluvi.org- [email protected] - Via Abruzzi, 88- 90144 Palermo
Giovedì 8 giugno, alle ore 11- presso la Sala del Carroccio del Campidoglio, verrà presentato il settimo
numero della rivista I racconti di Luvi. Interverranno: Matteo Marchesini, poeta, collabora con la casa
editrice Castelvecchi Giancarlo Susanna, giornalista de L’ Unità, Katia Tamburello, direttrice de I racconti di
Luvi- Letture di Anna Laura Longo- In questo numero: gli inediti dell’ultima silloge poetica di Matteo
Marchesini “I cani alla tua tavola”, le “Tecniche di scrittura” di Giacomo Cacciatore (godibilissimo viaggio
narrato intorno alle maree della parola composta), l’ultimo approdo di Tommasina Squadrito a Camico, la
“lingua selvatica”, le poesie di Laura Silvia Battaglia ed Anna Laura Longo, un racconto di Davide
Romano. Francesco Balsamo disegna la copertina, Rita Ravioli e Fiorenza Dado pennellano le suggestioni
visive servendosi, rispettivamente, della tavolozza e dell’obiettivo. Tre anni di Luvi, da Palermo in giro per
l’Italia, inseguendo l’universalità della parola. E infatti, la rivista è stata “creata” e vive per essere luogo di
parola, di suoni, di immagini. La consapevolezza della necessità di momenti altri, rispetto ai consueti canali
editoriali, in grado di accogliere perlomeno un quanto dei suoni e delle parole, si è sedimentata su nuove
esigenze, già in nuce e che via via si sono più distintamente composte: la necessità di sentire il territorio
della Sicilia quale spazio di rivendicazione di libertà e di scrittura; il circuito esperienziale messo in atto dagli
scritti di poeti e scrittori cosiddetti nuovi e, in larga misura inediti, e dagli scrittori e poeti cosiddetti affermati
e pubblicati anche da “grandi” case editrici: i racconti di Giovanna Giordano, Marco Vespa, Evelina
Santangelo, Santo Piazzese, Mattia Signorini, le poesie di Vanessa Ambrosecchio, Ignazio Buttitta, Nino
Gennaro, … La parola unifica e divide. Luvi si pone quale luogo di questa sintesi.
Il 19 maggio, ore 17.30, presso la biblioteca "Villa Leopardi" a Roma (Via Makallè SNC -interno
parco- tel. 068601066 ) . Il Poeta e scrittore Bruno Bartoletti presenterà "Il tempo dell'attesa", Ed. Il Ponte
Vecchio, Cesena 2005. Scrive sull’opera Luciano Nanni: La raccolta dimostra come il poeta, senza tradire la
spontaneità dell’ispirazione, affidi la parola creativa a una forma in cui l’eco dei classici può certo ritrovarsi,
ma si prefigura personale grazie allo stile: taluni incipit infatti sono rilevanti per purezza espressiva e/o
descrittiva e per il ritmo (numerosi gli endecasillabi), per es. ‘Veniva da un’onda remota il suono’ (Parole di
ombre) o ‘Cade il suono dell’ora dai salici bianchi’ (Pareti di ombre), caratteri che non si disperdono ma
fissano immagini e traslati la cui bellezza rimane nel tempo.
SEMINARIO DI SCRITTURA CREATIVA
“Le vie dei cinque sensi” A cura di Nadia Tarantini- La scrittura, il corpo, le emozioni: un percorso per trovare
dentro di sé le radici del RACCONTARE E RACCONTARSI. Si alternano esperienze sensoriali, esperienze
corporee e di respirazione, meditazioni ed esercizi di scrittura. Alla ricerca della “stanza tutta per sé”: spazio
interiore prima di tutto, forza che fonda l’autorizzazione alla creatività e alla scrittura. Esperienza di un
“cerchio della narrazione”, in cui la comunicazione con le altre persone crea la possibilità di vivere anche da
sole/i i luoghi della scrittura. SCRITTURA E CURA DI SE’: il viaggio nelle emozioni permette di curare
antiche ferite, e di aprirsi al presente e al futuro in modo più profondo e creativo. Sabato 13 maggio 2006 ore
15 –19- Domenica 14 maggio 2006 ore 10 – 13 / 14 – 17 Sasso Marconi Sala Renato Giorgi piazzetta del
Mercato Info e iscrizioni: [email protected]
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Enrico Pietrangeli
Italia
UN ALTRO GIORNO, UN’ALTRA MOSCA, PER CASO…
Era un’estate torrida, ma mai quanto quella precedente; eppure, da quando alloggiavo
presso la piccola Emily, non avevo mai visto una quantità tale di agguerrite zanzare. Ve
n’erano ovunque, piccole ed impudenti, sempre pronte a ronzarti addosso anche quando,
inutilmente, nella rabbia di una morsa, si scagliava, fulmineo, il palmo richiudendosi.
C’era una vasca con dei pesciolini rossi nel suo fiabesco giardino, contornato, qua e là, di
gnomi e folletti adombrati tra la vegetazione. Da qualche mese Romeo e Giulietta, i due
pesciolini, avevano prole al seguito, ovvero il piccolo Ughetto. Le condizioni ambientali dovevano,
quantomeno per loro, essere più che mai favorevoli. In quanto a cibo, non ne mancava di certo.
Larve di fresche e genuine zanzare abbondavano nello sfavillante equilibrio di un ecosistema
rigenerato con le sole forze di madre natura.
Emily, proprio quel giorno, mi annunciava, con innocente gioia, che degli stranissimi ed
altrettanto sorprendenti funghi erano cresciuti nella padella abbandonata ai bordi del
lavello. Lo schermo del computer che utilizzavo era sommerso di carte, sovrapposte a
libri, CD, chincaglieria e quant’altro in possibili, inusuali sorprese. Il cattivo odore che si
celava oltre il gruppo di memoria fin avantieri, altro non era che del salame casualmente
occultato.
Il momento più critico era, comunque, il tramonto. Una sete di sangue cresceva,
smisurata ed improvvisa, in quei minuscoli ed avidi insetti. Le livide piaghe dei
raschiamenti susseguiti ai salassi seguitavano, puntualmente, ad essere martoriate. Lo
schermo era lì, pronto a risplendere di luce propria col favore delle tenebre. Lume nella
notte contornato da una miriade d’insetti. Ne avevo sempre osservati, fin da bambino,
sotto i lampioni, indaffarati a girovagarvi intorno; talvolta prede di fuggevoli pipistrelli. Da
Emily ne avevo un intero e variegato sciame a pochi centimetri, probabilmente e mia insaputa, del
tutto presi dalla trama di quanto, versando tributi di sangue, digitavo sulla tastiera. Sarà per il
fatto che le notti insonni risultino, spesso, troppo lunghe o, più semplicemente, per qualche
lacuna d’ispirazione, tra lo scorrere del ritmo della tastiera, nell’ansia di una presunta solitudine o
non so cosa ma, soffermandomi sullo schermo, notavo, da qualche tempo, una strana mosca.
Pareva timida; si dava da fare meno delle altre, voglio dire che non si agitava tanto nello
svolazzare quanto, metodica ed attenta, esplorava la barra strumenti di “Word” riposta in alto.
Sembrava avere uno straordinario rispetto e considerazione per l’insolito ambiente che aveva
intorno. Non si spingeva mai, avventatamente, nelle aree più centrali del video. Restava, perlopiù,
nel suo bordo in alto e, di tanto in tanto, faceva qualche capatina sul testo per poi, con un
saltello, ripiegare verso i suoi margini. Si lasciò andare del tutto, percorrendo l’intero schermo con
inaudita audacia e disinvoltura, solo quando, tra un aggiornamento e l’altro del mio sito,
comparve la mia home page. Era rimasta fatalmente attratta da un semplice script, che animava
un’altra mosca a video. Come si apriva il file in questione perdeva ogni remora e si lasciava
andare traversando, incrociando ed infine attorniando il piccolo “GIF” in digitale. Emily
era inverosimilmente entusiasta di questa buffa storia e non perdeva più occasione per
sedersi al mio fianco invitandomi, ripetutamente, ad aprire la pagina. Ne nacque una
specie di fiaba in “reality show”. Insomma, l’irrefrenabile fantasia di Emily, ed io stesso
complice, vide principi, principesse ed eterni, sospirati amori prendere forma. Poi, la
mamma di Emily, fece ritorno in casa. Sbuffò, nauseata, per tutto quell’inferno di depresso
disordine. Chiuse ermeticamente porte e finestre . Spruzzò quanto più insetticida possibile
nell’ambiente e, soddisfatta, commentò tra sé:
- Domani potrò finalmente tornare a pulire…- .
Ilha Negra
Rivista di letteratura in portoguese
Diretta da Amelia Pais (Portogallo)- Gabriel Impaglione (Italia).
Mail: [email protected]
Robert
29
Italia
L’abbraccio Infinito
Punta estrema di me
Desiderio e volontà
Ti protendi in mare aperto
Dove mi piace sostare
Molo dell’anima
E in questo silenzio
Aspettare quel vento
Leggero che passa
Tra i tuoi capelli
Recando il profumo di te
Rosa rossa di maggio
L’abbraccio infinito
Avrei potuto donarti
D’incantevoli onde
E il bacio disperato
Dell’uomo che ascolta
Ma tu volevi per te
Solo un dolce compagno
Una storia breve
In un piccolo mare
Non la luce dell’alba
Ma un chiarore di luna.
Da: www.ilmanualedimari.it
Bartolo Cattafi
Barcellona Pozzo di Gotto, Messina 1922-1979 Italia
TABULA RASA
D'accordo, amore. Espungiamo
dal testo perle d'acqua
su petali,
le frange estese,
le bolle schiuma.
Le cose lietamente necessarie.
Togliamo anche
l'acqua l'aria il pane.
Giunti all'osso buttiamo
fuori della vita
l'osso, l'anima,
per credere alla tua
tabula che mai
avrà l'icona, l'idolo, la cara calamita?
Teódulo López Meléndez
Venezuela
Silenzio
La tua carne nei piccoli templi
non bagnò i miei capelli nella sera
e dio illanguidìi sulle terrazze
e l mie mani stettero silenti
e le tue mi negarono alimenti
De: BIFFA- Traduzione dello spagnolo: Daniela Baldassari
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Isola Nera
Casa di Poesia e Lettere
Per l’invio di materiale letterario:
Via Caprera 6 – 08045- Lanusei. Italia
Casa di poesia e letteratura. La prima in Sardegna; in Italia, aperta
alla creazione letteraria degli autori italiani e di autori in lingua
italiana. Il progetto Isola Nera riguarda la prossima pubblicazione in
formato cartaceo. Isola Nera merita degli sponsors in grado di
valorizzare l’iniziativa e dalla quale vengano valorizzati. Si accettano
e vagliano proposte.
33
hasta la pròxima…
al prossimo numero
www.villanovastrisaili.com
ai cani sciolti della letteratura consigliamo vivamente
www.villanovastrisaili.com
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di Rina Brundu. Salotto letterario, Narrativa, Poesia
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