24 scheda TIURNER A. Leone - Il cineforum "Il posto delle fragole"

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24 scheda TIURNER A. Leone - Il cineforum "Il posto delle fragole"
24° film “Cineforum
Il posto delle fragole”
21° edizione
2015
TURNER Di Migt Leight
Con Timothy
Spall,
Dorothy
Atkinson, Marion Bailey, Paul Jesson, Lesley
Manville.Martin
Savage, Joshua
McGuire, Ruth Sheen, David Horovitch, Karl
Johnson, Tom Wlaschiha, Roger AshtonGriffiths, durata 149 min. - Gran
Bretagna 2014. – Bim
Fotografia. Dick Pope,
Musica Gary. Yershon,
Montaggio Jon. Gregory
Portare Joseph Mallord William Turner su grande schermo si presentava come un’operazione che, già in
partenza, aveva un punto di forza e una criticità. Partiamo dalla criticità per nulla trascurabile: la vita del
pittore inglese (in particolare i suoi ultimi venticinque anni, quando fama e denaro rendevano più piacevole
il lavoro dell'artista) non è propriamente un'avventura straordinaria, di quelle che non aspettano altro che di
essere raccontate al cinema. Anzi, se escludiamo la “leggenda” di una tempesta marina vissuta da Turner
legato in cima all'albero di una nave a godere dei violenti ceffoni della burrasca – che il regista Mike
Leigh rappresenta senza tuttavia mitizzarne la portata – tutto il resto è pratica pittorica, relazione con il
padre, qualche amante, disquisizioni accademiche e rivalità tra colleghi, peraltro scevre da intrighi. Il punto
di forza invece è nella figura stessa del Turner paesaggista, apprezzato, certamente conosciuto, ma non
tanto da correre il rischio – in agguato quando si tratta di biopic – di fratturare la relazione con il pubblico,
imponendo una versione singolare di un personaggio collettivo e, per questo, “posseduto”, stratificato
nell’immaginario. Leigh è così libero di impressionare sullo schermo uomo e pittura con l’unico obbligo di
doversi confrontare con la Storia, cosa che gli riesce assai bene e che, pare, lo abbia divertito non poco.
Turner dunque è prima di tutto un affresco vittoriano affascinante, che evita di farsi troppo dickensiano,
privilegiando le atmosfere borghesi e aristocratiche dei salottini intellettuali e dell’Accademia, dove
disquisire di musica e pittura significa spesso inscenare teatrini grotteschi. Il contesto in cui Turner, al
culmine della fama e maturo artisticamente, cerca di spingere la sua pittura verso la rarefazione è quello di
un’Inghilterra già splendidamente isolata, lontana dalle polveri europee post-restaurazione e dunque dalle
crisi politiche ed economiche che minacciavano gli assetti al di là della Manica, invasa dallo spirito della
modernità, eccitata da macchine fotografiche, treni a vapore, splendidi edifici in ferro e vetro.
Timothy Spall si dimostra ben più di un gigantesco caratterista del cinema britannico, definendo un
personaggio ombroso e tutt’altro che socievole, insofferente agli esercizi speculativi (si fa beffe del
giovane John Ruskin), spesso provocatorio con i colleghi (una perla il confronto muto con il rivale
Constable durante l’allestimento di un’esposizione) e sgradevole anche con la fedele Hannah (di cui non
disdegna i “servizi”, guardandosi bene dal regalarle un gesto che sappia d’affetto), preoccupato
dall’avvento della fotografia. Eppure, nonostante le spigolature, i continui mugugni, i comportamenti
triviali, Leigh e Spall riescono nel miracolo di accendere nello spettatore la meraviglia per l’artista
romantico che meglio di ogni altro seppe trovare nel paesaggio il “pittoresco”, mediando dalla sensazione
all’emozione. Il regista chiede al direttore della fotografia Dick Pope di iniettare le inquadrature del suo
film di una luminosità epifanica, rinviando costantemente alla creazione artistica e costruendo al tempo
stesso suggestivi paralleli con le tele, che pure rimangono fuori campo lungamente, quasi a preparare
l’obiettivo della macchina da presa di Leigh.
Il percorso di Turner verso la luce, che tanta influenza avrà sugli impressionisti, è una cronaca che il
regista non trasforma mai in didascalia. I venticinque anni trascorrono sullo schermo senza interpunzioni o
sovraimpressioni, sincronizzando la narrazione sul susseguirsi degli eventi personali (la morte del padre, la
gravidanza di una delle due figlie disconosciute, la relazione con Mrs. Booth) o, semplicemente, sulla pelle
martoriata della povera Hannah (una malattia che degenera progressivamente), sul corpo di William che si
fa via via più pesante, sulle tele attraversate da bagliori improvvisi, dove ad un certo punto non è quasi più
possibile distinguere altro che i turbinii di tempeste di luce e pulviscolo che svaporano la materia. Leigh
avvicina Turner per descrivere il percorso del suo sguardo negli anni in cui avrebbe potuto continuare a
dipingere in serie naufragi e tormente, al limite incrociando eventi storici, come gli schiavi gettati in mare
da una nave mercantile o il rogo delle due
Camere del Parlamento, entrando nelle
grazie della giovane regina Vittoria (che
invece liquida come inaccettabile il suo
lavoro).
Romanticamente l’artista sceglie la ricerca
solitaria e, tra campagna e mare, dove
vivrà una vita parallela con la vedova
Booth, si fa paradigma dell’artista
moderno. Romanticamente Leigh sceglie
di assecondare vizi e virtù di un uomo
indomabile e inafferrabile, come la Natura
che tentava di fissare col colore, in una
pratica che univa indissolubilmente occhio e mano fino allo sfinimento, per arrivare ad afferrare in punto
di morte l’unica verità possibile: la luce è Dio.
Alessandro Leone, da www.cinequanon.it
Intervista:
A Cannes, Turner era valso a Timothy Spall il premio come miglior attore. Cinquantasette anni, oltre
cento film all’attivo – compresi Alice in Wonderland di Tim Burton, Il discorso del re e la saga di Harry
Potter – un sodalizio con Mike Leigh che dura da vent’anni. Una faccia che non diresti “da cinema”, ma
con la quale è riuscito a imporsi come uno degli attori più credibili, versatili e in definitiva più bravi del
panorama mondiale. –
Che cosa era la pittura per Turner?
Fu la sua salvezza. Sua madre aveva disturbi psichici, oggi diremmo che era bipolare. Quando lei aveva le sue crisi, lui,
bambino, iniziava a disegnare, in un angolo, per terra. Le immagini furono la sua salvezza.
Come descriverebbe il suo modo di dipingere?
Il movimento del quale Turner fu il leader venne definito del ‘Sublime’. Il sublime non era qualcosa di meraviglioso, di perfetto, ma
l’unione della bellezza con ciò che vi è, nella natura, di terrificante. La meraviglia insieme all’orrore: ecco il mondo pittorico di
Turner.
Nel film, lei non cerca di portare il pubblico a simpatizzare con il personaggio. Anzi.
E’ uno dei grandi insegnamenti di Mike Leigh. Il personaggio è più importante di te, e della tua vanità come attore. Non devi
cercare di renderlo simpatico per portare il pubblico ad amarti. Se è un personaggio scomodo, scorbutico, disprezzabile, non devi
ricoprirlo di zucchero. Tu, come attore, devi scomparire. Deve rimanere solo il personaggio.
L’Italia ebbe un ruolo nella pittura di Turner?
Un ruolo enorme. Se Turner crebbe in Inghilterra, fu con la luce e i paesaggi della Campania che ebbe una rivelazione
sconvolgente. Accadde durante il Grand Tour che, come molti altri artisti, intraprese in Italia, nel 1819.
Prossimo film giovedì
23 aprIle 2015
TORNERANNO I PRATI di E. Olmi