Settembre 1998 da Prima Comunicazione

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Settembre 1998 da Prima Comunicazione
Settembre 1998 da Prima Comunicazione
IL CUNEO DI SOSTEGNO
Fra pochi anni il mondo della comunicazione sarà segmentato e parlerà inglese. Lo
dice Filippo Cuneo, partner Bain, Cuneo e Associati, una delle major mondiali nella
consulenza aziendale che negli ultimi tempi ha messo mano alla riorganizzazione
della Rai, pilotato l’acquisto della Seat, affiancato i maggiori editori italiani nel
mettere a punto aziende e prodotti
Per lui, al pari della classe, la consulenza non è acqua. British nei modi e nella
formazione professionale, Filippo Cuneo, partner e fondatore della Bain Cuneo e
Associati, è considerato ormai un guru della consulenza aziendale. “La Bain &
Company”, ti spiega con orgoglio, “è tra le prime tre società di consulenza nel
mondo”. Tra le altre due c’è la McKinsey, cattedrale della consulenza, nella quale
Cuneo fu direttore negli anni Settanta e Ottanta. Come quasi tutti i consulenti di
formazione anglosassone, è più riservato di un banchiere d’affari, si rifiuta persino
di svelarti i clienti che vengono curati dalla Bain, Cuneo e Associati. Si sa che
nell’elenco delle 50 aziende compare la Rai, la Seat, la De Agostini, i principali
gruppi editoriali italiani ma lui non li nomina. Anche se è convinto che ormai
l’editoria diventerà sempre di più un business mondiale.
Domanda – Il mondo della comunicazione è in grande fermento. E di recente la
“fermentazione” è aumentata con i piani di guerra di Cesare Romiti, che in una
recente intervista ha detto due cose importanti: la legge sull’editoria deve essere
cambiata e, in particolare, non è pensabile che a un editore di carta stampata sia
proibito di controllare una televisione. Tutti insomma scalpitano sul pianeta
comunicazione. Cosa sta accadendo?
Risposta – Come diceva una vecchia legge dello Stato di New York, mai abrogata,
chiunque asserisca di poter prevedere il futuro è passibile di una multa fino a 100
dollari, a meno che si tratti di un ministro del culto. Questo per dire che i consulenti
o gli esperti non hanno la sfera di cristallo, devono, secondo il principio socratico,
sapere di non sapere. Certo, io sono convinto di una cosa: il modo con cui si
comunicherà nel 2005 sarà completamente diverso da quello del 1995 e quindi tutti
gli operatori del mercato editoriale stanno cercando di prendere posizione per
essere attori presenti nel futuro.
Se tuttavia noi cerchiamo di agganciare i nostri ragionamenti ai trend del passato e
del presente, vediamo analogie interessanti tra i vari modi di comunicazione, tra la
carta stampata e la televisione. Ad esempio, possiamo osservare che i giornali
generalisti stanno per essere soppiantati da modi di comunicazione più immediati o
da giornali più specializzati. Così come le televisioni generaliste saranno soppiantate
da televisioni più mirate. Tenga conto che la televisione digitale ci permetterà di
avere decine di canali specializzati su un segmento di utenza finale senza alti costi.
Possiamo dunque dedurne che il passaggio da un mondo generalista a un mondo
segmentato sia a portata di mano. Allora, se un editore o un operatore del settore
vuole posizionarsi sul futuro deve pensare a un mondo segmentato che parli
inglese.
D. Sta dando dei consigli professionali al dottor Romiti?
R. Me ne guarderei bene. In Italia mi pare che ci sia spazio per un terzo o quarto
operatore. Il duopolio esistente nel nostro Paese è abbastanza atipico nel mondo.
Cesare Romiti probabilmente ha fatto questo tipo di valutazione quando ha parlato
di tivù. Ha capito che c’è ancora un mercato possibile. Io, sia chiaro, non voglio
dare un giudizio sulla fattibilità di un simile progetto. Mi limito a dire che il grande
fermento di cui parlava lei è dovuto al fatto che tutte le barriere tradizionali
all’ingresso si stanno sgretolando. Questo consente che vengano realizzati
abbastanza rapidamente altri progetti.
D. A proposito di televisione, la Bain & Cuneo ha lavorato con la Rai in veste di
consulente. Qualcuno sostiene che la Rai come altre aziende di Stato è immutabile.
Lei cosa ne pensa? Siete riusciti a cambiare qualcosa?
R. Quando è stato nominato il consiglio d’amministrazione in carica siamo stati
chiamati come consulenti per studiare l’organizzazione dell’azienda in funzione degli
obiettivi definiti dalla legge. La prima cosa che abbiamo fatto è suggerire
un’organizzazione di tipo divisionale rispetto a quella di tipo funzionale che
prevaleva in precedenza. Tendenzialmente avremo una rete, come il Canale 3,
finanziata dal canone e articolata sulle regioni, che costituirà l’area di servizio
pubblico. Vi sarà poi una divisione composta da Canale 1 e 2 che non rinuncerà a
contenuti culturali e informativi ma che dovrà competere sul mercato. Una divisione
Radio e una serie di divisione legate al business delle telecomunicazioni. Io credo
che questo tipo di organizzazione possa funzionare, c’è la volontà di farla
funzionare, c’è un atteggiamento positivo da parte del manager e sono quindi
convinto che ci saranno dei miglioramenti dal lato del controllo dei costi, della
focalizzazione dei segmenti di mercato e del raggiungimento degli obiettivi. Il
miglioramento non deve essere confuso con il cambiamento. Nelle aziende i
cambiamenti sono possibili soltanto in due circostanze: o in una situazione di crisi
che minaccia l’esistenza dell’azienda o quando cambiano in tutto o in parte gli
azionisti. Siccome queste due condizioni in Rai non ci sono, ci saranno tanti
miglioramenti ma non ci saranno profondi cambiamenti.
D. Lei che valutazione dà del futuro della Rai?
R. Sarà molto più efficiente, ma sarà sempre la stessa Rai. Cambiamenti non
stravolgenti, ma significativi miglioramenti nei margini e nei modi di funzionare
dell’azienda. Lei mi chiede se si tratta di una svolta. Non saprei. Negli ultimi otto
anni alcuni miglioramenti ci sono stati. Questo forse è più incisivo e più
professionale perché c’è un consiglio d’amministrazione più compatto, meno
mediazioni, più consapevolezza dei problemi da affrontare. Celli ha portato con sé
una conoscenza di come funzionano le grandi organizzazioni, consentendo così di
definire l’impostazione organizzativa anche per il futuro.
D. La Bain & Cuneo si è occupata anche di Seat?
R. Noi abbiamo assistito la cordata italiana composta da Comit, Investitori associati
(fondo chiuso di diritto lussemburghese, istituto dai manager della Comit: ndr),
Istituto Geografico De Agostini, più alcuni partner internazionali nel definire il
business plan nell’ambito dell’acquisizione della Seat. L’offerta di questa cordata è
stata vincente da tutti i punti di vista. La qualità del business plan e di un manager
come Lorenzo Pellicioli hanno convinto un gruppo di imprenditori a mettere a
disposizione 3.200 miliardi per acquisire la Seat.
D. Con la privatizzazione della Seat è finita un’epoca. E’ finito un rapporto con i
giornali molto chiacchierato.
R. Diciamo che c’era il discorso Mmp, ma quello è stato stralciato. La Seat era già
prima un’azienda pulita, ben rodata, di vendita di pubblicità sulle Pagine Gialle e
sugli elenchi telefonici. Era una macchina complicata che funzionava bene. Non c’è
stato nemmeno bisogno di cambiare le persone. C’è soltanto il fatto che un
operatore privato a mezza marcia in più. Perché è più capace di motivare le
persone, maggiore capacità decisionale e voglia anche di investire: per i nuovi
azionisti la Seat è business, mentre per gli azionisti di Telecom, Seat era un
fornitore di cassa. Tutto l’aspetto di sovvenzione ai giornali era concentrato in Mmp.
D. L’esperienza della Bain Cuneo e Associati è una conferma di quanto dicevamo
fuori dalla nostra conversazione: l’editoria è sempre più un business che interessa
le banche d’affari e le grandi società di consulenza. Come mai?
R. Che la comunicazione faccia parte del grande business internazionale è ormai
sotto gli occhi di tutti. Io però vorrei distinguere tra attività delle banche d’affari e
società di consulenza. Le merchant bank, molto spesso, fanno un lavoro di tipo
finanziario. Il nostro è un lavoro diverso. Noi passiamo molto tempo per capire il
business che abbiamo tra le mani al fine di determinare il valore. Se non faccio i
conti in tasca al mio cliente, non posso aprire una trattativa con un ipotetico
compratore. Noi siamo quelli che costruiscono il business plan.
D. Qual è la differenza che avete notato tra una normale azienda e una editoriale?
R. E’ presto detto: nell’azienda editoriale non ci si capisce nulla. Mentre in
un’azienda industriale o di servizio chi racconta delle palle lo si riconosce lontano un
miglio, nelle aziende editoriali i giornalisti o gli pseudogiornalisti riescono a
sostenere tutto e il contrario di tutto in modo credibile. Con il risultato che alla fine
non ci capisce niente.
D. Mi sta dicendo molto gentilmente che i giornalisti raccontano un sacco di palle?
R. No, dico solo che non ci si può basare, come nelle aziende industriali, sulle
opinioni interne, se no non se ne viene più fuori. Ma questo non autorizza a
mitizzare la diversità dell’editoria rispetto agli altri settori. Tutti i settori industriali
hanno delle loro particolarità.
D. Parliamo adesso di Bain, Cuneo e Associati.
R. In Italia la Bain, Cuneo e Associati si avvale di circa 170 consulenti che sono
parte del gruppo Bain & Company che ne ha 2 mila in tutto il mondo. Siamo in
sostanza una branch di Bain & Company pur essendo dotati di una grande
autonomia operativa. Bain è una società di consulenza tra le prime tre nel mondo,
specializzata in strategia, con sede a Boston, controllata da 200 Partner. Le altre
due società a cui faccio riferimento sono la Boston Consulting Group e la McKinsey.
Il signor Bill Bain, che aveva fondato la società di consulenza 25 anni fa, è in
pensione. In Italia siamo una quindicina di partner integrati nel mondo Bain. Le
classifiche tuttavia non hanno alcuna importanza. A noi interessa che i più
importanti manager del Paese abbiano stima nel nostro lavoro.
D. Con quali editori avete lavorato in questi anni?
R. Come lei sa, per noi la riservatezza è inviolabile, ce la chiedono i nostri clienti.
Posso dirle che abbiamo lavorato per tutti gli editori italiani su progetti di sviluppo
di nuovi prodotti e nuovi mercati, ma non posso fare nomi.
D. Riprendiamo uno dei fili dell’intervista di Romiti sulla stampa italiana. Lui
sostiene che c’è troppo teatrino della politica in prima pagina e che i giornali italiani
sono troppo gridati. Lei condivide questa critica?
R. Preferirei non dare giudizi di questa natura, ma se proprio vuole le dico alcune
mie impressioni. Ad esempio, non riesco a capire chi possa leggere le prime cinque
pagine del giornale. Ci sono sempre le stesse notizie su D’Alema, su Prodi, su
Berlusconi e così via. Non capisco perché gli si dia tanto spazio. Vi è poi un eccesso
di cronaca su cose che non hanno significato rispetto invece ad analisi e a
valutazioni che sarebbero necessarie. Per quanto riguarda invece la parte
economica, ho notato un certo miglioramento. Anche se non vedo ancora l’analisi
approfondita di temi economici come avviene, ad esempio, sul Financial Times o
sull’Economist.
Intervista di Bruno Perini