Ferruccio Auletta La nullità della clausola compromissoria a norma
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Ferruccio Auletta La nullità della clausola compromissoria a norma
Pagina 1 di 4 www.judicium.it Ferruccio Auletta La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34 d.lgs. 17.1.2003, n. 5: a proposito di recenti (dis-)orientamenti del notariato. Il Consiglio notarile di Milano ha dato ampia diffusione ai propri orientamenti sulla riforma delle società di capitali. Delle istruzioni adottate, la cui presentazione è avvenuta in un convegno del 26 marzo 2004 (si veda, in proposito Italia oggi, 26 marzo 2004, 31 ss.; Il sole 24 ore, 26 marzo 2004, 30 s.), una riguarda le clausole compromissorie contenute in statuti o atti costitutivi risalenti a data anteriore l’entrata in vigore dei d.lgs. nn. 5 e 6 del 17 gennaio 2003 (1° gennaio 2004). Anche senza dare pieno credito alla sintesi giornalistica, il senso dell’orientamento notarile sta esattamente in quel titolo che vuole le “Clausole arbitrali falciate dalla riforma” (Il sole 24 ore, 7 marzo 2004, 20). Muovendo dall’art. 34, comma 2, d.lgs 17 gennaio 2003 n. 5, secondo cui “la clausola [compromissoria di atti costitutivi delle società] deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetti estranei alla società”, si è giunti a ritenere che quelle clausole, quali la gran parte esistente, che rimettono la nomina anche soltanto di alcuni arbitri al potere delle parti devono ritenersi nulle. Non servirebbe a impedire immediatamente quest’ effetto neppure l’art. 223 bis, quarto comma, disp. att. c.c., introdotto dall’art. 9 d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, che consente, in generale e fino al 30 settembre 2004, l’ultrattività delle clausole statutarie conformi alle previgenti disposizioni legislative, anche quando difformi da disposizioni inderogabili recate dalla “riforma organica” (cioè, dal “presente decreto”); e tanto perchè la nuova disciplina della clausola compromissoria non inerisce il citato d.lgs. n.6/2003, quanto la “definizione dei procedimenti in materia di diritto societario” di cui al diverso d.lgs. n. 5/2003; e una norma eccezionale non potrebbe che essere di stretta interpretazione dicono i notai. Di conseguenza, il Consiglio notarile ritiene che la deliberazione assembleare di adeguamento anche della clausola compromissoria già contenuta nello statuto possa essere adottata, come per tutte le altre necessarie conformazioni alle “nuove disposizioni inderogabili” (senz’altre specificazioni), seguendo l’art. 223 bis, secondo comma, disp. att. c.c., cioè “a maggioranza semplice, qualunque sia la parte di capitale rappresentata in assemblea” (stando al testo da ultimo innovato col d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, art. 5). Qualora invece lo statuto già non contenesse tale clausola, la sua introduzione dovrà ricevere l’ approvazione, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003, da tanti soci che rappresentano almeno i due terzi del capitale sociale; e i soci assenti o dissenzienti potranno, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso. In estrema sintesi, la massima approvata dal notariato milanese è: “L’ultrattività prevista dal quarto http://www.judicium.it/news/ins_27_05_04/aulettaProcSoc.html 17/06/2004 Pagina 2 di 4 comma dell'art. 223 bis disp. att. c.c. (in base al quale le previgenti disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia sino al 30 settembre 2004, anche se non conformi alle nuove disposizioni inderogabili) è riferita unicamente alla disciplina introdotta dal d.lgs n. 6/2003 e pertanto la clausola compromissoria, contenuta in statuto societario, che non risulti conforme alla disciplina introdotta dal secondo comma dell’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003, deve essere considerata, dopo il 1° gennaio 2004, contraria a disposizioni inderogabili di legge. La deliberazione assembleare di adeguamento di tale clausola, adottata dopo il 1° gennaio 2004, non richiede le maggioranze previste dall’art.34 del d.lgs n. 5/2003 e può essere adottata dall'assemblea straordinaria a maggioranza semplice, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dagli intervenuti, ai sensi del secondo comma dell'art. 223 bis citato. Qualora invece la deliberazione assembleare preveda -anche mediante l’adozione di un nuovo testo di statuto- l’introduzione della clausola compromissoria sarà richiesta, limitatamente all’adozione di quest’ultima, la maggioranza qualificata prevista dall’art.34, quinto comma, del d.lgs. n. 5/2003”. L’indirizzo sembra destinato alla prevalenza statistica, in dottrina (cfr. Abriani, Gli adeguamenti obbligatori degli statuti delle società di capitali alla riforma del diritto societario, in Soc., 2003, 1305), come in giurisprudenza; al proposito ho notizia di due ordinanze del Tribunale di Trento (11 febbraio 2004, Giudice designato Criscione; 8 aprile 2004, Palestra pres., Giuliani rel., entrambe vs Bonapace Giovanni e Marco & C. s.n.c) che, pur diversamente orientate, finiscono per assumere la “risolu[zione] dell’efficacia ulteriore delle clausole statutarie difformi rispetto alle disposizioni inderogabili non solo del d. lgs. 6/2003, in tema di diritto sostanziale, ma anche del Decreto, in tema di arbitrato”, peraltro facendo applicazione della tesi con riferimento a un tipo di società non di capitali (“nulla vieta l’adeguamento delle clausole statutarie delle società di persone alle disposizioni inderogabili dell’art. 34, comma 2, anche in assenza, per questi tipi sociali, di una norma transitoria analoga a quelle dell’art. 222 bis e dell’art. 222 duodecies, disp. att. c.c., espressamente richiamati dall’art. 41, comma 2, del Decreto”). Sennonchè l’idea che una clausola statutaria che, afferendo un atto costitutivo di società commerciali, nullum producit effectum in quanto non deferisca a estranei la nomina di tutti gli arbitri proietta l’ombra lunga delle incertezze applicative ben oltre il limite temporale di durata del c.d. regime transitorio della riforma, destinato a concludersi il 30 settembre 2004 per le società di capitali e il 31 dicembre 2004 per quelle cooperative. E’ avvertita, perciò, l’esigenza di un chiarimento, esigenza che è propria anche del dibattito scientifico (per posizioni antitetiche a quelle che qui si andranno esponendo, v. Dalmotto, sub art. 41 d.lgs. n. 5 del 2003, in Chiarloni (diretto da), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, 1088 ss.). Innanzitutto, occorre rilevare che la previsione di nullità è limitata all’ipotesi che la clausola non demandi “il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società”. Vuol dire che una clausola, pur quando lacunosa nel “prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri”, si sottrae per questo soltanto alla sanzione di invalidità (tanto che ben si potrebbe prestare a ricevere integrazione da accordi processuali successivi): l’invalidità rimane, in concreto, comminata esclusivamente se viene affidato il potere di designazione a un intraneo alla società. Sembra poi doversi escludere che, laddove sia omesso il deferimento a terzi del potere di nomina di tutti gli arbitri, la nullità della clausola, che è un autonomo atto sostanziale (arg. ex art. 808, terzo comma, c.p.c.), possa essere superata a norma dell’ art. 1419, secondo comma, c.c., mediante sostituzione di diritto con norma imperativa; quest’ultima, peraltro, non potrebbe essere quella che prescrive di rivolgere la richiesta di nomina al Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale, perchè questo potere succedaneo si attiva soltanto “ove il soggetto designato non provveda”, e non ove un soggetto designato manchi del tutto (così, secondo quanto riferisce Dalmotto, op. cit., 1097, nt. 23, anche Pene Vidari, sub art. 9 d.lgs. n. 6 del 2003, in Cottino e a. (diretto da), Il nuovo diritto societario, Bologna 2004, in corso di pubblicazione; per l’applicazione in ogni caso degli artt. 809 s. c.p.c. sono invece Corsini, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2003, 1294, e Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 957). Per opporsi al completamento della disciplina statutaria mediante l’operazione mutuabile dall’art. http://www.judicium.it/news/ins_27_05_04/aulettaProcSoc.html 17/06/2004 Pagina 3 di 4 1419, secondo comma, c.c., conviene ricordare che l’art. 12, comma 3, l. 3 ottobre 2001, n. 366 delegava l’Esecutivo a prevedere la possibilità di un arbitrato speciale per le società commerciali. Ne emergeva il criterio impositivo di una disciplina che rimanesse additiva (non sostitutiva) e facoltativa (non obbligatoria) rispetto a quella di diritto comune, questa dovendo risultare ulteriormente praticabile in alternativa a quella speciale di nuovo conio. Tant’è che la Relazione al decreto delegato n. 5/2003 precisa che “la formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria) comprendendo numerose opzioni di rango processuale […] che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbitrato endo-societario”. Già l’assunto per cui alla nuova specie di arbitrato societario sopravvive l’istituto generale del codice -ciò che, poi, è indubitabile almeno per l’arbitrato da compromesso o anche da clausola compromissoria per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (arg. ex art. 34, comma 1, d.lgs. n. 5/2003)- costituisce un fatto impeditivo della sostituzione automatica (anche ispirata al criterio del minimo mezzo, come per Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, 726, che, limitando la nullità alla parte che riguarda l’investitura del potere di nomina degli arbitri senza estensioni alla clausola tutt’intera, ritiene praticabile l’ intervento surrogatorio del presidente del tribunale; intervento che, ferma la nullità, è viceversa escluso da Nela, sub art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003, in Chiarloni (diretto da), Il nuovo processo societario, cit., 968 s.). Qualora la designazione sia stata operata in favore di soggetto non “estraneo alla società”, lo spirito conservativo della volontà di conseguire comunque l’arbitrabilità della controversia lascia preferire ai sensi degli artt. 808, ult. comma, c.p.c., 1419, primo comma, e 1424 c.c.- che l’effetto della nullità sia più contenuto, e sia semplicemente quello di impedire l’applicazione della conseguenze altrimenti stabilite negli artt. 35 e 36 d.lgs. n. 5/2003, le quali, infatti, derivano soltanto dal promovimento di un giudizio “a seguito della clausola compromissoria di cui all’art. 34”. Nel caso in cui, però, la “disciplina inderogabile del procedimento” (art. 35) e della “decisione” (art. 36) non fosse destinata a seguire, l’ applicazione dei criteri giurisprudenziali vigenti sub Julio lascerebbe presagire che il ricorrente giudizio di “inoperatività” dell’ arbitrato per alcune controversie potrebbe tornare ad aver buon gioco. In altre parole, la situazione soggettiva della società di fronte alla nuova disciplina dell’arbitrato è tipicamente quella dell’onere: se la società vuole conseguirne le utilità deve espressamente recepire una clausola conforme alla relativa fonte legislativa, altrimenti continua (anche nella semplice inerzia) ad avvalersi della disciplina anteriore subendone però i connessi svantaggi, avvertibili specialmente in termini di numero delle controversie (in)arbitrabili. Nè va poi dimenticato che il jus superveniens sostanziale -qual è quello inerente la clausola- non può importare regolarmente l’ obliterazione automatica della lex prior dovendo, anzi, la legge regolatrice della validità della clausola essere tendenzialmente considerata quella del tempo della sua formazione (v., da ultimo, CdS, V, 4 maggio 2004 n. 2726, Comune di Seveso c. Zanetti s.r.l.; Pres. Frascione, est. Branca, per la speculare vicenda della clausola compromissoria virtualmente nulla in quanto redatta per dirimere controversie su diritti altrimenti deferite al Tar in sede di giurisdizione esclusiva, ma anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 2, l. 21 luglio 2000, n. 205). Ulteriore ragione che sta a impedire la soluzione della sostituzione automatica delle clausole statutarie redatte anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n.5 del 2003 è che la modificazione nel senso ricercato da questo decreto deve pur sempre provenire dalla volontà esplicita dell’ente, essendo connotata come facoltà quella di prevedere un sistema di devoluzione arbitrale del tipo ora descritto in sede legislativa o, in alternativa, del tipo già interamente delineato dal c.p.c. (“gli atti costitutivi delle società [...] possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie”). Altrimenti non avrebbe senso la norma dell’art. 41, comma 2, che prevede una delibera presa col fine esclusivo di adeguare lo statuto arbitrale interno al jus superveniens, peraltro senza limiti temporali finali (come massimo indizio del rango opzionale della delibera); e invero, le date del 30 settembre e del 31 dicembre 2004 -attinte dal rinvio fatto agli artt. 223 bis e 223 duodecies disp. att. c.p.c.- prendono rilevanza soltanto per i quorum richiesti per le società di capitali e le cooperative e per impedire che dalla modifica (rectius: il “mero http://www.judicium.it/news/ins_27_05_04/aulettaProcSoc.html 17/06/2004 Pagina 4 di 4 adattamento”, secondo la mutata dizione dell’art. 223 bis, secondo comma, disp. att. c.c.) derivi il diritto di recesso di chi non vi abbia concorso (per Arieta-De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 604, nt. 14, la maggioranza qualificata e il diritto di recesso rappresenterebbero, allora, delle costanti insopprimibili per le società di persone, alle quali non sarebbe riferibile nessuna delle attenuazioni previste dall’art. 41, comma 2, per il periodo transitorio; ma l’idea non è condivisibile perchè le modifiche per le quali valgono le prescrizioni “a regime” dell’art. 34, comma 6, cioè la maggioranza qualificata dei 2/3 e il diritto di recesso dei dissenzienti, sono soltanto quelle “introduttive” o “soppressive” di clausola compromissoria. Sicchè, quando manca una netta discontinuità, vale a dire che l’ arbitrabilità delle liti su base statutaria era prevista e continua a esserlo, sia pure secondo modalità diverse, non si realizza alcuna modifica del tipo che va soggetto alla disciplina prevista per le ipotesi in cui l’arbitrabilità è messa o levata). Allora, nè il mancato adeguamento delle preesistenti clausole compromissorie impedisce la loro ultrattività, nè è vietata la costituzione di società con atto contenente clausola compromissoria non conforme al modello legislativo nuovo, nè la mera introduzione in statuti pregressi di siffatte clausole difformi (Arieta-De Santis, op. cit., 606, correttamente ipotizzano che la modifica della clausola avvenga nel senso di “esclud[ere] espressamente il ricorso alle norme ‘speciali’ del decreto legislativo”). Non a caso: manca qualsivoglia previsione di adeguamento obbligatorio delle clausole statutarie per le società di persone (diverse, cioè, da quelle di cui ai capi V, VI, VII del titolo V del libro V del codice civile); manca qualsivoglia previsione risolutiva dell’ efficacia delle clausole statutarie delle società di capitali difformi dalle disposizioni inderogabili contenute nel d.lgs. n. 5 del 2003 (l’art. 223 bis, quarto comma, disp. att. c.c., fissa nel 30 settembre 2004 il limite massimo di vigenza delle disposizioni statutarie in conflitto con le sole norme inderogabili del d. lgs. n.6 del 2003); - manca il divieto di iscrivibilità, a far data dal 1° gennaio 2004, nel registro delle imprese delle stesse società di capitali benché contenenti previsioni in contrasto con gli artt. 34-36 d.lgs. n. 5 del 2003 (cfr. per differentiam art. 223 bis, quinto comma, disp. att. c.c.); benchè le società cooperative “de[bba]no uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili [senz’altro] entro il 31 dicembre 2004” (art. 223 duodecies, primo comma, disp. att. c.c.), deve ammettersi che l’ultrattività delle clausole compromissorie difformi sia garantita oltre il 31 dicembre 2004 e che il divieto di iscrizione nel registro delle imprese di statuti con tal genere di clausole non operi dal 1° gennaio 2004, poichè delle date in questione l’art. 223 duodecies, quarto e quinto comma, discorre soltanto per regolare quanto risulti in contrasto con le disposizioni inderogabili del decreto legislativo n. 6 del 2003. Dunque, a norma del combinato disposto degli artt. 808, ult. comma, c.p.c. e 1424 c.c., il negozio compromissorio autonomamente valutato, anche se nullo alla stregua dell’art. 34 d.lgs. n.5 del 2003, può sempre valere come clausola compromissoria di diritto comune poichè contiene tutti i requisiti di sostanza e di forma del diverso contratto descritto nel codice di rito. La soluzione si presenta pienamente compatibile con l’assetto corrente della deontologia notarile, esulando la fattispecie negoziale da quelle che l’art. 28 della legge 16 febbraio 1913, n.89, individua come interdette al ricevimento da parte di notaio: “Il notaio non può ricevere atti se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico”. Ciò che non si può certo dire di una clausola compromissoria che, sì difforme da una previsione di legge speciale, risponde pur sempre alle norme del codice di procedura. http://www.judicium.it/news/ins_27_05_04/aulettaProcSoc.html 17/06/2004