Omelia Presentazione del Signore 2 febbraio

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Omelia Presentazione del Signore 2 febbraio
2 febbraio 2014
Presentazione del Signore
Carissimi fratelli e sorelle
Siamo qua riuniti a celebrare questa giornata della vita consacrata.
Ringrazio mons. Gianni Toriggia, nostro parroco della Cattedrale, Vicario episcopale per la
vita consacrata, e anche i rappresentanti delle religiose e dei religiosi e tutti voi, religiosi e religiose,
qua presenti.
La liturgia della parola ci chiede una riflessione, getta una luce sulla nostra vita e chiede a
noi consacrati, di specchiarci in essa e di trovare in essa la forza e la direzione per il nostro
cammino, per essere secondo Dio.
Il profeta Malachia ci parlava della venuta del giorno del Signore; lo fa in un modo molto
forte che, diciamolo, suscita un po’ di ansia: “Chi sopporterà il giorno della venuta del Signore? Chi
resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai”.
Di fronte a questa profezia la realizzazione del vangelo: un papà e una mamma, provenienti
da Nazaret di Galilea (Bartolomeo aveva detto di Nazaret con molta franchezza: “Che cosa può
venire di buono da Nazaret ?”) avevano una parlata da galilei, un po’ come degli extracomunitari;
c’era, infatti, la Giudea con Gerusalemme, il tempio; poi la Samaria con i samaritani che erano
scismatici e impuri; e, al nord, ma che è giù di quota rispetto a Gerusalemme che è a 800 metri, la
Galilea. Al tempio giungono questi due sposi che portano un bambino, e quelle frasi che abbiamo
letto nel salmo responsoriale: “Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re
della gloria” (Sal 24), si realizzano in questo bambino portato al tempio.
Che cosa ha di straordinario?
Ha qualche cosa che viene colto soltanto da chi vive una vita di intimità profonda con lui;
soltanto Simeone ed Anna si renderanno conto che questo normalissimo bambino figlio di una
normalissima coppia di sposi della Galilea, è l’atteso delle genti il messia promesso.
“Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i
miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli”.
Nella Chiesa, la vita consacrata, è il luogo delle persone che, per prime, sanno riconoscere il
messia; nella Chiesa, la vita consacrata è il luogo delle persone che si dedicano a Dio e che hanno
uno sguardo speciale sulla realtà, sul mondo e su Dio.
Mi viene da pensare allo sguardo sulla realtà di S. Giovanni Bosco, veramente speciale; allo
sguardo di S. Francesco, di don Orione, di Madre Teresa Michel, di Carolina Beltrami; tutti i nostri
fondatori e fondatrici avevano uno sguardo speciale sulla realtà che veniva dal loro rapporto
profondo con Dio.
Carissimi fratelli e sorelle non possiamo far morire questi carismi così belli.
La crisi vocazionale che attanaglia le nostre comunità religiose, ma anche il nostro
seminario diocesano, è un segno che dobbiamo recuperare quello sguardo speciale sul mondo e quel
rapporto speciale con Dio che avevano i nostri fondatori, e che avrebbero ancora molte cose da dire
al mondo di oggi.
Questa crisi delle vocazioni ha proprio una radice nella crisi delle relazioni: siamo in un
mondo individualista, e tutto ciò è relazionale fa fatica: il matrimonio e anche la nostra relazione
con Dio fanno fatica.
Parlavo poco fa all’Azione Cattolica e li spronavo con forza a recuperare il valore di quelle
azioni che sono reali, concrete come l’adorazione eucaristica. Noi abbiamo una falsa impostazione e
pensiamo che solo le cose che facciamo materialmente sono quelle che funzionano; mentre Dio fa
un po’ come può. Ma non è così: il nostro porci nella relazione dell’adorazione con Dio può
muovere mari e monti. Da questa relazione speciale con Dio viene una luce speciale negli occhi,
nello sguardo e nel sorriso; e questa luce la si deve cogliere nei nostri occhi, nei nostri sguardi e nei
nostri sorrisi.
Quest’estate avevo scherzato, alla novena della Madonna della Guardia a Tortona, alla
messa che avevo celebrato con le consacrate; il vicario moniale di Tortona aveva fatto una relazione
sulla presenza dei religiosi e delle religiose molto sconfortante: l’età media delle religiose era 75
anni. Nell’omelia avevo detto che, guardando le consacrate presenti quella sera nel santuario, mi
sentivo di poter dire che, per avere 75 anni di media, o dimostravano molti meno anni di quello che
avevano, o che tutte avrebbero superato i cento anni: due ottime ragioni per consacrarsi.
Oggi spendiamo tantissimo per le beauty farm, ma la migliore beauty farm è Dio, ed è gratis.
Carissimi fratelli e sorelle recuperiamo il senso del nostro rapporto di consacrazione con
Dio. Che bello pensare e festeggiare, questa sera, coloro che tra voi sono consacrati da tanti anni:
una vita dedicata al Signore, che dono prezioso per la Chiesa!
Speriamo che ci siano tanti giovani, nel futuro della nostra Chiesa locale, che apprezzino la
bellezza, la gioia e il desiderio di spendere la propria vita per Dio. Non c’è niente di più bello di
questo: è bello spendere la vita per Dio.
Cari fratelli e sorelle auguro a tutti che questa gioia che proviamo nelle nostre vite, si
rinnovi, diventi generosità sempre maggiore, gioia sempre più palese, stimolo per tutti i nostri
fratelli.
Entrando in Diocesi vi avevo scritto che auspicavo che portaste, con il vostro esempio e la
vostra testimonianza, il segno e il seme della sponsalità, la bellezza della sponsalità nella nostra
Chiesa. Ancora ve lo chiedo con tutto il cuore.
Ciò che ora celebriamo nell’eucaristia, Cristo che dona la vita, sia visibile e sia ripetuto in
tutte le vostre vite, con generosità, con gioia, con amore e con passione.
La Vergine Maria, nostra Signora della Salve che qua veneriamo in modo particolare con
dolcezza e devozione, accompagni ciascuno di voi, consacrati e consacrate, perché siate veramente
il profumo di Cristo nella Chiesa, siate gioia visibile, toccabile, sperimentabile.
Sia lodato Gesù Cristo.