Seminario “Le donne cambiano...l`Europa” Roma 12 dicembre
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Seminario “Le donne cambiano...l`Europa” Roma 12 dicembre
Seminario “Le donne cambiano...l'Europa” Roma 12 dicembre Introduzione Titti Di Salvo C'é un filo doppio che tiene insieme l'Assemblea di giugno, i seminari di questi tre giorni,le assemblee territoriali che faremo e la prossima Assemblea nazionale: la convinzione che il lavoro produttivo e riproduttivo delle donne crei valore per tutti e che dunque per uscire dalla crisi l'Italia e l'Europa debbano investire sul lavoro delle donne . Per farlo non serve un capitolo di una relazione,il comma di un decreto ,la citazione in un discorso politico. Serve un approccio differente alla crisi e l'analisi precisa delle cause strutturali che l'hanno determinata senza la quale è impossibile definire le scelte giuste per superarla. E una delle cause principali è l'emarginazione delle donne dal lavoro ,dal discorso pubblico ,dalle classi dirigenti. Lo dice la Banca d'Italia,lo dice l'Ocse,lo dicono le statistiche. L'Italia dell'86 posto nel Gender Gap,l'Italia della disoccupazione giovanile e femminile che sfiora il 50 per cento al Sud,l'Italia delle 800.000 donne che lasciano il lavoro per le dimissioni in bianco,l'Italia del Parlamento maschile con meno del 20 per cento di parlamentari ,l'Italia in cui la maternità può diventare un evento da nascondere per non essere licenziata,questa Italia non saprà e non potrà uscire dalla crisi verso un futuro migliore. Eppure Banca d'Italia ha quantificato nel 7 per cento l'aumento del Pil se l'occupazione femminile raggiungesse il 60 per cento. D'altra parte esiste un rapporto quantificabile tra il lavoro delle donne e l'esistenza qualitativa e quantitativa dei servizi. E in Italia una donna su quattro lascia il lavoro alla nascita del primo figlio. “Il dilemma italiano ”-cosi l'Ocse definisce la tenaglia tra lavoro e cura delle donne -certo si fonda anche su stereotipi culturali. Quelli che la ricerca presentata qualche giorno fa dall'associazione AREL sugli scenari socioculturali indica in aumento:dall'importanza differente di un buon lavoro per un uomo e una donna all'effetto negativo del lavoro della madre sull'educazione dei figli. Perchè la crisi alimenta la paura e il pregiudizio. Di nuovo quindi il diritto al lavoro e alla libertà delle donne devono essere il centro di una battaglia politica e sindacale di cambiamento . Noi ,donne della Cgil,intendiamo contribuire a creare questo nuovo senso 1 comune ,una nuova Italia,una nuova Europa. Portando in quella ricostruzione del paese l'idea del valore del lavoro delle donne ,della fertilità della cura,della funzione di motore per sviluppo del Welfare,della conversione ecologica dell'economia . Idee che oggi non hanno la forza di proporsi come centro di un nuovo modello sociale e economico:per tante ragioni. Perchè la solitudine del lavoro è un dato reale;perchè sono idee che oggi non hanno rappresentanza politica;perchè il movimento delle donne anche nei momenti di maggiore forza si è esercitato con più efficacia su temi importanti ,quelli della libertà e della dignità ,della rappresentazione del corpo delle donne,della violenza,della rappresentanza. Più in ombra è rimasto e rimane il rapporto tra il diritto al lavoro delle donne ,il loro cambiamento e il cambiamento di un intero ordine sociale e economico. Noi donne della Cgil ci proviamo a tessere quel filo. Immaginiamo l'Europa sociale e un Manifesto europeo dei diritti sociali ,del lavoro e delle libertà delle donne perchè sappiamo che la crisi colpisce soprattutto le donne in tutta Europa;proponiamo di consolidare e cambiare il welfare italiano, né costo né lusso ma scelta necessaria per la crescita; vogliamo svelare il luogo comune sul carattere lavorista ed escludente dello stato sociale italiano e mostrare la realtà del welfare sempre più assicurativo e non solidale che concede poco a chi ha un rapporto di lavoro subordinato e molto poco a chi non ce l'ha;vogliamo qualificare la contrattazione e cambiare l'organizzazione del lavoro rigida,maschile,nella quale si confonde qualità e competenza con rispetto delle gerarchie e soggezione;pensiamo che il principale cambiamento delle classi dirigenti tutte nel paese sia rappresentata dalla democrazia paritaria. In tempi di crisi ,di tagli lineari ,di ideologia e ipocrisia su come si crea la produttività ,di svalorizzazione del lavoro,di precarietà e disoccupazione di lunga durata,di milioni di giovani NEET ,di tecnocrazie e crisi della rappresentanza politica,di populismi e nuove domande di partecipazione politica,di rete e nuovi lavori,in questi tempi di attacco alla contrattazione collettiva e al contratto nazionale,si tratta di una ambizione non semplice da realizzare,ma segna una direzione di marcia e ci serve da metro di misura per valutare la realtà e orientare le nostre scelte contrattuali. 2 Obiettivi del Seminario L'Europa non è solo contesto di riferimento della nostra riflessione .E' la scena pubblica ,il perimetro nel quale avviene la contesa culturale, politica e sindacale che ci riguarda moltissimo e riguarda il modello sociale europeo:modello competitivo per uscire dalla crisi o modello incompatibile con la crisi?E riguarda il Welfare:costo insostenibile nel “mondo nuovo”,per usare l'espressione di Mario Draghi o volano per la crescita e l'innovazione? Una contesa che si esprime plasticamente oggi nella differenza tra il programma di Hollande per la crescita e le politiche Europee dei tagli alla spesa pubblica; tra le politiche recessive dei singoli paesi e le proposte di nuovo contratto sociale della Confederazione europea dei sindacati (CES);tra le politiche economiche italiane degli ultimi 20 anni di compressione del costo del lavoro come unica politica di competitività e le proposte della Cgil del piano del lavoro. L'obiettivo del nostro seminario di oggi è quello di contribuire prima di tutto a svelare(e quindi a ricostruire e a riconquistare per tutti)il modello sociale europeo come condizione necessaria per l'affermazione della libertà e dell'autonomia delle donne. Lo faremo attraverso la lettura di genere della realtà della crisi europea ,del rapporto cioè tra quei processi e la vita e il lavoro delle donne. Lo faremo facendoci aiutare dai nostri ospiti:Anna Simonazzi docente dell'Università La Sapienza di Roma,Fausta Guarriello del'Università di Chieti/Pescara,Walter Cerfeda già segretario confederale Ces,della fondazione Trentin e nostro compagno. Lo scenario europeo :la crisi Oggi l'esistenza stessa dell'Europa politica è fortemente messa in discussione da politiche regressive i cui effetti sociali hanno fatto aumentare un sentimento di ostilità nei confronti dell'Europa,sulla quale formazioni politiche ,non solo in Italia,ma soprattutto in Italia stanno costruendo la propria campagna elettorale fino a ipotizzare l'uscita dall'euro. Il punto non è se il Nobel per la pace consegnato ieri all'Unione Europea sia una scelta lineare .La discussione tra gli estimatori del premio e i suoi detrattori è poco interessante. D'altra parte non si farebbe un buon servizio 3 alla causa dell'Europa nel nascondere le contraddizioni evidenti tra le promesse europee e la concretezza delle scelte .Se dall'Europa arrivano lettere che commissariano le politiche nazionali, questo non può essere presentato come il risultato del sogno europeo. Così come se in Italia si decide come ha fatto il governo precedente il pareggio di bilancio già per il 2013 e il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio,ciò non può essere scaricato sull'Europa che non lo chiedeva in questi tempi e in questi modi. In altrettanto modo non è accettabile che decenni di politiche di sprechi siano addebitati all'Europa e non al fallimento di classi dirigenti. Il punto al contrario è riaprire a livello europeo una possibilità. Una possibilità per rinnovare il contratto sociale del modello sociale europeo , per rimettere in discussione dunque la linea dell'austerità di fronte al suo fallimento .Per quanto ci riguarda il punto è il ruolo del sindacato europeo in quella direzione . La crisi ha rivelato le debolezze strutturali dell’assetto della governance economica dell’Europa e il suo deficit democratico. Sono mancate e mancano istituzioni legittimate democraticamente, processi decisionali rapidi,risorse pubbliche comuni; regole condivise e azioni concordate sul sistema finanziario e sulle banche . Ma non solo . La crisi è stata contrastata -in una Europa in cui la maggioranza dei paesi ha governi conservatori- con scelte prevalentemente recessive e oggi l'Europa si divide tra paesi in recessione e paesi in stagnazione.Anche in Germania e Svezia le stime sulla crescita prevedono un andamento del Pil al disotto dell'1% per il 2012 (quella mondiale è quadrupla,quella giapponese e statunitense doppia.) Questo stesso quadro dà la dimensione degli errori commessi . In primo luogo ,sotto l'egida della Germania,la politica europea è stata orientata dalla convinzione che la crisi si potesse risolvere modificando i comportamenti viziosi di alcuni paesi con drastiche politiche di austerità. Ma proprie quelle scelte da un lato hanno portato gli stessi paesi in recessione e hanno rallentato, inevitabilmente ,tutta la dinamica del mercato interno per l'85% alimentato dai consumi europei. Dall'altro lato non hanno aggredito le cause “europee” della crisi(che si aggiungono a quelle globali delle diseguaglianze estreme mascherate dall'indebitamento delle famiglie):assenza dell'Europa politica,di politica industriale e fiscale di scala europea,gli squilibri Nord/Sud,le 4 diseguaglianze nella distribuzione del reddito. Su queste bisognava e bisogna agire. Al contrario gli attacchi speculativi ai debiti sovrani sono stati affrontati solo con la leva monetaria e non con quella economica. Così si spiega lo stanziamento negli ultimi due anni di più di 750 miliardi di euro,come ci ricorda spesso Cerfeda,contro l'emergenza dei paesi più colpiti dalla speculazione e per le banche e neanche un euro per la crescita e la protezione sociale. Anzi sono state respinte tutte le proposte che andavano nella direzione della crescita e di più Europa :emissione di eurobond per la condivisione del debito dei paesi ,di project bonds per finanziare gli investimenti innovativi verso l' economia verde,l'economia della conoscenza e la buona occupazione;l' istituzione di una vera imposta sulle transazioni finanziarie per reperire risorse per la crescita;lo scorporo delle spese per investimenti pubblici dal calcolo del deficit ( regola aurea,golden rule),un nuovo ruolo per la BCE come prestatore di ultima istanza. Per tutto ciò -come dice Stiglitz- l'Europa è sotto la minaccia di una seconda recessione . Mentre l'America di Obama sceglie la via europea all'uscita dalla crisi ,l'Europa indebolisce i caratteri della cittadinanza europea e del suo modello sociale:la civiltà del lavoro e il ruolo della contrattazione collettiva , il Welfare ,le politiche pubbliche finanziate da un fisco equo,la redistribuzione del reddito. Ho già detto che abbiamo chiesto ai nostri ospiti di aiutarci a leggere la dimensione della crisi europea e gli effetti del Fiscal compact sulle politiche nazionali ed europee.Non rinuncio però a qualche considerazione all'impatto della crisi sul lavoro e sulla vita delle donne . L'impatto della crisi sulla vita e sul lavoro delle donne Intanto va mostrata la distanza tra pronunciamenti e realtà per evitare che la retorica travolga la politica e le buone intenzioni.E la distanza è quella misurabile tra i tagli lineari alla politiche pubbliche ,quelli che costituiscono il cuore delle condizioni richieste dall'Europa ai paesi in difficoltà per la concessione di aiuti con l'aumento conseguente della precarietà,delle fragilità sociali e l'indebolimento delle infrastrutture sociali ,tra queste scelte dunque e le affermazioni di impegno europeo contro ogni discriminazione di genere contenute nella strategia per la parità tra donne e uomini della Commissione Europea (2010/2015) e nel patto di genere del 5 marzo 2011. Si tratta di scelte che non stanno insieme. L'interpretazione del rigore e risanamento come tagli lineari non crea sviluppo,crescita ,nè tantomeno sostiene il lavoro delle donne legato a filo doppio non solo ma soprattutto al livello delle infrastrutture sociali. Dall'altro lato proprio in “Europa 2020”,l'insieme delle misure definite per la crescita ,intelligente sostenibile e inclusiva, la visibilità del tema dell'occupazione femminile è fortemente ridotta ,senza attenzione alla qualità dei lavori e alle diseguaglianze di genere nel mercato del lavoro. In secondo luogo e coerentemente sono stati eliminati obiettivi quantitativi specifici:l'obiettivo di Lisbona (tasso di occupazione femminile tra 15/64 anni pari al 60% è stato sostituito con un obiettivo generale neutro (75%per uomini e donne tra i 20/60 anni). Il che mette sullo stesso piano uomini e donne e quindi non riconosce che le donne rappresentano la principale componente dell'offerta di lavoro potenziale e che si trovano in posizione di svantaggio. Al contrario la recessione in Europa colpisce le donne più di quanto accadesse nel passato per la stessa portata, durata e qualità della crisi,per il tasso di occupazione femminile e del ruolo delle donne nell'economia familiare e generale. Le misure anticrisi non leggono questa realtà e non si misurano con essa:nè quelle relative alle politiche per l'occupazione né quelle relative alle politiche sociali. Anche se più del 70 % di donne ha un basso salario e il 17% vive in povertà e la disoccupazione femminile al 62% nel 2011 è in aumento. Più in specifico le politiche recessive dei tagli alla spesa pubblica si traducono in tagli ai servizi pubblici a forte concentrazione di lavoro femminile e determinano l'uscita dal lavoro delle donne che caricano su di sé il peso del Welfare che si ritrae. Tale impatto non viene neppure registrato in modo statistico. Significativa in questo senso è la definizione di “occupata” per le donne che sono costrette ad accettare il part-time involontario.Le dimensioni del problema sono molto rilevanti:nella stessa Svezia il numero di part-timers involontari è superiore a quello dei disoccupati uomini e donne. La nostra convinzione è che non si realizza il risanamento ,la cui necessità è perfino ovvia,se non c'è crescita;non c'è crescita se si riduce il lavoro;nè si produce ricchezza senza investimenti:la nostra idea dunque è che investire sull'innovazione,la cultura e la conoscenza ,le infrastrutture 6 sociali e quindi sul lavoro delle donne e dei giovani è la via maestra per uscire dalla crisi. L'Europa è la dimensione minima per provarci,la cultura del modello sociale europeo quella che può sostenere il rilancio dell'Europa. In caso contrario - nella logica di ritorno ai confini nazionali -prevarrà la competizione tra i paesi attraverso il dumping sui diritti e sul costo del lavoro. Noi vorremmo che la complessità di questa situazione venisse assunta dalla Confederazione europea dei sindacati . Qui non si tratta di avviare campagne anche importanti come quella per la parità salariale a parità di lavoro tra donne e uomini che la Ces ha lanciato cosi come altre,ma di decidere un'impostazione generale ,come si è cominciato a fare il 14 novembre sotto la fortissima iniziativa e pressione di alcuni sindacati nazionali. Per questa ragione avanziamo prima di tutto qui in questa sede un ragionamento e delle domande che vorremmo portare da oggi all'attenzione della Ces e delle dirigenti sindacali di altri paesi che abbiamo invitato . Le nostre proposte. -In primo luogo è necessario far emergere la verità svelando le contraddizioni tra i pronunciamenti e la realtà Per questo noi proponiamo che la Ces lanci un Manifesto europeo e una coalizione europea con al centro il diritto al lavoro e alla continuità di reddito delle donne. -In secondo luogo la battaglia per l'Europa sociale e la piena democrazia delle sue istituzioni è la battaglia delle donne ,perchè è tutt'uno con il rilancio del modello sociale europeo come modello competitivo Per questo noi proponiamo che la Ces apra una discussione sulla Convenzione europea per una vera Costituzione , così da ridare vita al sogno dell'Europa sociale e degli Stati Uniti d'Europa(Unità nella diversità) -In terzo luogo affermiamo il cambiamento del Fiscal compact come priorità. La Ces ha lanciato in verità un programma d'azione rispetto al quale si prevede un bilancio per il 2013 . Ed esiste già un “patto di genere”a livello UE ,non applicato e da qualificare con i temi del lavoro. Ma l'asimmetria tra i pronunciamenti e la 7 realtà è troppo forte per non immaginare la necessità di uno scatto. Abbiamo dunque la necessità di fare del lavoro delle donne il centro del nuovo contratto sociale europeo,perchè il lavoro delle donne produttivo e riproduttivo crea valore per tutti. 8