Il rapporto del cane con il cacciatore secondo la tradizione e gli

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Il rapporto del cane con il cacciatore secondo la tradizione e gli
Il rapporto del cane con il cacciatore secondo la tradizione e gli antichi trattati di caccia.
Al contrario di quanti si ostinano a voler perseguire i propri interessi continuando a sbagliare nei
confronti degli animali ed in particolare nei confronti dei cani da caccia, quello che la storia insegna
al cacciatore è il rispetto e la cura del proprio cane.
Tra i cacciatori ci sono quelli che trattano bene i loro cani e quelli che invece puntano il dito contro
gli animalisti. Si spingono fino a trovare qualche politico disposto ad appoggiare il loro tentativo di
trattare i cani come soli strumento di caccia.
Questi politici giustificano le loro proposte di modifica alla legge dicendo che la caccia fa parte
della tradizione e come tale va preservata. Hanno dimenticato o forse non si sono nemmeno
informati che sono proprio le lunghe tradizioni della caccia a imporre la massima cura per i cani
utilizzati nella sua pratica.
Ecco un breve sunto di trattati di caccia che sono la base di questa lunga tradizione:
1. Trattato “La caccia con i cani” dello scrittore greco Senofonte (IV secolo avanti Cristo). Nel
suo trattato, Senofonte indica tra l’altro le basi per l’educazione cinofila moderna. Al
cacciatore, oltre a indicare ripetutamente che il cane va tenuto nel migliore dei modi, come
fosse tutt’uno con se stesso, fornisce particolari indicazioni. Una è per esempio quella di
rivolgersi verbalmente al cane con osservazioni volte a premiarlo e a rassicurarlo, un’altra è
di cacciare da soli se il cane dovesse mostrare segni di stanchezza. Senofonte illustra le
modalità per l’allevamento dei cuccioli. Rammenta ai cacciatori i grandi rischi di morte per
il cane nella caccia al cinghiale, indicando gli accorgimenti atti a ridurre tale rischio.
2. Cynegeticon/Cynegetica – Insieme di poesie latine e scritti letterari circa l’allevamento e la
cura di cani e di cavalli. Una sorta di supplemento al trattato di Senofonte.
3. Trattato di Oppiano di Apamea (poeta greco vissuto nel III secolo d.C. in Siria) - Scrisse un
poema sulla caccia suddiviso in quattro libri. Nel primo libro descrive il cacciatore ideale,
la sua attrezzatura e i cani da caccia. Anche Oppiano insiste molto sulla cura dei cani da
caccia con molta attenzione alle loro esigenze.
4. Olimpio Nemesiano (poeta vissuto nella seconda metà del III secolo) – Scrisse poemi
didascalici sull’arte della caccia e descrisse minuziosamente l’addestramento e la tenuta dei
cani.
Leggendo questi antichissimi trattati di caccia, si capisce che già allora, chi teneva a cuore la caccia
sia come mezzo di sostentamento (i più poveri) che per divertimento (i nobili, i ricchi), aveva già
acquisito una notevole considerazione del cane. Anche se nella maggior parte dei casi lo scopo
principale era il rendimento durante le battute di caccia, il cane veniva trattato come miglior amico,
provvedendone a tutte le cure e riservandogli il massimo in quanto ad attenzioni. Nelle indicazioni
che si trovano nei trattati c’è scritto perfino che il cane da caccia doveva essere portato a sgambare
almeno 4 volte al giorno.
Nei testi di epoca più recente, lo scrittore italiano Ignazio Silone (1900 – 1978), nel suo romanzo
più conosciuto “Fontamara”, descrive l’universo contadino analfabeta dei “cafoni” e a un certo
punto ne descrive la scala gerarchica in questo modo:“In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie
del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi,
ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch'è finito.” Anche in questa scala gerarchica i
cani hanno notevole importanza e non si può certo dire che, nella descrizione di Silone, il principe e
le sue guardie fossero all’epoca degli animalisti in erba. Per i signori dell'epoca (cacciatori per
antonomasia) il cane veniva considerato un entità nobile superiore ai contadini.
Le attuali indicazioni della Legge Regionale 20/2012 e del suo regolamento attuativo n.127/2015,
prevedono indicazioni circa la cura dei cani che sono addirittura inferiori a quelle dei trattati antichi
su cui ancora oggi la caccia si basa.
Se alcuni cacciatori insistono ancora nel far si che il cane da caccia sia considerato solo uno
strumento di caccia e, all’interno del Consiglio Regionale ci sono persone disposte ad appoggiare
queste proposte, vuol dire che degli interessi della vera caccia, quella della tradizione, quella
considerata un arte, non interessa più nemmeno a loro.
Queste persone, prima ancora di attaccare gli animalisti e tutte le persone che semplicemente hanno
rispetto per gli animali e la natura, dovrebbero vergognarsi anche di aver dimenticato cos’era e che
cos’è veramente la caccia.
Concludo con un’ultima citazione sempre di I. Silone tratta da “Vino e pane”: “Il destino è
un'invenzione della gente fiacca e rassegnata.”
f.to
Un cittadino che ama il FVG, la gente per bene, l'ambiente, gli animali e che cerca di lasciare al proprio
figlio una speranza per un domani migliore di oggi
G. Rainone
Udine,04/01/2016