UN LIBERTO AUTORE DI FAVOLE

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UN LIBERTO AUTORE DI FAVOLE
FEDRO
UN LIBERTO AUTORE DI FAVOLE
© GSCATULLO
(
Fedro
La favola
Il genere
La favola è un racconto breve, dotato di una morale, che ha per protagonisti gli animali, che impersonano
caratteristiche e vizi umani (es. volpe-astuzia, lupo-malvagità, agnello-innocenza, ecc.), e per questo si
differenzia dalla fiaba.
Origini
La favola ha origini antichissime, tanto che possediamo attestazioni di fiabe egizie e sumere, risalenti al terzo
millennio a.C. Nasce probabilmente in ambienti contadini dove era frequente il contatto tra uomini e animali,
dove il comportamento di quest’ultimi, istintivo, viene stigmatizzato e si individuano strutture fisse. In ambito
greco l’accostamento tra uomini e animali era possibile poiché si consideravano entrambi possessori della
μήτις l’intelligenza dell’astuzia che differisce dal λόγος (intelligenza razionale, di cui alcuni uomini sono
dotati).
Grecia
Assente in Omero, la favola compare, in maniera non codificata, dapprima in Esiodo, e poi con i giambografi
ed i commediografi. L’autore per eccellenza di favole è però Esopo, figura per alcuni leggendaria, per altri
nato nella Frigia del VI secolo a.C., la cui produzione confluisce nella prima raccolta del genere, curata da
Demetrio Falereo nell’Atene del IV secolo a.C. Il filosofo sembra interessarsene nel solco di un’indagine
filosofica-razionalistica sul comportamento degli animali iniziata da Aristotele con il suo Vita degli Animali.
Roma
A Roma il genere è presente inserito nella satira: Ennio racconta l’Allodola e lo Sparviero, Ovidio il Topo di
Campagna e Livio l’apologo di Menenio Agrippa. Solo con Fedro la favola prende forma come un genere
letterario autonomo e acquista una struttura fissa: è caratterizzata dall’elemento narrativo e dalla morale
che si trova espressa nel promitio, se precede il testo, o nell’epimitio se lo segue.
Dopo Fedro
Dopo Fedro si cimentano nella scrittura di favole Babrio (II secolo d.C.) in greco e Aviano (IV-V secolo d.C.) in
latino, in distici elegiaci. Nel Medioevo la favola funge da exemplum nelle omelie al popolo, compare inoltre
nei bestiari caricata di significati simbolici. Si diffondono in questo periodo le favole degli antichi ed i fablieau
(racconti brevi divertenti, originari della Francia). Nel ‘600 Jean de La Fontaine scrive favole con intenti
moraleggianti ed in Italia, con Trilussa, il genere assume anche valenze politiche e legate all’attualità (e.g. Il
gatto socialista).
L’Autore
La vita
Le notizie che abbiamo sulla vita dell’autore le ricaviamo dalla sua stessa opera. Caio Giulio1 Fedro (Φαίδρος,
in greco e Phaedrus in latino) nacque intorno al 20 a.C. in Macedonia, presso il Pierio2, o in Tracia, altra terra
che lui indica come patria. Deportato a Roma come schiavo, probabilmente giovanissimo3, forse durante la
repressione guidata dal console Lucio Calpurnio Pisione di una rivolta scoppiata in Tracia (13 a.C.). Fu prima
schiavo e poi liberto di Augusto, secondo quanto attestato dal codice principale dei suoi testi il Phaedri
1
I liberti assumevano il nomen ed il praenomen del loro patrono, in questo caso Augusto.
Come affermato in Fabulae III, epilogo, v. 17, forse per attribuirsi un collegamento con le Muse.
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In Fabulae III, epilogo, vv. 33-35 afferma di aver letto da bambino il Telephus, tragedia di Enno.
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Augusti liberti liber fabularum4. Pubblicò le sue favole sotto l’imperatore Tiberio, e sappiamo scatenò le ire
per alcune allusioni del prefetto del pretorio Seiano, a quel tempo molto influente, che gli fu accusatore e
giudice, fino a che nel 31 d.C. Tiberio lo fece uccidere prosciogliendo Fedro dalle accuse. L’autore continuò a
scrivere con l’aiuto del liberto Fileto, sotto Claudio (41-54) o forse fin sotto Nerone (54-68).
Opera e stile
Fedro pubblicò 93 favole in 5 libri. In età umanistica, nel 1429, Nicolò Perotti scoprì in un codice ulteriori 32
favole, costituenti l’appendix perottina.
Fedro non chiama i suoi componimenti favole ma loci o nenie, forse per sminuirne il valore letterario, pur
essendo tuttavia ben cosciente di essere l’inventor della favola come genere autonomo a Roma. Non si
considera tra l’altro un imitatore di Esopo, di cui al massimo si ritiene perfezionatore, o un curatore di raccolte
di favole (come fu Demetrio), ma ribadisce più volte il carattere letterario dell’opera. Lo si può dedurre
dall’impegno dell’autore a dare una struttura e delle regole al genere, dall’ampliamento tematico, dalle
novità contenutistiche5 e soprattutto dall’utilizzo del metro: per la prima volta veniva utilizzata la poesia per
la favola, ed in particolare il senario giambico, che avvicina i componimenti alla tradizione comico-realistica
della palliata e del mimo.
Nelle favole di Fedro si nota oltre l’impegno morale un piacere della narrazione, realistica, seppure filtrata
dallo scenario fantastico. Fa un ampio uso della varietas e della brevitas, conferendo un andamento
proverbiale alle storielle. Si segnala inoltre l’uso di epiteti fissi ed il ritmo scorrevole.
La Morale
La morale che Fedro presenta nelle sue favole, di animali più deboli oppressi dai più forti, è stata da alcuni
interpretata come una denuncia politica con intenti rivoluzionari6. In realtà questa tesi si ritrova poco
compatibile con l’autore che, liberto fedelissimo ad Augusto, difficilmente sarebbe stato di parere antiimperiale.
In realtà egli propone – evidentemente alla classe dirigente che, colta, era l’unica capace di leggere- il punto
di vista degli animali più deboli non con fine di sovversione ma di umanizzazione: l’obbiettivo non è la
rivoluzione del sistema, l’abolizione della schiavitù, ma l’umanizzazione nel trattare le classi “inferiori”.
Questo perché Fedro è fondamentalmente convinto che fa parte della natura, e quindi anche della natura
umana, che il più debole soccomba al più forte, c’è una proposta di μήτις (astuzia, ai più poveri) e di
solidarietà (con i più poveri), ma non per combattere il sistema e la legge naturale, ma per rimediare alla
realtà delle cose che non sempre ci è favorevole.
Fortuna
Probabilmente non ebbe grande fortuna, al meno tra i suoi contemporanei, tanto che Seneca, parlando del
genere favolistico, non lo cita neppure. Vi fa invece riferimento Marziale e sappiamo che le sue favole
venivano usate nelle scuole per esercitarsi e per trasmettere agli studenti le semplici morali che Fedro
proponeva alla fine dei bisticci animali, non così diversi da quelli umani.
Realizzato da Paolo Franchi, 5BC (A.S. 2015/2016)
AMDG
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In altri codici Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae
Alcuni notano un certo avvicinamento alla fabula milesia.
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Si porta talvolta come esempio Fedro, I, 28 dove è narrata la favola della volpe e dell’aquila, dove la prima, davanti
un sopruso, incendia l’albero sul quale posava la seconda. In realtà è ispirata ad Esopo, III.
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