ALTRO CHE TV, ECCO IL CANTASTORIE
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ALTRO CHE TV, ECCO IL CANTASTORIE
[INCONTRI] DI ROBERTO CARNERO C’ erano una volta i cantastorie: erano quei signori che andavano di paese in paese, e sulle pubbliche piazze raccontavano, con l’ausilio del canto e di alcuni canovacci con i disegni di ciò che dicevano, le vicende della storia e della cronaca. Parliamo di un’Italia lontana nel tempo, quando non c’erano ancora la radio e la televisione, e anche i giornali, in un Paese per gran parte analfabeta, erano letti solo da una minoranza. I cantastorie erano perciò, in qualche modo, gli antenati dei moderni giornalisti. Roba di tanti anni fa, eppure un cantastorie ancora c’è. Si chiama Franco Trincale ed è nato nel 1935 a Militello, un un cd e un dvd (dal titolo Franco Trincale. L’ultimo cantastorie, pubblicato da Labianca Records) con il meglio del suo lavoro. Maestro, ci vuole raccontare come ha avuto inizio questa sua straordinaria vicenda artistica? «Fin da bambino sono stato innamorato del canto. Venendo da una famiglia povera, già ai tempi delle elementari fui mandato come garzone da un barbiere. Allora era tradizione che nelle botteghe di barbiere ci fosse sempre una chitarra, e nelle pause del lavoro cominciai a cantare e a suonare. Ero bravino e mi gratificava il fatto di essere apprezzato dai clienti. Ma la mia passione erano i cantastorie, che allora (anni Quaranta) riempivano le piazze. A 16 anni entrai volontario nel- per ascoltarmi. Prima di allora ero sempre stato piuttosto lontano dalla politica, ma a contatto con i lavoratori e con i loro problemi cominciai a sviluppare una nuova attenzione a questa dimensione. Per me fu naturale, ponendomi dalla loro parte e condividendo le loro richieste, aderire al Pci». Ma non ebbe rapporti facili con il Partito comunista... «Cominciarono a invitarmi alle Feste dell’Unità, e conservo ancora delle lettere autografe di Enrico Berlinguer che mi scrisse più volte per manifestare il suo apprezzamento per il mio lavoro. Ma a un certo punto capii che l’arte doveva essere libera e che non potevo correre il rischio di irrigidirmi dentro una linea ufficiale che a volte, peraltro, mi ca- ni grazie alla curiosità per ciò che è nuovo. Ai miei coetanei dico: non dobbiamo rassegnarci a essere esclusi dalle novità; al contrario dobbiamo farle nostre. All’inizio ci ho messo un po’ per capire come funziona, ma poi il mondo virtuale mi ha consentito di entrare in contatto con un pubblico giovane che oggi mi sostiene e che altrimenti non mi avrebbe conosciuto». Le sue canzoni parlano spesso di politica e di attualità: il terrorismo, le morti sul lavoro, il consumismo, le sperequazioni sociali... C’è un tema che oggi la sollecita particolarmente? «Sì, quello dell’infanzia. Parlo dei bambini sfruttati, maltrattati, abusati. Ma parlo anche dei bambini che non si fanno più. Oggi “ ” Il tema che più mi appassiona oggi è quello dell’infanzia: parlo di bambini sfruttati e di quelli che non si fanno più ALTRO CHE TV, ECCO IL CANTASTORIE Franco Trincale, l’ultimo artista “ ” A sedici anni entrai in Marina ma sei anni dopo me ne andai per fare questo mestiere e mantenere la mia famiglia 30 SETTEMBRE 2008 CLUB3 paese in provincia di Catania, celebre per aver dato i natali anche a Pippo Baudo (che tra l’altro è stato compagno di scuola di Trincale). Trincale vive da molto tempo a Milano ed è dagli anni Cinquanta che canta per le strade e le piazze del capoluogo lombardo. Una presenza che i milanesi, nel corso degli anni, hanno imparato a conoscere e ad apprezzare. Un lavoro da “artista di strada” il cui valore è stato riconosciuto dalle massime istituzioni. Con decreto del presidente della Repubblica, da gennaio Trincale riceve il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli per gli artisti in condizioni economiche disagiate. Così recita la motivazione: «Ha saputo utilizzare significativi elementi di cultura popolare legando il proprio lavoro artistico con la storia dei movimenti sociali». Nel frattempo, la Provincia di Catania gli ha dedicato un museo, in cui sono stati raccolti i materiali visivi e sonori della sua lunga carriera. Una carriera di cui possiamo avere un assaggio grazie a un cofanetto contenente la Marina militare e sei anni dopo ne uscii per stare accanto alla donna che è mia moglie da mezzo secolo. Per amore sono uscito dalla Marina e per amore ho iniziato la carriera di cantastorie. Quello è stato il lavoro che ho scelto per mantenere la mia famiglia». Come sono stati gli esordi? «Difficili. Giunto a Milano alla fine degli anni Cinquanta, dovetti fare i conti con una certa diffidenza della gente nei confronti di noi meridionali. Cominciai cantando canzonette napoletane nei bar e per le strade. Finché ebbi l’intuizione di riprendere l’antica tradizione dei cantastorie siciliani, ma rinnovandola, cioè inserendola nelle nuove sonorità della canzone italiana di quegli anni». Come fu accolta questa novità? «C’era molto interesse e apprezzamento, ma non mancavano i problemi. Ogni tanto arrivavano i vigili e sequestravano tutto, perché evidentemente non avevo le autorizzazioni necessarie. Verso la metà degli anni Sessanta scoprii uno spazio alternativo in cui esibirmi: le fabbriche. Nella pausa-pranzo all’Alfa Romeo, alla Motta, alla Siemens, gli operai si radunavano fuori dagli stabilimenti di strada che canta e suona i fatti come cinquant’anni fa pitava di non poter condividere. Perciò restituii la tessera». Di recente, però, non ha avuto rapporti idilliaci neanche con Silvio Berlusconi... «Ho raccontato in alcune ballate la sua ascesa economica e politica e i miei toni gli hanno dato fastidio. Quando i suoi avvocati hanno ricusato la Procura di Milano per il processo Sme, tra le motivazioni hanno citato le mie esibizioni pubbliche, lette in chiave antiberlusconiana. Ma devo dire che questo mi ha dato una certa pubblicità, quindi non mi lamento affatto». Lei ha un sito internet (www.trincale.com) e anche un blog. Come si è accostato al mondo dei computer? «L’ho fatto perché penso che alla mia età sia importante mantenersi giova- c’è una certa renitenza a mettere al mondo dei figli. Lo capisco, perché la situazione economica non è delle migliori e i figli costano. Ma rinunciare ai bambini significa rinuncia왎 re a sperare nel futuro». Franco Trincale, catanese di nascita ma milanese d’adozione, mentre lavora CLUB3 31 SETTEMBRE 2008