Analisi Matematica: Calcolo Integrale
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Analisi Matematica: Calcolo Integrale
Analisi Matematica: Calcolo Integrale Francesco Russo 2 settembre 2010 2 Indice 1 Integrali indefiniti 1.1 Primitive ed integrali indefiniti . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Formule di integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 6 2 Integrale di Riemann 2.1 Il metodo di esaustione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Integrale definito e le sue proprietà . . . . . . . . . . . . . . . 7 7 8 3 Teorema fondamentale del calcolo integrale 13 3.1 Conseguenze del teorema fondamentale . . . . . . . . . . . . . 14 4 Aree e volumi 15 4.1 Area del sottografico di una funzione non negativa . . . . . . 15 4.2 Calcolo di volumi con il metodo delle fette . . . . . . . . . . . 15 4.3 Volume di solidi di rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 5 Formula di Taylor 17 5.1 Polinomio e formula di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 5.2 Resto in forma integrale, di Lagrange e Peano . . . . . . . . . 19 5.3 Applicazioni della formula di Taylor . . . . . . . . . . . . . . 23 6 Integrali impropri 27 6.1 Definizione ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 6.2 Teorema del confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 7 Serie numeriche 31 7.1 Criteri D’Alembert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 7.2 Convergenza assoluta e criterio di Leibnitz . . . . . . . . . . . 37 8 Equazioni differenziali 39 ◦ 8.1 Equazioni differenziali lineari del 1 ordine . . . . . . . . . . . 39 8.2 Equazioni differenziali lineari del 2◦ ordine . . . . . . . . . . . 41 3 4 INDICE Capitolo 1 Integrali indefiniti 1.1 Primitive ed integrali indefiniti PRIMITIVA - Una funzione F (x), derivabile nell’intervallo [a, b], è una primitiva di f (x) se F 0 (x) = f (x), ∀x ∈ [a, b]. CARATTERIZZAZIONE DELLE PRIMITIVE DI UNA FUNZIONE IN UN INTERVALLO - Se F (x) e G(x) sono due primitive di una stessa funzione f (x) in un intervallo [a, b], esiste un costante c t.c. G(x) = F (x) + c, ∀x ∈ [a, b] (1.1) Dimostrazione - Poniamo H(x) = F (x) − G(x); risulta H 0 (x) = F 0 (x) − G0 (x) = f (x) − f (x) = 0, ∀x ∈ [a, b]. ⇒ H(x) = c, ∀x ∈ [a, b] quindi H 0 (x) ≥ 0 ⇒ H(x) crescente; H 0 (x) ≤ 0 ⇒ H(x) decrescente; H 0 (x) = 0 ⇒ H(x) costante. INTEGRALE INDEFINITO - Sia f una funzione continua in un intervallo [a, b]. L’insieme di tutte le primitive F di f in [a, b] si chiama intergrale indefinito di f e si indica col simbolo Z f (x) dx. L’integrale indefinito è, al pari della derivata, un operazione lineare: risulta cioè Z Z Z [αf (x) + βg(x)] dx = α f (x)dx + β g(x) dx 5 6 CAPITOLO 1. INTEGRALI INDEFINITI In effetti se F (x) è una primitiva di f (x) e G(x) lo è di g(x), la funzione αF (x) + βG(x) è una primiiva di αf (x) + βg(x) dato che [αF (x) + βG(x)]0 = αF 0 (x) + βG0 (x) = αf (x) + βg(x). Ne segue che Z [αf (x) + βg(x)]dx = αF (x) + βG(x) + c, c ∈ R. Si ha quindi Z α 1.2 Z f (x) dx + β g(x) dx = αF (x) + βG(x) Formule di integrazione FORMULA DI INTEGRAZIONE PER PARTI - Se in un intervallo, f e g sono due funzioni derivabili con derivata continua, risulta Z Z 0 f (x)g (x) dx = f (x)g(x) − f 0 (x)g(x) dx. Chiameremo f (x) fattore finito, mentre g(x) fattore differenziale. Dimostrazione - Partiamo dalla formula di derivazione del prodotto [f (x)g(x)]0 = f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x). Calcolando gli integrali indefiniti di entrambi i membri e utilizzando la linearità Z Z Z 0 0 [f (x)g(x)] = f (x)g(x) dx + f (x)g 0 (x) dx. La tesi si ottiene osservando che la funzione f · g è una primitiva della sua derivata [f · g]0 . FORMULA DI INTEGRAZIONE PER SOSTITUZIONE - Sia f una funzione continua e g una funzione derivabile con derivata continua; risulta ·Z ¸ Z f (x) dx = f (g(t))g 0 (t) dt. x=g(t) R Dimostrazione - Consiste nell’osservare che F (g(t))+c = f (g(t))g 0 (t) dt; ciò è conseguenza del teorema di derivazione delle funzioni composte. Infatti dato che d F (g(t)) = F 0 (g(t))g 0 (t) = f (g(t))g 0 (t) dt abbiamo verificato che F (g(t)) è una primitiva di f (g(t))g 0 (t). Capitolo 2 Integrale di Riemann 2.1 Il metodo di esaustione Calcoliamo col metodo dell’esaustione l’area di un settore di parabola, cioè l’area della regione S compresa fra l’asse x, f (x) = x2 e la retta x = b. Dividiamo [0, b] in n ∈ N intervalli, [xk−1 , xk ] ciascuno di ampiezza nb . L’area totale è data dalla somma dei rettangoli componenti: n X f (xk−1 )(xk −xk−1 ) = k=1 k=1 n X n X f (xk )(xk −xk−1 ) = k=1 n X k=1 n x2k−1 b bX 2 xk−1 = n n (approssimazione per dif etto) k=1 n x2k b bX 2 xk = n n (approssimazione per eccesso). k=1 In questi due casi i rettangoli (partizioni) hanno la stessa base, ma altezze diverse; ad esempio, un generico rettangolo avente per base l’intervallo [xk−1 , xk ] ha nel primo caso altezza x2k−1 mentre nel secondo x2k . Dunque n n k=1 k=1 bX 2 bX 2 xk−1 < area S < xk n n in cui la somma al primo membro è detta somma integrale inferiore e quella al secondo somma integrale superiore. Sia f (x) una funzione limitata nell’intervallo chiuso [a, b] di R. Una partizione P di [a, b] è un insieme ordinato costituito da n + 1 punti distinti (che individuano n intervalli) x0 , x1 , ..., xn con n ∈ N t.c. a = x0 < ... < xk < ... < xn = b. ∀P di [a, b] poniamo mk = inf {f (x) : x ∈ [xk−1 , xk ]} Mk = sup{f (x) : x ∈ [xk−1 , xk ]}. 7 8 CAPITOLO 2. INTEGRALE DI RIEMANN Definiamo poi le somme (integrali) inferiori e superiori: s(P ) = n X mk (xk − xk−1 ) n X S(P ) = k=1 Mk (xk − xk−1 ). k=1 Definiamo ora due insiemi A e B t.c. A = {s(P )} B = {S(P )}. Essi saranno separati, ma dall’assioma di completezza segue che esisterà almeno un c ∈ R t.c. b ∈ B ≥ c ≥ a ∈ A. 2.2 Integrale definito e le sue proprietà INTEGRALE DEFINITO - Se vi è un unico elemento di separazione c tra A e B, allora si dice che f (x) è integrabile in [a, b] secondo Riemann e l’elemento c si indica con Z b f (x) dx a e si chiama integrale definito di f in [a,b]. In altre parole (con P generica partizione di [a, b]), posto s(f ) = sup{s(P )} S(f ) = inf {S(P )} se risulta s(f ) = S(f ) allora f (x) è integrabile secondo Riemann in [a, b]. ADDITIVITÁ DELL’INTEGRALE RISPETTO ALL’INTERVALLO - Se a, b, c sono tre punti in un intervallo dove f (x) è integrabile, allora Z Z b f (x) dx = a Z c f (x) dx + a b f (x) dx. c LINEARITÁ DELL’INTEGRALE - Se f, g sono funzioni integrabili in [a, b] e se c è un numero reale, anche f + g e c · f sono integrabili in [a, b] e risulta Z Z b [f (x) + g(x)] dx = a Z b a Z Z b g(x) dx; (2.1) a c · f (x) dx = c a b f (x) dx + b f (x) dx. a (2.2) 2.2. INTEGRALE DEFINITO E LE SUE PROPRIETÀ 9 MONOTONIA (CONFRONTO TRA INTEGRALI) - Se f, g sono funzioni integrabili in [a, b] e se f (x) ≤ g(x), ∀x ∈ [a, b], allora Z Z b b f (x) dx ≤ a In particolare g(x) dx. a ¯Z b ¯ Z b ¯ ¯ ¯ f (x) dx¯¯ ≤ |f (x)| dx. ¯ a a Dato che l’integrale definito della funzione identicamente nulla è 0, dalla linearità (2.1) si deduce che Z b f (x) ≥ 0 ⇒ f (x) dx ≥ 0 (a < b) a e utilizzando la disuguaglianza −|f (x)| ≤ f (x) ≤ |f (x)|, ∀x ∈ [a, b], dalla linearità (2.2) si ha Z − Z b Z b |f (x)| dx ≤ b f (x) dx ≤ a a |f (x)| dx , (a < b) a che in base all’equivalenza del valore assoluto si scrive anche nella forma ¯Z b ¯ Z b ¯ ¯ ¯ f (x) dx¯¯ ≤ |f (x)| dx , (a < b) ¯ a a Dimostrazione - Dato che h(x) = f (x)−g(x) ≥ 0, ∀x ∈ [a, b], si dimostra che Z b h(x) dx ≥ 0, a dato che, per la linearità dell’integrale Z Z b f (x) dx − a Z b g(x) dx = a b [f (x) − g(x)] dx. a Se h(x) ≥ 0 in [a, b], allora, presa una partizione P̄ = {x0 , x1 , ..., xn } di [a, b], si ha che mk = inf h ≥ 0, k = 1, ..., n [xk−1 ,xk ] e quindi s(h, P̄ ) = n X mk (xk − xk−1 ) ≥ 0. k=1 Dunque Z 0 ≤ s(h, P̄ ) ≤ sup s(h, P ) = p b h(x) dx. a 10 CAPITOLO 2. INTEGRALE DI RIEMANN (PRIMO) TEOREMA DELLA MEDIA INTEGRALE - Sia f una funzione limitata ed integrabile secondo Riemannn in [a, b]. Allora Z b m(b − a) ≤ f (x) dx ≤ M (b − a), a con m = inf {f (x) : x ∈ [a, b]} e M = sup{f (x) : x ∈ [a, b]}. Dimostrazione - Si ha che m ≤ f (x) ≤ M, ∀x ∈ [a, b] e quindi, per la monotonia dell’integrale abbiamo che Z b Z b Z b m(b − a) = m dx ≤ f (x) ≤ M dx = M (b − a) a a a cioè la tesi di partenza. (SECONDO) TEOREMA DELLA MEDIA INTEGRALE - Se f (x) è continua in [a, b], ∃ x0 t.c. Z b f (x) dx = f (x0 )(b − a). a Dimostrazione - Sia ora 1 y= b−a Z b f (x) dx. a Il precedente teorema implica che m ≤ y ≤ M . Se f è continua in [a, b], per il teorema dei valori intermedi, ∃x0 ∈ [a, b] t.c. f (x0 ) = y; la tesi segue quindi facilmente. CRITERIO DI INTEGRABILITÁ - Una funzione f limitata in [a, b] è ivi integrabile secondo Riemann sse, ∀ε > 0, ∃ una partizione P di [a, b] t.c. S(P ) − s(P ) < ε. Dimostrazione - Se f è integrabile secondo Riemann in [a, b] allora s(f ) = S(f ); in base alle definizioni di sup e inf, ∀ε > 0 esistono due partizioni P 0 e P 00 t.c. ε ε s(f ) − < s(P 0 ), S(f ) + > S(P 00 ). 2 2 0 00 Posto P = P ∪ P si ha che ε ε s(f ) − < s(P 0 ) ≤ s(P ) ≤ S(P ) ≤ S(P 00 ) < S(f ) + 2 2 da cui, essendo s(f ) = S(f ), S(P ) − s(P ) < S(f ) + ε´ ε ³ − s(f ) − = ε. 2 2 2.2. INTEGRALE DEFINITO E LE SUE PROPRIETÀ 11 INTEGRABILITÁ DELLE FUNZIONI MONOTONE - Sia f (x) una funzione monotona in [a, b]. Allora f (x) è integrabile secondo Riemann in [a, b]. Dimostrazione - Consideriamo la partizione P {x0 , x1 , ..., xn } di [a, b] t.c. x0 = a, x1 = a + b−a , n ... xk = a + k· b−a , n xn = b. Valutiamo la differenza tra la somma superiore e quella inferiore; dato che xk − xk−1 = (b−a) n , risulta: S(Pn ) − s(Pn ) = n X Mk (xk − xk−1 ) − k=1 b−a = n n X mk (xk − xk−1 ) = k=1 à n X Mk − n X ! mk . k=1 k=1 Per ipotesi f (x) è monotona in [a, b]; supponiamo sia crescente in [a, b]. In questo caso il suo massimo in [xk−1 , xk ] è assunto all’estremo destro, mentre il minimo è assunto all’estremo sinistro, cioè Mk = f (xk ) e mk = f (xk−1 ). Otteniamo quindi: n n X X mk = Mk − k=1 k=1 = f (x1 ) + f (x2 ) + ... + f (xn ) − [f (x0 ) + f (x1 ) + ... + f (xn−1 )] = = f (xn ) − f (x0 ) = f (b) − f (a). Abbiamo quindi dimostrato che ∀n ∈ N esiste una partizione Pn in [a, b] t.c. S(Pn ) − s(Pn ) = (b − a)[f (b) − f (a)] ; n dato che il 2◦ membro converge a 0 per n → +∞, ∀ε ≥ 0, ∃v t.c. S(Pn ) − s(Pn ) < ε, ∀n > v. Quindi per il teorema del criterio di integrabilità visto precedentemente, f (x) è integrabile secondo Riemann in [a, b]. INTEGRABILITÁ DELLE FUNZIONI CONTINUE - Sia f (x) una funzione continua in [a, b]. Allora f (x) è integrabile secondo Riemann in [a, b]. 12 CAPITOLO 2. INTEGRALE DI RIEMANN Capitolo 3 Teorema fondamentale del calcolo integrale TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE R x - Sia f [a, b] definita in R e continua. Sia F la funzione definita F (x) = a f (t) dt, ∀x ∈ [a, b]. Allora i) F è derivabile in [a, b] e F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ [a, b]; ii) Se G è una primitiva di f in [a, b] allora G(x) = F (x) + c, ∀x ∈ [a, b]; iii) (FORMULA FONDAMENTALE) ∀ primitiva G di f ¯b Z b ¯ f (t) dt = G(b) − G(a) := G¯¯ . a a Dimostrazione - (i) x ∈ [a, b], x + h ∈ [a, b]. Rapporto incrementale: ·Z x+h ¸ Z x F (x + h) − F (x) 1 = f (t) dt − f (t) dt = h h a a ·Z x ¸ Z x+h Z x Z 1 1 x+h = f (t) dt + f (t) dt − f (t) dt = f (t) dt. h a h x x a R x+h Per la proprietà della media ∃xh ∈ [x, x + h] t.c. f (xh ) = h1 x f (t) dt. F (x + h) − F (x) = lim f (xh ) = f (x) h→0 h→0 h lim xh = x, ⇒ lim h→0 perchè f è continua in x. (ii) già dimostrato (caratterizzazione delle primitive di funzione in un intervallo - 1.1). (iii) Se G è una primitiva qualunque di f , dalla (ii) ∃c t.c. G(x) = F (x) + c. ¯b ¯ G¯¯ = G(b) − G(a) = F (b) + c − (F (a) + c) = a 13 14CAPITOLO 3. TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE Z Z b = a 3.1 Z a f (t) dt − f (t) dt = b f (t) dt a a Conseguenze del teorema fondamentale INTEGRAZIONE PER PARTI DI INTEGRALI DEFINITI ¯b Z b Z b ¯ 0 u(x)v (x) dx = u(x)v(x)¯¯ − u0 (x)v(x) dx. a a a INTEGRAZIONE PER SOSTITUZIONE DI INTEGRALI DEFINITI - Sia g : [c, d] in [a, b] t.c. a = g(c) e b = g(d); allora Z Z b f (x) dx = a c d f (g(t))g 0 (t) dt. Capitolo 4 Aree e volumi 4.1 Area del sottografico di una funzione non negativa Se f : [a, b] → R è integrbile e non negativa, allora l’integrale definito Z b f (x) dx a ha significato di area della regione piana A = (x, y) : a ≤ x ≤ b, 0 ≤ y ≤ f (x). In tal caso quindi risulta Z b area di A = f (x) dx. a Per calcolare l’area della regione compresa tra due funzioni f (x) e g(x), definita dalle limitazioni A = (x, y) : a ≤ x ≤ b, si usa la formula Z area di A = g(x) ≤ y ≤ f (x) b [f (x) − g(x)]. a 4.2 Calcolo di volumi con il metodo delle fette Consideriamo un solido V e fissiamo una retta che lo attraversa, asse delle x, ed un sistema di ascisse su di essa. Se consideriamo l’insieme dei piani perpendicolari ad essa, possiamo associare ad ogni x il piano che è perpendicolare alla retta data e che la incontra nel punto di ascissa x. ∀x ∈ [a, b], ogni piano rappresenta una sezione S(x) del solido V . 15 16 CAPITOLO 4. AREE E VOLUMI Dato che S(x) è una regione piana, possiamo supporre di conoscere l’area in base al metodo del paragrafo precedente; quindi: A(x) = area della sezione S(x). Supponendo che A(x) sia continua in [a, b] possiamo considerare le sue somme integrali. Fissiamo una partizione P di [a, b], e sia [xk−1 , xk ] un generico intervallo di P . Alla fetta di area A(xk )(xk−1 − xk ) corrisponde il cilindro che ha per base un cerchio di A(xk ) e la cui altezza vale (xk−1 − xk ). Cioè ad ogni rettangolo (fetta) di una certa area corrisponde un cilindro in V di pari volume. Si ha quindi che il volume di V è uguale all’integrale della funzione A(x) nell’intervallo [a, b], cioè: Z volume di V = b A(x) dx. a 4.3 Volume di solidi di rotazione Nel caso in cui V è un solido di rotazione, il suo contorno è ottenuto facendo ruotare attorno all’asse delle x il grafico di una funzione f (x). In questo caso la regione piana S(x) è un cerchio di raggio f (x), quindi l’area di S(x) è data da: A(x) = π[f (x)]2 ; in definitiva: Z volume di un solido di rotazione = π a b [f (x)]2 dx. Capitolo 5 Formula di Taylor 5.1 Polinomio e formula di Taylor Il problema di approssimare una qualsiasi funzione per mezzo di un polinomio non ha ovviamente un’unica soluzione, ma dipende dal modo in cui definiamo buona un’approssimazione, ovvero dalle condizioni imposte. La scelta più semplice è di intendere come polinomio P (x) di grado n che meglio approssima la funzione f (x) quello che ha lo stesso valore di f (x) e di tutte le derivate fino all’ennesima, in un dato punto x0 . La situazione che cerchiamo è quindi f (x) ∼ = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ), per x vicino a x0 ; più precisamene f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + R1 (x). POLINOMIO DI TAYLOR DI GRADO n DI f IN x0 P1 (x, x0 ) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ... + f (n) (x0 )(x − x0 )n = Pn (x, x0 ). n! Dove P1 = f (x0 ) e Pn (x, x0 ) = f (k) (x0 ), con k = 0, 1, .., n. FORMULA DI TAYLOR - Sia f (x) una funzione derivabile n volte in x0 . Risulta: 1. f (x) = n X f (k) (x0 ) k=0 k! 17 (x − x0 )k + Rn , 18 CAPITOLO 5. FORMULA DI TAYLOR 2. lim x→x0 Rn (x) =0 (x − x0 )n APPROSSIMAZIONE DI UNA FUNZIONE CON IL SUO POLINOMIO DI TAYLOR - Consideriamo un polinomio p(x) di grado n a coefficienti reali p(x) = a0 + a1 x + a2 x2 + ... + an xn . (5.1) La funzione p(x) è indefinitivamente derivabile in N e le sue derivate di ordine maggiore di n sono tutte nulle. Inoltre si verica che p(0) = a0 , e p(k) (0) = k!ak , ∀k ≤ n. Ricavando i valori dei coefficienti ak , possiamo riscrivere il polinomio (5.1) nella forma p(x) = p(0) + p0 (0) p00 (0) 2 p(n) (0) n x+ x + ... + x . 1! 2! n! In altre parole un polinomio di grado n è noto solo una volta che siano noti il suo valore e quelo delle sue derivate in 0. Sostituendo il ruolo dello 0 con quello di un generico x0 ∈ R si ha: p(x) = p(x0 )+ p00 (x0 ) p(n) (x0 ) p0 (x0 ) (x−x0 )+ (x−x0 )2 +...+ (x−x0 )n . (5.2) 1! 2! n! Da quest’ultima segue che un polinomio di grado n è univocamente determinato una volta che siano noti i valori che esso e le sue prime n derivate assumono in x0 . Sia f (x) derivabile n volte in un punto x0 , cerchiamo di determinare un polinomio pn (x) di grado ≤ n che verifichi le uguaglianze pn (x0 ) = f (x0 ), p0n (x0 ) = f 0 (x0 ), ... (n) p(n) (x0 ). (5.3) n (x0 ) = f Tale polinomio deve avere per la (5.2) l’espressione: pn (x) = = f (x0 ) + f 0 (x0 ) f 00 (x0 ) f (n) (x0 ) (x − x0 ) + (x − x0 )2 + ... + (x − x0 )n . (5.4) 1! 2! n! Le condizioni (5.3) sono verificate da pn ; perciò il polinomio di grado ≤ n che soddisfa le (5.3) esiste, è unico, ed è rappresentato in (5.4): tale polinomio prende il nome di polinomio di Taylor, di ordine n e centro x0 , della funzione f (x). Definiamo infine la funzione resto, che rappresenta l’errore commesso quando in x si sostituisce a f (x) il suo polinomio di Taylor di centro x0 e di ordine n: Rn (x) = f (x) − pn (x). (5.5) 5.2. RESTO IN FORMA INTEGRALE, DI LAGRANGE E PEANO 5.2 19 Resto in forma integrale, di Lagrange e Peano FORMULA DI TAYLOR CON IL RESTO IN FORMA INTEGRALE - Se f è derivabile n + 1 volte in [a, b], con derivata f (n+1) continua, si ha la formula n X f (k) (x0 ) f (x) = (x − x0 )k + Rn (x0 , x), k! k=0 con Rn (x0 , x) il resto n-esimo in forma integrale della forma: Z x (x − t)n (n+1) Rn (x0 , x) = f (t) dt. n! x0 Dimostrazione - Per deinizione di funzione resto si ha Rn (x) = f (x) − pn (x) ⇒ Rn (x) = f (x) − n X f (k) (x0 ) k=0 k! (x − x0 )k ; bisogna quindi dimostrare (per induzione) che ∀x ∈ [a, b] Z x x0 n X f (k) (x0 ) (x − t)n (n+1) f (t) dt = f (x) − (x − x0 )k . n! k! (5.6) k=0 Per n = 0 queata uguaglianza è conseguenza della formula fondamentale del calcolo integrale, infatti: Z x f 0 (t) dt = [f (t)]xx0 = f (x) − f (x0 ) = R0 (x). x0 Nell’ipotesi che f (x) ammetta derivata (n+2)-esima continua in [a, b], assumiamo per induzione che valga la (5.6); integrando per parti otteniamo: 1 Rn (x) = n! ½· ¸t=x ¾ Z x (x − t)n+1 (n+1) (x − t)n+1 (n+2) − f (t) + f (t) dt = n+1 n+1 x0 t=x0 f (n+1) (x0 ) = (x − x0 )n+1 + (n + 1)! Z x x0 (x − t)n+1 (n+2) f (t) dt, (n + 1)! che equivale alla tesi, con n + 1 al posto di n: Z x (x − t)n+1 (n+2) Rn+1 (x0 , x) = f (t) dt. x0 (n + 1)! 20 CAPITOLO 5. FORMULA DI TAYLOR FORMULA DI TAYLOR CON IL RESTO IN FORMA DI LAGRANGE Se f è derivabile n + 1 volte in [a, b], con derivata f (n+1) continua, ∀x ∈ [a, b], ∃x1 , compreso fra x0 e x, t.c. Rn (x) = f (n+1) (x1 ) (x − x0 )n+1 . (n + 1)! Dimostrazione - Dato che f (n+1) (t) è continua, possiamo valutare il suo massimo e minimo: m(x0 , x) = min f (n+1) (t); t∈[x0 ,x] M (x0 , x) = max f (n+1) (t). t∈[x0 ,x] Sappiamo che x > x0 , quindi: Z x Z x (x − t)n (x − t)n dt ≤ Rn (x0 , x) ≤ M (x0 , x) dt. m(x0 , x) n! n! x0 x0 Calcoliamo l’integrale: Z x x0 (x − t)n 1 dt = n! n! · ¸t=x 1 (x − t)n+1 (x − x0 )n+1 (x − t) dt = − = . n! n+1 (n + 1)! x0 t=x0 Z Si ha: x Z m(x0 , x) x x0 Z M (x0 , x) n x x0 (x − t)n (x − x0 )n+1 dt ≈ m(x0 , x) ; n! (n + 1)! (x − t)n (x − x0 )n+1 dt ≈ M (x0 , x) . n! (n + 1)! Perciò: (n + 1)! Rn (x0 , x) m(x0 , x) ≤ Rn (x0 , x) = (x−x )n+1 ≤ M (x0 , x). 0 (x − x0 )n+1 (n+1)! Quindi per il teorema dell’esistenza dei valori intermedi ∃x1 ∈ (x0 , x) t.c. Rn (x0 , x) (n + 1)! = f (n+1) (x1 ), (x − x0 )n+1 che dimostra la tesi. Segue che: lim x→x0 Rn (x, x0 ) (x − x0 ) (n+1) = lim f (x1 ) = 0. x→x0 (x + 1)! (x − x0 ) 5.2. RESTO IN FORMA INTEGRALE, DI LAGRANGE E PEANO 21 FORMULA DI TAYLOR CON IL RESTO IN FORMA DI PEANO - Se f è derivabile n volte in x0 , il resto Rn (x) è un infinitesimo in x0 di ordine superiore a (x − x0 )n , ossia: lim x→x0 Rn (x) = 0. (x − x0 )n (5.7) Dimostrazione - Utilizzando la deinizione di funzione resto (5.5), va dimostrato che: lim x→x0 lim x→x0 Rn (x) f (x) − pn (x) = lim = n x→x (x − x0 ) (x − x0 )n 0 f (x) − [f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ... + f (n) (x0 )(x − x0 )n /(n!)] = 0. (x − x0 )n Applicando n − 1 volte il teorema di l’Hopital (il precedente limite è una forma indeterminata 00 ) si trova: lim x→x0 1 = n! f (n−1) (x) − [f (n−1) (x0 ) + f (n) (x0 )(x − x0 )] = n!(x − x0 ) ½ ¾ f (n−1) (x) − f (n−1) (x0 ) (n) lim − f (x0 ) = x→x0 x − x0 ½ ¾ 1 = f (n) (x0 ) − f (n) (x0 ) = 0. n! DEFINIZIONE DI ¿o piccolo À - Siano f (x), g(x) funzioni definite in un intorno di x0 (con l’eventuale eccezione di x0 ), non nulle per x 6= x0 . Si dice che f (x) è per x → x0 un infinitesimo di ordine superiore a g(x), oppure che f (x) è un ¿o piccolo À di g(x), e si scrive f (x) = o(g(x)) (per x → x0 ) se g(x) è una funzione infinitesima per x → x0 e lim x→x0 f (x) = 0. g(x) Con tale definizione il resto di Peano in (5.5), (5.7) si rappresenta anche cosı̀: Rn (x) = o((x − x0 )n ) (per x → x0 ); 22 CAPITOLO 5. FORMULA DI TAYLOR tenendo presenti le espressioni di resto (5.5) e del polinomio di Taylor in (5.4), si può scrivere la formula di Taylor con il resto di Peano nella forma: f (x) = n X f (k) (x0 ) k! k=0 (x − x0 )k + o((x − x0 )n ). Si utilizza spesso la formula di Taylor con centro x0 = 0, ed in tal caso si chiama formula di Mac Laurin: f (x) = f (0) + f 0 (0)x + f 00 (0) 2 f (n) (0) n x + ... + x + o(xn ). 2 n! Ecco alcune formule per le funzioni elementari: ex = 1 + x + log(1 + x) = x − sin x = x − xn x2 x3 + + ... + + o(xn ); 2 3! n! x2 x3 xn + − ... + (−1)n+1 + o(xn ); 2 3 n x3 x5 x2n+1 + − ... + (−1)n + o(x2n+2 ); 3! 5! (2n + 1)! cos x = 1 − arctan x = x − x2n x2 x4 + − ... + (−1)n + o(x2n+1 ); 2 4! (2n)! x3 x5 x2n+1 + − ... + (−1)n+1 + o(x2n+2 ); 3 5 2n + 1 PROPRIETÁ DEGLI ¿o piccoli del calcolo dei limiti (m, n ∈ N): À - Le seguenti proprietà sono utili ai fini o(xn ) + o(xn ) = o(xn ); c · o(xn ) = o(cxn ) = o(xn ) c = costante 6= 0; o(xn ) − o(xn ) = o(xn ); xm · o(xn ) = o(xm+n ); o(xm ) · o(xn ) = o(xm+n ); o(o(xn )) = o(xn ); o(xn + o(xn )) = o(xn ). 5.3. APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR 5.3 23 Applicazioni della formula di Taylor APPROSSIMAZIONE DEL NUMERO e - Il numero e viene definito con la seguente formula, che offre una buona approssimazione: µ ¶ 1 n e = lim 1 + . n→∞ n Con la formula di Taylor siamo in grado di avere un approssimazione migliore di e. Sfruttiamo il fatto che e = f (1), dove f (t) = et ; supponiamo inoltre di sapere che et è crescente e che 0 < e < 3. Nell’applicare la formula di Taylor ci conviene che i numeri f (k) (x0 ) siano i più semplici possibili. Scegliendo x0 = 0 abbiamo: e = f (1) = n X f (k) (x0 ) k=0 dove Z Rn (0, 1) = 1 0 (1 − 0)n + Rn (0, 1), n! (1 − t)n (n+1) f (t) dt. n! Dato che f (k) (t) = et , ∀k ∈ N, otteniamo: n X 1 + Rn (0, 1), k! e= k=0 dove Z Rn (0, 1) = Dato che et 0 1 (1 − t)n t e dt. n! è crescente abbiamo che: 0 < Rn (0, 1) = Z = 0 1 (1 − t)n t e dt ≤ n! Z 0 1 (1 − t)n 1 e dt < 3 n! = Z 0 1 (1 − t)n dt = n! 3 . (n + 1)! P 1 Possiamo concludere che, se approssiamiamo e a nk=0 k! , commettiamo un 3 errore che non supera il numero (n+1)! . Ad esempio se sceglimo n = 5: e=1+1+ 1 1 1 1 + + + + ε5 , 2 6 24 120 dove 0 < ε5 = Rn (0, 1) < 1 ∼ 3 = = 4 · 10−3 . 6! 240 24 CAPITOLO 5. FORMULA DI TAYLOR Dunque e = 2, 716̄ + ε5 . Se volessimo calcolare e con un approssimazione fissata, ad esempio con 3 errore più piccolo di 10−4 , dovremmo cercare n t.c. (n+1)! < 10−4 , dato che 3 εn < (n+1)! . Ciò si ottiene scegliendo (n + 1)! > 3 · 10−4 e cioè con n = 7; dunque 7 X 1 e= + ε7 k! k=0 e quindi 2, 71825 < e < 2, 71835. √ 10 CON UN ERRORE INFERIORE A 10−3 approssimare la funzione x0 = 9 s µ r r ¶ √ √ 1 1 1 10 = 9 + 1 = 9 1 + =3 1+ f (x) = 1 + 9 9 9 CALCOLARE √ x = g(x) f ( 91 ) ⇒ polinomio di Taylor x0 = 0 µ ¶ 3 1 1 1 − 12 00 f (x) = (1+x) − (1+x)− 2 f (0) = 1 f (x) = 2 2 2 µ ¶µ ¶ 5 1 1 3 f 000 (x) = − − (1 + x)− 2 2 2 2 µ ¶µ ¶ µ ¶ 1 1 1 1 1 (n) f = −1 − 2 ··· − (n − 1) (1 + x) 2 −n 2 2 2 2 ¯ µ ¯ ¯ ¶¯ n+1 (n+1) (c)| ¯ 1 ¯ ¯ ¯ ¯Rn 1 , 0 ¯ = |f ¯ ¯ ≤? per ora possiamo dire che ≤ n! ¯ ¯ 9 (n + 1)! ¯ 9 ¯ ¡ 1 ¢n+1 ¯ ¯ |x|n+1 n! ¯¯ 1 ¯¯n+1 9 → 0 n → +∞ |R (x, 0)| ≤ = n (n + 1)! ¯ 9 ¯ n+1 n+1 1 f (0) = 2 0 0 Svolto in forma di Lagrange: µ ¶µ ¶ µ ¶ 1 1 1 1 1 |f (n+1) (c)| = 1− 2− ··· n − (1 + c) 2 −n+1 ≤ n! 2 2 2 2 r µ ¶ √ 1 1 10 = 3 1 + = 3(f )= 9 9 µ ¶ µ ¶ µ ¶ µ ¶ 1 1 1 1 = 3(Pn , 0 + Rn , 0 ) = 3Pn , 0 + 3Rn ,0 9 9 9 9 ¡ ¢ Bisogna scegliere n in modo che 3Rn 19 , 0 , cioè l’errore, sia < 10−3 . | 91 |n+1 < 10−3 n+1 vale a dire n=3 5.3. APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR 25 USO DI TAYLOR PER IL CALCOLO DEI LIMITI INDETERMINATI - La formula di Taylor con resto di Peano si dimostra utile nel calcolo dei limiti di forme indeterminate. Analizziamo il seguente esempio µ ¶ 1 1 lim − . x→0 x2 x sin x Il limite si presenta sotto forma indeterminata +∞ − (+∞). Utilizzando la formula di Taylor della funzione sin x centro x0 = 0 (mostrata negli esempi relativi alla definizione di ¿o piccolo Àcon n = 1): sin x = x − x3 + o(x4 ); 3! si ottiene: ¶ µ 3 x − x3! + o(x4 ) − x sin x − x 1 1 = lim = lim = lim − 3 x→0 x2 sin x x→0 x2 (x − x + o(x4 )) x→0 x2 x sin x 3! 3 = lim x→0 − x6 + o(x4 ) x3 − x5 6 + o(x6 )) . Dividendo numeratore e denominatore per x3 e tenendo presente che o(x4 ) o(x4 ) = x · →0 x3 x4 per x → 0, come pure o(x6 )/x3 → 0 per x → 0 si ottiene infine il limite euivalente lim x→0 o(x4 ) x3 o(x6 ) x2 6 + x3 − 16 + 1− 1 =− . 6 26 CAPITOLO 5. FORMULA DI TAYLOR Capitolo 6 Integrali impropri 6.1 Definizione ed esempi INTEGRALE IMPROPRIO - Sia a ∈ R e f : [a, +∞) → R t.c. 1. f è integrabile in [a, b], ∀b > a; Rb 2. limb→∞ a f (x) dx esiste ed è finito Allora si dice che f è integrabile in [a, +∞) e si pone Z Z +∞ f (x) dx = lim b b→∞ a a f (x) dx; tale numero si dice integrale improprio di f in [a, +∞). Se il limite (2) converge, l’integrale improprio converge; se il limite diverge (se lim è +∞), l’integrale improprio diverge. In modo analogo definiamo l’integrale improprio di una funzione continua e non negativa in un intervallo illimitato del tipo (−∞, a], o (−∞, +∞); ad esempio: Z +∞ Z b f (x) dx = lim f (x) dx −∞ b→+∞ −b ESEMPIO IMPORTANTE: integrabilità di x−a in [1, +∞) al variare di a Per ogni a 6= 1 possiamo considerare l’integrale: Z 1 +∞ 1 dx = lim b→+∞ xa Z 1 b · x−a dx = lim b→+∞ Si conclude che: ½ Z +∞ 1 1/(a − 1) se dx = a +∞ se x 1 27 x1−a 1−a µ ¸b = lim 1 a>1 a<1 b→+∞ b1−a 1 + 1−a a−1 (converge) (diverge) ¶ . 28 CAPITOLO 6. INTEGRALI IMPROPRI Anche nel caso a = 1 l’integrale diverge in quanto Z b 1 ¯b ¯ 1 = log |x|¯¯ = log b − log a. x a INTEGRALE IMPROPRIO PER FUNZIONI NON LIMITATE - Sia f : (a, b] → R non limitata per x → a+ , se f è integrabile in ogni [a+ε, b], ε > 0, si pone Z b Z b f (x) dx = lim f (x) dx ε→0+ a a+ε se questo limite esiste. ESEMPIO IMPORTANTE: integrabilità di x−a in (0, 1] al variare di a Per ogni a 6= 1 calcoliamo l’integrale: Z 1 0 1 dx = lim xa h→0+ Z 1 · −a x dx = lim h→0+ h x1−a 1−a Si conclude che: ½ Z 1 1 1/(1 − a) se dx = a +∞ se x 0 ¸1 µ = lim h h→0+ a<1 a>1 1 h1−a + 1−a a−1 ¶ . (converge) (diverge) ESEMPIO IMPORTANTE: integrabilità di 1/(x(logx)β ) in [2, +∞) (o più in generale in [a, +∞) con a > 1) al variare di β (con β > 0) - Dato che Z b 1 dx = x[log x]β a ½ 1 1−β |b a 1−β [log x] log | log x| |ba se se β= 6 1 β=1 l’integrale converge se e solo se b > 1. 6.2 Teorema del confronto TEOREMA DEL CONFRONTO - Siano f, g : [a, +∞) → R due funzioni integrabili in [a, b], ∀b > a e t.c. 0 ≤ f (x) ≤ g(x), ∀x ∈ [a, +∞). Allora Z Z +∞ se +∞ g(x) dx converge ⇒ a f (x) dx converge; a Z se Z +∞ f (x) dx a diverge ⇒ +∞ g(x) dx diverge. a 6.2. TEOREMA DEL CONFRONTO 29 Dimostrazione - Poichè f, g ≥ 0, le funzioni Z b Z b F (b) = f (x) dx G(b) = g(x) dx a a sono crescenti e vale F (x) ≤ G(x), ∀b > a. Perciò i loro limiti in b → +∞ sono finiti o infiniti e Z +∞ Z b Z b Z +∞ f (x) dx = lim f (x) dx ≤ lim g(x) dx = g(x) dx. b→+∞ a a b→+∞ a a Tramite questa uguaglianza si verifica la tesi, in quanto se il limite del secondo membro è finito, lo sarà anche quello del primo membro; se non è finito quello del primo membro, non lo sarà anche quello del secondo. TEOREMA DEL CONFRONTO ASINTOTICO - Siano f, g : [a, +∞) → R due funzioni integrabili in [a, b], ∀b > a, e supponiamo che f (x) ≥ 0 e g(x) > 0, ∀x ∈ [a, +∞). Sia f (x) ; x→+∞ g(x) l = lim se a < l < +∞ allora: Z +∞ f (x) dx Z converge a g(x) dx converge. a Dimostrazione - Preso ε = | e quindi +∞ sse l 2 > 0, ∃k t.c. f (x) l − l| < , g(x) 2 ∀x > k l f (x) l 3l l =l− < <l+ = , 2 2 g(x) 2 2 ∀x > k o per meglio dire l 3l g(x) < f (x) < g(x), 2 2 ∀x > k. Applicando il teorema precedente prima alle funzioni 2l g(x) ed f (x), poi a f (x) e 3l 2 g(x), si conclude che Z Z +∞ f (x) dx converge sse k La tesi si ottiene osservando che ipotesi. +∞ g(x) dx converge. k Rk 0 f (x) dx e Rk 0 g(x) dx convergono per 30 CAPITOLO 6. INTEGRALI IMPROPRI Capitolo 7 Serie numeriche Sia an una successione di numeri reali. Definiamo la somma dei termini della succesione, cioè l’espressione a1 + a2 + ... + an + ... Introduciamo con sn la somma dei primi n termini della succesione (somma parziale o ridotta n-esima): sn = a1 + a2 + ... + an = n X ak . k=1 Se il limite per n → ∞ di sn esiste ed è un numero finito, si dice che la serie è convergente; è divergente se il limite vale ±∞. Una serie convergente o divergente si dice regolare; è indeterminata se non esiste il limite per n → ∞ di sn . Il carattere di una serie è la sua proprietà di essere convergente, divergente o indeterminata. CONDIZIONE NECESSARIA PER LA CONVERGENZA DI UNA SEP RIE - Se la serie ∞ a è convergente, allora la successione an tende a 0 k=1 k per n → +∞. Dimostrazione - Indichiamo con sn la successione di somme parziali e con s ∈ R la somma della serie. Essendo sn+1 = sn + an+1 , ∀n ∈ R, risulta lim an+1 = lim sn+1 − lim sn = s − s = 0. n→+∞ n→+∞ n→+∞ P∞ n SERIE GEOMETRICA - Sia q ∈ R; la seie n=0 q si dice geometrica di regione q. Se q = 1, sn = 1 + |1 + {z ... + 1} = n + 1 n volte 31 32 CAPITOLO 7. SERIE NUMERICHE e quindi il suo limite per n → +∞ diverge a +∞. Se q 6= 1: (1 − q)sn = sn − qsn = (1 + q + q 2 + ... + q n ) − (q + q 2 + ... + q n+1 ) = 1 − q n+1 (o per mezzo della formula che esprime la somma di una progressione geometrica con x 6= 1: 1 + x + ... + xn = (1 − xn+1 )/(1 − x)) e quindi: ( 1 |q| < 1 1−q se 1 − q n+1 1 − q n+1 sn = lim = +∞ se |q| > 1 n→+∞ 1 − q 1−q @ se q ≤ −1 La serie geometrica di regione q converge sse −1 < q < 1 nel qual caso la 1 , diverge a +∞ se q ≥ 1 ed è indeterminata se q ≤ 1. sua somma è 1−q SERIE TELESCOPICA - La seie Dato che P+∞ n=1 (bn − bn+1 ) si dice serie telescopica. sn = b1 − b2 + b2 − b3 + ... + bn − bn+1 = b1 − bn+1 tale serie converge sse la successione {bn }n∈N converge; in tal caso +∞ X (bn − bn+1 ) = b1 − lim bn . n→∞ n=1 P 1 SERIE ARMONICA - Una seie del tipo ∞ n=1 n si dice armonica. In questo caso limn→∞ an = 0. La serie non converge, infatti 1 1 1 1 1 1 + ... + + + ... + ) − (1 + + ... + ) = 2 n n+1 2n 2 n 1 1 1 1 1 1 = + ... + > + ... + =n· = . n+1 2n |2n {z 2n} 2n 2 s2n − sn = (1 + n volte Se la serie convergesse, allora sn → s e s2n → s, cioè (s2n − sn ) → s − s = 0, contro il fatto che s2n − sn > 21 , ∀n ∈ N. TEOREMA SULLE SERIE A TERMINI NON NEGATIVI - Una serie a termini non negativi (se ∀n ∈ N risulta an ≥ 0) non può essere indeterminata; è quindi convergente, o diverge positivamente. Per le serie a termini tutti positivi (se ∀n ∈ N risulta an > 0) è valido il criterio del confronto come per gli integrali impropri di funzioni positive. SERIE RESTO - Data una serie P∞ n=1 an ∞ X n=N +1 an ed un intero N , la serie 33 si dice una serie resto della serie originaria. OSSERVAZIONE [7.1] - Siano {sn }n∈N e {tn }n∈N le successioni per le somme parziali ∞ ∞ X X an an e n=1 n=N +1 e cioè sn = n X ak e tn = k=1 n X ak per n ≥ N + 1. k=N +1 Allora sn = sN + tn , ∀n ≥ N + 1 e quindi sn converge sse tn converge. Vale a dire che una serie converge (diverge) sse ogni sua serie resto converge (diverge). CRITERIO DEL CONFRONTO TRA SERIE A TERMINI POSITIVI Siano {an }n∈N e {bn }n∈N due successioni t.c. 0 ≤ an ≤ bn , ∀n ∈ N allora: Se ∞ X bn < +∞ (converge) ⇒ n=1 Se ∞ X ∞ X an < +∞ (converge); (7.1) bn = +∞ (diverge). (7.2) n=1 an = +∞ (diverge) ⇒ n=1 ∞ X n=1 Dimostrazione - Siano sn e tn le somme parziali (o ridotte n-esime) delle successioni an e bn . Risulta che sn = a1 + ... + an ≤ b1 + ... + bn = tn ∀n ∈ N. Inoltre, dato che le serie sono a terini positivi, se il limite di tn è finito allora anche quello di sn lo è, cioè vale la (7.1); se il limite di sn è +∞ allora anche tn diverge, cioè valeP la (7.2). Se per assurdo ∞ essendo a termini posivi, din=1 an non convergesse, P∞ vergerebbe a +∞ e quindi anche b divergerebbe, contraddicendo n=1 n l’ipotesi. CRITERIO DEL CONFRONTO ASINTOTICO TRA SERIE A TERMINI POSITIVI - Sia an > 0, bn > 0, ∀n ∈ N. Poniamo l = lim n→+∞ an . bn Allora i) se 0 < l < +∞ la serie P∞ n=1 an converge sse converge P∞ n=1 bn ; 34 CAPITOLO 7. SERIE NUMERICHE ii) se l = 0, P∞ n=1 bn iii) se l = +∞, convergente ⇒ P∞ Dimostrazione (i) - Preso ε = n=1 an l 2 n=1 an convergente ⇒ convergente; P∞ n=1 bn convergente; > 0, dato che an l = lim , n→+∞ bn e cioè P∞ ¯ ¯ ¯ an ¯ ¯ − l¯ < l , ¯ bn ¯ 2 ∃N ∈ N t.c. l l l an 3l <l+ = , =l− < 2 2 bn 2 2 ∀n ≥ N + 1 ∀n ≥ N + 1 e quindi l 3l bn < an < bn , ∀n ≥ N + 1. 2 2 Questa disuguaglianza ed il teorema precedente implicano che la serie ∞ X an converge sse converge n=N +1 ∞ X bn . n=N +1 Dall’osservazione [7.1] si deduce la tesi. (ii) - Preso ε = 1, ∃N ∈ N t.c. an 0≤ < ε = 1, bn ∀n ≥ N + 1 e quindi 0 < an < bn , ∀n ≥ N + 1. Anche qui, si conclude allora con il teorema precedente e l’osservazione [7.1]. (iii) - In questo caso si avrà lim n→∞ bn = 0. an Basta quindi applicare il (ii) di questo teorema. TEOREMA DI MCLAURIN - Sia f : [1, +∞) → R una funzione decrescente e t.c. lim f (x) = 0. x→+∞ P Allora la serie ∞ n=1 f (n) converge sse converge l’integrale imporoprio Z +∞ f (x) dx. 1 Dimostrazione - Dato che f (x) è decrescente ed è quindi infinitesima all’infinito, si ha che f (x) ≥ 0, ∀x ∈ [1, +∞). Consideriamo ora f nell’intervallo [k, k + 1) con k ∈ N. Dato che f decresce risulta che f (k + 1) ≤ f (x) ≤ f (k), ∀x ∈ [k, k + 1) e quindi Z k+1 Z k+1 Z k+1 f (k +1) = f (k +1) dx ≤ f (x) dx ≤ f (k) dx = f (k). (7.3) k k k 35 Geometricamente, l’area sotto a f e sopra all’asse delle ascisse, tra i punti k e k + 1 ( o tra le funzioni y = k e y = k + 1) è compresa tra le aree dei rettangoli con basi [k, k + 1) ed altezze f (k + 1) e f (k), rispettivamente. Sommando i termini in (7.3) tra k = 1 e k = n otteniamo: n X f (k + 1) ≤ k=1 n Z X k=1 Z k+1 f (x) dx = n+1 f (x) dx ≤ k 1 n X f (k). k=1 Abbiamo perciò dimostrato la formula Z n+1 sn+1 − f (1) ≤ f (x) dx ≤ sn , 1 dove sn = f (1) + f (2) + ... + f (n) è la ridotta n-esima della serie É chiaro allora che: P∞ n=1 f (n). • se tale serie converge allora {sn }n∈N converge ad un numero s e quindi: Z n+1 Z +∞ f (x) dx ≤ s, dunque f (x) dx converge; lim n→+∞ 1 1 • se tale serie divergesse allora il limite per n tentende ad ∞ di sn+1 divergerebbe a +∞ e quindi Z n+1 Z +∞ lim f (x) dx = +∞, dunque f (x) dx diverge. n→+∞ 1 1 P 1 LA SERIE ARMONICA GENERALIZZATA - Una seie del tipo ∞ n=1 np si dice armonica generalizzata. Cerchiamo di studiarne il carattere. Consideriamo un intervallo [k, k + 1] t.c. k ≤ x ≤ k + 1; riuslta che 1 1 1 ≤ p ≤ p, p (k + 1) x k ∀x ∈ [k, k + 1]. Integrando nell’intervallo [k, k + 1] e sommando rispetto a k, si ha: sn+1 − 1 = n X k=1 1 ≤ (k + 1)p Z 1 n+1 n dx X 1 ≤ = sn , xp kp ∀x ∈ [k, k + 1]. k=1 A questo punto, il caso p = 1 coincide con quello della serie armonica. Se p < 1: · 1−p ¸n+1 Z n+1 (n + 1)1−p dx x 1 = sn ≥ = − ; p x 1−p 1 1−p 1−p 1 dato che 1 − p > 0, l’ultimo membro tende a +∞ per n → +∞, quindi ache la successione sn tende a +∞. 36 CAPITOLO 7. SERIE NUMERICHE Se p > 1: Z sn+1 ≤ 1 + 1 n+1 dx (n + 1)1−p 1 = 1 + − ; xp 1−p 1−p dato che 1 − p < 0, per n → +∞ la successione (n + 1)1−p tende a 0 e quindi la successione sn+1 (che ha limite perchè è a termini positivi) è convergente. Riassumendo, la serie armonica generalizzata è convergente se p > 1 ed è divergente se 0 < p ≤ 1. Inoltre è divergente se p ≤ 0 in quanto il suo termine n-esimo non tende a 0. 7.1 Criteri D’Alembert CRITERIO DELLA RADICE - Sia an ≥ 0, ∀n ∈ N (succesione a termini non negativi) e sia √ l = lim n an . n→+∞ Allora, la serie ∞ X an n=1 i) converge se 0 ≤ l < 1; ii) diverge se l > 1. Dimostrazione √ (i) - Sia q ∈ N t.c. l < q < 1. Dato che n an → l, preso ε = q − l > 0, √ √ ∃N ∈ N t.c. | n an − l| < ε = q − l, ∀n ≥ N + 1 e quindi n an < ε + l = q, ∀n ≥ N + 1. Perciò risulta 0 ≤ an ≤ q n , ∀n ≥ N + 1. Dato che ∞ X qn n=N +1 è una serie geometrica (di cui conosciamo essendo q < 1, per P∞ il carattere), n converge e quindi anche il criterio del confronto anche la serie a n=N +1 P∞ n n=1 a . √ (ii) - Preso ε = l − 1 > 0, ∃N ∈ N t.c 1 = l − εP < n an , ∀n ≥ N + 1 ossia n 1 < an ; quindi an non può tendere a 0 e dunque ∞ n=1 a diverge. Inoltre nel caso l = 1 non è possibile giungere ad una conclusione. CRIETERIO DEL RAPPORTO - Sia an ≥ 0, ∀n ∈ N e sia l = lim n→+∞ an+1 . an 7.2. CONVERGENZA ASSOLUTA E CRITERIO DI LEIBNITZ Allora, la serie ∞ X 37 an n=1 i) converge se 0 ≤ l < 1; ii) diverge se l > 1. Dimostrazione - (i) - Sia l < q < 1, come prima, ∃N ∈ N t.c an+1 <q an quindi an+1 < qan , ∀n ≥ N + 1. Dato che n ≥ N + 1 si ha: an < qan−1 < q 2 an−2 < ... < q n−N +1 aN +1 = aN +1 n q . q N +1 Dato che la seguente serie converge (essendo q < 1) ∞ X aN +1 n q q N +1 n=N +1 P allora, sempre per il criterio del confronto, converge anche la serie ∞ n=N +1 an , P∞ e quindi anche n=1 an . (ii) - Come prima, ∃N ∈ N t.c an+1 > 1, an ∀n ≥ N + 1. Ma allora an ≥ aN +1 , ∀n ≥ N + 1, quindi an non può tendere a 0. ESEMPIO - La seguente serie converge ∀x > 0: ∞ X xn n=0 n! . Infatti, ∀x > 0, vale: l= 7.2 xn+1 (n+1)! lim n n→∞ x n! = lim n→∞ x = 0 < 1. n+1 Convergenza assoluta e criterio di Leibnitz CONVERGENZA ASSOLUTA - Una serie a1 + a2 + ... + an + ... si dice assolutamente convergente se risulta convergente |a1 | + |a2 | + ... + |an | + ... . Una serie assolutamente convergente è convergente, ma non è necessariamente vero il contrario (si pensi alle serie alternate). 38 CAPITOLO 7. SERIE NUMERICHE Un criterio simile è valido per gli integrali impropri: Z +∞ Z +∞ |f (x)| dx converge ⇒ f (x) dx converge. a a CRIETERIO DI LEIBNITZ PER SERIE A SEGNO ALTERATO - Si consideri la serie ∞ X (−1)n+1 an n=1 dove an ≥ 0, ∀n ∈ N. Se {an }n∈N è decrescente e an → 0, per n → ∞, allora la serie originaria converge. Dimostrazione - Consideriamo la ridotta n-esima sn = a1 − a2 + a3 − ... + (−1)n−1 an . Poniamo tk = s2k ed uk = s2k−1 ; si osserva che: tk+1 = s2k+2 = s2k − a2k+1 + a2k+2 ≤ s2k = tk dato che a2k+2 ≤ a2k+1 , essendo la successione {an }n∈N decrescente. Allo stesso modo si ha: uk+1 = s2k+1 = s2k−1 + a2k − a2k+1 ≥ s2k−1 = uk . Abbiamo quindi dimostrato che {tk }k∈N decresce e {uk }k∈N cresce. Inoltre tk = s2k = s2k−1 + a2k ≥ s2k−1 = uk , ∀k ∈ N. Dato che tk ≤ t1 e uk ≥ u1 , ∀k ∈ N, le due successioni convergono rispettivamente ai due membri t e u. Infatti {tk }k∈N decresce ed è limitat inferiormente da u1 (tk ≥ uk ≥ u1 ), mentre {uk }k∈N cresce ed è limitata superiormente da t1 (uk ≤ tk ≤ t1 ). Inoltre si ha t − u = lim (tk − uk ) = lim a2k = 0 k→∞ k→∞ cioè t = u. Poniamo allora s = t = u. Osserviamo che se n è pari (= 2k) allora |sn − s| = |tk − t| = tk − t = tk − u ≤ tk − uk+1 = a2k+1 = un+1 ; invece, se n = 2k − 1 abbiamo |sn − s| = u − uk = t − uk ≤ tk − uk = a2k = an+1 . Quindi in ogni caso si ha |sn − s| ≤ an+1 , ∀n ∈ N. Dato che an+1 → 0 per n → ∞, anche sn → s per n → ∞, cioè la serie converge. Capitolo 8 Equazioni differenziali EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE - Un equazione differenziale ord. di ordine n in forma generale si scrive cosı̀: F (x, y, y 0 , y 00 , ..., y (n) ) = 0. (8.1) F è una funzione di n + 2 variabili che vincola la varibile indipendente x, una funzione y e le sue derivte. Una soluzione di (8.1) è una funzione φ = φ(x) definita in un intervalli [a, b] ed in esso continua insieme a tutte le sue derivate fino all’ordine n, t.c. F (x, φ, φ0 , φ00 , ..., φ(n) ) = 0 8.1 ∀x ∈ (a, b). Equazioni differenziali lineari del 1◦ ordine EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL 1◦ ORDINE - Un equazione differenziale lineare del 1◦ ordine è del tipo y 0 = a(x)y + b(x), (8.2) con a(x) e b(x) funzioni continue in un intervallo fissato. La funzione y = y(x) è l’incognita dell’equazione differenziale; y(x) è soluzione dell’equazione data se è derivabile e se y(x), y 0 (x) soddisfano l’equazione data ∀x nell’intervallo. Se la funzione b(x) è identicamente nulla, l’equazione si dice omogenea. L’idea per risovere (8.2) consiste nel cercare una funzione m(x) (il cosiddetto fattore integrante) t.c. d [m(x)y(x)] = m(x)[y 0 (x) − A(x)y(x)]. dx Se troviamo tale fnzione, allora dalla (8.2) otteniamo d [m(x)y(x)] = m(x)B(x), dx 39 (8.3) 40 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI e quindi integrando: Z x m(x)y(x) = m(t)B(t) dt + c x0 ossia ½Z y(x) = m(x) −1 x ¾ m(t)B(t) dt + c . (8.4) x0 L’equazione (8.3) implica che m0 (x)y(x) + m(x)y 0 (x) = m(x)y 0 (x) − m(x)A(x)y(x) cioè m0 (x) = −A(x)m(x) se supponiamo che y(x) non sia sempre nulla. Da quest ultima ricaviamo la soluzione ½Z x ¾ m(x) = exp A(t) dt ; x0 mentre dalla (8.4) otteniamo la formula risolutiva: ¾ ½Z x Rt Rx A(s) ds A(t) dt x x dt + c . B(t)e 0 y(x) = e 0 x0 Dato che y(x0 ) = c, possiamo riscrivere la formula rislutiva con la sostizuine appena enunciata. TEOREMA - Tutte le soluzioni dell’equazione diferenziale lineare del 1◦ ordiene sono espresse da Z A(x) y(x) = e e−A(x) b(x) dx, dove A(x) è una primitiva della funzione a(x). EQUAZIONI DI BERNOULLI - Si dicono di Bernoulli le equazioni differenziali del 1◦ ordine del tipo: y 0 = a(x)y + b(x)y α con a(x) e b(x) funzioni continue in uno stesso intervallo e α un numero reale che supporremo diverso da 0 e da 1 (per non ricadere nel caso delle eq. lineari). Se α > 0, la funzione y(x) identicamente nulla è soluzione dell’equazione data. Se α > 0 e y(x) non si annulla per alcun valore di x, o se α < 0, vanno divisi entrambi i membri per y α : y 0 y −α = a(x)y 1−α + b(x). 8.2. EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL 2◦ ORDINE 41 EQUAZIONI A VARIABILI SEPARABILI - Si dicono a variabili separabili le equazioni differenziali del 1◦ ordine del tipo: y 0 = f (x) · g(y) con f (x) e g(y) funzioni continue. Se g(y0 ) = 0 per qualche valore reale y0 , allora la funzione costante y(x) = y0 è soluzione dell’equazione proposta. Se g(y) non si annulla possiamo dividere entrambi i membri per g(y) ed integrare rispetto a x: Z Z y 0 (x) dx = f (x) dx. g(y(x)) Indichiamo con F (x) una primitiva della funzione f (x) e con G(y) una primi1 tiva di g(y) , pensando y come variabile indipendente. La relazione precedente si può scrivere nella forma G(y(x)) = F (x) + c. Se G è una funzione invertibile, si ricava l’espressione della soluzione. 8.2 Equazioni differenziali lineari del 2◦ ordine EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL 2◦ ORDINE - Un eq. diff. lin. del 2◦ ord. è un equazione nella quale, oltre all’incognita y(x), compaiono anche la derivata prima y 0 (x) e la derivata seconda y 00 (x). Un eq. diff. lin. del 2◦ ord. a coefficienti costanti è del tipo y 00 + ay 0 + by = f (x), dove le costanti a e b si dicono coefficienti dell’equazione, mentre f (x), funzione continua in un intervallo fissato, è il termine noto. L’equazione si dice omogenea se f (x) ≡ 0, altrimenti si dice non omogenea. Una funzione y = y(x) è soluzione dell’eq. diff. data se è derivabile due volte e se y(x), y 0 (x) e y 00 (x) soddisfano l’eq. di partenza, ∀x nell’intervallo fissato. L’insieme di tutte le soluzioni si chiama integrale generale. Introduciamo il simbolo L(y) (detto operatore): L(y) = y 00 + ay 0 + by. Possiamo dunque riscrivere l’equazione differenziale nella forma L(y) = f , con L(y) = 0 equazione omogenea associata ad essa. Per trovare tutte le soluzioni di L(y) = f si cerca prima una soluzione y(x) di tale equazione, poi si cercano tutte le soluzioni y0 (x) dell’equazione 42 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI omogenea associata. Infine, l’integrale generale (y(x)) di L(y) = f si ottiene sommando y(x) e y0 (x). SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE OMOGENEA - Tutte le soluzioni dell’equazione del 2◦ ordine lineare omogenea si descrivono nel seguente modo: • se ∆ > 0: y(x) = c1 eλ1 x + c2 eλ2 x ; • se ∆ = 0: y(x) = c1 eλ1 x + c2 eλ1 x ; • se ∆ < 0: y(x) = c1 eαx cos βx + c2 eαx sin βx. Dove: λ1 = e −a − √ a2 − 4b , 2 a α=− , 2 λ1 = −a + √ a2 − 4b 2 √ √ −∆ 4b − a2 β= = . 2 2 METODO DELLA RIDUZIONE DELL’ORDINE A COEFFICIENTI COSTANTI - Data l’equazione differenziale lineare del 2◦ ordine y 00 + a(x)y 0 + b(x)y = f (x); (8.5) suponiamo che a, b, f siano continue in (α, β). Questa equazione si può sempre integrare non appena si conosca una soluzione y1 (x) dell’eq. omogenea associata. L’idea è quella di supporre che ogni soluzione y(x) sia della forma y(x) = u(x)y1 (x), dove u(x) è una funzione incognita. Una volta calcolate le derivate di y(x): y 0 = u0 y1 + uy10 y 00 = u00 y1 + 2u0 y10 + uy100 sostituiamole nella (8.1): f = y 00 + ay 0 + by = u00 y1 + 2u0 y10 + uy100 + a(u0 y1 + uy10 ) + buy = = u00 y1 + u0 (2y10 + ay1 ) + u(y100 + ay10 + by1 ) = u00 y1 + u0 (2y10 + ay1 ). L’ultimo passaggio si ha in quanto y1 è soluzione dell’eq. omogenea associata. Otteniamo dunque l’equazione: y1 (x)u00 + [2y10 (x) + a(x)y1 (x)]u0 = f (x); in cui non c’è dipendenza da u. Ponendo z = u0 : · 0 ¸ y1 (x) f (x) 0 z + 2 + a(x) z = y(x) y1 (x) 8.2. EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL 2◦ ORDINE 43 che è un eq. lineare del 1◦ ordine, per cui si usa la formula ½Z ¾ R R − A(x) dx A(x) dx z(x) = e B(x)e dx + c1 y 0 (x) dove A(x) = 2 y11 (x) + a(x) e B(x) = yf1(x) (x) . 0 Dato che u = z(x), integrando otteniamo: ¸ ¾ Z · R Z Z R R − A(x) dx A(x) dx − A(x) dx u(x) = e B(x)e dx + c2 e dx + c1 . In conclusione, dato che y = uy1 , si ha y(x) = ȳ(x) + c1 y1 (x) + c2 y2 (x) con Z · ȳ(x) = y1 (x) − e R Z A(x) dx Z y2 (x) = y1 (x) e− R B(x)e R A(x) dx A(x) dx ¸ dx ; dx; dove ȳ(x) è una soluzione particolare di (8.1) e y1 (x), y2 (x) sono due soluzioni dell’eq. omogenea assoiata. METODO DELLA VARIAZIONE DELLE COSTANTI - Siano y1 (x), y2 (x) due soluzioni dell’equazione omogenea associata ad una data equazione difrenziale lineare a coefficienti costanti del 2◦ ordine.