Angelo Raffaele Pupino Pirandello. Poetiche e pratiche di umorismo

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Angelo Raffaele Pupino Pirandello. Poetiche e pratiche di umorismo
Angelo Raffaele Pupino
Pirandello. Poetiche e pratiche di umorismo
Roma, Salerno Editrice, 2014, pp. 331
di Paola Villani
Un “eterno ritorno”, e sempre nuovo, a Pirandello è quello che offre Angelo Raffaele Pupino,
nella sua feconda fedeltà ad uno degli autori più complessi problematici e densi della storia
letteraria di tutti i tempi. Il suo ultimo libro, Pirandello. Poetiche e pratiche dell’umorismo, apparso
per i tipi della Salerno editrice, rinnova e arricchisce lunghi anni di studio, con saggi che hanno
segnato decisive tappe nella storia della critica pirandelliana (Pirandello. Maschere e fantasmi,
2000; La maschera e il nome. Interventi su Pirandello, 2001; Pirandello o l’arte della dissonanza.
Saggio sui romanzi, 2008).
Lo studio legge il saggio-“manifesto”, L’umorismo, utilizzando quelle pagine come centro
radiante di una poetica che, in un fecondo intreccio di auto-acquisizioni, si declina nella quasi
totalità della produzione narrativa e drammatica.
Restando saldamente fermo al testo, Pupino offre una (attesa) lettura delle due edizioni, la
Carabba del 1908 (ma in realtà 1909 come si dimostra in questo studio) e la Bettinelli del 1920,
sulla quale si basano le successive ristampe eccezion fatta per quella inclusa nel Meridiano curato
da Taviani. Tra la prima e la “seconda edizione aumentata” lo studioso conduce la sua dettagliata
analisi testuale, attento anche ai sensi e agli indirizzi della poetica pirandelliana, che viene letta
nella sua interezza incoerente, nelle sue continue acquisizioni, nei suoi tributi e nelle sue fonti, oltre
che, prospetticamente, nel suo configurarsi come modello o canone, per la letteratura e per la
cultura europea del Novecento. Un utile – mai ultimo – completamento del ritratto di uno dei
migliori interpreti della moderna lacerazione dell’essere e dell’individuo, della “disarmonia” del
mondo, dell’uomo e dei suoi destini.
In quest’ampia e documentatissima ricostruzione Pupino punta anche a dare profondità ad un
Autore troppo spesso gravato da una selva di letture critiche, non di rado semplificatorie e
stigmatizzanti una scrittura, una poetica e un pensiero del quale invece Pupino, fedele a uno dei
capisaldi del pensiero pirandelliano, non cerca la coerenza e la fissità ma le molteplicità e le
contraddizioni oltre che i movimenti, le evoluzioni e persino i rinnegamenti.
Scevro, per acquisizione di metodo cosciente e meditata, da alcuna aspirazione all’unità e
coerenza, Pupino conduce la sua analisi quasi impersonandosi nel suo Autore fino ad acquisirne il
metodo, con procedimenti ancipiti, teso sempre a mostrare un argomento ma anche il suo contrario,
consapevole che tale ambiguità e duplicità radicano nella natura stessa del suo Autore al quale
troppo spesso la critica ha chiesto una unità che egli non solo non possiede, ma lavora
metodicamente per scardinare.
Partendo dal saggio-manifesto, attingendo all’amplissimo corpus testuale, non ultima la
pubblicistica e le eloquenti interviste (a Ojetti e Rosso di San Secondo solo per citare le più note) e
non escludendo le carte private, le “carte messaggere”, sullo sfondo di una storia critica altrettanto
frastagliata, Pupino ricostruisce una fitta rete testuale nei quali l’umorismo prende forma e sostanza
e innerva l’intera poetica pirandelliana, in un continuo e deliberato trapasso dalla narrativa alla
saggistica, in una feconda ibridazione di generi, codici e registri che fonda un cosciente selfplagiarism, con auto-trapianti che trasferiscono brani da una scrittura all’altra. In questa chiave il
“manifesto” dialoga a filo diretto con i precedenti romanzi, il Pascal e L’esclusa, e con le
successive opere, dai Sei personaggi a Suo marito, alle novelle, passando per una moltitudine di
scritti meno noti, anche rari, tutti passati in rassegna in questo studio.
Il volume quindi finisce col legittimare e dare spessore alla ibridazione e molteplicità di
vocazioni che hanno segnato la alterna fortuna critica dell’Autore, in primis la stroncatura crociana,
quella osservazione sul «convulso inconcludente filosofare» che lo collocava ai margini dell’arte
come anche della filosofia.
Lo studio dunque, senza mai perdere unità e senza mai cedere alle pur lusinghiere forze
centrifughe dalle quali il corpus pirandelliano è animato, si muove in una molteplicità di direzioni,
nello spazio, nei tempi e nei modi pirandelliani, organizzando un vero viaggio nell’umorismo che è
in realtà un viaggio alla scoperta della cultura della poetica pirandelliana e della cultura
novecentesca in genere. L’umorismo come «baricentro di tutto l’impegno» dell’Autore, «magnete»
che attrae anche la produzione precedente al saggio e quella successiva.
Attingendo all’avantesto e al paratesto, Pupino ricostruisce un’ideale autobiografia di un autore
antibiografico per principio e per metodo. Una «autobiografia immaginaria» (per citare una formula
d’Autore risalente a una nota intervista del 1936) nel quale l’autore si converte in narratore, homo
fictus.
Centro dello studio non poteva non essere la lettura crociana, appunto, o meglio il rapporto
Croce-Pirandello che ha trovato proprio nell’umorismo il più fecondo terreno di sviluppo. Un
rapporto di contrasti ma anche di convergenze, che Pupino legge, ripercorrendo il dialogo testuale
tra i due Autori. Arte e scienza e la prima edizione dell’Umorismo vengono interpretati come
confutazione dell’Estetica e dunque uno dei molteplici moventi all’intervento crociano. E anche la
seconda edizione del “manifesto” acquista luce come risposta alle critiche che il saggio del 1908
aveva sollevato, in primis la stroncatura crociana, che resta presenza constante nell’edizione
Battistelli.
In questa poetica dell’umorismo, che si collega inscindibilmente al principio di contraddizione e
all’ambivalenza e ancipitarietà come motivi essenziali della Weltanschauung pirandelliana, altro
riferimento dovuto non poteva non essere a Shakespeare, in particolare all’Amleto, vero capostipite
della dinastia tutta moderna e post-moderna dell’antieroe, in quel delicato passaggio di morte
dell’eroe (che avrebbe trovato precisa elaborazione teorica nel noto intervento di Bachtin e
prim’ancora di Praz) che Pirandello tratteggia tra l’altro in un celebre passo del Pascal, nel
personaggio di Anselmo Paleari che – sul filo dell’umorismo – segue il passaggio dall’eroe Oreste
alla marionetta dell’eroe di Amleto: il vendicatore benedetto dagli dei trasformato in un vendicatore
mancato, inibito, impossibilitato all’azione dai suoi dubbi, personaggio della modernità liquida
affrescata da Bauman e prima ancora dal meno fortunato George Gusdorf (come acutamente
osserva Pupino). Nella fondazione e nel ritratto dell’uomo moderno, sul filo della poetica
dell’umorismo, Pupino inserisce Pirandello in una fitta rete testuale che copre l’Europa e si dipana
per quattro secoli. Una rete della quale riesce a recuperare fili, trame e orditi, fonti, passaggi e
snodi: da Constant a Bourget, Nietzsche o Sciascia, ma soprattutto Shakespeare e Montaigne.
Al centro di questo ampio viaggio, Pupino legge l’amplissima riflessione europea sull’umorismo,
i testi che fecondano la prima edizione e più ancora la seconda (esempio per tutti Le rire di
Bergson, assente nella princeps); oltre ai numerosi testi taciuti o sconosciuti dall’Autore (da Trezza
a Baudelaire, da Dumont a Freud).
All’interno della poetica dell’umorismo, acquisita nell’alveo di quella formula di «disarmonia
prestabilita» che Pupino applica a Pirandello, nel confronto tra vita e arte, tra la «logica armoniosa»
dei «mondi artificiali» dell’arte e la precarietà della «realtà vera», prende forma anche il
personaggio, la funzione e il suo rapporto con l’autore, tema al quale Pupino sono dedicati alcuni
densi capitoli.
Ed è sempre l’umorismo a introdurre a una dimensione metanarrativa della scrittura
pirandelliana, e a una più ampia «dimensione riflessiva» che richiama quella che Hegel individuava
come dimensione «trascendentale» della prosa, profetizzandone la nascita sulle ceneri del
romanticismo. Pirandello darebbe compimento alla profezia hegeliana. E così, in un cerchio
magico, che prende corpo da forze centrifughe e centripete dell’ampio percorso di Pupino, si torna
al rapporto tra scrittura e pensiero, narrativa e filosofia, che apre e chiude il volume. Il tema dei
temi, sul quale si è scontrata la critica pirandelliana in oltre un secolo. Al centro resta la domanda
(retorica) di Pupino, che è poi il filo conduttore di tutta la ricerca; la domanda sulla natura binaria,
ambivalente e oppositiva della scrittura della poetica e dello stesso pensiero di Pirandello, oltre che
della sua vocazione: «Si può sciogliere un’ancipitudine troppo ostinata?». E lo studioso propone
quasi a conclusione: «S’è acclarato che il Nostro non disdegna di cedere alla lusinga di essere
filosofo. Ma sappiamo pure che rilutta spesso al profilo relativo; e che ad esso preferì lo statuto di
“artista” […] l’arte esercita per e con il Nostro una funzione dominante: detiene un grado
gerarchicamente superiore dell’ethos che le spira attorno. È essa il di lui fine» (p. 288). E ancora:
«Se Pirandello è memorabile, e se grandeggi, non è per la sua presunta filosofia […]. Pirandello lo
ricordiamo per l’arte propria. Che tuttavia non è isolabile dal resto. Non dico tanto dalla filosofia,
visti i dubbi che suscita. Dico piuttosto dal pensiero che, acuto o meno acuto, frammentario o
sistematico che sia, egli comunque esprime» (p. 291). Una proposta volutamente non conclusiva,
ma aperta, in sintonia con la «dissonanza congenita» alla quale Pupino (-Pirandello) resta fedele.