PDF - Spaghetti Writers

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ACCELERAZIONI #4
DAVID VALENTINI
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Quel giorno chiunque abbia incrociato Anna ha capito subito che si portava appresso un dolore.
Lo ha capito Gopal, il venditore di rose, che le si era avvicinato per poi fermarsi all’ultimo,
quando l’aveva vista gettare l’anello nel tombino. La ragazza aveva resistito un secondo in più
e poi, voltato l’angolo, aveva ceduto ogni difesa in un pianto che si andava mescolando con la
pioggia. Gopal allora aveva osservato il ragazzo dai capelli lunghi in fondo alla strada.
Ma non conosceva abbastanza bene l’italiano per provare a convincere quel tipo cupo
avvolto nella felpa nera. Quello che aveva imparato nella sua India qui non contava niente, e
vent’anni dopo era ancora un venditore di rose che importunava le giovani coppie durante le
cene. Nessuno sapeva il suo nome, a nessuno importava.
Una volta si era intromesso in una lite fra fidanzati, proprio come avrebbe voluto fare quella
sera. Si era ritrovato pestato e col mazzo di fiori a pezzi. Non aveva mangiato quella sera.
Anni prima aveva provato a cambiare zona, perché d’inverno a San Lorenzo ci sono solo
universitari nervosi o ubriachi. Non si vendono le rose, al massimo il fumo, come fanno i
nigeriani a piazza dell’Immacolata. Era andato verso piazza del Popolo. Non gli erano ancora
chiari i concetti di mafia e di zona. Era stato fortunato a tornare a casa quella sera.
Ora Gopal fissava il ragazzo e pensava stupido, getti la spugna, la lasci andare via così?
Poi si è detto che è meglio farsi gli affari propri. Nessuno darebbe retta a un venditore di
rose.
Lo ha capito Ardian, il barbone che dorme nel parchetto davanti al Verano, vicino al fioraio.
Aveva raccolto le sue cose e si stava spostando verso Termini quando aveva riconosciuto un
suono familiare. La laurea in ingegneria che aveva preso nel suo paese qui non contava niente,
però sapeva riconoscere un motore ingolfato, una macchina che non vuole partire. E la
macchina di quella ragazza non sarebbe partita perché l’acquazzone aveva bagnato le candele.
Nei suoi primi mesi a Roma – gli venne in mente quel marzo del 1991, esattamente un quarto
di secolo fa, anche se non c’era niente da festeggiare – aveva imparato un po’ d’italiano.
Avrebbe potuto comunicare con quella ragazza, che ora prendeva a calci lo sportello, dirle che
bastava aspettare la fine del temporale. Le candele si sarebbero asciugate e tutto si sarebbe
sistemato.
Ma quando si è avvicinato, ripetendo a bassa voce la frase per non sbagliare l’accento e le
parole, ha visto la paura negli occhi di lei. Voleva dirle che non doveva spaventarsi, che anche
se era lurido e viveva in un cartone voleva solo aiutarla. Non cercava soldi o altro. Ma Anna è
scappata via.
Allora Ardian ha alzato lo sguardo al cielo, vedendo solo un’immensa distesa grigia. Poi si
è incamminato, sperando che alla Caritas fosse rimasta una branda libera.
Lo ha capito Luisa, che dopo tre rinvii del prof era riuscita a sostenere l’esame di storia del
cinema e a prendere quel benedetto trenta. Aveva studiato per mesi sui libri di Bordwell,
Thompson e King, e passato ore a vedere film su film. Avrebbe potuto ripetere ogni mossa del
ballo fra Mia Wallace e Vincent Vega, e recitare l’intero discorso di Massimo davanti
all’imperatore Commodo. Si era bloccata un istante alla domanda sul simbolismo della Ricotta
di Pasolini, ma poi era tutto filato liscio.
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Aveva la sua ricevuta, ora voleva solo ubriacarsi come se non ci fosse un domani.
Era felice, tanto felice.
Per questo ha fatto finta di non vederla quando le è passata davanti con l’ombrello verde.
Due anni prima era stata Anna a darle una mano col primo piano di studi, ma dopo la sua
laurea non l’aveva più vista. Ora le sembrava che stesse male per qualcosa. Magari sarebbe
bastato salutarla, dirle ciao, senza andare a fondo, senza chiedere cosa avesse.
Ma qualcuno ha risposto al telefono, era già troppo tardi. Bisognava organizzare la serata.
Lo ha capito David vedendola entrare in metro, ma ha avuto solo il tempo di pensare che fosse
proprio una bella ragazza. È rimasto impalato sulle scale mentre la gente lo spintonava e gli
diceva di levarsi dal cazzo. Ha fatto una smorfia scrollando le spalle, si è calato il cappuccio
della felpa ed è tornato a rimuginare sul maledetto lavoro. Quella sera avrebbe ripensato a lei,
chiedendosi dove l’avesse già vista.
Lo ha capito la signora Antonia quando l’ha vista accasciarsi a terra. La metro era bloccata da
quasi un’ora fra Cavour e Colosseo. Si era semplicemente fermata e nessuno era ancora venuto
a sistemare le cose. La gente aveva iniziato a sbraitare, alcuni accusavano il governo, altri il
temporale. Poi la voce aveva detto che le corse erano ferme perché fra Piramide e Garbatella si
era allagato tutto.
Erano intrappolati lì ma Antonia non aveva fretta. A casa non l’aspettava nessuno. Un
tempo c’era suo marito, ora non più. Così quando quella ragazza – che aveva passato venti
minuti al telefono dicendo che avrebbe fatto tardi, che no, tornava da sola e poi avrebbe
spiegato, no, un cazzo era tutto ok – sentendo l’annuncio si era alzata e aveva iniziato a
prendere a pugni le porte del vagone, Antonia aveva pensato che fosse matta. Una di quelle
viziate che passano la giornata a scegliere come abbinare rossetto e scarpe.
Poi però la ragazza era svenuta, o qualcosa del genere. Qualcuno si era affrettato a rimetterla
in piedi, un uomo con la giacca l’aveva fatta sedere. Si era ripresa, aveva chiesto un po’ d’acqua.
L’uomo le aveva dato una bottiglietta, Antonia aveva tirato fuori un paio di caramelle.
Hanno iniziato a parlare. A quella donna Anna ha detto tutto. Dei cinque anni insieme, della
laurea, del lavoro, della paura per il futuro. Di come era stata fredda negli ultimi giorni perché
non sapeva come lui l’avrebbe presa. Ché sì, lo amava, ma a volte pensava che Marco non fosse
pronto per le responsabilità. Di come poi si era decisa e gli aveva chiesto di parlare. Di come si
fosse confidata con la sua amica Antonella, che aveva tentato di dissuaderla, e Anna non aveva
capito perché. Di come poi Nina aveva ceduto e le aveva inviato uno screenshot. Di come il
mondo aveva perso colore in quel momento. Di come sentiva che ogni certezza era nulla, ogni
promessa un tradimento.
Com’è strana la vita, stava dicendo ora. Una crede di avere accanto l’amore, e invece è solo
uno stronzo che ti cornifica con la prima puttana.
Tutto era iniziato da niente – da una stretta di mano e una battuta su un gruppo musicale –
e tutto finiva nel niente. Chi glielo diceva ai suoi adesso?
Sai, ha detto Antonia toccando la conchiglia spezzata appesa al collo, io e mio marito
siamo stati sposati per quasi cinquant’anni. Quando è morto ho sentito il mondo crollarmi
addosso.
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Così in pochi minuti le ha raccontato la sua lunga vita. La povertà del dopoguerra, gli studi,
il Sessantotto. Aveva visto sognare l’Italia, aveva visto fallire la prima e la seconda repubblica.
Le è venuta in mente la canzone di Rino Gaetano, Anna la conosceva. E ora che le avevano
trovato il cancro, il mondo le appariva una pellicola. Poteva riguardarla quante volte voleva,
ma non riavvolgerla. Se avesse potuto, però, avrebbe rivissuto un giorno qualunque dell’estate
del ’71, quando il marito si prese un mese intero di ferie e insieme girarono per tutta la penisola.
Fu lì che lui raccolse la più bella delle conchiglie e gliela regalò. La porta appesa da quel giorno.
Anna ha detto che quella era una bella storia.
Antonia ha risposto che qualche mese prima, quell’anno, aveva fatto una cosa brutta al
marito. Molto brutta. Ma lui l’aveva perdonata e le aveva regalato quell’estate.
Poi ha aggiunto che il vuoto della solitudine è la cosa peggiore al mondo. Dammi retta, Anna.
Dopo un po’ la metro ha ripreso a funzionare. Anna ha salutato Antonia, promettendole che
sarebbe passata a trovarla almeno una volta a settimana, perché aveva perso i nonni da
bambina e voleva sentire altre storie dell’Italia che non aveva conosciuto.
Lo ha capito il cameriere del pub davanti la metro Pigneto. Per primo ha visto arrivare il
ragazzo dai capelli lunghi, l’ha visto sedersi e aspettare. Dopo una ventina di minuti è arrivata
la ragazza con l’ombrello verde. C’erano sentimenti diversi nei loro occhi. Quando il ragazzo
ha iniziato a parlare, lei gli ha mollato uno schiaffo che l’ha quasi steso a terra. L’ha riempito
di insulti, davanti a tutti. Poi lui si è guardato intorno, ha provato a dire qualcosa, e stavolta
lei l’ha lasciato fare. Ha chiesto scusa per tutto. Ha detto sono un coglione, perdonami.
Perdonami.
Poi il cameriere è stato chiamato a servire un altro tavolo. Mentre prendeva le ordinazioni
vedeva quei due là fuori sotto il pergolato. Lei ora gli toccava l’occhio gonfio, forse gli chiedeva
come se l’era fatto. Lui abbassava lo sguardo, non riusciva a guardarla.
Lei gli ha toccato il braccio, lui ha provato a dire qualcosa ma lei l’ha zittito. Quando lei ha
finito di parlare, il ragazzo aveva la sorpresa dipinta in faccia.
Il cameriere non riusciva a seguire i loro discorsi, riempiva una rossa media senza mollarli.
Dalla vetrina ha visto il ragazzo alzarsi, fare il giro del tavolino, prenderle la mano,
abbracciarla. Lacrime gli uscivano dall’occhio mezzo chiuso.
Il padrone del pub lo ha ripreso, non lo pagava per guardare il Grande fratello.
Il cameriere, che ovunque avrebbe voluto essere tranne che lì, ha portato al tavolo la rossa
media, il bicchiere di vino bianco, la Coca light e il panino col tacchino. Due ragazzi e una
ragazza, avranno avuto la sua età.
Quando esce il tavolino è vuoto. Il lontananza vede l’ombrello verde voltare l’angolo.
Lo capisce Anna guardandosi nello specchietto della macchina. Si guarda, scherza su quanto
siano stanchi quegli occhi. Questa giornata sembra non finire più.
Dalla radio Vasco Brondi dice che non c’è alternativa al futuro.
Anna si volta verso Marco, gli dice che resta un coglione e deve farsi perdonare. Marco la
guarda, dice che farà tutto il possibile. Tutto il possibile, davvero.
Anna lo guarda. Si sente sporca, ma quello è il padre del figlio che le sta crescendo dentro.
Gli dice che faranno tutto il possibile.
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Dalla radio Vasco Brondi dice che forse si tratta di fabbricare quello che verrà, con materiali
fragili e preziosi, senza sapere come si fa.
Lui si volta. Lei lo guarda.
Ti amo.
Gli dà un bacio, poi gli appoggia la testa sulla spalla.
David Valentini
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