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INOISNHD~H G. JEREMIAS, Die Holztiir der Basilika S. Sabbia in Rom unter Verwendung neuer Aujnahmen von F. X. Barti f = Bilderbe/te des Deutschen Archiiolo gischen Instìtuts Rom, 7. He/tJ, Verlag Ernst Was muth, Tiibingen 1980, 166 pp., con 80 tavv. f. t. in b. n. do l’iscrizione musiva, dal presbitero Pietro d’Illiria al tempo di papa Celestino?); 2. luogo di fattura, artefice o artefici, modelli iconografici. Ai due problemi lo studio della J. risponde in ma niera esauriente e con proposte a mio avviso sostan zialmente persuasive. Nonostante la lunga sosta che ha dovuto subire la pubblicazione nata come dis sertazione sotto la guida del Dinkler e pronta per la stampa nel 1974, epoca cui si attiene l’apparato bi bliografico i pregi del lavoro e la validità dei ri sultati raggiunti restano integri, e il lettore potrà fa cilmente ovviare con una breve ricerca alle lacune della bibliografia, alcune già presenti nella redazione originaria. Il volume si articola in parti o capitoli ben definiti. Per introdurre il lettore nel vivo della problematica storica, si traccia nelle prime pagine (pp. 13.19) una rassegna storiografica e si descrivono sommariamente gli ornati dei due battenti della porta. Segue (pp. 20-96) l’analisi dettagliata delle figurazioni pertinenti alle tavolette della faccia esterna, secondo un ordine non riferito all’attuale collocazione ma allo svolgersi del racconto biblico. Si comincia infatti con il gruppo, molto consistente, delle scene definite dalla j. « storico-narrative » (ciclo di Mosè, Elia, Abacuc, Giona per il V.T.; Adorazione dei Magi, Miracoli di Gesù, ciclo della Passione per il N.T.), al quale fa seguito il gruppo cli scene c.d. « rappresentative », comprendenti le composizioni di Cristo tra gli apo stoli Pietro e Paolo, della supposta Parusia e della presunta Acclamatio. I capitoli successivi sono dedi cati all’analisi stilistica (p. 79 ss), all’individuazione del luogo in cui si sarebbero eseguiti i rilievi e alla datazione (p. 105 ss.), nonché al programma della de corazione figùrata (p. 108 ss.). In appendice si con siderano brevemente le altre cinque porte lignee su perstiti: quelle di 5. Ambrogio a Milano, di 5. Bar bara al Cairo Vecchio, di 5. Maria nel Monastero di 5. Caterina al Sinai, di Der Mar-Aelian presso Qarya tayn (Siria), e della chiesa di El-Adra del monastero egizio al Wadi Natrùm. Concludono il volume un ricco apparato di note, l’elenco delle fonti per le illustra zioni e un indice finale (del tutto insufficiente per i bisogni correnti di chi consulterà il testo). In breve, secondo la proposta elaborata dalla J., i rilievi della porta vanno attribuiti a due artisti di una stessa bottega, portatori di tradizioni stilistiche dif ferenti: ad uno si assegnano le tre tavolette con il — Si sa ormai, per lunga esperienza, che i monumenti più noti e ritenuti erroneamente i più studiati sono quelli che, ad un riesame puntuale, hanno da dire sempre del nuovo sulla loro identità storica. La porta lignea di 5. Sabina ne offre appunto un altro esempio eloquente. L’occasione di un rilevamento fotografico ex novo ad opera di F. X. Bartl con risultati eccel lenti come ognuno avrà modo di constatare, specie per i dettagli delle scene figurate ha dato avvio all’indagine della J., necessaria per diverse ragioni e certamente fruttuosa di risultati. Lo studio di manufatti lignei è di per sé difficile: il legno, come si sa, è soggetto a facile deperimento per cause molteplici che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti; ciò ha determinato la perdita di un numero sicuramente cospicuo di manufatti simili ed ha per conseguenza creato un vuoto sul piano della ricerca comparativa. Si spiegano dunque facilmente le oscillazioni in ambito storiografico nella valutazione e datazione della porta della basilica dell’Aventino, come pure una certa discontinuità nell’interesse pre stato dagli studiosi. L’ultima monografia sull’argo mento è vecchia di quasi 80 anni e nel frattempo si sono avuti numerosi contributi su singole rappre sentazioni (notevole l’incremento della bibliografia nel volume della J. rispetto a quella del Darsy di venti anni prima), ma nessun reale progresso nella cono scenza dell’opera. La vasta notorietà dei battenti lignei di S. Sabina si deve ai 28 panneffi con figurazioni a intaglio ap plicati su ciascuna delle facce. Oggi complessivamen. te ne restano 18 sulla faccia esterna e 19 sull’interna: i primi ornati con rappresentazioni a soggetto sacro, gli altri a decorazione aniconica in cui si combinano immagini fitomorfe con schemi astratti. L’analisi ico nologica e storico-artistica ha costituito da sempre l’unico mezzo per dare risposta ai due problemi di fondo che incombono sulla porta: 1. datazione del manufatto (posteriore alla costruzione della basilica? o da collocare nell’ambito del progetto voluto, secon — — —, - [RdA 6 RECENSIONI 120 ciclo di Mosè (nn. 6, 13, 15 della tavola riassuntiva dip. 118), le dieci figurazioni neotestamentarie (nn. 1, 2, 3, 5, 7, 9, 10, 11, 17, 18) e la c.d. scena di Accla mazione (n. 14); all’altro i pannelli con le scene di Elia (n. 16), di Abacuc (n. 12), di Cristo-Pietro-Paolo (n. 4) e la c.d. Parusia (n. 8). Quanto al centro in cui operava.la bottega, l’A., dopo aver confutato con buoni argomenti le proposte di collocazione in Oriente e nell’Italia settentrionale, accoglie l’indicazione di Ro ma e l’attribuzione alla temperie artistica della prima metà del V secolo. Precisa però che, parendo sicuro il riferimento al pontificato di Sisto III, il tempo del l’esecuzioneè da restringere agli anni 431-433. Alla base della scelta dei soggetti, ovverossia il criterio che anima il programma decorativo, si coglie un chiaro intento di dimostrare la concordia Veteris et Nord Testamenti. Cosa osservare al lavoro molto stimolante della J.? D’accordo come ho detto sulla sostanza delle proposte, e pur apprezzando in generale le singole schede sia per la ricchezza del materiale comparativo che per la concisione, non sarebbe difficile avanzare riserve o precisazioni su molti punti del ragionamento. Prefe risco tuttavia attenermi a considerazioni più generali e, riguardo all’interpretazione delle scene, limitarmi alle ultime tre, essendo queste ricche d’incertezze. Rileverei innanzi tutto in via generale l’opportu nità, lasciata cadere, di effettuare analisi tecniche del materiale ligneo con gli efficaci strumenti oggi a di sposizione: si sarebbero forse ricavati dati preziosi di conferma o smentita ai risultati dell’indagine ico nologica e stilistica. Da lamentare pure è la nessuna considerazione in cui ancora oggi continuano a rimanere i pannelli a temi vegetali e geometrici; né si può trascurare il fatto che nelle comparazioni che illustra no alcuni cicli il materiale sia presentato con scarso ordine cronologico e perciò stesso non adeguatamen te valorizzato. Quanto al problema interpretativo po sto dalle tre ~cene cd. « rappresentative » (ma perché qualificare cosf composizioni tanto diverse tra loro?), non serve a nulla dichiararsi d’accordo o non con vinto dalle proposte della J., quanto di porgere qual che riflessione complementare. Le tre scene non han no nulla in comune tra loro: quella ternaria di CristoPietro-Paolo (n. ~ è da qualificare, a mio avviso, come « abiblica » nel senso di composizione non trat ta da un episodio del V. o del N. T., e perciò si dirà piuttosto « simbolica », come del resto anche la c.d. Parusia (n. 8). Del tutto soggettiva resta invece la definizione della terza scena (n. 14), perché fino a quando non si saprà- individuare una « chiave di let tura » occorrerà prima trovare un accordo su quale direzione storica?, simbolica? o realistica? vol gere il tentativo di scoprirne il messaggio o il signi — — ficato. È tuttavia curioso notare come le tre scene presentino una graduazione di difficoltà, proprio nel l’ordine in- cui si dispongono nel volume della J. La prima, quella di Cristo-Pietro-Paolo, non ha bi sogno di alcuno sforzo per essere compresa; la J. però ne offre una trattazione molto scarna e mostra di non aver conosciuto né il volume di M. SOTOMAYOR, 5. Pedro en la iconografia paleocristiana, Granada 1962, né qualche mio contributo (cf. in Studi Petriani, Roma 1968; in Studi Paolini, Roma 1969; in Archeologia Classica, XXV-XXVI 1973-1974, p. 718 ss.). Una più attenta riflessione non le avrebbe fatto accogliere, per l’iconografia del Cristo, la singolare idea del Tsuji meno stramba però dell’idea della perla avanzata dal Delbriick di vedere nella sinistra un pane con conseguente deduzione di valori simbolici, tutti per altro senza riscontro nell’arte cristiana anteriore al l’epoca sistina della porta di 5. Sabina. Oltre tutto non si saprebbe come conciliare un pane con la visione della corte celeste o, meglio, con la solenne celebra zione della regalità divina del Cristo cui tende la com posizione. La tecnica d’intaglio del legno, come pure l’affisciamento subfto causa prima della deforma zione di qualche dettaglio (si veda ad esempio la ma no sinistra di Gesù nelle scene della Guarigione del cieco e del Miracolo di Cana nella tav. 42) non dovrebbero essere dimenticati quando si avanzano proposte. Oltre che al pane si è pensato a un globo: ipotesi certo meno peregrina della precedente, se, co me ha notato la stessa A. (in nota 308 di p. 147), tale attributo fosse documentatò in monumenti cri stiani cosi antichi. Non resta allora che abbandonare le identificazioni avventurose e tenersi al concreto: stante la consunzione del legno, oggi appare irrico noscibile quello che in origine doveva sporgere come un cilindro, e cioè un volumen, tal quale si conserva meglio nella sinistra di -Paolo. Con ciò l’iconografia del Cristo, senza voli di fantasia, si attiene alla norma dell’arte figurativa del tempo. La stessa causa del deterioramento del legno ha in gannato la J. anche per il gesto compiuto dalle mani di Pietro. A suo avviso infatti l’apostolo terrebbe con ambedue le mani un lembo del pallio, mentre in real tà nell’arte mai un lembo, cosi ridotto, ma la fascia terminale copre le mani di chi sta per toccare o ri cevere alcunché dal Signore. La posizione di Pietro è qui identica a quella di Mosè che riceve la legge (tav. 24), e perciò non mi pare affatto da escludere, come fa la J. (p. 79 e nota 288) che non recasse alcun oggetto: non mi stupirebbe infatti se si trattasse di una Traditio clavium, figurazione documentata ora dal sarcofago frammentario di S. Sebastiano (cfr. Reper torium dei’ christl. ant. Sarkopbage a cura di E. W~ — — — — - 1982] RECENSIONI I., Rom und Ostia, Wiesbaden 1967, n. 200) e dal mosaico di 5. Costanza a Roma. La seconda scena, c.d. Parusia, costituisce da tem po un caso difficile per gl’iconografi. La J. diligente mente ricorda le proposte finora avanzate e,,dopo una minuta analisi, si persuade a riconoscervi appunto una Parusia. A mio parere, la composizione potrebbe es sere letta da punti di vista diversi, come a fonti o modelli diversi pare essersi ispirato l’artefice nel com porre un insieme certo fortemente simbolico. Consi derate singolarmente, ogni immagine componente la scena troverebbe facilmente riscontri nel repertorio dell’arte figurativa, ma di fatto essa viene poi utiliz zata in modo da inserirsi in una composizione con specifico o nuovo significato. Il dipeo del Cristo in fatti richiama alla mente la corona trionfale dei sar cofagi di « passione »; e cosi il Cristo stante si di rebbe una replica dell’immagine dell’imperatore e le gislatore divino sui sarcofagi della seconda metà del IV secolo: mancherebbe insomma la mano dell’Eter no per essere dinanzi a una Coronazione o Epifania del Logos, cui farebbero da testimoni i quattro Evan gelisti. A questa visione di Chiesa trionfante si volge nel settore inferiore la Chiesa degli Apostoli e dei martiri, esaltata nell’unità delle due ecclesiae e nella partecipazione cosmica espressa dalle stelle, dal sole e dalla luna splendenti sotto la volta celeste. La 3. si chiede dove e quando è da ritenere elaborata per la prima volta questa composizione; e risponde con la solita ipotesi dell’abside di una basilica. A mio parere, non basta. Non si può più infatti trascurare l’apporto della capacità creativa che ormai si documenta espli cata in botteghe in cui si lavorarono prodotti di gran de mole (scultura funeraria e architettonica) e oggetti minuti di materiale pregiato o comune; né più giova tornare al consueto riscontro con la decorazione ab sidale di 5. Apollinare in Classe a Ravenna dopo la scoperta della sinopia sottostante il mosaico del sec. VI. In definitiva occorre ammettere che la figurazione di 5. Sabina resta per ora un unicum quanto a elabo razione di elementi desunti dal repertorio di tradizio ne, combinati in un contesto originale, di cui non per cepiamo appieno il significato perché non si riesce in questo caso a cogliere una « chiave di lettura » co mune ad altri contesti figurativi. L’ultima composizione, la c.d. Acclamazione (n. 14 e tavv. 70-73), è in realtà innanzitutto un rompicapo ermeneutico. Scena ispirata ad episodio biblico o rap presentazione simbolica? e se simbolica, allegoria del l’impero romano-cristiano o figurazione storica con nessa con la fondazione della basilica? Gli argomenti della discussione sono ricordati dalla J. e non è qui il luogo per ricominciare da capo; desidero tuttavia fare alcune considerazioni. DEICHMANN, 121 1) Prendere per autentiche le architetture che fan no da sfondo ai personaggi e ragionare sull’esistenza di chiese a due torri in Occidente dove non sono documentate e sarebbero oltre tutto anteriori a quel le siriache significa solo perdere tempo. Lo stesso inutile tentativo si è voluto fare per le grandiose ar chitetture che inquadrano la rappresentazione aulica nel catino absidale della basilica di 5. Prudenziana a Roma. Al contrario, a me pare interessante un det taglio finora non evidenziato: gli edifici, quasi sem pre di tipo templare, hanno ora finestre, ora ne sono privi. Casuale o intenzionale questo dettaglio? A• mio avviso, se nella Guarigione del cieco (n. 5, tav. 44), l’edicola simile a quella della scena di Lazzaro si presenta senza finestre, ciò si deve all’equazione morte = cecità, da cui appunto è tratto il miracolato Lo stesso simbolismo si applica nella Crocifissione (n. 1, tav. 52): dietro il buon ladrone compare nel tim pano una finestra, mentre nessun apertura si nota dietro l’altro condannato; cosf nella scena dell’Ange lo che parla alle pie Donne (n. 2, tav. 53), il 5. Sepolcro appare finestrato perché in virtù della risurrezione es so è diventato una grotta piena di luce (cf. E. TESTA, Le «grotte dei misteri » giudeo-cristiane, in Studii Biblici Franciscani Liber Annuus, XIV, 1963-64, p. 69 ss.). Si comprende allora il significato della pre senza di finestre nelle torri a lato della croce nella cd. Acclamazione, essendo esse di fatto simbolicamente equivalenti agli angeli che fanno ala al trono divino nelle rappresentazioni della Maiestas Domini. E un angelo, epifania divina, si premura di accogliere il clamidato. — — — — - 2) L’identificazione del personaggio accanto all’an gelo costituisce l’enigma più grave nella decorazione della porta. L’idea del Klauser, ripresa ora dalla 3., di riconoscervi il fondatore della basilica, ossia Pietro d’Illiria, mi pare francamente suggestiva, ma come ac cettare l’eventualità che si sia voluto rappresentare un ecclesiastico in clamide? L’A. si sforza in ogni modo di rendere plausibile questo controsenso, ma si rende conto della fragilità delle sue argomentazioni e alla fine è costretta a sperare in una conferma da parte di nuove scoperte. L’interrogativo dunque rimane. 3) I sei acclamanti il clamidato si distribuiscono in due registri: tre togati sopra e tre paenulati sotto. Per i togati, poiché sull’abito compare in basso un solco trasversale, la J. parla di doppia tunica. Ma che senso avrebbe nel contesto un dettaglio del genere da parte dell’artefice? Il solco certo esiste e non pare ac cidentale: forse è preferibile pensare a un’incisione con valore di! davo trasverso, voluto dall’artefice per interrompere il rigido verticalismo delle pieghe della RECENSIONI 122 tunica, ottenendo cosf un contrappunto ottico alla linea di divisione dei due registri. Più funzionale, ma non diverso, mi sembra il solco tra pallio e tunica che si nota in altre immagini (per es. nelle tavv. 22, 35, 43, 49); ma, del resto, anche due dei paenulati mo strano un sinus nella tunica all’altezza del ginocchio sinistro, con effetto di alleggerimento delle scanalature verticali. Un’ultima considerazione. Nonostante i buoni ri sultati dello studio della J., rimane irrisolto un in terrogativo di fondo: considerando l’ordine di collo cazione delle tavolette sui battenti ordine a quanto pare estraneo a una disposizione logica o di «rac conto » si ripropone infatti il dubbio già avanzato dal Delbrtick, secondo il quale la porta non era forse in origine destinata alla basilica di 5. Sabina. Il fatto è che, dando corpo al dubbio, si chiude un problema per aprirne un altro e cioè qual era la destinazione primitiva. Un’altra ipotesi senza via di uscita, per lo stato lacunoso delle nostre conoscenze, sarebbe quella di connettere la scelta degli episodi figurati con le pe ricopi durante l’anno liturgico. Conviene rassegnarsi al l’inesplicabile. A conclusione del suo lavoro la J. tiene - — —, - [RdA 6 ad evidenziare l’unità concettuale che presiede all’in sieme dei temi rappresentati; centro della decorazio ne il Cristo, storia della sua Chiesa nella c.d. Accla mazione, termine finale nella cd. Parusia intesa come glorificazione del Signore dell’universo. Una siffatta unità dal punto di vista ecclesiologico e cristologico s’intuisce senza alcun dubbio, ma con gli enigmi an cora da risolvere della c.d. Acclamazione e cd. Parusia si potrebbero avere sorprese da ulteriori ricerche o da scoperte di monumenti. Di fatto resta ancora inde terminato il committente e di conseguenza anche il criterio di scelta delle rappresentazioni. Per ora sem bra certo che preminente interesse nell’artefice sia sta to l’intento decorativo con le leggi che lo governano, ma si colgono anche un certo gusto per il soggetto di maggiore attualità e una compiacenza per il contesto fortemente simbolico. Forse meglio che in altri dati antiquari, in ciò si evidenzia l’impronta dell’epoca, si manifesta cioè la dimensione della cultura artistica e della speculazione teologica che caratterizzarono gli anni di pontificato di Sisto III e di Leone Magno. P. TESTINI