I fattori specifici di vulnerabilità dei figli di famiglie migranti

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I fattori specifici di vulnerabilità dei figli di famiglie migranti
I fattori specifici
famiglie migranti
di vulnerabilità
dei figli di
- Il trauma migratorio e la rottura del legame fra
cultura interna ed esterna fragilizzano i genitori.
che non possono esercitare adeguatamente una
delle funzioni primarie descritte da Winnicot,
quella di presentare il mondo a piccole dosi ai
loro bambini,
perché non lo possiedono essi
stessi, di conseguenza i bambini sperimentano
quotidianamente
il
mondo
esterno
come
traumatico.
- La situazione transculturale riduce il grado di
previsione del mondo esterno
Il figlio dei migranti è senza guida , egli conosce e
integra le regole di funzionamento della società in
cui vive in modo superficiale, spesso senza
comprenderle perché le impara al di fuori di una
trasmissione fra genitori e figli carica di senso e di
affettività.
- Il figlio dei migranti deve far fronte a una duplice
fragilità: la propria legata allo sfaldamento della
cultura dei genitori e quella dei genitori medesimi
legata all'evento migratorio.
Molti non si sentono autorizzati ad avere
successo: non riescono a inserirsi nel mondo
scolastico , perché il prezzo da pagare è troppo
alto:
a livello fantasmatico, comporta la rottura con i
loro genitori.
I momenti di maggiore vulnerabilità:
- il periodo neonatale
- il periodo dell'ingresso nella scuola (i grandi
apprendimenti)
- l'adolescenza
Specificità della vulnerabilità in adolescenza
La pubertà proietta brutalmente
il figlio dei
migranti
in complessi problemi di filiazione e
affiliazione contemporaneamente.
1) la rottura e il conflitto con la famiglia può passare
attraverso il rifiuto della lingua e della cultura dei
genitori
2) i genitori non sono in grado di essere dei buoni
"orientatori" nel mondo ; spesso lo conoscono
meglio i figli dei genitori.
3) I genitori sono quasi sempre in una posizione di
subalternità, sono delle persone di cui vergognarsi
L'adolescente lontano dalla sua cultura d'origine,
che diventa adulto in terra straniera rischia di
essere ostacolato nel suo processo di sviluppo,
gli vengono a mancare i sostegni culturali
indispensabili.
Uno dei maggiori compiti dell'adolescenza è :
- rendersi autonomi dai genitori e rivolgersi verso altri
oggetti di investimento, processo che rimanda ad un
rimaneggiamento edipico e ad una affermazione
identitaria
E proprio questo processo diventa particolarmente
difficile per gli adolescenti migranti.
L'autonomizzazione dai genitori e dalla famiglia passa
spesso per delle identificazioni alternative alla loro
cultura d'origine. Spesso i pari (originari del paese
d'accoglienza) esercitano una seduzione reale che
pone l'adolescente migrante in una situazione piena
di rischi sul piano delle identitario: "non sono più
come i miei genitori ma non sono nemmeno di
qui".
Come fa un adolescente che vive al suo paese per
affrancarsi dalla sua dipendenza dai suoi genitori?
Certo si oppone ai loro valori (culturali) rigetta in parte
i loro insegnamenti. Ma per fare questo si appoggia
obbligatoriamente sulla sua cultura di appartenenza :
si pensi per esempio al formidabile sostegno
rappresentato dal gruppo dei pari.
All'adolescente migrante manca troppo spesso
questo appoggio, parziale ma indispensabile,
della sua cultura d'origine. Spesso si sente
obbligato a determinarsi completamente contro
Se la nostalgia del paese che si è stati costretti ad
abbandonare, con i suoi valori tradizionali, è molto
presente nei genitori , essa spinge l'adolescente a
rifiutare i suoi antichi riferimenti culturali in blocco,
perché bisogna ben "pensare per se stessi" .
Inoltre l'adolescente si sente
attirato molo
rapidamente da certi valori del paese di accoglienza .
Lo stesso risultato è ottenuto se le ragioni che hanno
spinto all'esilio sono responsabili di una ambivalenza
nel discorso dei genitori a proposito del paese
d'origine che impedisce loro il mantenimento di
sufficienti elementi positivi della loro cultura.
Per un adolescente e per la sua famiglia
abbandonare il proprio paese significa anche
rischiare di perdere tutta la elasticità di un
funzionamento basato sull'andata e ritorno fra
riferimenti culturali interiorizzati e il mondo
culturale esterno. Come quando si perdono le
sottigliezze di una lingua che non si parla più
quotidianamente.
Fuori contesto le pratiche i valori le regole culturali
rischiano di perdere la loro potenzialità evolutiva, con
la conseguenza di una radicalizzazione che evolve
verso posizioni ortodosse rigide . L'estraneità del
paese di accoglienza rinforza la paura dei genitori di
vedere i loro figli mal orientati, e ogni cosa è
percepita come danno potenziale. Gli adolescenti dal
loro lato, allo scopo di appropriarsi di questo mondo
estraneo anche per loro, alla ricerca di nuove
identificazioni, vanno a confrontarsi con i loro genitori
precisamente sul terreno dei riferimenti culturali.
Il rischio è quello di una rottura definitiva con una
grave crisi identitaria :" non sono più dei miei,
non sono di qui, dunque non sono niente".
Lontani dalla propria cultura attaccare i genitori
significa spesso attaccare la propria cultura
e
viceversa. Lo stesso sentirsi rifiutati dai genitori
significa l'esclusione dalla propria cultura d'origine.
Inoltre l’ eccessiva opposizione tra paese d'origine e
paese di accoglienza
porta spesso ad una
polarizzazione dei valori in modo radicalizzato: sia
nell'opposizione del tutto buono /tutto cattivo, in cui
uno dei due è idealizzato, sia nella radicalizzazione di
alcuni clichés ( per esempio " al mio paese i rapporti
sono molto calorosi, ma sarei succube di mia suocera
e dei miei numerosi figli. Qui sono libera, faccio quel
che voglio ma alloro sono una poco di buono").
Questo processo è rinforzato dalla tendenza naturale
dell'adolescente a operare una polarizzazione dei suoi
investimenti, in una situazione di migrazione questa
tendenza normale rischia di irrigidirsi e di arrivare ad
una forma di scissione dell'io .
Uno degli esiti può essere anche il recupero quasi
caricaturale di aspetti della cultura d'origine: per
esempio diventano più religiosi dei padri, in contesto
islamico i maschi vi fanno crescere le barbe, si
mettono il cappellino , le ragazze si mettono il velo
ecc.
Anche la fragilizzazione dei genitori a cui abbiamo
prima accennato , che può giungere fino ad una
inversione delle generazioni, non è senza
conseguenze
sullo
sviluppo
identitario
dell'adolescente.
Da un lato è più difficile separarsi da genitori percepiti
come distrutti o gravemente danneggiati. E' anche più
difficile elaborare il lutto per la perdita della propria
onnipotenza infantile quando si è stati in un modo o
nell'altro i genitori dei propri genitori.
I conflitti riguardanti l'identità rischiano di condurre
questi adolescenti in una empasse.
Nella clinica si trovano tre modi più diffusi di farvi
fronte:
1) crocifisso da un ideale grandioso l'adolescente
migrante che dovrebbe riuscire in tutto e soddisfare
tutte le contraddittorie attese degli adulti si
scoraggia e cade in una crisi depressiva
2) a causa delle difficoltà di fare dei legami trova una
via d'uscita in condotte antisociali
3) oppure può optare per la negazione dell'impasse
identitaria
Spesso nella clinica si assiste a una specie di
scoraggiamento grave , scoraggiamento responsabile
di una paralisi dell'azione e del pensiero, che non
risparmia alcun terreno e testimonia della difficoltà a
situarsi a cavallo fra due culture nella disperazione di
una scelta troppo radicale da prendere fra la cultura
d'origine che ci si vede costretti a rifiutare, e quella
del paese di accoglienza
che non è mai
completamente la propria.
Le due culture sono percepite come reciprocamente
esclusive.
Quando per sfuggire alle angosce identitarie, domina
la negazione della scissione (parziale) dell'Io , diviso
fra una parte legata alla cultura del paese di
accoglienza e l'altra alla cultura del paese d'origine , il
risultato è un comportamento iper adattato che
permette una evoluzione del processo di crescita
apparentemente senza gravi problemi, che però
potranno sorgere più tardi.
Il nostro contesto:
Ci sono delle variabili importanti di cui tener conto,
legate a:
a) Da noi ancora molti sono i bambini ed i ragazzi,
che appartengono alla prima generazione ed hanno
vissuto direttamente il trauma della migrazione , è
importante vedere a che età e se sono venuti insieme
alla famiglia o almeno con uno dei due genitori o se
sono ricongiunti cioè se sono venuti dopo.
Se sono ricongiunti è importante a che età sono
stati fatti venire ( se sono nati là o sono nati qua poi
inviati al paese e poi fatti ritornare), se sono venuti
insieme a tutti i fratelli o se i genitori hanno richiamato
i figli ad uno ad uno. In questo caso la situazione si
complica , perché lui/lei per primo? Perché io prima o
dopo di lui? L'ordine di arrivo è fatalmente letto come
dettato da una "graduatoria amorosa" dei genitori: il
più amato viene fatto arrivare per primo.
Se tutto ciò accade nelle pre adolescenza
o
adolescenza gli effetti del trauma (disorientamento
spaziale e temporale, difficoltà di inserimento nel
nuovo mondo , difficoltà di inserimento nella nuova
/vecchia famiglia, apprendimento della nuova lingua
ecc) si intrecciano in modo spesso esplosivo con le
vicissitudini
dell'evoluzione
identitaria
propria
dell'adolescenza
e
della
identità
sessuale.
Importantissime le aspettative dei genitori. Nella
lontananza si crea una immagine idealizzata dei figli,
nella nostalgia del figlio lasciato là si vagheggia un
rincontro pieno d'amore e di gratitudine , si immagina
il successo del figlio che riscatterà e darà senso alle
fatiche e alle umiliazioni sopportate qui.
. Anche i figli si sono fatti un'immagine idealizzata dei
genitori, li hanno visti tornare al paese pieni di regali,
rimangono delusi quando arrivano e colgono
rapidamente la modestia nel contesto italiano della
collocazione sociale dei genitori.
In più negli anni della lontananza ciascuno è
cambiato, i ragazzi vivono anche il lutto degli affetti
( zii, nonni, amici, ambiente naturale..) che hanno
lasciato; sono dei quasi estranei che si rincontrano e
devono imparare a vivere insieme
I genitori non prevedono le difficoltà e ne rimangono
traumatizzati, non sanno come gestire le proprie
difficoltà e quella del figlio.
b) Se sono una seconda generazione , cioè nati e
cresciuti qua da genitori immigrati, vivono:
- la trasmissione del trauma dei genitori
- un processo di doppia acculturazione
- la scissione come rischio
- un possibile senso di estraneità nei confronti dei
genitori
- vergogna nei confronti dei genitori “umiliati”
- inversione dei ruoli
c) la cultura di appartenenza e la politica del gruppo di
appartenenza immigrato qua , che si intreccia con le
modalità della migrazione.
d)sesso, maschi e femmine esprimono in maniera
diversa il proprio disagio
Cosa fare
Uno degli obiettivi della pratica clinica è proprio
quello di ritessere i legami tra le rappresentazioni
interne legate alla cultura d'origine , e quelle della
cultura della società d'accoglienza , per evitare
che dall'esperienza traumatica della frattura fra i
due mondi, nasca una situazione psicologica di
sofferenza per l’individuo. Questo obbiettivo ha
anche un risvolto in termini di prevenzione del
malessere nelle nuove generazioni, infatti spesso
succede che se i genitori non hanno elaborato il
trauma migratorio, questo può determinare nei
figli una costruzione insicura della propria
identità. Nella scissione tra il mondo di qui e il
mondo del paese è facile che avvenga un disturbo
nella trasmissione da una generazione all’altra.
A volte i genitori non parlano dei motivi che li hanno
spinti a emigrare, di che cosa abbia significato partire,
che legami hanno lasciato, ne’ come sia stata la loro
esperienza nel paese di origine. I genitori in qualche
modo non permettono ai loro figli di avere accesso a
quelle che sono le loro origini, le loro radici.
Contemporaneamente il bambino della famiglia
immigrata in Italia, rimarrà sempre un bambino che
vive in Italia ma di origine diversa, per esempio
marocchina, e quindi se non sarà possibile per lui
tessere dei fili che lo ricolleghino alla sua storia,
rimarrà un bambino che non è né italiano né
marocchino.
Questo bambino ha una storia che non comincia
né dalla
sua nascita né dal momento della
migrazione dei suoi genitori; comincia molto più
lontano, perché ha una famiglia, ha dei nonni, ha
una cultura di appartenenza e delle tradizioni che
possono essergli trasmesse dalla sua famiglia. In
caso contrario rimarrà come sospeso nel vuoto,
perché non ha accesso alle sue radici.
Questo rischio comporta un grossissimo lavoro di
prevenzione che tutti noi, negli ambiti in cui lavoriamo,
possiamo costruire attraverso il rispecchiamento di chi
accoglie nei confronti di chi è arrivato. In questo modo
possiamo aiutare le persone a mantenere i fili delle
loro storie, a trovare la strada individuale che
permetta loro di mantenere il senso positivo delle
proprie origini e della propria cultura che è fonte di
sapere, di competenze e di significati ancora validi e
utili. Nessun migrante può pensare di poter vivere in
Italia come se vivesse nel suo paese di origine. Chi
emigra si pone in una condizione in cui un processo di
adattamento e di acquisizione di alcuni elementi della
cultura di accoglienza è inevitabile. Ma tra questo e
dimenticare la cultura di origine c’è una grossa
differenza.
- nel lavoro di counseling o terapeutico, ma anche
educativo, è fondamentale il lavoro con la famiglia
in una prospettiva transculturale: obiettivo riabilitare
agli occhi dei figli adolescenti le figure genitoriali,
mostrare l'aspetto di coraggio, inventiva, creatività
che c'è sempre in una iniziativa di emigrazione,
tessere e riannodare i legami sia dei genitori
con il proprio paese d'origine e con i propri
genitori/famiglia sia dei figli con i genitori e il
paese.
- Imparare a leggere il controtransfert culturale:
terreni particolarmente scivolosi tutti i temi legati alle
rappresentazioni culturali delle operatrici/ori e
insegnanti su chi è una donna chi è un uomo, la
parità dei sessi ecc e il tema delle botte in famiglia
ecc.
Nota: questo materiale è tratto da vari testi di Marie Rose Moro, e curato da
Maria Luisa Cattaneo