guida all`art. 570 cp - Ordine Avvocati Roma

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guida all`art. 570 cp - Ordine Avvocati Roma
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GUIDA ALL’ART. 570 C.P. _____________________
DAI PROCEDIMENTI IN MATERIA DI FAMIGLIA AL PROCESSO PENALE di:
A. M. Bartolucci Proietti – L. Ceccarelli – S. Masato
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Premessa storico – sociologica
Con l’introduzione nell’ordinamento dell’Art. 570 c.p. il legislatore del 1930 ha inteso dare efficacia ai
precetti di diritto civile che sarebbero altrimenti rimasti di fatto inattuati.
Infatti, il legislatore nell’introdurre la citata norma perseguiva l’intento di costituire una sanzione per punire
l’inadempimento delle norme civili relative alle obbligazioni alimentari ed alle pronunce di condanna al
pagamento di somme a titolo di mantenimento.
La qualificazione della “famiglia” è mutata nel tempo, passando da un ordine verticale ad un ordine sempre
più orizzontale.
I passaggi storico-normativi che più esprimono gli eventi modificativi si possono rappresentare con
l’introduzione del nuovo codice civile nel 1942, con la successiva entrata in vigore della Carta Costituzionale
nel 1948, con la riforma del Diritto di Famiglia nel 1975 ed infine con l’ultima novella nel 2006.
L’evoluzione dell’interpretazione della norma penale di cui all’Art. 570 c.p. riflette l’evoluzione dell’istituto
della “famiglia”.
Infatti, se da un lato il legislatore del 1930 ha introdotto una fattispecie di reato capace di determinare effetti
pregiudizievoli nascenti da precetti penali insufficientemente determinati e tassativi, dall’altro ha consentito al
diritto penale di assecondare l’evoluzione dei costumi familiari che via via si sono susseguiti.
Ne discende un’elevata, anche se non sempre semplice, adattabilità del precetto penale alle mutate istanze
sociali che in diversi tempi storici approdano all’interno dei confini dell’istituto familiare.
Del resto anche la giurisprudenza di legittimità ha manifestato una sempre crescente sensibilità riguardo la
tutela penale nei confronti del “singolo familiare”, allontanandosi sempre più dall’intento originario del
legislatore di tutelare la “istituzione-famiglia”.
Infatti, in epoca ormai molto risalente, anche in dottrina veniva sostenuto che il bene giuridico tutelato dalla
norma era da individuarsi nella salvaguardia della famiglia intesa come nucleo elementare coniugale e
parentale della società e dello Stato, nonché come istituto di ordine pubblico (v. Leone); del resto la relazione
del guardasigilli sul progetto definitivo del codice penale riporta come lo Stato dovesse rivolgere
costantemente e, con il massimo interesse, la sua attenzione all’istituto etico giuridico della famiglia quale
centro di irradiazione di ogni civile convivenza.
Scopo della norma era da intendersi, quindi, la repressione delle eventuali forze centripete disgregatrici del
nucleo familiare (v. Leone).
L’anzidetta finalità appariva aderente al quadro culturale e sociale dell’epoca, assai diverso dall’attuale.
Successivamente la nozione di famiglia muta con l’evoluzione del costume sociale e giuridico, in particolare
per l’accoglimento innovativo che essa trova nei contenuti della Carta Costituzionale – Art. 29 Cost. “La
Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a
garanzia dell’unità familiare”.
Il principio della piena parità dei diritti tra i coniugi, sancito nel dettato costituzionale, individua quale centro
di interesse non più “l’istituzione familiare” nella sua accezione originaria, bensì, quella di “società naturale”
composta dai singoli componenti.
Ciò nonostante la piena attuazione del principio di parità tra i consorti si è concretizzata solo con la riforma
del diritto di famiglia del 1975.
La giurisprudenza formatasi nei decenni successivi, confermata di recente, sull’Art. 570 c.p. manifesta una
crescente sensibilità della tutela penale nei confronti del “singolo familiare”, la cui difesa sembra destinata a
superare quella della famiglia intesa come istituzione (v. Catullo).
In conclusione oggi il bene giuridico protetto dalla norma penale di cui all’Art. 570 c.p. deve essere
riconosciuto nella sfera dei rapporti interindividuali che si sviluppano nell’ambito del nucleo familiare,
frammentandosi nelle singole posizioni di obbligo il cui inadempimento assume rilievo penalistico. [v.
Fierro Cenderelli]
Introduzione all’Art. 570 c.p.
Articolo rubricato nel libro II, titolo XI, capo IV dei delitti contro l’assistenza familiare:
I° Comma
“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o
alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla
qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 103 a € 1.032.
II° Comma
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al
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coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
III° Comma
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è
commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
IV° Comma
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra
disposizione di legge.”
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La figura criminosa sopra descritta è integrata dalla condotta di chiunque si sottrae agli obblighi di assistenza
inerenti la potestà dei genitori o la qualità di coniuge, abbandonando il domicilio domestico o comunque
serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie.
Nonché è integrata da altre due diverse condotte riconducibili: alla malversazione e dilapidazione dei beni del
figlio minore o del pupillo o del coniuge e a chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore
ovvero, inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Si tratta, pertanto, inequivocabilmente di una norma a più fattispecie anche se non vi è stato pacifico accordo,
quantomeno in dottrina, in merito alla natura delle stesse e, quindi, se tali fattispecie integrino un’unica figura
di reato - che si articola in differenti modalità di realizzazione - piuttosto che in autonome figure.
Per quanto problematica, la formulazione dell’Art. 570 c.p., consente l’individuazione di tre distinte condotte
criminose.
Il primo comma punisce con la pena alternativa della reclusione o della multa, chiunque abbandonando il
domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale si sottrae agli
obblighi di assistenza.
Il secondo comma punisce, applicando congiuntamente le pene, chi malversi o dilapidi i beni del coniuge o
del figlio minore e chi faccia mancare i mezzi di sussistenza ai soggetti passivi indicati.
Inizialmente si sosteneva che nell’ipotesi di cui al primo comma la norma in esame tendesse a sanzionare la
violazione degli obblighi di assistenza morale ed affettiva, mentre nell’ipotesi di cui al secondo comma a
sanzionare la violazione degli obblighi di assistenza materiale ed economica.
Parte della dottrina tendeva però a non condividere una contrapposizione così netta delle diverse ipotesi di
reato, tenuto conto che anche una lesione degli obblighi di assistenza morale aveva di per sé la capacità di
avere un contenuto di ordine economico.
Il vero è che non esistono obblighi di assistenza morale ed obblighi di assistenza economica, ma esistono soltanto obblighi di assistenza
familiare, che hanno un contenuto morale ed economico assieme, o meglio che hanno in ogni caso un contenuto materiale ed economico e dei
riflessi, più o meno gravi, di carattere morale. (Pisapia 1953, -675).
Ancora in tempi recenti il richiamato orientamento trova dei sostenitori in dottrina (v. Vallini, 1997,-939) che
riconoscono nella norma incriminatrice una “disposizione complessa” che prevede un unico titolo di reato
realizzabile con modalità alternative.
Tale orientamento è considerato oramai minoritario a vantaggio del diverso intendimento prevalente che
ravvisa nell’Art. 570 c.p. tre differenti ipotesi di reato, una prevista dal I° comma e le altre previste
rispettivamente ai numeri 1 e 2 del II° Comma.
Si tratta di distinti titoli di reato, e non di diverse circostanze del reato stesso perché diversa è la nozione dei fatti, anche quando non è diversa
pure la sanzione (Manzini 1984, -851).
Anche la giurisprudenza più recente sembra ormai assestata su queste posizioni, tanto è vero che da oltre
quattro lustri viene confermato l’insegnamento della Suprema Corte relativo all’autonomia delle fattispecie di
reato previste dall’Art. 570 c.p., non riconoscendone la natura circostanziale.
Una particolare attenzione è stata rivolta all’incidenza della riforma del diritto di famiglia sull’Art. 570 c.p. la
quale ha sostituito il concetto di “colpa” con quello “dell’addebitabilità” (Cass. Pen. 89812/80).
Il procedimento penale non viene sospeso in caso di controversia sulla validità del vincolo: tale questione,
infatti, non costituisce una pregiudiziale rispetto all’accertamento della violazione degli obblighi di assistenza
familiare (Cass. Pen. 163269/83).
Inoltre, la dichiarazione di nullità del matrimonio non elimina il delitto di violazione degli obblighi di
assistenza commesso nel periodo precedente (Cass. Pen. 148412/81).
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Disamina veloce della norma incriminatrice secondo il nuovo intendimento della dottrina maggioritaria e
della giurisprudenza prevalente.
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Art. 570 c.p.
I° Comma
Reato di violazione degli obblighi di assistenza
Per individuare l’esistenza della condotta criminosa di cui al citato articolo e comma occorre fare riferimento
alla realizzazione dell’evento posto in essere dall’agente in ragione della sua sottrazione agli obblighi di
assistenza relativi alla potestà genitoriale o alla qualità di coniuge.
Detto evento può alternativamente essere realizzato: o mediante l’abbandono del domicilio domestico,
accompagnato dall’inosservanza degli obblighi di assistenza morale e materiale affinché si integri il reato,
oppure, tenendo una condotta contraria all’ordine ed alla morale delle famiglie.
Il contenuto dell’assistenza, come già detto, può sottendere incidentalmente un dato materiale ed economico;
tuttavia, stante la previsione specifica delle fattispecie previste al secondo comma -che disciplinano le ipotesi
a tutela degli obblighi assistenziali a contenuto economico- si può concludere che la norma in esame tuteli più
specificamente gli obblighi di assistenza morale ed affettiva; in tal senso risulta pacifica la giurisprudenza di
legittimità (Cass. 7/05/1973 Castaldo, Cass. 21/11/91 Pinna, Cass. Pen. n. 36190/10).
Il “concetto di assistenza” non ricomprende in via generale ogni comportamento che possa turbare la pace e/o
la serenità della famiglia per determinare in termini fenomenici la realizzazione della figura di reato di cui al
comma I° ma necessita una valutazione del Giudice, caso per caso, richiamando quanto stabilito dalla norma
civile, di fornire all’altro coniuge “concreta ed adeguata” assistenza fisica, intellettuale, morale ed affettiva.
Gli obblighi di cui si fa riferimento sono da individuarsi nell’art. 30, I° comma della Costituzione e nell’art.
147 cod. civ. per quanto attiene ai figli (obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione); per quel che
riguarda i coniugi all’art. 29, II° comma della Costituzione e all’art. 143, II° e III° comma cod. civ. (obbligo di
assistenza morale e materiale, di fedeltà, di coabitazione, di collaborazione nell’interesse della famiglia e di
contribuzione ai bisogni di essa).
Di conseguenza, la condotta penalmente rilevante deve necessariamente produrre una concreta violazione
degli obblighi di assistenza (Cass. Pen. 159661/83) dimostrabile in sede processuale.
Il reato ex Art. 570 c.p. è di natura permanente, in quanto la consumazione dello stesso permane fino al
cessare della condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza posta in essere dall’autore (Cass. Pen. 221983,
Ced , 158827).
I “soggetti passivi” possono essere esclusivamente il figlio o il coniuge, ovvero, esclusivamente un membro
della famiglia nucleare con esclusione di ogni altro soggetto.
I “soggetti attivi” stante il tenore letterale che si ricava dal dettato normativo del I° comma, sono individuati
nelle figure dei genitori -intesi come i soggetti portatori della potestà genitoriale nei confronti sia dei figli
legittimi che naturali (anche se in ragione dell’ultima riforma [L. 10/12/2012 n. 219] si tratta di una
distinzione svuotata di significato) e del coniuge.
In merito alla riconducibilità dell’istituto penale del “tentativo” al reato di cui si tratta, essa è stata per molto
tempo negata sul presupposto che alla realizzazione della condotta omissiva (reato omissivo improprio) si era
già nel reato.
Viceversa, successivamente, si è ritenuto di poter ravvisare un’ipotesi di reato tentato per effetto di un
impedimento che sopraggiungeva prima della realizzazione dell’evento antigiuridico (costituito appunto dalla
sottrazione agli obblighi di assistenza) con la conseguenza di arrestare l’evento nella figura del tentativo
punibile.
Nella realtà la distinzione di reato consumato o reato tentato si è rivelata unicamente teorica ed astratta.
“Le modalità esecutive”
L’abbandono del domicilio domestico:
Con la riforma del diritto di famiglia ciò che rileva è la condizione della coabitazione dei coniugi da intendersi
quale incontro paritario delle volontà dei consorti nel costituire un unico nucleo familiare, quindi, la condotta
di abbandono del domicilio domestico deve essere intesa quale comportamento finalizzato alla disgregazione
dell’unità familiare (v. Fierro Cenderelli).
In ogni caso, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che non sempre la suddetta condotta è
rilevante ai fini penali -in quanto integra il reato solo se alla condotta dell’abbandono del domicilio si
aggiunge la condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza nei confronti dei figli e del coniuge.
Pertanto, si rimane sempre al di fuori dalla fattispecie di reato se l’allontanamento dal domicilio è dato da
ragioni di carattere interpersonale che impediscono di fatto la convivenza tra i coniugi, dette ragioni possono
desumersi anche dai principi tratti dagli Artt. 145,146 e 151 cod. civ. .
Dunque, affinché il coniuge possa allontanarsi dal comune domicilio domestico senza incorrere nell’ipotesi di
reato, oltre alla “giusta causa” di carattere interpersonale, costituisce ulteriore “giusta causa” anche la
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proposizione di una domanda di separazione personale (o di annullamento o di scioglimento o di cessazione
degli effetti civili del matrimonio).
Peraltro, a parere dei Supremi Giudici, le richiamate ragioni processuali, non esauriscono la casistica delle
possibili “giuste cause” che dovranno di volta in volta essere valutate dall’organo giudicante anche in
relazione alle diverse dinamiche che possono aver favorito l’abbandono, tra queste sicuramente rientra ogni
ragione che alimenti una crisi coniugale tale da non consentire la prosecuzione della vita in comune.
La condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie:
La condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie presa in esame dal I° Comma dell’Art. 570 c.p.
non è punita di per sé, ma solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi di assistenza
inerenti alla potestà genitoriale, alla tutela legale e alla qualità di coniuge.
Di conseguenza, la mancata assistenza verso la prole assume rilievo penale solo quando risulti alterato il
rapporto genitore-figlio, per effetto della violazione degli obblighi di assistenza posta in essere dal genitore
inadempiente.
Conforme sul punto la giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen. 25/03/2004 n. 26037).
Altresì è stata considerata penalmente rilevante la condotta del consorte che, in maniera non occasionale, non
è rispettoso dell’altro consorte, non fornendogli la idonea assistenza fisica, intellettuale, morale ed affettiva
(Cass. Pen. 9/7/1996 n. 8650).
Inoltre, non costituisce obbligo di assistenza, l’astensione dall’avere contatti sessuali con persone che non
siano il coniuge, sicché, la relazione adulterina non costituisce condotta punibile ai sensi del I° comma.
Il reato in commento nel suo “elemento soggettivo” richiede il dolo, quale dolo generico, configurato dalla
rappresentazione e dalla volontà di non osservare gli obblighi di assistenza che discendono dalla qualità di
coniuge o di genitore; in questo senso la totalità della dottrina e della giurisprudenza consolidata.
II° Comma
1) Malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore o del coniuge
La disposizione di cui al II° comma dell’Art. 570 c.p. prevede due diverse ipotesi di reato, punite più
severamente rispetto a quella preveduta dal I° comma, infatti, le pene che nella prima ipotesi di reato sono
applicabili in via alternativa nelle successive sono applicabili congiuntamente.
La fattispecie di cui al primo punto è completamente svincolata da quella del secondo punto e presenta
caratteristiche sue proprie volte a tutelare i beni del figlio minore e del coniuge, quindi il patrimonio
appartenente a soggetti legati con l’agente da rapporti fiduciari. [1 testo]
Tale forma di reato viene avvicinata ad una sorta di appropriazione indebita commessa dall’agente, nella sua
qualità di padre e/o marito, attraverso le forme della malversazione o dilapidazione poggiandosi sul rapporto
di tipo affettivo e fiduciario che lo lega ai soggetti passivi.
La citata norma incriminatrice aveva maggior spazio applicativo prima dell’intervento della riforma del diritto
di famiglia -1975- perché più aderente all’impostazione normativa del matrimonio di allora, il quale
riconosceva al marito il diritto di gestire il patrimonio, nonché, il diritto di esercitare la potestà (patria-potestà)
sui discendenti.
Ne discende che successivamente alla novella citata e, quindi, all’abolizione di ogni potere esclusivo in favore
del solo marito, il delitto di cui trattasi ha trovato una minor applicazione nella realtà, con conseguenti
marginali pronunce giurisprudenziali.
Tuttavia è ancor oggi possibile trovare delle occasioni di applicazione della norma incriminatrice, dovendo,
però, distinguere i casi in cui i coniugi si trovino in comunione legale o in separazione dei beni.
Infatti, nei casi di comunione, il delitto di malversazione o dilapidazione è configurabile nel compimento di
atti compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro (art. 184 cod. civ. “Gli atti compiuti da un coniuge senza il
necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati
nell’Articolo 2683.
L’azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno ( art. 2964 c.c.) dalla data in cui ha avuto
conoscenza dell’atto e in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione. Se l’atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne
abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo scioglimento
stesso.
Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è
obbligato su istanza di quest’ultimo a ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non
sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione.”), oppure
quando uno dei coniugi amministri anche per l’altro consorte per effetto della lontananza o per effetto
dell’impedimento di questo ultimo (art. 182 cod. civ. “In caso di lontananza o di altro impedimento di uno dei coniugi
l’altro, in mancanza di procura del primo risultante da atto pubblico (2699) o da scrittura privata autenticata (art. 2703 c.c.), può
compiere, previa autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente da questo stabilite, gli atti necessari per i quali è richiesto, a
norma del l’Articolo 180, il consenso di entrambi i coniugi.
Nel caso di gestione comune di azienda, uno dei coniugi può essere delegato dall’altro al compimento di tutti gli atti necessari all’attività
dell’impresa.”) oppure nell’ipotesi in cui uno dei due coniugi viene escluso dall’amministrazione (art. 183 cod.
civ. “Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare ovvero se ha male amministrato, l'altro coniuge può chiedere al giudice di
escluderlo dall'amministrazione.
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Il coniuge privato dell'amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno
determinato l'esclusione.
La esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto e permane sino a quando non sia cessato lo stato di interdizione.”).
Nei casi di separazione dei beni la norma incriminatrice può sussistere in caso di mala gestio da parte del
coniuge che abbia ricevuto il conferimento di procura da parte dell’altro (art. 217, II° e III° comma, cod. civ.
“Ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo .
Se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell'altro con l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto
verso l'altro coniuge secondo le regole del mandato .
Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta
dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non
rispondono per quelli consumati.
Se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde
dei danni e della mancata percezione dei frutti.”).
Con riguardo ai beni del figlio minore, stante l’attuale esercizio congiunto della potestà genitoriale (in ragione
anche del più volte citato principio di parità tra i coniugi), da cui discende l’esercizio paritario della
rappresentanza e amministrazione dei beni del minore, entrambi i genitori possono essere soggetti attivi del
reato.
Pertanto, va precisato che un genitore non titolare dell’esercizio della potestà sul minore o che sia stato privato
dei poteri di amministrazione non può essere soggetto attivo del reato, salva la possibilità di essere di fatto in
possesso o amministratore dei beni del figlio.
Nel caso in cui i genitori siano stati rimossi dall’amministrazione dei beni del figlio e sia stato nominato un
curatore speciale, quest’ultimo, se male amministra, sarà soggetto alle norme incriminatrici a tutela del
patrimonio ma non anche al dettato di cui all’art. 570, II° comma, n. 1c.p..
Si tratta di un reato di condotta, la quale può essere esplicata sia nella forma commissiva che omissiva, e
richiede l’elemento soggettivo del dolo, inteso quale dolo generico.
Per quanto attiene alla condizione di procedibilità, si richiede la querela di parte quando il soggetto passivo
del reato corrisponde all’altro coniuge rispetto all’agente, mentre si richiede la procedibilità d’ufficio, quando
il soggetto passivo del reato è il minore.
Per quanto attiene, invece, alla sanzione applicabile al reo, essa prevede sempre l’applicazione congiunta della
pena di reclusione a quella della multa, inoltre si applica la pena accessoria della sospensione dall’esercizio
della potestà per un tempo pari al doppio della pena detentiva inflitta, con la conseguente incapacità di
esercitare qualsivoglia diritto che al genitore spetti sui beni del figlio; peraltro, non si esclude neppure la
possibilità che il giudice possa prevedere l’applicazione della misura cautelare di cui all’art. 282 bis c.p.p..
La norma più volte richiamata non potrà applicarsi nei casi: - di convivenza more uxorio; - di matrimonio
canonico non trascritto; - di separazione legale.
2.) Omessa prestazione dei mezzi di sussistenza
Terza ed ultima ipotesi di reato presente nell’Art. 570 c.p. è l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai
discendenti di età minore, o inabili al lavoro, agli ascendenti, nonché al coniuge, il quale non sia legalmente
separato per sua colpa.
Ai fini della sussistenza del reato devono ricorrere due condizioni: -1. La disponibilità di risorse sufficienti da
parte dell’obbligato; - 2. Lo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo.
In via preliminare si rende necessario sgombrare il campo da un equivoco ricorrente, quale quello di
confondere e/o assimilare il concetto di “mezzi di sussistenza” con quello, completamente scollegato e di
natura civilistica, “dell’assegno di mantenimento” per il coniuge più debole - piuttosto che per il figlio - o
“dell’assegno divorzile”.
Infatti, mentre l’uno si riferisce alle elementari esigenze di vita del soggetto passivo del reato, l’altro si
riferisce alla valutazione e comparazione delle condizioni socio-economiche dei coniugi.
Inoltre, i due diversi istituti non soltanto afferiscono a questioni di natura giuridica diversa ma presentano,
altresì, diverse finalità: quello civile, si pone il fine di tutelare un interesse economico e di credito, seppure
legato all’interesse della salvaguardia del familiare privo di mezzi; quello penale, si pone il fine di tutelare la
solidarietà familiare e, quindi la protezione dell’indigente, interpretando, di volta in volta, il principio di
solidarietà familiare seguendo il mutare del quadro etico-giuridico secondo il mutare della concezione della
famiglia.
La ratio solidaristica, dunque, della norma penale citata esprime il vero parametro per comprendere la finalità
preventiva e protettiva della legge incriminatrice, in sintesi il bene giuridico tutelato è la “solidarietà
familiare” -che ha assunto nel tempo modi di intendimento ed interpretazione diversi – o come puntualizzato,
“l’interesse sociale all’efficienza del principio di solidarietà fra i membri di un gruppo familiare, principio che viene certo offeso quando
il membro di un gruppo familiare, pur essendo anche giuridicamente obbligato ad assisterlo mette un altro membro dello stesso gruppo in
condizione di dover rivolgersi, per sopravvivere, al soccorso pubblico o privato” (DELOGU 1995, 505).
Si può concludere che il delitto previsto dall’art. 570, n. 2, comma 2, c.p., non è posto quale sanzione
dell’inadempimento civile, poiché obbligo civile e obbligo penale hanno ratio e presupposti di natura
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giuridica differenti, quindi, il mancato adempimento della obbligazione civile rappresenta semmai una “spia attiva-” dello stato di bisogno in cui il soggetto passivo è precipitato.
Passando ad analizzare l’elemento oggettivo del reato, esso si realizza nella condotta di chi fa mancare i mezzi
di sussistenza ai soggetti indicati dalla norma. Essi mezzi vengono individuati in tutto ciò che è
indispensabile per vivere e comprendono la soddisfazione di tutte le esigenze della vita quotidiana -non solo
quelle di mera stretta sopravvivenza – quali: vitto, abitazione, medicine, vestiario, istruzione, libri, mezzi di
trasporto, attività di vacanza, ludiche e svago, nonché, le spese relative ai mezzi di comunicazione.
Il suddetto elenco, indicativo e non esaustivo, deve tener sempre in considerazione il momento storico e il
luogo in cui il fatto-reato viene a determinarsi, oltre che le reali capacità economiche ed il regime di vita
personale del soggetto obbligato (Cass. Sez. VI^, 13/11/2008 - 21/01/2009 n. 2736) (Cass. Pen., 3/02/2010, n. 14906, in Cass.
Pen. 2011, p. 592).
1- Condizioni dell’obbligato:
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare è necessario analizzare la concreta possibilità e
capacità economica dell’obbligato a prestare i mezzi di sussistenza.
Infatti, per escludere la responsabilità penale del soggetto obbligato non basta l’allegazione della mera
difficoltà economica o dello stato di disoccupazione, ma è necessario dare effettiva prova dell’assoluta
indisponibilità economica ad adempiere per l’incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. Pen. 21/10/2010, n.
41362).
Pertanto, l’incapacità economica deve essere assoluta, cioè deve consistere in una persistente, oggettiva ed
incolpevole situazione di indisponibilità economica tale da giustificare il comportamento omissivo.
Ne discende che, l’obbligato deve comunque adottare un comportamento operoso per assicurarsi la propria
attività lavorativa tanto che, anche la semplice negligenza nel trovare una nuova occupazione o nel rifiutare
mansioni lavorative inferiori rispetto alla proprie competenze, oppure, rifiutare una occupazione all’estero o in
un luogo diverso dalla propria residenza, non esclude la responsabilità penale dell’obbligato che non assicura i
mezzi di sussistenza.
Ci si è posti il problema se si è nel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare quando l’obbligato
adempia in modo parziale.
In tali casi, qualora il soggetto attivo riesca ad allegare idonei e convincenti elementi indicativi di una
situazione che, da un lato non consente il pieno adempimento e dall’altro dimostri di adempiere in misura
congrua con quanto il medesimo percepisce -desumendone quindi l’impossibilità oggettiva ad adempiere
all’intera obbligazione- questi resta fuori dalla responsabilità penale.
Ciò infatti è in linea con la lettera della norma che non specifica quale sia la misura minima
dell’inadempimento tale da integrare la responsabilità penale: non dovrebbero quindi essere sufficienti i ritardi
non eccessivi nei pagamenti, né modesti inadempimenti parziali.
Ne discende che per assumere rilevanza penale, l’inadempimento debba essere considerevole e tale da
vanificare la pretesa creditoria, così come, si è nel reato, qualora l’avente diritto, pur non versando in stato di
bisogno per effetto dell’aiuto di terzi, di fatto poco o nulla percepisce dall’obbligato.
Appare opportuno, tenuto conto della situazione congiunturale che ha colpito tutto il mondo occidentale,
evidenziare che in caso di fallimento dell’obbligato, egli deve comunque attivarsi facendo risultare il credito
del beneficiario dell’assegno nelle passività del fallimento, notiziando il Giudice delegato in modo che questi
possa concedergli un sussidio a titolo di alimenti.
La richiamata condotta attiva è, quindi, l’unica possibilità per l’obbligato di restare esente dalla responsabilità
penale.
Per concludere, ai fini dell’esame dell’adeguatezza dei mezzi di sussistenza somministrati all’avente diritto, si
devono sempre considerare anche i redditi personali e/o lo stato economico-patrimoniali del soggetto passivo.
Infatti, può accadere che anche a fronte dell’inadempimento dell’obbligato, il beneficiario abbia propri mezzi
per far fronte ai bisogni primari; tuttavia, in forma speculare, è ben possibile che anche in caso di totale
adempimento dell’obbligato di quanto disposto in sede civile, l’avente diritto non veda ancora integralmente
soddisfatti i propri bisogni e, perciò, l’obbligato è tenuto ad ulteriori somministrazioni al fine di non incorrere
nella condotta sanzionata prevista dalla norma in esame.
2 - Stato di bisogno dell’avente diritto:
In tema di violazione di assistenza familiare bisogna distinguere se l’avente diritto sia un minore o altro
soggetto passivo.
Infatti, qualora la violazione dell’obbligo attenga all’assistenza rivolta al minore la condizione dello stato di
bisogno è presunto, in re ipsa, in quanto è ragionevolmente certo che il minore non sia in grado di provvedere
a se stesso autonomamente, essendo privo della possibilità di avere una propria capacità reddituale.
Viceversa, qualora il trattamento economico omesso fosse rivolto agli ascendenti piuttosto che al coniuge o
all’inabile al lavoro è necessario l’accertamento, da parte del Giudice penale, dell’effettivo stato di bisogno
del soggetto passivo alla somministrazione dei mezzi di sussistenza.
Elemento soggettivo
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Fondamentale diviene l’esame dell’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 570, n. 2, comma 2, c.p.
che ai fini della sua configurazione richiede il dolo generico, consistente nella piena determinazione e volontà
cosciente di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi di assistenza familiare.
Ne discende che la condotta dell’agente si manifesta nella forma omissiva rispetto all’adempimento del
proprio obbligo.
Quanto al momento consumativo del reato, esso non si perfeziona al momento dell’offesa ma, per effetto della
continuazione, si protrae ininterrottamente per tutto il tempo in cui l’obbligato abbia omesso la
somministrazione - non rilevando adempimenti irrisori o sporadici - dei mezzi di sussistenza.
Pertanto, la consumazione, in relazione alle prestazioni periodiche di carattere continuativo, si manifesta con
l’omissione collegata ed unita alle precedenti omissioni in danno dell’avente diritto.
La continuazione può trovare il suo limite: a) con il compimento dell’azione che pone fine alla situazione
antigiuridica o per sopravvenuta impossibilità; b) con la pronuncia della sentenza di primo grado, che segna il
limite della possibilità di modificare il fatto originariamente contestato (Miconi Tonelli 1994, 8).
Il reato si consuma nel luogo in cui la prestazione si sarebbe dovuta realizzare. In caso di difformità tra
residenza anagrafica e quella effettiva dell’avente diritto, la Cassazione ha statuito dall’ormai lontano 1974
che, la violazione degli obblighi di assistenza familiare si realizza nel luogo in cui risiedevano o dimoravano
stabilmente le persone alle quali si sarebbe dovuta prestare l’assistenza.
Ai fini del termine di prescrizione, esso decorre dalla data di cessazione della condotta criminosa ovvero dalla
pronuncia della sentenza di primo grado.
In relazione al carattere omissivo dell’ipotesi prevista al n. 2, comma 2 dell’art. 570 c.p. si precisa che “non
sembra incompatibile con la struttura del reato permanente, in quanto, in dottrina, si ammette che i reati omissivi possano,
eccezionalmente, assumere natura permanente ove il dovere di agire, imposto dalla norma, persista nel tempo, anche successivamente al
primo manifestarsi della situazione da cui esso origina” (Zagnoni Bonilini, 2006, 294).
Sotto un diverso profilo si potrebbe anche ragionare sulla fattibilità del tentativo, tuttavia esso
rappresenterebbe unicamente un esercizio di tipo astratto, in quanto nella prassi non ha trovato applicazione, e
per la natura della presente pubblicazione non è di rilevante interesse pratico.
III° Comma
Perseguibilità a querela
Il reato suddetto è perseguibile per querela della persona offesa (per effetto della modifica di cui alla legge
689/81) salvo l’ipotesi di cui al comma II, n. 1, per il fatto commesso nei confronti di minori, che viceversa
rimane perseguibile d’ufficio.
Pertanto, nel caso di querela proposta da un coniuge anche in favore del figlio minore, l’eventuale remissione
di essa produrrebbe effetti unicamente verso il coniuge querelante ma non anche verso il minore, il cui
interesse è assolutamente indisponibile.
Il termine per proporre la querela è di tre mesi, ai sensi dell’art. 124, comma I, c.p., e nel caso specifico la
Cassazione stabilisce che nell’ambito dei reati permanenti il diritto di presentare querela può essere esercitato
dall'inizio della permanenza fino alla decorrenza del termine di tre mesi dal giorno della sua cessazione e,
quindi, la sua effettiva presentazione rende procedibili tutti i fatti consumati nell'arco della permanenza.
IV° Comma
Clausola di sussidiarietà
L’art. 570 prevede espressamente il carattere di sussidiarietà della incriminazione prevedendo la non
applicazione del citato articolo allorquando il fatto sia preveduto come più grave da altra disposizione di
legge.
Viceversa, troverà applicazione laddove il fatto delittuoso costituisca anche un reato ugualmente grave o meno
grave di quello previsto nell’art. 570 c.p..
Rapporti tra l’art. 570 c.p. e l’art. 12 sexies della legge sul divorzio
L’art. 12 della legge 898 del 1970 prevede l’applicazione delle pene previste nell’art. 570 c.p. anche al
coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile all’avente diritto.
Il citato articolo, che si colloca fuori dal codice penale e con un contenuto fin troppo scarno, stabilisce che:
“Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della
presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale.”
In origine la legge sul divorzio non prevedeva una sanzione penale a carico dell’obbligato inadempiente e solo
con la legge n. 74 del 1987 veniva introdotto l’art. 12 sexies che alla predetta condotta richiamava la sanzione
di cui all’art. 570 c.p..
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In passato la giurisprudenza si è posta il problema di quale fosse il bene giuridico effettivamente tutelato dalla
norma della legge sul divorzio.
Infatti, vi erano ben tre diversi tesi, di cui: la prima lo riconduceva ad una dimensione più squisitamente
pubblicistica e quindi nel mancato adempimento di un provvedimento giudiziale; la seconda lo individuava in
una dimensione più di ordine civilistico e quindi nella tutela di un diritto di credito; la terza lo leggeva in una
chiave più personalistica e, quindi, nella tutela della persona lesa individuando il bene tutelato in una
dimensione costituzionale della famiglia come attualmente intesa.
Pare chiaro che la terza tesi giurisprudenziale è quella oggi maggioritaria, in quanto consente un legame tra le
norme citate, non soltanto per effetto dell’estensione dell’applicazione delle pene prevedute dall’art. 570 c.p.
per le condotte criminose di cui all’art. 12 sexies ma anche per la tendenza ad avvicinare i rispettivi beni
giuridici tutelati.
Tuttavia, come si vedrà in seguito l’avvicinamento suddetto appartiene al principio generale del nuovo
intendimento del “concetto famiglia” mentre le diverse finalità perseguite dalla norma sono evidenti laddove
lo specifico bene tutelato assume colorazioni diverse.
Infatti la stessa giurisprudenza ci chiarisce che gli interessi tutelati dalle due norme sono in parte differenti pur attendendo entrambi al dato materiale della assistenza economica- infatti, nel caso dell’art. 570, comma
II, c.p. il bene tutelato è quello di non far mancare i mezzi di sussistenza all’avente diritto in stato di bisogno,
mentre nel caso dell’art. 12 sexies il bene tutelato è l’interesse a fornire tutela penale all’inadempimento
dell’obbligo a prescindere dallo stato di bisogno, essendo la natura assistenziale alla base dell’assegno
divorzile.
Quanto infine al richiamo generico dell’applicazione delle pene previste dall’art. 570 c.p. posto alla fine
dell’art. 12 sexies, esso ha posto un legittimo dilemma che ha diviso giurisprudenze e dottrina.
La prima ritiene doversi applicare le pene relative al II° comma del citato articolo sulla scorta di voler punire
una condotta di violazione all’assistenza materiale/economica -a prescindere dallo stato di bisogno- e non
anche morale; mentre la dottrina ritiene doversi applicare quelle relative al I° comma per aderenza al principio
del favor rei.
Concludendo, non possiamo non aderire -quantomeno in termini pratici- con le pronunce giurisprudenziali,
non fosse altro per il taglio pratico della presente pubblicazione.
Nondimeno - per l’affascinante scenario speculativo- anche l’opinione della dottrina presenta una questione
sulla quale continuare a riflettere.
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Giurisprudenza
Cass. pen. Sez. VI, 31.01.2013, n. 10147;
Cass. pen. Sez. VI, 28.03.2012, n. 12516;
Cass. pen. Sez. VI, 08.02.1012, n. 8063;
Trib. di Padova, Sentenza 12 gennaio 2012, n. 2585;
Trib. di Monza, Sentenza 11 gennaio 2012, n. 2610;
Trib. di Taranto, Sez. 2, Sentenza 9 gennaio 2012, n. 14;
Trib. di Padova, Sentenza 5 dicembre 2011, n. 2500;
Trib. di Firenze, Sez. 2, Sentenza 15 dicembre 2011, n. 6736.
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Bibliografia
R. Carrelli Palombi, “La violazione degli obblighi di assistenza familiare” ed. UTET;
F.G. Catullo “Diritto penale della famiglia” ed. CEDAM;
F. Fierro Cenderelli “La violazione degli obblighi di assistenza familiare” ed. CEDAM.
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Fac-simile denunzia-querela
TRIBUNALE DI ------------------------PROCURA DELLA REPUBBLICA
ATTO DI DENUNZIA-QUERELA
La sottoscritta/o ----------------, nata ------------- il -------------, residente in ---------------- ed elettivamente
domiciliata alla via ------------- n. ---, presso e nello studio del proprio difensore Avv. ------------------, giusta,
conforme nomina in calce al presente atto
ESPONE
- L’odierna esponente si sposava, in Roma ------- data --------, con il sig. ------- e da detta unione
nascevano i figli ---------- ( nata in -------il--------) e ------------- (nato in ------- il --------);
- Successivamente, per impossibilità alla prosecuzione del matrimonio, si separava dal proprio
consorte a far data dal-----------con omologa/sentenza datata --------- e depositata il--------- emessa dal
Tribunale di ------------Il richiamato provvedimento di separazione prevede nelle condizioni sia un
contributo in favore della odierna querelante sia dei figli, ancora minori, rispettivamente di € ------ e
di € ------ (riportare l’intero punto del provvedimento);
- Dopo il primo trimestre dalla data di separazione il sig.--------- decideva di non versare più entrambi i
contributi in favore degli aventi diritto, lasciando di fatto la moglie ed i figli in uno stato di bisogno e
di grande disagio emotivo e psicologico;
- Peraltro, la querelante non è in condizioni di poter produrre autonomamente un proprio reddito non
avendo alcuna competenza professionale specifica e dovendo nella quotidianità far fronte alle
esigenze ed agli impegni dei figli;
- Inoltre, il venir meno degli unici mezzi di sussistenza in favore della odierna querelante e dei di lei
figli, ha determinato l’impossibilità della medesima di soddisfare le esigenze primarie della vita
quotidiana;
- Attualmente, per cercare di far fronte all’evidente difficoltà economica la sig.ra ------------ è stata
costretta, non solo ad interrompere le attività ludiche e di svago dei figli ma anche l’attività sportiva,
l’acquisto di vestiario ed altro ancora;
- Viceversa, il sig.------------ è dipendente dell’azienda ----------- e percepisce mensilmente uno
stipendio di circa € ----------- così come si evince dal verbale di separazione;
- Ne discende che l’omesso adempimento, realizzato ed in corso, posto in essere dal sig.----------- è
espressione di indifferenza anche affettiva nei riguardi dei figli, determinando negli stessi anche una
vera e propria disaffezione verso il di loro padre.
In considerazione di quanto sopra, sporge ampia ed incondizionata
DENUNZIA –QUERELA
Nei confronti di ---------------------, per tutti i reati configurabili nella fattispecie, ed in particolare per quelli di
cui agli artt. 570, e ss. c.p., essendo evidente l’omesso adempimento da parte di ------------ nei confronti della
moglie e dei di loro figli minori per avergli fatto mancare i mezzi di sussistenza e quindi averli posti in un
palese stato di bisogno,
CHIEDE
Di esser avvisata sia per il caso di richieste di proroga del termine per il compimento delle indagini
preliminari, sia per quello inauspicato, di richieste di archiviazione:
SI OPPONE
A che il procedimento sia definito con decreto penale di condanna
PREANNUNCIA INFINE
La propria costituzione di parte civile nel successivo giudizio penale, manifestando la più ampia disponibilità
per le finalità istruttorie e/o investigative.
NOMINA
Per quanto sopra, a proprio difensore e procuratore l’Avv.-----------------, con studio in Roma alla via ------------- n. ----- presso il quale elegge pure domicilio.
Produce: - copia conforme del provvedimento di separazione; - certificato di residenza e stato di famiglia di ----------------.
Roma, -----------------Sig.ra ----------------------
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