la nuova disciplina dei ritardi di pagamento nelle

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la nuova disciplina dei ritardi di pagamento nelle
Gennaio 2013
LA NUOVA DISCIPLINA DEI RITARDI
DI PAGAMENTO NELLE TRANSAZIONI
COMMERCIALI
1.
Status normativo
1.1
Già 13 anni fa il legislatore comunitario è intervenuto con la direttiva 29 giugno
2000 n. 35/CE per uniformare il trattamento delle conseguenze dei ritardi di
pagamento all’interno dell’Unione Europea. Due anni più tardi, l’Italia ha
recepito detta Direttiva n. 35 con il Decreto Legislativo 9 ottobre 2002 n. 231.
Nel 2011 la Direttiva n. 35 è stata tuttavia incisivamente rivista dalla Direttiva n.
7 del 16 febbraio 2011. Di conseguenza, in attuazione dei suoi obblighi
comunitari, il legislatore italiano, a distanza di dieci anni dalla prima stesura del
D.Lgs. 231/02, ha emanato il nuovo Decreto Legislativo n. 192 del 9
novembre 2012 che ha significativamente modificato e integrato l’originario
testo del D.Lgs. 231/02 con l’obiettivo di rendere più forti ed efficaci le norme
che sanzionano i ritardi di pagamento.
1.2
Non esistono ancora precedenti o linee-guida (giurisprudenziali o dell'AGCM)
riguardo la nuova disciplina; tuttavia, rimane in parte valida, in quanto
compatibile, la giurisprudenza maturata sotto la vigenza del D.Lgs. 231/02.
2.
Campo di applicazione – oggettivo e soggettivo
2.1
Le norme del D.Lgs. 231/02 riformato si applicano ad ogni pagamento
effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.
2.1.1
Si intende per “transazione commerciale”, qualsiasi tipo di contratto
ƒ
fra imprese (di qualsiasi forma giuridica e di qualsiasi settore
economico: industria, servizi compresa la distribuzione
commerciale, agricoltura, ecc.) o
ƒ
fra
imprese
e
Pubbliche
Amministrazioni
(fondamentalmente tutti i soggetti che soggiacciono al Codice dei
Contratti pubblici - D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163),
che preveda la consegna di merci (prodotti, beni fisici) o la
prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Restano escluse dal D.Lgs. 231/0/, viceversa, le transazioni commerciali
con i consumatori (regolate dal Codice del Consumo).
2.1.2
Ai fini di quanto precede, il concetto di “impresa” adottato dal D.Lgs.
231/02 è più ampio di quello del codice civile. E’ infatti imprenditore
chiunque eserciti un’attività economica organizzata. Di conseguenza, è
imprenditore anche il libero professionista e, diversamente da quanto
previsto nel codice civile (art. 2082), non è richiesto, per essere
“imprenditore”, il requisito dell’esercizio “professionale” (i.e.,
continuativo e sistematico) dell’attività.
2.1.3
Il D.Lgs. 231/02 non si applica comunque a qualsiasi contratto e
nemmeno a ogni categoria di “beni” ex art. 812 cod. civ., restando limitato
ai contratti relativi alle “merci” (suscettibili di consegna) e ai “servizi”.
Ne dovrebbe derivare (secondo canoni di stretta interpretazione letterale)
che il D.Lgs. 231/02 non si applica:
-
alla compravendita di partecipazioni sociali (azioni o quote),
-
alle alienazioni e ai conferimenti di aziende,
-
alla cessione di crediti o di contratti,
-
alle operazioni che abbiano ad oggetto immobili (vendite,
locazioni, affitti).
Può esser dubbio se il D.Lgs. 231/02 si applichi alle cessioni di energia
(posto che è dubitabile che l’energia costituisca una “merce”).
Bisogna tuttavia avvertire che, in passato, da una parte della dottrina,
sono state avanzate interpretazioni “omnicomprensive” volte ad
abbracciare l’intero spettro dei contratti d’impresa nell’ambito applicativo
del D.Lgs. 231/02. L’esclusione o inclusione di una specifica operazione
dovrà perciò essere attentamente valutata sulla base delle specificità del
caso concreto.
2.2
Il D.Lgs. 231/02 esclude espressamente dal suo ambito:
-
i debiti oggetto di procedure fallimentari aperte a carico del debitore,
comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito, e
-
tutti i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, anche
da parte di un assicuratore.
3.
Campo di applicazione – geografico
3.1
La normativa appare costituire una norma italiana di applicazione
necessaria. La normativa si applicherà dunque a tutti i contratti eseguiti in
Italia indipendentemente dalla eventuale legge straniera che regola il contratto
per scelta delle parti.
3.2
Nel caso di contratti cross-border, ove la prestazione caratteristica sia effettuata
al di fuori dei confini nazionali (ad esempio, il servizio è prestato all’estero), ma
il credito per il corrispettivo maturi a favore di un soggetto italiano che ha
effettuato tale prestazione, potrebbe invece essere discutibile se le protezioni del
D.Lgs. 231/02 si applichino imperativamente a favore di tale soggetto creditore.
Sarà necessaria, in questi casi, un’analisi delle concrete circostanze del caso.
4
Campo di applicazione – cronologico
4.1
La disciplina sui ritardi di pagamento in base al riformato D.Lgs. 192/2012 si
applica alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° Gennaio 2013.
5
Campo di applicazione – rapporti con altre leggi
5.1
L’art. 11 del novellato D.Lgs. 231/02 prevede che restano “salve” (quindi
continuano ad applicarsi) le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali
“che contengono una disciplina più favorevole per il creditore”.
A rigore, dunque, non dovrebbero applicarsi, invece, le norme che contengono
una disciplina più sfavorevole.
Si tratta, all’evidenza, di una formulazione normativa che presenta margini di
ambiguità (e che, infatti, è stata variamente interpretata dalla dottrina).
Anche sotto questo profilo, sembra necessaria un’analisi attenta, caso per caso.
5.2
Inoltre, l'articolo 10 del D.Lgs. 231/02 ha sostituito il comma 3° dell'art. 3 della
Legge 192/1998 sulla disciplina della subfornitura nelle attività produttive,
prevedendo che la disciplina degli interessi di mora del D.Lgs. 231/02 si
applichi anche ai pagamenti delle subforniture. In questo specifico caso si
prevede che, ove il ritardo nel pagamento ecceda di trenta giorni il termine
convenuto nel contratto di subfornitura, il committente incorrerà in una
ulteriore penale del 5% dell'importo.
5.3
Per quanto riguarda il settore agro-alimentare, l'art. 62 del cd. Decreto
"Liberalizzazioni" n. 1/2012, convertito in Legge n. 27/2012 (“Decreto
Liberalizzazioni”), ha introdotto termini di pagamento speciali nel settore
agro-alimentare. Il rapporto tra tali norme (speciali) e la disciplina (generale)
non è chiarito da una disposizione espressa del D.Lgs. 231/02 e andrà chiarito
anche se pare sostenibile la prevalenza della lex specialis.
6
Gli interessi di mora. Termini di pagamento.
6.1
Gli articoli 3 e 4 del D.lgs. 231/02 riformato prevedono che il creditore ha
automaticamente diritto agli interessi moratori che decorrono, senza bisogno
di costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine di
pagamento.
6.2
6.1.1
Gli interessi si calcolano sull'importo dovuto, che comprende “la
somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o
legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri
applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di
pagamento”.
6.1.2
Gli interessi moratori non sono dovuti nel caso in cui il debitore dimostri
che “il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato
dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile” (art. 4, 1° comma, art. 2, lettera g , ed art. 3).
In assenza di un diverso termine contrattualmente stabilito gli
interessi di mora decorrono dopo 30 giorni.
6.2.1
Tale termine è calcolato:
-
dal ricevimento della fattura o di una richiesta di pagamento
equivalente quando la data di ricevimento è “certa” e la
fattura/richiesta di pagamento segue la consegna della merce o
l’esecuzione del servizio; oppure
-
se non è certa la data di ricevimento della fattura o se questa è
stata ricevuta prima della consegna delle merci o della
prestazione dei servizi, dalla data di ricevimento delle merci o della
prestazione dei servizi; oppure
-
se il debitore riceve la fattura o la equivalente richiesta di
pagamento in data precedente all'accettazione o alla verifica
delle merci (ove prevista dalla legge o dal contratto), dalla
successiva data della detta accettazione o verifica, tenendo presente
però che la procedura di accettazione o verifica non può avere una
durata superiore a trenta giorni dalla data di consegna della
merce o della prestazione dei servizi, salvo che ciò sia
espressamente concordato dalle parti per iscritto e previsto nella
documentazione di gara e purché non sia gravemente iniquo per
il creditore.
6.2.2
6.3
Con riferimento a quanto precede, si può notare che:
•
la richiesta di pagamento equivalente alla fattura deve consistere in
una richiesta di pagamento incondizionata e il cui termine sia già
decorso;
•
la fattura o la richiesta di pagamento devono essere state “ricevute”
dal debitore e il termine si calcola dal ricevimento, non dalla
spedizione;
•
la prova del ricevimento così come la certezza della relativa data
può essere nell’interesse del debitore/fornito; quando la fattura è
stata emessa dopo la consegna/esecuzione del servizio, è interesse
del debitore/fornito dare una data certa di ricevimento allo scopo
di far decorrere i 30 giorni da tale data (ed evitare, invece, che, nel
caso di data di ricevimento incerta, i 30 giorni decorrano dalla data
antecedente di consegna/esecuzione);
•
la certezza della data di ricevimento dovrebbe essere agevole in
caso di uso della PEC; va altresì ricordato che le scritture contabili
elettroniche possono essere dotate di marcatura temporale e firma
digitale (art. 2215 bis cod.civ.), il che può servire ad attribuir loro
data certa;
•
la data di consegna delle merci dovrà essere valutata in base alle
pattuizioni contrattuali (tenendo conto degli Incoterms) e, solo in
assenza degli stessi, in base alle disposizioni residuali contenute
nel codice civile.
Le parti possono poi stabilire un termine contrattuale di pagamento.
6.3.1
Nelle transazioni commerciali tra imprese, le parti possono prevedere
un termine contrattuale di pagamento per iscritto; se superiore a 60
giorni, tale termine non deve essere gravemente iniquo per il
creditore.
6.3.2
Nelle transazioni commerciali tra imprese e Pubbliche
Amministrazioni il termine di pagamento, pattuito in modo espresso e
per iscritto, deve essere “giustificato dalla natura e dall'oggetto del
contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione”. Il termine non può mai essere superiore a 60 giorni.
6.3.3
Il termine di pagamento è sempre di 60 giorni se il debitore è un ente
pubblico che fornisce assistenza sanitaria o se è tenuto al rispetto dei
requisiti di trasparenza finanziaria di cui al Decreto Legislativo n. 333 del
2003 (art. 4, 4° e 5° comma, ed art. 7, 5° comma).
6.4
Le parti possono concordare termini di pagamento a rate. In questi casi,
qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi moratori
e il risarcimento del danno e dei costi di recupero del credito sono calcolati
esclusivamente sulla base degli importi della rata o delle rate scadute (art. 4, 7°
comma).
7
Interessi dovuti e risarcimento dei costi di recupero
7.1
Il tasso dell'interesse di mora è pari al saggio di interesse del principale
strumento di rifinanziamento della Banca Centrale Europea (la BCE)
rilevato il primo giorno di ogni semestre, aumentato di otto punti percentuali.
L'aumento del tasso di riferimento è, invece, di dieci punti percentuali qualora il
mancato pagamento sia relativo ad un contratto avente ad oggetto la cessione di
prodotti agricoli od agroalimentari (sia deteriorabili che a lunga conservazione),
ai sensi del 3° comma dell'art. 62 del Decreto Liberalizzazioni. In questo
secondo caso, l'aumento non è derogabile dalle parti. Il saggio di interesse di
riferimento è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana del quinto giorno
lavorativo di ogni semestre.
7.2
Nelle transazioni commerciali tra imprese, le parti possono concordare un
diverso tasso di interesse moratorio, purché questo non sia gravemente iniquo
per il creditore. E' sempre nullo l'accordo che esclude del tutto l'applicazione
degli interessi di mora (art. 7, 3° comma).
7.3
Il creditore ha inoltre diritto al risarcimento dei costi di recupero delle somme
non tempestivamente corrisposte, salva la prova del maggior danno che può
comprendere i costi di assistenza (per esempio, legale) per il recupero del
credito e sempre che il debitore non dimostri che la causa del ritardo non è a
lui imputabile.
Inoltre, al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora del
creditore, un importo forfettario di 40 Euro a titolo di risarcimento del danno
(salva, come abbiamo detto, la prova del maggior danno).
Ai sensi dell'art. 7, 2° e 4° comma, è possibile escludere contrattualmente il
risarcimento sia dei costi di recupero del credito che quello forfettario del danno
subito dal creditore, ma solo se vi sono ragioni oggettive per farlo.
8
Nullità di clausole per grave iniquità
8.1
Le parti possono introdurre contrattualmente clausole
•
sui termini di pagamento,
•
sul saggio degli interessi moratori e
•
sul risarcimento per i costi di recupero.
Tutte tali clausole sono però nulle qualora siano gravemente inique
per il creditore.
8.1.1
La grave iniquità è soppesata dal giudice su base casistica; a questo fine il
giudice valuterà:
-
il “grave” scostamento dalla prassi commerciale in contrasto
con il principio di buona fede e correttezza,
-
la natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto,
-
l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al tasso degli interessi
legali di mora, dei termini di pagamento o dell'importo forfettario
dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero del credito.
8.1.2
Si considera sempre gravemente iniqua, senza la possibilità di dare
una prova contraria, la clausola contrattuale che esclude l'applicazione
degli interessi di mora.
8.1.3
Si presume che sia gravemente iniqua, ma con la possibilità di provare il
contrario, la clausola contrattuale che esclude il risarcimento per i costi di
recupero del credito.
8.1.4
Nelle transazioni in cui il debitore è una Pubblica Amministrazione, è
nulla la clausola contrattuale che predetermina o modifica la data di
ricevimento della fattura. In questo caso la nullità della clausola è
dichiarata d'ufficio dal Giudice (5° comma).
8.2
Tutti questi sono casi di “nullità relativa” per cui sono nulle solo le clausole
individuate dall'art. 7 del Dlgs 231/2002, ma il contratto per il resto rimane
valido (art. 1419, 2° comma, cod. civ.).
8.3
Non possono essere dichiarate nulle, ai sensi dell'art. 1339 cod. civ., le clausole
ed, in particolare, i prezzi di beni e servizi imposti dalla legge ed inseriti nel
contratto anche in sostituzione delle clausole difformi concordate tra le parti.
9
La tutela giudiziale, individuale e collettiva, del creditore.
9.1
Alla tutela autonoma del singolo creditore si affianca quella collettiva: l'articolo
8 prevede che le associazioni di categoria degli imprenditori, in particolare,
quelle delle piccole e medie imprese presenti nel CNEL, il Consiglio Nazionale
dell'Economia e del Lavoro, possono chiedere al Giudice
9.1.1
di accertare la grave iniquità, ai sensi dell'art. 7 del D.lgs. 231/2002, delle
condizioni contrattuali generali concernenti il termine di pagamento, il
saggio degli interessi moratori o il risarcimento dei costi di recupero dei
crediti e
9.1.2
di adottare le misure idonee a correggere o ad eliminare gli effetti dannosi
delle violazioni accertate, nonché
9.1.3
di inibire l'uso di queste clausole contenute nelle condizioni generali di
contratto predisposte da uno dei contraenti ai sensi dell'art. 1341, 1°
comma, cod. civ., o contenute nei moduli o formulari contrattuali di cui
all'art. 1342 cod. civ..
9.2
Questa tutela collettiva giudiziale delle posizioni contrattualmente deboli delle
imprese più piccole, è dello stesso tipo di quella degli interessi collettivi (o
“diffusi”) dei consumatori concessa alle associazioni rappresentative a livello
nazionale di questi ultimi dall'art. 3 della legge n. 281 del 1998 sulla disciplina
dei diritti dei consumatori e degli utenti oggi riportata nell'art. 139 del Decreto
Legislativo n. 206 del 2005, il “Codice del consumo”.
9.3
La tutela dell'impresa - contraente debole - è rafforzata anche da alcune
disposizioni processuali: l'art. 8 del D.lgs. 231/2002 ha modificato l'articolo 641
cod. proc. civ. prevedendo che il decreto ingiuntivo relativo al pagamento del
prezzo e dei relativi interessi di mora debba essere emesso dal giudice entro
trenta giorni dal deposito del ricorso. Il termine per pagare fissato nel decreto
ingiuntivo è di quaranta giorni , salvo che il debitore intimato non risieda in
altri stati dell'Unione Europea - in questo caso il termine è di sessanta giorni - o
in stati extracomunitari (centoventi giorni).
9.4
E' stato modificato anche l'articolo 648 cod. proc. civ., prevedendo che il
Giudice debba concedere l'esecuzione provvisoria parziale del decreto
ingiuntivo opposto dal debitore, limitatamente alle somme non contestate, salvo
che l'opposizione sia proposta per motivi procedurali.
***
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