opus pistorum

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opus pistorum
OPUS PISTORUM
HENRY MILLER
Titolo originale: ―Opus pistorum‖ (altrimenti noto come ―Under the roofs of Paris‖)
Traduzione di Pier Francesco Paolini
1984 – Giangiacomo Feltrinelli Editore
Digitalizzazione a cura di Yorikarus @ http://www.tntvillage.scambioetico.org
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LIBRO PRIMO
―Drop your cocks and grap your socks!‖
(―Deponete gli uccelli, calzate i coturni!‖)
CANTERBURY
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Parte prima
SOUS LES TOITS DE PARIS
Dio lo sa che ormai ci abito, a Parigi, da tanto di quel tempo, che non dovrei
più stupirmi di niente. Non occorre che vai in cerca di avventure, qui, come
invece a Nuova York, macché, basta aver un tantino di pazienza, e aspettare. La
vita ti scova nei posti più strani e reconditi. E te ne capitano, di cose! Ma questa
però... La situazione in cui mi trovo adesso ha dell'incredibile, via! C'è questa
graziosa bambina di tredici anni, tutta nuda, che mi siede sulle ginocchia... c'è
suo padre che si sta calando giù i calzoni, dietro quel paravento... c'è una giovane
puttana mammelluta qui seduta sul sofà... Ahò, è come guardare la vita in uno
specchio deformante. Le immagini sono riconoscibili, ma, perdio, talmente
falsate, mostruose...
Mai visto me stesso nei panni di un satiro, uno di quegli uomini che vengono
tratti in arresto ai giardini pubblici, sempre un po' trasandati, squalliducci,
malfermi sulle gambe, che s'affannano a spiegare che la bimba aveva il vestituccio
impolverato e loro volevano solo... Ma però devo ammettere, adesso, che questa
Marcelle, con il suo corpicino senza peli, oh sì, mi arrapa. Mica perché è una
bambina. È perché è così priva di innocenza! La guardi negli occhi e ci leggi
perfidia, depravazione, perfino un'ombra di saggezza. Ah, il piccolo mostro saputo! Mi sta seduta sulle ginocchia, mi struscia la fighetta nuda contro le dita, mi
guarda e mi cogliona perché esito.
Le accarezzo le gambe a pizzicotti, le agguanto una chiappa del culetto
fremente... Il suo corpo ha ancora tutta l'acerbità dell'infanzia. Un tantino ancora
informe. Ma è una donna in miniatura. Un bel frutto ancora agretto. Ha la
sorciolina umida. Le dà gusto quando gliela titillo con la punta delle dita. M'infila
una mano dentro la pattuella. Cerca, fruga... Quei ditini mi mettono paura. Cerco
di trattenerle il braccio. Ma non ce la faccio a tenerla lontana. Ecco, adesso
m'agguanta l'uccello. Mi si fa tutta accosto... E incomincia a giocarci, con John
Thursday — con Gian Giovedì — come lo chiamo io. Oh oh, lo trovi bello duro,
vero, cocca?
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La puttana mammelluta bada a scuotere la testa, sul sofà. Così piccola — dice
— così piccinina... Certe robe dovrebbero essere vietate dalla legge! Ma guarda
avida e non si perde nulla. Col mestiere che fa, non può permettersi l'arrazzatura.
Le mignotte bisogna che imparino a vendere la mona spassionatamente. Invece
vedo che incomincia a eccitarsi, e già la voce la tradisce...
Chiama Marcelle da lei. La bimba non vuole mollarmi ma io la
scarico.
Quasi
volentieri. "Ma perché vuoi fare la... beh, la cattiva ragazza?" A domanda, la
bimba non risponde. Sta lì in piedi, fra le ginocchia della puttana, che incomincia
a tastar- la qua e là. "E le fai, certe brutte cose, anche col tuo papà?" "Sì, ogni
notte, nel letto." Ha un'aria di sfida, di trionfo. "E quando il tuo papà non c'è?
quand'è al lavoro?" Oh, i ragazzini cercano di farle fare le porcherie, tante volte.
Ma lei con loro non ci sta. E neanche con gli uomini che l'invitano a fare una
passeggiatina.
Il papà viene fuori incazzato da dietro il paravento. La smettesse, la signorina,
per favore, di fare domande alla bimba. Tira fuori una bottiglia e tutt'e tre ci
facciamo un cognacchino. Per la figlia, c'è un dito di vino bianco.
Mi siedo accanto alla mignotta sul sofà. È contenta che ci sia io, come io le
sono grato per la sua presenza. Però sembra assente. È distratta. Le infilo una
mano sotto la gonna. Ha le gambone sode.
Marcelle adesso si è seduta sulle ginocchia del papà, sulla sedia. Si balocca col
suo pirla e lui la sfrucuglia fra le coscette. Lei gli porge il pancino e lui lo bacia.
Sta a gambe larghe. Il papà le infila un dito nel buchino della fica, lei ci infila
anche il suo, e ride.
La mignotta scotta. Smania. Le insinuo una mano fra le cosce calde, e la sento
tutta bagnata. Ci ha un boschetto largo come la mia mano, bello morbido. Si tira
su la gonna, mi agguanta la nerchia e gli strofina il naso, a Gian Giovedì, sul suo
vello. Geme. Le tastassi le tette, per favore. Mi offenderei se mi pregasse — geme
— di baciargliele? "Di mor — geme — dermele?" Fa la gatta per farsi chiavare. Il
fatto che sia qui a pagamento non conta, adesso... Magari ridarebbe indietro i
soldi, e con la giunta pure, per un cazzo nella figa che le rode, in 'sto momento.
Marcelle ci dà una voce, vuole che la guardiamo. Sta china sul padre, col suo
uccello in una mano, e con l'altra ci fa cenno. "Ehi, guardate! Adesso glielo
ciuccio. Non volete vedermi a pigliarglielo in bocca?" Il papà è raggiante come se
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fosse imbottito di hashish, ora vede tutto rosa. Sta in pizzo sulla sedia, quasi
casca, aspettando il pompino della bimba.
Chissà se ci prova gusto veramente, mi domando, sia pure la metà di quanto
dà a vedere? È stata istruita — si vede d'acchito — non è frutto della sua
fantasia. Strofina le tettine — che quasi ancora non ce l'ha neppure — sulla
cappella di papà, lo coccola un po' contro il petto, poi gli depone la testa sul
ventre, lo bacia sul pube, gli lecca le cosce, risale su su... La sua linguetta pare
un verme rosso che s'infrasca fra i peli neri.
La troia m'agguanta una mano e se la preme contro la patacca. È talmente
arrapata che dà un urlo, quando Marcellina alla fine riceve tra le labbra
l'uccellaccio di papà e si mette a ciucciarlo. Non può essere — esclama — certe
cose non possano essere, oh no, ma come si fa? Marcelle strabuzza gli occhi e
schiocca le labbra, per farle vedere come si fa, appunto.
Ora la bimba vuole ch'io la chiavi. Salta sul sofà e si incunea fra la venere
pandemia e me. C'è qualcosa di così fascinosamente orribile, in lei, che non riesco
a muovermi, a reagire. Fa tutto lei. Mi si mette a cavalcioni sopra, mi struscia il
pancino sul cazzo, poi allarga le gambe e se lo piazza in limine... Io mi scanso e
do uno scarto non appena la sua fighettina calva entra in contatto con la punta
del mio arnese. Ma lei, lesta, si limette in arcioni.
"E fòttila, a 'sta porcellina!" mi fa la mignotta, chinandosi sopra di me, con gli
occhi assatanati, il fiato rovente. Si slaccia la blusa, mi preme con le tette su una
spalla. E il papà di Marcelle: "Su, via, monsieur, la chiavi. Voglio veder chiavare la
mia stella!"
Marcelle si apre la sorcinaccia e, tenendola aperta, la spinge giù, contro il mio
cazzo, ne inghiotte la cappella arroventata... spinge ancora... la povera figuccia si
dilata... non capisco come fa a riceverne tanto... ma lei seguita a divorarlo, a
grado a grado... Mi viene la voglia di sbatterla sotto e fotterla come si deve, fino a
farla scoppiare, e sventrarla, e riempirla di sburra. Lei seguita imperterrita e,
ecco, adesso se l'è ficcato tutto quanto dentro, la sua ignuda sorcetta si veste del
mio pelo, e lei ride, la cucciola, oh quanto le piace, aver dentro un bel cazzo.
La respingo, la sbatto lontano. Ma lei non capisce che non la voglio o, se lo
capisce, non gliene frega niente. Mi abbraccia le ginocchia e mi lecca le palle, mi
bacia l'uccello — ha le labbra dipinte, me n'accorgo solo ora — poi lo prende in
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bocca, prima che possa fermarla. Mi ciuccia, mi ciuccia... sto quasi per venire...
lei spasima, geme e gorgoglia.
"You loony bastard! Pazzo bastardo!" grido a suo padre. "Non la voglio scopare,
tua figlia. Scopatela te, se ci tieni tanto!" Mi riinfilo l'uccello dentro i pantaloni.
Marcelle corre dal papà. "Devo essere matto come te," grido io, "per esser venuto
qui. Ma ora basta! Levatevi dai piedi, andate al diavolo!"
"Papà!" esclama Marcelle. È spaventata dalla mia violenza... Ma no.
Spaventata, quel piccolo mostro? Macché giusto. Mi guarda, e gli occhi le
sfavillano. Poi, rivolta al paparino: "Vallo a prendere, papà. Va' a pigliare lo
scudiscio, che così lei mi frusta mentre lui mi fotte. Dai, papà, per favore!"
A questo punto scappo via, fuori di casa. Sennò, avrei ammazzato qualcuno.
Tremo tanto che, appena all'aria aperta, mi devo appoggiare a una cancellata. Mi
sembra di essere uscito da un incubo.
"Monsieur! Monsieur!" È la mignotta. Mi ha seguito. Mi si aggrappa a una
mano disperatamente. "Gli ho buttato i soldi in faccia, a quel porco porcaccione!"
Vedendo che metto mano al portafogli, soggiunge: "No, no, non voglio un
rimborso, per carità."
La trascino con me. La conduco dietro uno steccato, nel cortile di una
segheria. L'abbraccio. Lei aderisce a me. S'è tirata su la gonna e mi lascia
carezzarle il boschetto. È tanto arrapata che ha le cosce in un lago. Le dischiudo
la figa con le dita. Lei mi sguaina Giannetto.
Ci sdraiamo su una catasta di assi. È un po' ruvido, come letto, e lei passerà il
resto della notte a togliersi schegge dal culo, ma ora questo non le fotte. Ha tanta
voglia d'essere fottuta, che giacerebbe su un letto di chiodi, alla fachira, pur di
farsi inchiodare. A gambe larghe, puntando i tacchi, si inarca per tirarsi su la
gonna, a mezza vita. "Monsieur... Monsieur..." sospira.
Non saprai mai, magnifica puttana, quanto ti sono grato per stanotte...
Affondo John Thursday fra i suoi peli. Come avesse un cervello nella testa
pelata, lui si trova la strada da sé. Scivola dentro liscio finché va a cozzare contro
il retto.
A lei gli esce una fiumana dalla mona. Un profluvio che non finisce mai.
Avresti voglia a metterle tamponi, pezzuole, asciugamani, coperte e materassi fra
le gambe, ti inonderebbe uguale. Mi par d'essere quell'olandese che doveva
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tappare una falla nella diga, e non aveva altro che il suo dito. Ma ti tappo io, ti
otturo con 'sto cazzo...
"Che effetto t'ha fatto?" seguita a domandarmi. Vuol sapere. Non riesce a
scordare quella figolina glabra, pur mentre mi ha dentro la sua. Ce l'ha in testa —
mi dice — l'ossessiona, il modo come quel fichino liscio palpitava, mentre era
penetrato dal mio cazzo. Ah, quel gracile corpo nudo, tutto fremente... Ah, se mi
fossi visto dal di fuori! "Ma che effetto faceva?"
E quando quella piccola maiala m'ha pigliato il tubo in boera — fra le labbra
infantili dipinte — e lo ciucciava, cosa provavo, io? Oh, che bambina perversa.
Non dovrebbe neanche saperlo, alla sua età, che si fanno certe cose. Farle, poi! E
così via. Mentre Jean Jeudi seguita a stantuffarla... Monsieur!
Un esercito le è passato fra le cosce... battaglioni e reggimenti senza nome...
scopati e scordati. Ma questa notte la ricorderà. È un avvenimento, nella sua vita:
darla via gratis. No, non se lo scorderà facilmente. Io spingo, spingo il cazzo fino
in fondo alla sua fica matura e lei mi tiene stretto a sé, intorno al rollo. Non è una
troia adesso, ma una donna a cui rode la sorcia e se l'ha da far grattare.
Ti passerà il prurito. Te lo fo passare io. Te la scopo via, la smania. E fotterò
via anche il ricordo degli altri che t'hanno avuta. Con chi sei già stata stasera?
Chi t'ha scopato fino a poco fa? Importa forse, e te ne ricordi ancora? Son passati
sul tuo corpo e sono andati a congiungersi con gli altri battaglioni e reggimenti
che già avevano marciato su di te. Ma io resterò, non mi dileguerò tanto
facilmente. Intanto, per adesso, il mio nerbo è in te. E ci resterà, anche dopo
che me ne sarò andato.
Ti lascerò qualcosa che non dimenticherai, ti darò un grumo di gioia, riempirò il
tuo grembo d'un calore che non si raffredderà. Giaci sotto di me a cosce aperte,
mi ricevi, la tua bocca puttana mi bisbiglia parole che hai già detto mille volte a
mille altri. Ma che importa. Prima di me non c'è mai stato nessun uomo. Dopo di
me non ce ne saranno più. Non è mica colpa tua se non disponi di parole per
esprimere, in modo diverso, quello che provi... Ma che lo provi basta.
Lo tiro fuori, glielo sbatto sulle cosce e poi torno ad immergerlo nella molle
ferita, e poi di nuovo, e poi ancora, e ogni volta è una nuova conquista. T'hanno
dilapidato, tutti gli altri, t'hanno demolita e saccheggiata e svuotata. Ma io ti
riempio di nuovo. Tu lo sai che, stavolta, stai scopando con tutti i sentimenti.
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Si slaccia la blusa di nuovo e mi offre le tette. Ci affondo la faccia, succhiando
e mordendo. Le agguanto il culo con entrambe le mani, e spingo col cazzo più
forte, più a fondo che posso. Se gli fa male, chi se ne frega. Né lei né io ci
pensiamo. Le palle mi stanno agguattate in un nido caldo e peloso. Le tavole
strepitano sotto di noi, traballando, come le ossa di uno scheletro volteggiante in
una danza macabra.
La sburra schizza fuori del mio uccello come acqua da una pompa. La puttana
mi circonda le reni con le gambe e mi tiene stretto a sé. Ha paura che smetta,
perché lei non è ancora venuta. Ma io seguito a pistellarla per un altro minuto
buono, finché il fuoco eh'è in lei non viene spento e le gambe le ricadono.
Giace riversa, abbandonata, sulla catasta d'assi, quand'è finito. Non bada a
ricoprirsi. Sembra ch'abbia dimenticato dove si trova. È stronata, fottuta e
contenta. Ma ho paura che, come torna in sé, provi a scucirmi qualche franco,
magari con la scusa del tassì e d'una vecchia mamma malata. Mi vien da
svignarmela, ma poi ci ripenso, tiro fuori un biglietto di banca, mi ci netto la
cappella dell'uccello, e poi glielo poso tutto spiegazzato sulla pancia nuda,
fermandolo con una moneta.
Indi poi telo, e le strade mi inghiottono, squallido e forestiero come prima.
Le lettere di Tania mi raggiungono dovunque. Mi scovano sempre, da qualsiasi
parte. Oggi ne sono arrivate due, una al mattino, l'altra in serata. Si sente così
sola!...
"...mi pare di diventar matta. Impazzirò se passo un'altra notte senza farmi
scopare da te. Non faccio che pensare al tuo bel cazzo, grosso e prode, e a tutte le
bellissime cose che mi fa, e darei tutto quello che possiedo solo per prenderlo
ancora in mano, tastarlo soltanto. Non faccio che sognarlo. Non mi basta scopare
con Peter. Riesco a stento a trattenermi dal venire da te, pur sapendo che ciò ti
inasprirebbe, e mi tratteresti male.
"Non pensi mai a me — prosegue la lettera — e al bel tempo che ci siamo dati
insieme? Spero di sì, e che talvolta desideri di avermi a letto con te — a giocare
col tuo cazzo, a prenderlo in bocca, in fica, in culo. Anche la mamma ha nostalgia
di te: vorrebbe tanto che tu fossi qui, e fottessi anche lei. Lo arguisco dal fatto
che non fa che parlare di te. Non fa che farmi domande su di noi: vuol sapere che
cosa facevamo insieme, esattamente, e anche cosa ci dicevamo in quei momenti.
Credo che adesso si faccia scopare soltanto da Peter. Andiamo a letto tutti e tre
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insieme, e mamma e io facciamo dei gran bei 69, mentre lui ci accarezza a turno.
Ti dirò che mi piace. Però vorrei che fossi tu a chiavarmi..."
E così via. "Con amore da Tania", finisce così, la prima lettera. La seconda è
più lunga. Tania ha scoperto un nuovo sfizio. "Devo raccontarti tutto subito.
Strano? Oh, no. È che vorrei clic fossi tu a farmelo. Tutto quello che gli altri mi
fanno sarebbe più bello, se a farmelo fossi tu. Sarà perché hai un cazzo così
bello, grosso, duro. Quando penso al tuo spadone mi viene la pelle d'oca. E ci
penso sempre. Anche quando ne ho un altro nella fica."
La lettera così prosegue: "Oggi ho rimorchiato un ganzo, Ero così contenta di
poter nuovamente scopare con qualcuno (sai, la mamma mi sorveglia come un
falco) che non stavo nella pelle. Saliamo su in camera sua e mi spoglio in un
battibaleno. Ci sdraiamo sul letto e lui attacca coi preliminari. Ma ero troppo
arrapata. Gli ho detto di ficcarmelo subito su, non potevo resistere un altro
minuto secondo. Oh, sembravo una pazza. Avrà avuto paura, poverino, che se
non mi inchiodava sul posto, mi sarei magari buttata fuori della finestra. Che
bello! Stupendo, era, far di nuovo l'amore con un uomo, sentirlo andar su e giù
dentro di me. Magnifico! Sai, Peter la mamma lo spompa.
È un rudere, pórello. Quasi non serve più. Insomma, questa di oggi era per me la
prima vera autentica scopata da quando tu te n'andasti. La prima fu breve ma poi
la seconda seguì subito, a ruota, e ci sbattemmo come due ossessi. Dopodiché lui
mi fa: 'Adesso t'insegno un trucco nuovo.' Boh, stiamo a vedere, dico io dentro di
me. Intanto l'arnese gli stava tornando duretto. Lo prendo in bocca, lo ciuccio un
po', e eccolo già come nuovo. Allora lui mi sdraia a pancia sotto, sopra un
mucchio di cuscini, e incomincia a ficcarmelo su per il culo.
"Mi dà gusto da matti, s'intende, ma — dico — sarebbe questo il 'trucco
nuovo'? Era bello, ma non tanto bello come quando eri tu a incularmi in quel
modo. Ero quindi un po' delusa, perché non si trattava, dopotutto, di una novità.
Ma, poi, d'un tratto, sentii qualcosa di nuovo e strano. Lì per lì pensai che se ne
venisse e che la sburra mi salisse su. Poi lo schizzo aumentò di intensità, un
getto continuo, e, allora, capii che mi stava pisciando dentro il culo. Oh, che
strana e stupenda sensazione che provai! Il suo gran cazzo mi tappava il culo e
neppure una goccia ne usciva, tutto il liquido saliva su su su, nelle mie viscere. E
così caldo, era, che mi bruciava tutte le interiora, svicolava dappertutto, nei
budelli.
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"Non pareva che volesse mai finire. Mi invadeva come una fiumana, mi faceva
l'effetto di essere incinta. Quand'ebbe finito, prima di tirar fuori l'uccello, mi disse
di stringere bene le chiappe, per trattenerlo dentro. E così fu. Che strana
sensazione, con tutto quel piscio d'un uomo nel ventre! Lascio a te immaginarlo.
"Poi mi condusse al bagno. Scaricai tutto nel cesso — litri e litri di piscio dal
culo — mentre lui, ritto davanti a me, mi dava da ciucciare il manganello...
insaporito un po' dalla mia cacca."
Lo confesso: a leggere la lettera di Tania m'è venuta un'erezione. La conosco
bene, quella troietta. E la vedo la scena, manco fossi presente. Chiudo gli occhi e
mi figuro ogni dettaglio, ogni brivido, ogni mossa. Mi metto a camminare per la
stanza con un uccello che farebbe invidia a uno stallone. Non so perché, ma il
pensiero di quella pisciata in culo non mi dà requie.
Esco a fare una passeggiata. Ma l'uccello assatanato mi intralcia il passo.
Sono un'ottima esca per puttane. E difatti tutte quelle che incontro cercano di
abboccare... di adescarmi a loro volta. Sono abilissime nel valutare lo stato
erotico di un uomo. Ma non è di una mignotta, che io ho voglia. Voglio un'altra
Tania, però una con la quale non mi senta altrettanto coinvolto. Non la trovo, per
le strade.
Vado da Ernest. Dalla sua finestra si gode una vista magnifica. Dà su una
scuola d'arte. Una scuola per artisti bohémiens. Gi studenti e le studentesse
posano a turno per i colleghi poiché son tanto poveri da non potersi permettere
modelle di professione. Quando sono da lui, Ernest e io stiamo sempre a guardarli per un po' dalla finestra. A me piace lo spirito di quella scuola. I ragazzi
fanno i mandrilletti con la modella di turno, le tastano le tette en passant, le
titillano gli inguini. Quella di oggi è una bionda fiancuta, e se ne frega. Ernest mi
racconta che l'altr'ieri posava un giovinotto e le ragazze gli davan tanto noia che,
se i loro disegni fossero stati davvero veristi, l'avrebbero ritratto a cazzo rizzo.
È bello veder l'arte prender vita. A Nuova York c'erano, mi ricordo, scuole di
disegno fasulle dove andavano certi figuri che bazzicavano l'ambiente del varietà.
Si pagava mezzo dollaro all'ingresso, e questo ti dava diritto di rimirare per
mezz'ora una figa nuda. Era inteso, s'intende, che mica guardavi la fica... oh,
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no! guardavi qualcosa chiamato Arte. Questi ragazzi dirimpetto invece — sono
tutti giovanissimi, compreso l'insegnante
lo sanno bene, cosa van cercando. La ragazza seduta sopra quella cassetta è
una ragazza nuda, con un boschetto intorno alla sorcia e del succo che le cola
fra le cosce! È una cosa viva, su mi metter le mani, in cui infilzare l'uccello, e, se
i ragazzi si soffermano a tastarla, se le danno dei pizzichi al culo, se lavorano a
cazzo rizzo, ebbene, tanto meglio per il loro lavoro, e per il mondo.
Ernest mi dice che gli sono sempre capitate delle buone finestre. Tranne solo
una volta. Quella volta che no, aveva come dirimpettai due finocchi. Due checche
da morire, di quelli che persino tua nonna riconoscerebbe per strada. Non era
tanto uno strazio doverli star a guardare mentre si spompinavano a vicenda o
sbocchinavano i loro amichetti — dice Ernest — senonché si portavano in casa
dei marinai che, la mattina dopo, li picchiavano. La mattina era terribile — mi
dice — senza contare quelle mutandine di pizzo appese al davanzale, a sciorinare...
La più conveniente era una stanza dove coabitava con una mignotta a nome
Lucienne. La casa dove lei lavorava era proprio dirimpetto e Ernest poteva
affacciarsi e assistere alle scene coi clienti. Era un grande conforto — mi fa —
vederla al lavoro e sapere che c'era chi provvedeva al fitto e al vitto.
Ciò introduce il discorso sulle donne con le quali lui, Ernest, è vissuto. La lista
mi stupisce, ma poi scopro che bara. Ogni donna con la quale ha passato più di
dieci minuti lui l'in-clude nell'elenco delle conviventi.
―Shit,‖ mi fa, quando gli contesto l'inclusione di una tizia nella lista, "cazzo,
l'ho portata a cena, no? E non ha poi dormito nel mio letto, quella notte? Quando
gli offri vitto e alloggio, ci convivi."
Ernest si stupisce quando gli dico che non ho mai scopato una cinese. Me ne
stupisco anch'io. Ci son tanti di quei ristoranti cinesi a Nuova York, eh'è strano
non aver mai rimorchiato una cameriera con gli occhi a mandorla. A proposito
delle varie razze, Ernest è prodigo di consigli. Non fidarti delle giappe e delle cine
nei casini, mi fa. Sono rase, lavate e profumate ma ci hanno un teschio con le
tibie incrociate, fra le cosce. Prendon su chiunque capita e... uhau! La sifilide.
Oh, sì, quella galoppante, che ti porta via in sei mesi. La sifilide di marca
orientale — insiste Ernest — è davvero micidiale per la razza bianca. A me mi sa
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tanto che sono fregnacce, ma Ernest ha un tal piglio di sicurezza, da mettermi
paura dell'Oriente per sempre.
Poi, dopo avermi così spaventato, se n'esce a dirmi che conosce una fica cinese
con la quale potrei andar tranquillo. Non è una puttana, non c'è il rischio di
prendersi niente. Il padre ha una bottega d'arte — paccottiglia perlopiù, avanzi di
cantina e mondezzaro, paraventi e budda e armadietti tarlati e così via — e la
ragazza gli dà una mano coi clienti, a vendere collane di giada.
Mi scrive l'indirizzo su un pezzetto di carta. Sarà bene che compri qualcosa,
per salvare le apparenze, mi fa, ma è una chiavata sicura, se te la lavori bene. Lui
non viene con me, ha appuntamento con una pittrice, da cui spera di avere un
ritratto gratis et amore mentulae, ma — mi assicura — andrà tutto bene.
"Senti un po', Alf, se quei cinesi vendono anche cocaina, giacché ci sei," mi fa.
"Gliel'ho promesso a 'sta bernarda qui - che non l'ha mai provata — ma non mi
fido di tornare nel vecchio quartiere, a procurarmela. Ho lasciato dei buffi in giro
qua e là, e ce l'hanno su con me."
Dopo aver fatto le mie due orette in redazione, mi dirigo alla volta di quel
negozietto cinese, di cui Ernest m'ha fornito l'indirizzo. Strada facendo, cambio
idea una mezza dozzina di volte. A un certo punto, sto quasi per buttarmi su una
negra che mi lancia un segnale da una panchina, nel parco. C'è stato un tempo,
a Nuova York, in cui passavo ogni sera a Harlem. Andavo pazzo per la figa negra,
e per alcune settimane non fui capace di chiavare altro. M'è passata, la sbornia.
Ma ancora mi piacciono, le negre. E questa qui è così nera e tosta... Cazzo, ha
l'aria tanto sana di salute che, certo, i germi nulla possono con lei. Ernest m'ha
messo paura, con la sua paura dei contagi. Comunque, passo oltre.
Non lo so come ci si comporta, in questi casi. Quando sono ubriaco fradicio,
rivolgo la parola a qualsiasi figa che passa per strada, gli faccio le più oscene
proposte senza battere ciglio, però, adesso, andare in 'sto negozio, freddo e
sobrio, e tener un discorsetto... È troppo, per me. Specie quando la vedo. È una
di quelle cine fredde, compassate, che parlan francese perfetto. M'aspettavo di
far fatica a capire il suo accento, invece è lei a farmi sentire che parlo francese,
io, come un turista americano.
Non so che madonna dire. E neanche che cosa cristo comprare. Lei è una bella
fica, e tanto paziente quanto carina. Mi mostra tutto quello che c'è in negozio.
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Mi piace, il suo viso. Specialmente il nasino schiacciato. Bel culo. Belle tette,
anche. Non me le aspettavo. Le cine perlopiù non hanno seno. Questa qui invece
ha un bel paio di respingenti. Ma mica posso avviare da qui la conversazione.
Dire che mi manda Ernest neanche giova. Lei non lo cono-sce. Capita tanta
gente qui in negozio, mi fa, educatamente. Alla fine compro un arazzo o che, un
affare coi draghi, da appendere al muro. La fica sorride e mi offre una tazza di tè.
Arriva il vec-chio, mi toglie l'acquisto di mano... per incartarlo.
Non mi va il tè, le dico. Perché non si va insieme a prendere
un pernod — le propongo — qui all'angolo? Lei accetta! Non riesco a spiccicare
più parola. Me ne sto a bocca aperta. Lei scompare nel retro.
Ne torna con un soprabitino che la fa sembrare più parisienne dei parisiens.
Porta lei il mio fagotto sottobraccio. Non ho ancora inventato niente di carino da
dirle. E la nostra uscita dal negozio è resa ancor meno graziosa da uno scugnizzo
che ci prende al bersaglio con palle di sterco di cavallo. Ma questa cina ha un
aplomb che levati. Incediamo per la strada con un'aria maestosa, e ben presto mi
sento a mio agio.
Incomincia a farmi domande. Vuol saper chi sono, chi non sono, cosa faccio,
cosa non faccio, tutta quanta la mia storia. Eppoi vien fuori la questione dei miei
redditi. Non capisco dove voglia arrivare, ma si mette a discorrere di giade. C'è un
monile — mi dice — arrivato fresco fresco di contrabbando, ch'è una vera
occasione. Una gemma di valore inestimabile, che però si può avere per quattro
soldi... I suoi quattro soldi corrispondono, esattamente, al mio stipendio d'un
mese.
Mangio la foglia. Ma sono curioso. Dove lo si può vedere — le domando —
questo gioiello? Ah, mi fa, non è prudente tenerlo in negozio. Quindi lei lo porta
appeso a una fettuccia di seta, sotto il vestito, a contatto con la pelle. Lì sta al
sicuro. La compravendita dovrà avvenire in qualche posto tranquillo.
È un gioco magnifico, una volta afferrate le regole. Ne ha di fantasia, 'sta fica,
per vendere la medesima! Però chiede un prezzo proibitivo. Incomincio a
mercanteggiare, fra un pernod e l'altro. Alla fine concordiamo che una settimana
mia di paga è il prezzo giusto per la giada sua. Dovrò vivere di debiti, per un po',
ma ne vale la pena. Che fica, ragazzi!
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Magari avrà un nome francese, tipo Jeanne o Denise, ma in taxi — mentre
andiamo da me — mi gorgheggia qualcosa che sembran tre note d'un flauto. E
traduce: Fior di Loto. Sicché la chiamo Loto. È una frode magnifica.
Anch'io provvedo a un po' di messinscena, da parte mia. Scendo a comprare
del vino, e lo servo nei bicchieri che m'ha regalato Alexandra. Poi stendo l'arazzo
per terra, a mo' di pedana per Fior di Loto.
Deve aver fatto spogliarelli in teatro, la troia. Con arte si toglie gli indumenti, a
uno a uno, lasciando su calze e scarpe. Ha un cordoncino di seta rossa intorno
alla vita e da esso pende, sul bosco d'amore, un pezzo di giada. Spicca bene, quel
verde, sul nero.
Si tratta di bigiù senza valore, è naturale, ma è quello che c'è sotto, a
interessarmi. Loto non se ne adonta, se non bado al brillocco, e sorride quando le
tasto le cosce. Ha un odore che mi ricorda certe sigarette che fumava la Tania. Le
infilo un dito dentro la purchiacca. Lei mormora qualcosa di delizioso in cinese.
Qualche zozzura molto musicale.
Ormai ho dimenticato i severi ammonimenti di Ernest, a 'sto punto. Tanto mi
tira il pesce, che la fonerei lo stesso, se pure ci avesse lo scolo. Ma è così rosea e
fresca e puzzantina, che scommetto ch'è libera dal male. Le dilato la fighetta e
gliel'annuso. Lei si scosta. Spezza il cordone e mi fa dono del monile che le
adorna la mona.
La fotto lì per terra, sdraiati sull'arazzo. Non le faccio neanche togliere le
calze, né le scarpe. Chi se ne frega, del drago, anche se gli cava gli occhi con i
tacchi! E se anche si sporca di sburra, tanto meglio. La chiavo selvaggiamente,
come fuori di me. Una mignotta francese protesterebbe per tanta irruenza, i
morsi, le strizze, i pizzicottoni... Loto invece sorride e ci sta.
Mi dà gusto strapazzarle le tette? D'accordo, me le mette in mano. Mi dà i
capezzoli da mordere. Tiro fuori l'uccello e glielo faccio accarezzare. Lei lo stringe
forte fra le dita affusolate, seguitando a cinguettare in cinese. Ah, lo conosce
bene, il suo mestiere. E lo condisce con spezie orientali. I suoi clienti resteranno
soddisfatti.
Ha le gambe lisce lisce, senza peli. Solo intorno alla mona le crescono. Anche
intorno al bucetto del culo è pelata. Glielo assaggio col dito. Lei freme. Intorno
alla patacca comincia a essere umida. Il suo abricot-fendu è quasi piccolo
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quanto quello di Tania, ma ha un nonsoché di più maturo, al tasto, sembra più
morbido e più aperto.
John Thursday le piace. Gli torce un po' il collo, gli tira la barba. Si siede alla
turca davanti a me, per giocarci. La mona le si apre come un frutto maturo. Mi
sfiora con le cosce calzate di seta. Il loro tocco anomalo mi sfizia.
A guardarla non si capirebbe, se è arrapata. Ma il madore delle cosce la
tradisce. Luccica sulla pelle. E l'odore di fica sovrasta il profumo che s'è data.
Accarezza la testina a Gian Giovedì, mi fa solletico alle balle. Poi mi si sdraia fra
le gambe e affonda il nasino nel mio vello virile. Ha i capelli nero-blu, lisci e
lucenti.
Non lo so cosa gl'insegnano alle donne, in Oriente. Forse là non si fella. Ma
Loto ha imparato a far bocchini alla francese. Incomincia dalle palle, a lavorare di
lingua. Ha una lingua che pare un succhiello. Mi lecca la nerchia, mi bacia la
panza, poi apre la bocca e mi slurpa l'uccello. È allupata. Stringe gli occhi a
fessura. Mi circonda con le braccia. E ciuccia e ciuccia, a tutto andare.
Le rovino quasi addosso. Lei si raddrizza, sempre col mio uccello in bocca,
senza smettere di suggere e slurpare e leccare e mordicchiare. Ma io la rovescio
sul dorso e striscio con la faccia verso gli inguini. Strofino il mento sul suo pube,
le titillo la bonne-bouche con la lingua. Le lecco le cosce, l'inguinaia, il perineo.
Quando serra le gambe intorno al mio viso, affondo la bocca nella figa offerta. Ne
lecco il succo e, intanto, le diteggio le chiappe. Lei spinge il conillon desideroso
contro le mie labbra, tutta illanguidita. Il suo succo mi cola nella bocca, ingozzo
peli.
Trema tutta, quando sente la mia lingua sfotticchiarle la clitoride. E impazza
sul mio pirla, in contraccambio: gli fa di tutto, tranne che inghiottirlo crudo. Io le
affondo la lingua nella sorda più a fondo che posso, fino a sfiorarle luterò. Poi,
d'un tratto, la fiumana. Se ne viene, e a momenti mi schianta in due l'uccello con
un morso. Io mi faccio una grande bevuta di succo di fica.
Voglio vedere, quando Giannettaccio le spara in bocca. Quindi mi rigiro sul
dorso e mi tiro un po' su, sui gomiti. La cina lavora, alacremente. La testa va su e
giù, a ritmo pieno. Il suo volto si fa estatico, poi, quando sente il fiotto caldo sul
palato, è nella gola. Chiude gli occhi rapita. Ciuccia e inghiotte. Inghiotte e
ciuccia...
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I cinesi, m'hanno detto, scopano a giorni, più che a ore. Vero? Loto si mette a
ridere. È disposta a restare con me tutta la notte, se voglio. Mi chiede il permesso
di sfilarsi le calze ora.
M'è venuta fame. Propongo di andare in trattoria. Ma Loto mi redarguisce:
quand'un uomo compra una donna cinese — dice — è una donna che compra,
non una roba da fottere come una capra. Quindi, cucinerà lei per me, dichiara.
L'idea mi sorride. Ci vestiamo e andiamo a comprare del cibo.
Appena rientrati in casa, ci spogliamo nudi, e Loto si dà a sfaccendare con
indosso solo una parannanza, a culo nudo. Io sto sdraiato sul divano e lei, ogni
volta che passa di là, si sofferma a baciarmi l'uccello. È una figa remissiva, e
non s'adombra se qualcosa si brucia sul fuoco, mentre io la palpeggio.
Dopo mangiato ci mettiamo a letto. Loto avrebbe vaghezza di fare nuovamente
tête-bèche, io invece voglio fotterla. Detto fatto, le ficco su il pistello. Lei smette
di rimpiangere il tête-bèche non appena s'accorge di cosa è capace Giannetto.
A John Thursday non importa il colore della pelle. Lei è calda e bagnata e
pelosa, e ciò gli basta. Sembra espandersi, invade la grotta, ne riempie ogni
anfratto. Ai primi a-fondo, lei comincia a sfavillare. Smena il culo come matta e
mi implora di levarle il bruciore, di farla godere, di spegnere il fuoco che la sta
divorando. Poi si mette a parlare in cinese, ma ci capiamo perfettamente lo
stesso. Mi cinge le gambe intorno ai lombi, mi batte coi calcagni sul codrione. Le
sue morbide cosce sono più robuste di quanto non pensassi.
E' un sollievo, la cina, per me! Ripenso a Tania, a Marcelle e il suo sordido
papà, e rido... rido fra me. L'Occidente è in sfacelo, il mondo dei bianchi è
sossopra... bisognava trovare una cinese, per farsi una bella scopata normale,
tranquilla. Loto ride c o n me, senza sapere di cosa si rida. Se lo sapesse, magari
riderebbe di me. È una brava fighetta. Mi metto a darci dentro, indemoniato.
Gran bella cosa, una troia che ride mentre la fotti.
No,
non è una puttana. Una concubina, piuttosto. Lei mette a tua
disposizione la sua passione erotica e il suo talento culinario... È un puro
accidente, che ci siano di mezzo i soldi. Il denaro serve solo a comprare quel
ninnolo di giada. Se palpita, palpita sul serio. Non finge. Se geme, geme. Ci
mette sentiment o , ecco, e ci prova gusto. Ha verve, ha brio, ha sugo, e si
prodiga senza risparmio.
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Le accarezzo le tette e lei vuole che gliele succhi di nuovo. I capezzoli, scopro,
hanno un anello intorno, color limone, come una luna cinese... Ah, Loto, ben
presto scoprirai di avere un razzo cinese nella fica... bruciacchierò le tue ovaie
con "candele romane", ovvero bengala, e razzi celesti esploderanno nel tuo
utero... La scintilla sta attecchendo...
Lotus magari scoperà in cinese, però se ne viene in francese pa rigino.
Cosi trascorriamo la notte, allegramente, bevendo vino fra una scopata e
l'altra. Loto m'insegna alcune frasi zozze in cinese, ma io me le dimentico via via.
La mattina, quando mi sveglio, lei non c'è più. Mi ritrovo quel ninnolo di giada da
quattro soldi col suo cordoncino rosso legato intorno al cazzo.
Visite.
Arriva,
di
buon'ora,
Sid
insieme
a
una
donna.
Si
siedono,
educatamente, sul bordo delle sedie e ci mettiamo a discorrere del tempo, di
letteratura, di altre cazzate poco impegnative. Lei è una certa miss Cavendish.
Basta sentirla dire How do you do, con la puzza sotto il naso, per capire che lei è
qualcosa — come dice il Poeta — che sarà Inghilterra per sempre, forever
England.
Miss Cavendish — mi spiega Sid — è amica di sua sorella, che abita a Londra.
Lo scopo della visita comincia a delinearsi quando Sid soggiunge che miss
Cavendish deve andare a Lione, a insegnare inglese là, ma fra due mesi e, quindi,
intende fermarsi a Parigi in questo frattempo per conoscere un po' la città.
Tocca esser civili, anche con una donna che porta gli occhiali, tailleur di tweed
e calzettoni di cotone. Dico qualcosa, tanto per dire, e stare un po' allegri, mah,
domani l'avrò bell'e scordata. Poi le domando dov'è che abita. Gli occhiali le
scintillano, quando si volta verso di me.
"È questo, appunto, uno dei miei problemi," mi risponde. "Secondo Sid, potrei
trovare alloggio qui." Dà un'occhiata intorno. "Carino... E costa pure poco, no?"
"Pochissimo," la rassicura Sid. "Alf," mi fa poi, "pensaci tu. Sistema tutto, sì?"
Un corno! Vorrei torcergli il collo... ma mi tocca far buon viso. Miss Cavendish
verrà ad abitare qui accanto. In qualche modo la sopporterò. Dopotutto ha belle
gambe. Magari ci scappa una scopata. Ma che razza d'amico ch'è Sid! Hmmm, la
vorrei vedere senza occhiali.
Miss Cavendish sospira. Dopo l'alloggio, bisognerà provvedere anche al resto.
Parigi può risultare molto solitaria, per una ragazza sola...
17
Nuove visite, a sera... Anna, dall'oltretomba, e, dieci minuti dopo, Alexandra, la
madre di Tania.
Anna è un po' vergognosa, per via di quella festicciola di qualche sera fa. Ne
ride, ma il suo è un riso pieno di imbarazzo. Circa quello che le è successo, dopo
esser scappata via di qui senza niente indosso, si mantiene sul vago. Non insisto.
Non appena arriva Alexandre, Anna si ricorda di un altro appuntamento, e se ne
va. Stavolta mi faccio lasciare il suo indirizzo, però.
Alexandra incomincia a parlarmi dei suoi guai. Me li versa addosso come una
pia libagione. Vuol partire, fare un viaggio, star lontana da Tania e da Peter per
un po' Per riassestarsi, dice. Si siede sul divano, mettendo in mostra le cosce, e
intanto fa l'appello dei grandi peccatori che, nel corso della storia, son finiti alla
fine fra le braccia di Gesù. Chissà, forse, pure lei — mi confida — si rivolgerà alla
santa madre Chiesa.
"Ma sarà necessario confessare tutto quanto, nei dettagli?" vuol sapere. "Vuol
sapere ogni cosa per filo e per segno, la Chiesa?"
Non lo so, ma, per farla contenta, le dico che sì, certo, Gesù Cristo vorrà
essere
ragguagliato
su
ogni
minimo
particolare.
Alexandra
rabbrividisce
deliziosamente. "Se solo riuscissi a sfuggire ai miei figli," mi fa, "tutto si
aggiusterebbe." Senonché pare che i figli non la mollino, ed esercitino una
maligna influenza su di lei. Tania... Tania è pure peggio di Peter, adesso, dopo
che ha lesbicato con sua madre. Le si presenta in camera, nuda e cruda,
dimenando le chiappe... e la povera Alexandra non ha scampo.
"Non lo so mica, come andrà a finire," dice. Fa una pausa. Mi guarda .
Distoglie lo sguardo. "Ieri sera è successa una cosa... no,
non
posso
raccontartela, Alf. È troppo depravata. Troppo... troppo! Beh, te lo dico solo
perché so che tu puoi capire. In-somma, sta' a sentire. Con minacce e lusinghe
ha convinto Peter a farmi la pipì in faccia mentre lei mi mangiava la mona." Si
torce le dita, affranta. "Lì per lì... tu mi capisci... la passione ti ottenebra la
mente... lì per lì, forse, io... e l'avrò detto anche, che mi dava gusto. Lei mi diede
un epiteto osceno... una parolaccia e un morso. Qui, sulla coscia. C'è rimasto il
segno."
Neppure una parola, è ovvio, delle volte in cui era lei a pisciare in faccia a
sua figlia. Su questa piccola depravazione lei sorvola, glissa via. Si alza la gonna
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per mostrarmi dove Tania l'ha morsicata. Sulla pelle bianchissima della coscia
spicca la netta impronta dei denti di quella crudele fanciulla: a due dita dalla
materna fica. Io ne approfitto per tastarle un po' quelle belle coscione butirrose.
Non se l'aspettava, dite? O forse lo sa sempre a cosa mira, questo puttanone?
Sia come sia, il suo racconto ci ha arrapato entrambi. E Gian Giovedì ha già
alzato la cresta. Le tiro giù le mutande.
Che culo, ragazzi! Potrebbe farci il nido una covata di sorcetti bianchi, nella
forra boscosa fra le sue enormi natiche, e ci vivrebbero felici e contenti, senza a
lei darle noia. Le cincischio i peluzzi e lei comincia a smaniare. Mi infila le dita
nella pattuella, e John Thursday balza fuori.
Mentre stiamo lì a stuzzicarci a vicenda, Alexandra mi racconta ancora di quei
due suoi benedetti figlioli, Tania e Peter. Via via che si eccita, parla più
liberamente. A quanto pare, Peter è convinto, adesso, che fellare un cazzo rende il
suo più potente. La cosa minaccia di diventare un vizietto. Meno male che io son
venuto via da quella gabbia di matti. Ma fa piacere aver notizia di quello che
succede là.
"Lo sai," mi domanda, "perché mia figlia Tania ha tanto potere su di me? È
perché a me piace enormemente il leccaggio della fica. E Tania in questo è
insuperabile. Non fosse per questo, forse riuscirei a liberarmi di lei." Mentre mi
dice questo, mi strofina la patacca sulla mano. È un invito, vuole da me lo stesso
trattamento.
Ma io, invece, le inzeppo Puccellaccio fra le cosce e le strofino l'abricot-fendu
con la cappella. Lei m'accavalla una gamba sulla schiena e la fessura si divarica.
Mi prende poi il bischero in mano, se lo piazza sulla soglia e riesce a infilarsene
dentro un tantino. È talmente arrapata che non vuol perder tempo a spogliarsi.
No, le dico, non ti scopo vestita e tutto.
Raggiungiamo un compromesso. Sul mio conto, Tania le ha raccontato un
mucchio di cose. Oh, sì, tutto! E sa anche che Peter, il suo caro prezioso
figlioletto, mi ha fatto un pompino, una volta. "Devi farmi di tutto..." adesso
implora, "di tutto... come s'io fossi Tania. Fammi tutto quel ch'hai fatto a mia
figlia."
Si spoglia. Mi spoglio. Nudi bruchi, la faccio inginocchiare davanti a me. Le do
il cazzo da leccare, da baciare, e poi lei lo piglia in bocca. Cozzo col glande contro
l'epiglottide. Lei slurpa, sbava, gorgoglia, s'ingozza, singhiozza, e va. in delirio
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quando comincio a chiamarla, teneramente, coi nomi più turpi, i più forti epiteti
da trivio, con tutti i sinonimi di bagascia.
Sembra
una
bimba
ghiotta
che
si
gode
il
ciuccia-lecca,
il
lollipop.
Giannettaccio è tutto sbavazzato. La bava gli cola dalla barba. Lei per Pavidità
quasi si strozza. Sul più bello, però, glielo tolgo di bocca.
Alexandra è troppo grossa per poterla sbattere qua e là come Tania. Tuttavia la
scaravento sul divano, la ribalto e le ficco un dito su pel bucio del culo. Lei strilla
come un'aquila. Le ingiungo di star zitta, sennò le ficco dentro tutto il pugno.
Allargo l'orifizio, e ci infilzo un altro dito, poi un terzo. Con tre diti nel culo, lei
comincia a vaneggiare. Ma era quello che volevi, no, troiona?
Dopodiché le paro il culo davanti alla faccia e le impongo di baciarlo. Non
protesta. Obbedisce. Mi lecca le chiappe, senza lare storie. Ma quando le ordino di
allargarmi le ganasce e passare la lingua sul bucio infilandovi dentro la punta...
ah, lei dice ch'è troppo. Non può farlo, anche se sua figlia sì... ma io insisto e lei
cede.
Non c'è niente che non fanno, se glielo chiedi con le dovute maniere. Dopo tre
secondi di esitazione, sento la lingua rovente di Alexandra guizzarmi nel solco fra
le natiche, poi indugiare sul bucio, poi leccare rasposa tutt'intorno e su e giù,
quindi premere contro lo sfintere. Le dico di spingere. Spinge. Riesce a
infilarmene dentro un bel tratto, degna emula di Tania. Si arrapa sempre più. Mi
tien stretto l'uccello fra le dita... una stretta mortale... se tentassi di levarglielo
dalle grinfie, me lo farebbe a brani, ci scommetto.
Certo lo sa, quello che viene dopo. Ma fa finta di ignorarlo. Su, tira a
indovinare, la sollecito io. Lei esita. "Mica... mica vorrai incularmi? " Indovinato!
Come premio, le concedo un'altra leccatina di John Thursday.
"Oh, no," implora, "questo no!"
"Ho inculato tua figlia, perché vuoi essere, tu, da meno?"
"Non è possibile! Il tuo cazzo è troppo grosso!"
Finge, la vacca. Poi, messa alle strette, confessa. Sì, ha preso la cosa
(l'inculata) in considerazione di tanto in tanto, ma, così, accademicamente... Del
resto, era impossibile non pensarci, dopo aver visto, coi suoi occhi, inculare sua
figlia. Sì, magari l'avrà pur desiderato, di venir inculata a sua volta. Ebbene — le
dico, pizzicandole il culo — questa è la volta buona. Vuoi? Lo vuoi? Pare persino
che arrossisca, mentre annuisce pudicamente col capo.
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Mi butto a pesce. La dispongo a culabusone e Gian Giovedì comincia a battere,
impaziente, al suo usciolo posteriore. Lei si assesta per facilitargli l'accesso e lui
rinterza i suoi sforzi, come un possente ariete. Lei attende rassegnata, la povera
vittima.
Ma la strada non è stretta come avrei, a 'sto punto, creduto. Forse ha usato le
candele o non è novizia come vuol far credere. Non è che vado liscio su pel retto,
questo no. Però, ricordo, con Tania stentai e faticai assai di più.
"Dai, dillo, che l'avevi già preso nel culo," le dico. Lei si mostra offesa. Come
posso pensare una cosa del genere? È del tutto anormale questo modo di fare
l'amore. Proprio così mi dice, il puttanone: anormale!
Anormale o no, incularla mi dà gusto, e pure a lei. Per averne la riprova, tiro
fuori la spada. Lei subito l'agguanta per ringuainarsela nel fodero.
"Per favore!" dice solo. Ma a me basta per capire quello ch'ero curioso di
sapere. Tuttavia mi diverto a stuzzicarla, a farla slanguire. Glielo ficco su, lo tiro
fuori. Dentro. Fuori di nuovo. Mi piace sentirla implorare. Dietro mio
suggerimento lei si proclama troia, leccatrice di cazzi di maiali, leccaculi da
quattro baiocchi, puttana che chiava coi cani nelle latrine... pur di riaverlo.
"Ridammelo, ti prego. Ti ho mentito... Mi piace da matti venir inculata... Mi ha
inculato anche Peter. Tania stava a guardare. Sì, lo confesso. Mio figlio mi
sodomizza. Oh, rimettilo su, te ne prego. Il tuo cazzo è molto più grosso di quello
di mio figlio. Ah, è magnifico sentirlo dentro il culo. Quel tuo uccello stupendo...
che noi tutti abbiamo succhiato... mia figlia, mio figlio e io..."
Ripenso alla lettera di Tania, e ne ricevo ispirazione. Perché non fare lo stesso
a sua madre?
Alexandra si mette a ululare, come una lupa, quando sente la piscia rovente
clisterarle gli intestini. Per me, è una sensazione inedita, magnifica. Lei m'implora
di smettere. Non potrei anche volendo. Sento il suo ventre crescermi sotto le
mani, riempito d'urina com'è. Lei geme. "Me ne vengo... me ne vengo..."
Si dimena, in ginocchio, si contorce, come avesse una colica. "Brucia, dentro...
brucia!" mormora. "Mi fa godere come non mai..."
"Alza la faccia," ordino, cambiando postura.
Mi abbraccia le ginocchia e solleva il mento. "Lo so... lo so cosa vuoi farmi,
adesso... Allora sbrigati... finché ancora me ne vengo... per favore!"
Mi bacia il cazzo e se lo infila tra le labbra. Le piscio in bocca. Svuoto la
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vescica. Quello che non riesce a tracannare, le scola giù dal mento. Il suo
sguardo, estatico, sembra quello di una santa. Incomincia a succhiare. E succhia
e succhia, finché non le gratifico il palato con un altro sapore. Ingoia a avidi sorsi
anche la sburra.
Miss Cavendish è una rotta di balle. È una allumeuse. Una stuzzicazzi. Cioè ti
stuzzica il cazzo e poi ti molla. Tutta promesse, niente fatti. Da tre giorni abita
nella stanza accanto alla mia, e avrà inventato trecento scuse per venire qui da
me. Se non è il rubinetto che perde, è l'orologio che non cammina. Invece di
andar dalla portiera, viene a bussare alla mia porta. Il rubinetto ha solo bisogno
d'esser chiuso del tutto, l'orologio di esser caricato... non importa. Ogni scusa è
buona per venirmi a stuzzicazzare.
Gli occhiali sono scomparsi e lei è veramente carina. Ha smesso anche il tweed
e i calzettoni, ed è rifiorita in organza e seta. Ha certe cosce!
Le cosce le ha messe in mostra già la prima volta ch'è venuta da me. È facile,
suppongo, mostrare quel tanto che fa impazzire un uomo e non più. Il difficile è
non fargli capire che tu sei ben conscia di quello che gli mostri. E qui la
Cavendish non è mica molto brava.
Dapprincipio pensavo facesse la gatta per farsi scopare. Ma, dopo i primi
approcci, ho dovuto ricredermi. Non ha alcuna intenzione di calarsi le mutande
per un uomo, questa scozza. Per me comunque no. Ma seguita a stuzzicarmi,
finché mi trattengo a stento dallo zomparle addosso.
Non è solo con me che gioca a 'sto giochino. Anche con Sid si comporta uguale.
Lui dapprincipio era sicurissimo di farsela. Adesso di lei dice che con la douche ci
si lava le orecchie, anziché la vagina. Insomma non ha combinato niente.
Donne del genere ti riducono un rudere, se gli dai retta. Dopo due ore che ci
stai appresso, sei candidato alla masturbazione. E non darle retta è impossibile.
Te la trovi tra i piedi di continuo.
Ma non azzardarti a allungare una mano. Parla sempre di sesso, ma in modo
allusivo, s'intende. I nostri nonni l'avrebbe-ro definita una fraschetta, i nostri
genitori una civetta, una coquette. Ti racconta barzellette spinte... ma prova a
spingerti fino a tastarle il culo. O sennò è capace di mostrarti un paio di
mutandine che ha appena comprato e, persino, di tirarsi su la gonna per
confrontarle con quelle che ha indosso. Ma... guardare e non toccare!
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Poi, quando stai per rinunciarci, disgustato, cambia tattica. Ti si siede sulle
ginocchia. Si lascia dare un pizzicotto sulle chiappe, ti permette di giocherellare
con le sue giarrettiere. Ma, appena ti s'inuzzola il cazzo, e ti tira da matti, lei
sguiscia via e ti lancia un'occhiataccia da per-chi-m'ha-preso, e torna a essere
una noli-me-tangere.
L'altra sera Sid e io abbiamo cercato di sbronzarla, ma non ha funzionato per
un cazzo. Oh, era brilla, rideva facilmente, e ha pure trovato la maniera di farci
intravvedere le pudenda, con una scusa o l'altra. Ma qui stop. Dopo averci
arrapati fino all'inverosimile, se n'è andata a casa.
La lascerei perdere, a questo punto. Ma lei non lascia perdere me. Stamattina
si è presentata in camera mia senza nient'altro indosso che un asciugamano, con
la scusa che non riusciva a chiudere a chiave la porta del bagno.
Quando vado da lui, trovo Ernest a letto. È contento di vedermi, dice, e
contento che Anna si sia rifatta viva. Però l'interessa vieppiù la mia storia della
piccola cina, da cui m'ha mandato. Non gli dico che m'è costata una settimana di
paga.
Che mi sia dimenticato della cocaina, non gli importa. L'ha già scaricata,
quella fica, dice. Non voleva saperne di lui, stava dietro a una giovane fica
spagnola che aveva visto in sua compagnia, ecco quanto. Ernest ne è rimasto
disgustato. Le lesbiche — dice — ci stanno portando via un sacco di fiche, da
sotto il naso.
Lo vedo che sta sulle spine. Forse aspetta qualche visita di fica. Non s'è mosso
dal letto e sta sdraiato coi ginocchi alzati. Gli domando se si sente poco bene. No,
benone — risponde — solo un po' stanco — e simula uno sbadiglio. Beh, allora
me ne vado, faccio io, ma proprio in quella qualcosa si muove sotto le coltri.
Mai visto Ernest tanto imbarazzato. "Di che sesso è?" domando.
Lui getta indietro le coperte e scopre una pargoletta di dieci о undici anni,
annidata fra i suoi ginocchi.
"Se resisteva altri due minuti, l'avrei fatta franca," dice il mio amico. "Ma, Alf,
mi raccomando, non dir niente a nessuno. Non mi mettere nei guai."
La pargoletta si raddrizza sulla schiena e getta all’indietro i lunghi capelli
bruni. Si deterge il sudore della fronte col lenzuolo. Faceva troppo caldo, dice, lì
sotto. A momenti moriva soffocata. Siede sulla proda del letto e mi guarda.
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"Cosa usi come esca? Le caramelle?"
Ernest non ride della mia battuta. È la figlia dei gestori del bar qui vicino, mi
dice. Poi, sulla difensiva: "Mica viene soltanto da me. La conoscono tutti nel
quartiere. E nessuno ha più niente da insegnarle, sai, Alf. Prova a farle qualche
domanda."
La pargoletta allarga le gambe e mi mostra la purchiaccolina calva. "Puoi
scoparmi tu pure, se vuoi. Però prima tocca a mister Ernest."
"Ti chiava spesso, mister Ernest, pupa?" le chiedo.
"Questa sarà la terza о quarta volta. Stava giusto per montarmi, quando lei è
arrivato."
"Fate pure, mica sono un guastafeste," dico io.
La pargoletta ha cominciato a gingillarsi con la passerina e, con l'altra mano,
dà noia all'uccello di Ernest.
Ernest seguita ancora a vergognarsi. Per rianimarlo gli dico che, al suo posto,
io... eccetera eccetera. Si rinfranca subito.
"Perdio, Alf. Ci dovresti provare. Non me lo sarei mai aspettato, da me stesso.
Campassi mill'anni, dicevo... E invece! Sapessi che sfizio." Allunga una mano e
accarezza il culetto alla pargola. "Guardala! Non è un tesoro? E dovessi sentirla,
quando attacca a dire zozzerie. Racconta certe storie... Non ci credo, alla metà.
Ma l'altra metà basta a farti rizzare i capelli in testa e il cazzo dalla parte opposta.
La sorcetta è senza peli ma Ir puzza già di fica, appena appena. Prova ad
accostarci il naso."
La pargoletta smette di disturbare se stessa e gli agguanta l'uccello con ambo
le manucce.
Se n'intende abbastanza, di cazzi, per capire che cosa li fa grossi... si china e
lascia che i suoi capelli lo solletichino mentir lei fa scivolare le dita su e giù.
"Non è così che mi piaceva chiavare," seguita Ernest. "Cazzo, no! Ci provo solo
tanto per cambiare. E lei è grande abbastanza... non le fa alcun male о che. Gesù
Cristo, Alf, si fa scopare comunque, lei... tanto vale che ci provo e che scopro che
effetto fa."
Si metterebbe a cantare l'inno nazionale fra un minuto, ma la ragazza lo ha
tanto eccitato che comincia a balbettare. Lei porta la bocca molto vicina al suo
cazzo, più volte, e poi la ritrae proprio mentre le sue labbra stanno per toccarlo.
"Vuole un extra per il pompino," spiega Ernest. "Ma poi se ne scorda e lo
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ciuccia ugualmente. "
"Si fa dunque pagare!" esclamo, esterrefatto. "Alla sua età. Cristo, quand'ero
bambino io..."
"Si fa pagare, sì. Ma ciò non rende meno bella la scopata."
La pargoletta smette di giocare con il bischero e torna ad occuparsi della sua
passerina.
"La vedi? Ne va pazza, di quella sua fighetta. I soldi sono solo di contorno. La
pietanza è il piacere che ci prova. Il piatto forte è la sua patonzina. Cristo, Alf!
quando glielo metti in corpo, quando lei comincia a muoversi sotto di te, a
strofinarti il pancino addosso... t'assicuro, è la fine del mondo."
"Basta chiacchiere, è ora di chiavare," dice la pargoletta, imbronciata.
"La senti, Alf? Ora guardala, quando lo piglia su. Diresti che la schianta,
invece no. È capace, dentro. Non lo prende nella fica, ci si avvolge tutta intorno.
Sta' a guardare."
Si mette in posizione. Lei non guida l'uccello con le mani. Gli agguanta il pelo
pubico, un ciuffo per mano, e gli va incontro con la passeretta, inarcandosi sulla
schiena — a becco aperto, per così dire. Il grosso uccello incomincia a imboccare
la piccola passera affamata. Entra dentro con tutta la cappella, e si spinge ancora
oltre, lentamente.
"La prima volta, Alf, mi son messo paura. La spacco, dicevo, l'ammazzo... Ma è
così che le piace, a quanto pare. Lo vedi? Cristo, ero solito tenere uno specchio
dietro il suo culo, giusto per guardarlo. Riesci a vedere l'intero meccanismo con
questa piccola fica, neppure un pelo che nasconda i fatti della vita. E dovresti
vedere..."
Qualunque cosa sia che io dovrei vedere, Ernest se ne dimentica. La ragazzina
ha cominciato a dimenarsi. A ogni guizzo di culo l'uccello progredisce nella fica,
inesorabilmente. Ernest dal canto suo non fu frodato, quando distribuirono gli
uccelli. Ce l'ha bello grosso. Non finisce più di entrare nella tana. Ora la sdruce —
pensi — ora la squarcia.
La sua fichetta si dilata e si dilata, finché è più di due volte il formato che
dovrebbe essere in grado di raggiungere. Ma non un gemito, da quel topolino...
essa scuote la fica e stringe le gambe intorno a Ernest come una veterana.
Quando smette di entrar dentro di lei è perché non ce n'è più... tutto ciò che ha
Lisciato fuori di sé... eccetto Ernest... è un ciuffo di peli e un paio di palle.
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"Dai un'occhiata adesso, guarda bene, Alf, dai," mi prega Ernest. "Proprio per
fare un favore personale a me. Voglio che gli dai un'occhiata e poi dimmi ch'è
possibile. Cristo, ho fatto brutti sogni al riguardo, di notte, ma non posso
lasciarla in paté. Ah, piccola puttana, ecco quanto. Dimenati ancora un po'!
Gesù, non m'era mai capitato niente che fosse come fottere una biscia..."
"Cosa Cristo farai quando la metti incinta?" gli domando.
E lui, senza smettere di fottere: "Ma che dici! È troppo piccola. Non ha ancora
il pelo! Mica può restare pregna."
"Altroché! Il pelo non conta. Dentro ha tutto l'occorrente. Non mi dire che non
prendi precauzioni, Ernest."
"Oh! Ma chi se ne frega. Eppoi non sono l'unico, io, a chiavarla. Casomai, Alf,
trascino in tribunale tutto quanto il caseggiato. Da non credere, a quanti l'ha
data. Anche a parecchie donne, se è per questo. Tutta gente perbene."
Egli giace là con il cazzo infilato nella fica della ragazza e discute con me in
merito alla possibilità di metterla incinta. Ma la ragazza si stufa di sentirci
parlare... vuol essere chiavata, dice, e se Ernest non la chiava al modo giusto, lei
non verrà più a trovarlo. Sicché lui le radazza alcune volte la fichetta e poi gliene
rifila un paio che avrebbero potuto storcerle tutti i denti.
"Beccati questo," dice. "Vedi come le trema il culo, pressappoco? Lei giura che
sta venendo quando fa così. Pensi che veramente se ne venga? Questo è tutto
quel che accade..." Si rimette a fotterla di buona lena. "Ma Gesù santo, quando
me ne vengo in questa piccola puttana..."
Le agguanta il culo e mezzo la solleva dal letto. Il suo cazzo entra dentro e il
letto geme... o forse è Ernest. La ragazza seguita a tener le gambe allargate per
aiutarlo a entrare fino in fondo come gli pare, e io m'immagino di vederle il ventre
riempirsi...
"Dio, ne prende a galloni," dice Ernest. "Galloni imperiali..."
A me tremano le gambe, quand'è finita. Sto peggio in arnese di Ernest, e lui
non ha certo l'aspetto di una mammola. La ragazza prende tutto ciò con
innocente noncuranza. Vuol sapere se desidero chiavarla, adesso!
"Fatti sotto, Alf," mi consiglia Ernest dal letto. "Non ti capiterà più niente del
genere. Ma dovrai arrangiarti sul pavimento, da qualche parte... Io semplicemente
non posso muovermi di un centimetro da dove mi trovo..."
No — dico alla bambina — adesso no, un'altra volta, magari. Ma lei mi si
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avvicina e tende la pargoletta mano verso il mio uccello. Mi invita a tastarla un
tantino. Vedrà, dice, la voglia le viene.
"Viene a tutti, dopo avermi tastata," mi informa. "Ecco, mi metta una mano fra
le cosce. Può sentire lo sburro di mister Ernest che mi cola giù..."
Ma io insisto, non voglio scoparla e non mi va di sentire "lo sburro" di mister
Ernest.
"Allora, gradisce un pompino?" Senza attendere un cenno di risposta, mi
s'incunea fra le ginocchia e preme col pancino contro il cazzo. Ce l'ho bello duro,
a questo punto, e essa se n'accorge. Non riesce a capacitarsi come, con una tale
erezione, non abbia voglia di chiavarla. Candidamente, mi domanda: "È frocio lei
per caso?" Nel caso che sia per mancanza di soldi, soggiunge, è disposta a farmi
credito, una volta tanto.
Una volta tanto! Ha il senso degli affari, la piccina. Ma io lo stesso non mi
lascio indurre in tentazione. "E va be', un'altra volta," dice lei. "Mister Ernest le
dirà dove può trovarmi, in caso. L'aspetto."
Miss Cavendish è una strega. Stamattina l'ho vista nuda. Mi ha chiamato per
un guasto allo sciacquone. Lo sgocciolio continuo la fa impazzire. Guarda caso,
mi convoca d'urgenza proprio mentre si sta cambiando d'abito. Perché lo
sciacquone la faccia impazzire giusto in quel momento, è un altro mistero...
queste cose vanno al di là della portata di una normale intelligenza. Ma c'è una
toilette che fa rumore e, naturalmente, sono io il ragazzo prescelto per fare
qualcosa al riguardo.
Ci vogliono circa quindici secondi per sollevare il coperchio dell'affare,
disincastrare il galleggiante e rimettere il coperchio, e nel frattempo miss
Cavendish riesce a togliersi quei pochi indumenti che aveva quando ero entrato e
a incedere con calma, pavoneggiandosi, dalla camera da letto, per incontrarmi
mentre esco dal bagno. Oh, è terribilmente scossa e atrocemente imbarazzata,
naturalmente. Semplicemente, non s'era sognata che fosse qualcosa che potesse
venir riparato così presto... s'aspettava che non ci fosse alcun pericolo, ad andare
in giro per casa in quel modo... porta una piccola sciarpa bianca e se la
drappeggia eloquentemente di fronte a sé.
Che troia! Sta là in piedi e maneggia la sciarpa finché è sicura che ho visto
tutto lo spettacolo... tette, ventre, fica... l'intero panorama. E non è male, devo
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ammettere. Anna forse ha tette migliori, ma Anna è eccezionale, non puoi
paragonare i respingenti che ha lei in dotazione con gli accessori che porta la
maggior parte delle donne. Eppoi noto che miss Cavendish ha uno di quegli
ombelichi grandi, profondi, di quelli in cui potresti infilarci una castagna
selvatica. Quel che riesco a vedere della sua fica non è moltissimo, poiché sta in
piedi, ma lei si dà cura di tenere le cosce aperte sicché passa la luce del giorno, in
mezzo a loro... Ha poi un bel ciuffo di peli rossicci.
Sta ritta su un piede, poi sull'altro, per mostrarmisi da varie angolature, poi si
gira lentamente, e mi offre alla vista anche i quarti posteriori, per tornarsene in
camera. E io resto lì col cazzo duro, senza dove ficcarlo.
Darei un occhio per scopare questa stuzzicazzi della malora! Non perché penso
che sarebbe una chiavata impareggiabile, tua perché mi fa ammattire. Mi
piacerebbe ficcarle la nerchia in corpo, magari una volta soltanto, per sfregio. Per
farla scendere dal suo piedistallo. Per levarle la puzza che ha sotto il naso
scorreggiandole in faccia.
È Arthur che lancia l'idea. Sediamo tutt'e tre al caffè, Sid, Arthur e io, quando
il discorso cade su miss Cavendish. Secondo Arthur, non ci abbiamo saputo fare.
Lui si sarebbe comportato ben diversamente, al nostro posto. Anzi, dato che lo
abbiamo messo a parte di una buona cosa, lui vuol aiutarci a rendere le cose
assai diverse, per noi. La magnifica idea è che si vada a trovare miss Cavendish e
la si chiavi. Non c'è la benche minima possibilità che ciò non possa realizzarsi,
dice Arthur, poiché siamo in tre contro una.
"Andremo su e parleremo con la signorina," ci spiega, "e cercheremo di
convincerla a scopare con le buone. Ma se non vuole... trac! Violentiamo quella
troia!"
Sid applaude di cuore. Se solo riuscisse ad aver belle pensate così, lui! Ma la
sua mente non funziona in quel modo: non gli balza mai agli occhi, a lui, la
soluzione più semplice e ovvia. Quindi, andiamo da miss Cavendish.
Lei è molto felice di ricevere visite. Ci dà un sorridente benvenuto. È evidente
che non aspettava nessuno. Ci offre ospitalmente da bere. Indossa una vestaglia
che lascia intravvedere le sue forme. Mentre lei è nell'altra stanza, Arthur ci dice
sottovoce che la cosa sarà facile, non sarà necessario neppure stuprarla: "Non
avete visto che occhiata m'ha lanciato, quando le ho fatto un complimento per il
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negligé?" E dà una risatina equina.
Si comincia a parlare di cose serie. Volano i nomi di Matisse, di Gertrude
Stein... Non occorre neanche star a sentire. Basta buttar là dei nomi, e via. Tanto
nessuno presta ascolto agli altri. Io tengo d'occhio miss Cavendish. Sta usando
tutti i suoi soliti vezzi con Arthur. Mette in mostra un ginocchio, lascia cadere un
lembo del kimono, fa balenare un attimo una coscia. Il povero pollo strabuzza gli
occhi e attende che la cosa si apra tanto da lasciargli vedere la fica... ma se la
conosco bene, ci sono le mutande, sotto quella vestaglia, e miss Cavendish ha
intenzione di tenerle su.
Occorre un'ora ad Arthur per farsi strada fino al divano al tempo stesso in cui
miss Cavendish si trova lì. Bene, se n'accorgerà... Lei si lascia lisciare un
ginocchio, palpare en passarti, tastare tentoni, pizzicare persino, facendo finta di
niente. Quando lei s'alza, lui le va dietro come un cagnolino. Sid e io facciamo le
viste di discutere animatamente per non interferire. È piuttosto buffo vedere
qualcun altro venir preso in giro.
Poi miss Cavendish si mette a raccontare storielle un po' audaci su un certo
qual tono, quasi a lasciar intendere al povero Arthur che lei potrebbe essere un
tantino osée essa stessa. Il nostro amico abbocca e, difatti, quando la scozza si
assenta un momento dalla stanza, lui ci dà dei coglioni, a Sid e me. "Quella
muore dalla voglia! Cos'è che non funziona, in voi, ragazzi? È un frutto maturo,
c'è solo da spiccarlo dal ramo. Lo chiede a gran voce!"
A gran voce miss Cavendish chiama aiuto, dalla camera da letto. 'è qualcosa
che non va, non si accende la luce. E lei ha tanta paura dell'elettricità...
"Fatti sotto, Arthur," dice Sid. "Vedi cosa riesci a combinare. Se hai bisogno di
aiuto, ci siamo qui noi."
Passa appena un minuto — ma neanche — e poi si sente un urlo disumano.
La scozzona scozzese arriva al galoppo, inseguita da Arthur. Ha la vestaglia per
metà sfilata, ma le mutandine su. Cerca rifugio fra le braccia di Sid. Arthur —
dice con voce rotta — ha cercato di farle cose innominabili, di là, al buio.
Sid guarda Arthur con severo cipiglio. "Cattivacelo," gli fa.
Arthur ha la lingua di fuori e non gli va di far lo spiritoso. "Se la prendo fra le
mani gliela fo vedere io, glielafò! Guardate qua." Ci mostra la pattuella aperta.
"Chi credete che me l'abbia slacciata?"
Sid tiene stretta la scozza, come per proteggerla da quell'energumeno, e
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intanto le si struscia e la palpeggia.
"Chi me l'ha slacciata? Lei! Quella zozza! Quella troia puttana mignotta
bagascia m'ha preso in mano il cazzo, ma poi non me l'ha data. Dammela qua,
che la fotto!"
"La fottiamo tutti e tre, da buoni amici," dice Sid. "Resta solo da decidere il
posto. Di là in camera, o qui?"
La scozzona scozzese pare una che non crede ai suoi orecchi. Fa per
svincolarsi, ma Sid non la molla. "Lasciami!" grida. Sid per tutta risposta le
smaneggia le tette. "Fa' la brava bambina, su, via," le dice.
Vista la mala parata, e tre cazzi cattivi schierati contro la mia cara passera,
miss Cavendish si mette a implorare... Non intendeva — dice — fare niente di
male... Era solo uno scherzo, innocente.
"Chi scherza col cazzo, si fotte," dico io, coniando là per là un proverbio.
"Innocente il tuo scherzo, innocente sarà la mia chiavata," dice Sid, faceto lui
pure.
"Come vi permettete di usare con me un simile linguaggio? Se non mi lasciate
all'istante, mi metto a urlare. Chiamo la polizia! Finirete su tutti i giornali!"
"Senti, Sid," dice Arthur. "Non sopporto discorsi di 'sto tipo, io, sai. Mi danno il
voltastomaco, mi danno. Gli urli poi a me segano i nervi. Sistemiamola in modo
che non possa strillare. "
Sid cerca di nuovo di pigliarla con le buone. Ma lei non sente legge. ―Per chi mi
avete presa?" E si mette a gridare come un'ossessa.
Arthur allora l'imbavaglia con un fazzoletto. Lei riesce soltanto a grugnire, ora
più, e a farfugliare. Grugnisce e farfuglia con spiccato accento scozzese, upper
class, aristocratico.
"Ora, tu, stuzzicazzi," dice Arthur, "ora, tu, santarella, scoprirai la chiavata. Ti
violenteremo sul tuo letto, dato che con le buone non ci stai. Così t'impari! "
Impari siamo, tre contro una. Ha un bello scalciare, un bel graffiare, lei. Nulla
può, contro di noi. Non sfuggirà al suo destino. La portiamo di peso di là e la
sdraiamo sul letto. Sid e Arthur la tengono ferma, io la denudo.
Non ho mai violentato nessuno, finora. La cosa, anzi, mi è sembrata sempre
stupida. Finché non ho incontrato questa dannata stuzzicazzi, questa allumeuse
della malora. Adesso io sono pro-stupro al cento per cento.
Mai ci avevo preso tanto gusto, a spogliare una donna, quanto me ne dà
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denudare 'sta sorciaccia. Incomincio a tastarla, a palparla qua e là. E più lei si
dibatte, più si dimena, mordendo il bavaglio e sbavando, più mi vien tosto il
cazzo.
A chi la prima botta? Chi fa da battistrada? Decidiamo secondo giustizia: la
scoperemo in ordine di conoscenza. Prima Sid, poi io, poi Arthur.
Sid è pronto e ben armato. Miss Cavendish lo guarda e chiude gli occhi. La
sento tremi tare tutta, sotto le mani che la inchiodano sul letto. Potrebbe pure
dispiacermi per lei, se non fossi incazzato per come lei s'è sempre comportata.
Questa è una vendetta, ragazzi.
Sid fa tutto con calma. Anche gli atti di violenza carnale, a quanto sembra.
Incomincia a carezzarla dalla punta dei piedi, su su, e impiega un tempo eterno
ad arrivare fino al bosco di Venere. Poi le palpa il ventre, le smaneggia le pocce, le
ciuccia i capezzoli. Poi le allarga le cosce e le dischiude, pian piano, la fica. Non è
vergine, annuncia.
Miss Cavendish si caca sotto dalla paura. Magari pensa che l'ammazzeremo,
dopo esserci saziati di lei, e occulteremo il cadavere. Si divincola. È una gran
faticaccia per Arthur e me, tenerla buona.
Pian piano, con lentezza esasperante, il nerbaccio di Sid si insinua in quella
schizzinosa fica. La cappella è già dentro. E lui spinge, spinge, a ritmici colpi
d'ariete. Arthur e io stiamo chini, tutt'occhi, per non perderci niente di quello
spettacolo.
Miss Cavendish è riuscita a allentare il bavaglio e le escono dalla strozza
mugolìi di terrore e confuse parole imploranti, miste a singulti: "Per favore... non
fatemi questo! Non stuzzicherò mai più nessuno, d'ora in poi, finché vivo... Lo
giuro! Oh, vi prego... per favore! Mi dispiace di essermi comportata da bestia...
non succederà mai più! Non svergognatemi più."
Ma è ormai troppo tardi per i buoni propositi. Più tardi, potremo anche parlare
ragionevolmente con lei, ma, come le dice Arthur, lei deve prima imparare una
lezione. Sid le infila il cazzo nella fica... lei tende le cosce. Arthur e io smettiamo
di giocare con le sue tette e lasciamo la strada libera a Sid. Il ventre di lei trema e
si scuote e io noto che ha i capezzoli eretti... stanno su, grossi e scuri, al centro
degli occhi scuri delle sue tette...
"No... No... No... no... no..."
Sid ha infilato la punta del cazzo dentro la fica di lei. Lo spinge dentro... le
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palle le sfiorano la pelle liscia delle gambe, lui le tiene le cosce allargate e pian
piano glielo dà, a quella puttana. Il ventre di lei rincula dal suo mentr'egli si china
su di lei e comincia a fotterla. Lei geme. Non vuole guardare e non vuole che
nessuno la veda in faccia... Sid le tiene ferma la testa e la costringe ad aprire gli
occhi.
"E allora, puttana, ti piace? È per questo che non hai fatto altro che
stuzzicarci, da quando ti conosciamo, eh? Era questo, che volevi, eh? Essere
violentata! Sei contenta, adesso, zozza? Lo senti, di', il mio cazzo nella fica?
Altroché se lo senti Ora lo sai a cosa serve, quella cosa di cui eri tanto gelosa! La
volevi tenere per te? Ah, no! non si spreca la grazia di dio. E' peccato e vergogna."
La sbatte così forte, galoppando a spron battuto, che c'è il rischio che il letto si
sfasci. La scozza ormai non si ribella più, sarebbe inutile, eppoi... eppoi il gran
piacere che suo malgrado prova le toglie le forze, la illanguidisce tutta.
Asseconda, da brava puledra, il suo fiero cavaliere.
"Ah, adesso incomincia a intendere ragione," dichiara Sid.
"Forse impara di nuovo ch'è bello venir chiavata... doveva piacerle una volta...
qualcuno l'ha scopata prima di noi. Noi avremmo dovuto farlo la settimana
scorsa. Credo che le piaccia essere violentata. Tu, fottuta allumeuse, non farai il
tuo numero con altrettanta facilità, domani! Ascolta, Scaccia taccagna, noi siamo
in tre. Capisci... siamo in tre. Tre cazzi come quello che ti sta fottendo adesso, e
siamo stati presi in giro da te abbastanza a lungo... non credere che te la caverai
con una chiavata ciascuno... noi ti chiaveremo, non una, ma due volte, tre volte...
Dio sa quante volte, finché non ci saremo spompati a furia di scoparti. Ti faremo
passare una notte come nessuno, tranne una puttana, dovrebbe passarla...
cazzo, può darsi che andremo a chiamare altra gente e venderemo chiavate, sulla
tua pelle, e può darsi che ti piacerà, far la puttana... Ma non sarai tanto arzilla
quando sarà finita... non sarai in grado di saltellare fra le margheritine...
Lui la sta fottendo a tutto spiano, adesso. Le fa uscire succo di fica a
cucchiaiate e deve averle anche aperto l’utero. Quando è pronto a venire,
m'aspetto che il letto si sfasci sotto di noi...
"Ecco qualcosa per scaldarti la fica," le grida Sid. "Forse non ce ne sarà
abbastanza per riempirti fino all'orlo, ma non ti preoccupare... ne avrai
dell'altra... Tenetela, ragazzi... Farà un salto alto tre metri, quando la sentirà..."
"Non farlo!" lei comincia a implorare di nuovo... ricevere la sburra di Sid nella
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fica a lei sembra ancor peggio che esser semplicemente fottuta da lui. "Non puoi
fare questo a me!"
Ma Sid va avanti e le mostra che può benissimo. Tira fuori l'uccello e, come
insulto finale, fa sgocciolare i residui di sperma sul ventre di lei. Miss Cavendish
nasconde la testa sotto le coperte disfatte e geme.
Sid ha compiuto perlomeno una cosa... l'ha aperta abbastanza sicché lei non è
più tanto stretta quando io le monto su. E non si ribella, neppure. Oh, non è che
mi getti le gambe intorno al collo e mi dia il benvenuto a gran voce... ma fa meno
casino di prima. Un'altra no, implora... non le infliggeremo di nuovo quella
tortura, eh? Non ci siamo abbastanza vendicati?
È bello sentirla implorare, dopo il modo in cui lei ci ha trattati nei giorni scorsi,
e io la stuzzico un po' prima di fotterla, solo per sentirla. Mi pareva di impazzire a
furia di pensare di infilarle il cazzo fra le gambe e adesso che è venuto il momento, e posso farlo, voglio cavarci tutto il gusto che posso... le solletico il pube col
cazzo, assaggio quella fessura aperta a furia di scopate di cui lei era tanto avara...
"Ehi, Sid," grido, "ha qualcosa che le viene fuori della fica, credo che sia
sburra... le inonda le gambe. Che faccio, al riguardo? "
Sid le dà un'occhiata e dichiara che, per una metà almeno, si tratta di sugo di
fica.
"Ficcale dentro il cazzo, nuovamente," mi consiglia. "Non vogliamo che ne
perda neppure una goccia... dobbiamo serbarla ben bene succosa per il prossimo
giro... e se poi decidiamo di fare dei soldi facendola chiavare da altra gente, o
qualcosa del genere, vogliamo che lei sia in buono stato, per i ragazzi..."
"Gesù Cristo, la smettete di parlare e tu, Alf, vuoi chiavarla?" protesta Arthur,
raucamente. "Non posso più solo tastarle le tette... Le vengo in faccia. Sul serio,
Cristo, se non ti sbrighi a cedermi il posto in fica, mi tocca ficcarle il cazzo giù giù
per la gola, e mica vogliamo scopare un cadavere... per ora."
La ragazza è tutta avvolta nelle coperte, ormai, ma io la scopro da capo a piedi
prima di puntarle l'uccello contro la fica. Voglio vedere tutto di lei, voglio essere in
grado di sentire ogni cosa e vedere, veramente, chi e che cosa chiavo. Lascio che
John Thursday le annusi il pelo...
C'è una marea che sciaguatta dentro di lei... Sid deve averle iniettato un
fracchio di sburra... o questo, oppure lei è una fica molto umida. Il mio cazzo è
assolutamente sommerso. John Thursday deve nuotare, per salvarsi la vita, là.
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Ma ciò non interferisce con il suo piacere.
"Vieni pure a bussare alla mia porta di nuovo, qualche volta, eh?" dico alla
ragazza, in tono implorante. "Vieni domani e bussa tre volte. Ci sarò, io, Johnny
tutto-fare!" Le ficco il cazzo più a fondo e la sento divenire moscia sotto di me.
"Che cos'hai... un orologio che ha bisogno di corda? Una fica che ha bisogno di
essere fottuta? Chiama me, bussa tre volte, e io ti aggiusto tutto..."
Le sculaccio il culo nudo... Dio, è una pacchia poterlo fare!... Le agguanto le
tette e le lecco. Anche se tocca tenerla ferma mentre lo faccio, POSSO FOTTERE
QUANTO MI PARE! Le dilato il conillon, lascio che il mio cazzo le entri nell'utero...
La stanza ha il mal-di-mare. La sua fica ha l'odore del mare, e il mondo
beccheggia come una barca. Perdo il lume degli occhi... spruzzo sperma come
spray...
Arthur non sta in sé. Mi scansa via, e si incastra a sua volta fra le cosce della
scozza, ormai troppo affralita per opporre resistenza. Neanche ci prova a chiudere
le gambe. Lui entra e dà guizzi. Lei invece sta inerte, sembra morta. Non cerca
neanche più di nascondere il viso sotto le coperte.
Sid, insaziato, le mette l'uccello in mano. Le dita della vergine di Scozia si
serrano automaticamente. Io seguo l'esempio di Sid, e le rifilo il pirla nell'altra
mano.
"Basta... basta... adesso basta..." ripete lei, con un filo di voce, come un disco
rotto.
Arthur, mosso forse a pietà, si arresta. "Senti, bimba... Dico a te! Ti fa male,
oppure no?"
Sotto quel feroce sguardo, la scozzese è incapace di mentire. "No," dice, in un
bisbiglio, "non mi fa male. Ma non ne posso più... Non darò più noia né a voi, né
a nessuno. Ma ora basta."
"Basta un corno!" E Arthur le rificca il cazzo in fica, e riprende a sciabolare. Di
lì a poco, c'è una terza inondazione. Lo sperma ormai straripa sul lenzuolo.
"Se domani ti tira, e non ci hai un uccello a portata di fica, annusa qua e
soddisfati da sola," dice Arthur, il faceto, indicando la chioga di sburra.
Sid intinge due dita nella fregna, gliele sfrega sulla labbra. "Assaggia qua,
puttana, questo è sperma. Se ti piace, che ne diresti di farci un bocchino per
uno."
"Ah, no," dice Arthur. "No, non mi fiderei di metterglielo in bocca, mica voglio
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ritrovarmi con mezzo cazzo di meno. La fica per fortuna non ha denti. M'è già
successo di ricevere un morso da una troia, e lo so cosa vuol dire."
"A me il rischio piace," dice Sid. Si china sulla nostra vittima e, sogghignando,
le fa: "Ci scommetto che per bocca l'hai già preso, l'uccello, vero, cocca? Via non
fare la ritrosa. Si è fra amici e puoi pure confessarlo. L'hai già preso il bischero in
bocca?"
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Parte seconda
ALLA MANIERA FRANCESE
Miss Cavendish non vuole più giocare al nostro gioco. Mi rendo conto del suo
punto di vista... Sid l'ha chiavata, io l'ho chiavata, Arthur l'ha chiavata, e lei ne
ha avuto abbastanza. Come sputo in faccia finale, Sid sta ora curiosando nella
sua vita privata... e miss Cavendish è molto britannica. Sid vuole sapere se lei ha
mai succhiato un cazzo, ma non verrà a saperlo, no, certo non lo scoprirà, con i
modi che usa per scoprirlo.
Naturalmente miss Cavendish se lo meritava, quello che le è toccato stasera.
Non appena la coscienza mi rimorde, ripenso al suo comportamento da
stuzzicazzi e mi dico: ben le sta. Metto a tacere in tal modo eventuali scrupoli.
Anzi, c'è da stupirsi che non sia stata violentata prima. Una fica che agisce in
quel modo porta un cartellino con su scritto: "A che serve la ragione, quando
basta la forza?" Dopo un paio di esperienze con una miss Cavendish, tu cominci a
sentirti violento, volente o nolente. Che lei poi sia riuscita ad eludere il castigo per
tanto tempo non è che un'altra indicazione, fra le tante, del generale
rincoglionimento del sesso maschile.
Prendiamo Sid, per esempio. È sulla piazza da tanto tempo e gli son successe
un mucchio di cose ma, se non si fosse trovato stasera con Arthur e me, non
avrebbe fatto nulla per mettere giudizio a quella vacca scozzese, e vendicarsi dei
trattamenti subiti. Anch'io gliel'avevo fatta passar liscia troppo a lungo. Meno
male che stasera abbiamo messo le cose a posto. Ora non verrà più tanto spesso
a rompermi le balle con una scusa o l'altra.
Ad Arthur vien quasi da piangere, poiché teme che Sid avrà il cazzo staccato
con un morso, sotto i suoi occhi. È una fobia, la sua. È già stato morsicato un par
di volte. Consiglia a Sid di lasciar perdere, almeno per stasera. Dalle un'altra
chiavata e lascia perdere il bocchino, dice. Un'altra sera, magari, la prossima
volta che la scoperemo, quando miss Cavendish non sarà tanto arrabbiata ed
incline ad eccessi, in un senso o nell'altro... allora sì, sarà una bella cosa, dice.
"Tu che ne dici?" domanda Sid a miss Cavendish. "Preferisci sbocchinarci
un'altra volta? Diciamo... dopodomani?"
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Domandare a miss Cavendish cosa le andrebbe di fare tra due giorni è come
chiedere a uno che annega che progetti ha per le prossime vacanze. Lei difatti non
risponde. Resta lì come appesa ai nostri cazzi, uno di qua e uno di là. Sembra appunto una naufraga aggrappata a uno scoglio. Fissa il soffitto con lo sguardo
vacuo. Sid si china a lisciarle, benevolo, la fica.
Secondo Arthur dovremmo scoparla un'altra volta ciascuno, "per buon peso".
E anche, dice, per aprir meglio la strada a chi verrà dopo di noi. Eppoi — opina —
la prima è soltanto piacere, la seconda un dovere.
"Cazzo, non vedete come stanno le cose?" dice, e dal tono lo diresti appena
appena ubriaco. "Adesso le abbiamo fatto capire che non deve mai più
stuzzicarci... ma questo non basta. Dobbiamo conciarla in modo che non
stuzzicherà più nessuno, e ciò significa che dobbiamo darle un'altra ripassata...
cazzo, questo lo capirebbe chiunque."
Come sia arrivato a questa conclusione non è tanto chiaro, ma nessuno mette
in dubbio la logica di Arthur.
"E va bene," dice Sid. "Chiavala tu."
Arthur si sgrulla il cazzo. È moscio come un cencio. "Non è che non mi vada,
ma, cristo, sono appena smontato. Datemi un po' di tempo per riprendermi. Vai
tu, Alf."
A queste parole le dita della scozza si serrano veementi intorno al mio
batacchio. È ancora spaventata, por a cocca. John Thursday è di nuovo in berta,
e baldanzoso.
"No... basta..." implora miss Cavendish. Mi fa quasi un po' pena. "Non vi
denuncerò, lo giuro, se non mi fate niente più."
Denunciarci? Oh, questa è bella! La logica femminile è roba da farti
accapponar la pelle, venire le paturnie e le madonne, tutt'assieme. Ma come! Per
giorni e giorni non ha fatto altro, con protervia criminale, che stuzzicare Sid e me,
perfidamente. E adesso crede d'essere magnanima, a non denunciarci. Questo è il
colmo. Quel po' di pena che provavo un momento fa si dilegua d'incanto. E
l'infilzo. Se John Thursday avesse i piedi, solo gli alluci gli spunterebbero fuori.
Fra una stantuffata e l'altra, le elenco i suoi torti, le sue colpe, i vari sotterfugi
da lei escogitati per arraparmi a vuoto: "Questo è per quella volta dello
sciacquone... Questo è per quando mi pregasti di appenderti quei quadri e,
intanto, mi giravi d'intorno in accappatoio... Questo è per il rubinetto che
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perdeva... Questo è per il fornello a spirito che non funzionava..."
La lista è lunghissima, e farei in tempo a venirmene prima di averla terminata.
Senonché c'è qualcosa che non va. Miss Cavendish ora sta inerte, non partecipa
alla chiavata. Le do dei pizzicotti, per metterle un po' di pepe al culo. Macché!
Come se non ci fosse. Mi sembra di chiavare un manichino.
"È roba da matti!" dice Arthur disgustato. "Tocca pure insegnarle a scopare.
Muoviti, vacca, sennò ti piscio in un orecchio!"
Miss Cavendish, con sussiego, ci informa che non si lascerà intimidire.
Possiamo — dice — violentare il suo corpo ma non soggiogare la sua volontà, e
così via.
"Senti, vacca," l'interrompe Arthur, sdegnato. "Si è mai pulito nessuno il culo
coi tuoi capelli? Ti hanno mai dato da bere una coppa di piscio? E foto scabrose
te l'hanno mai fatte, per mandarle ai tuoi parenti ed amici in Inghilterra? Beh, se
non vuoi niente del genere, adesso fa' la brava e scopa come si deve. Intesi?"
Miss Cavendish si calma subito. Arthur interloquisce... ha sempre desiderato
di fare delle foto non plus ultra. Ha alcune idee... Miss Cavendish con un bengala
che le parte dal culo e uno stronzo nero tra i diti dei piedi, mentre
patriotticamente sventola il tricolore americano... Miss Cavendish appesa per i
piedi a testa in giù, mentre un cane randagio rognoso... o forse un ragazzino
grasso... la prende di mira...
"O preferisci far la brava ragazza e scopare?" le domanda.
È molto difficile per miss Cavendish assecondare le mie sgruppate. Ma Sid e
Arthur le hanno messo in corpo una gran paura... è convinta che noi siamo
capaci di fare qualsiasi cosa. Sid pretende un po' più di entusiasmo.
"Allegro con moto," le grida. "Gesù, come ti muovi male.
Ehi, è così che credi che la gente scopa? Sfido che non chiavi..."
"Quello è il movimento di quando una gioca per conto suo," dice Arthur a Sid.
Diventa un'abitudine, più o meno... ma se gli ficchi il cazzo in fica un po' più
spesso, gli passa il vizio."
"Volete star zitti?" grido. "Lei andrebbe bene, se la lasciaste in pace... cazzo, ho
pagato fior di quattrini per chiavate peggiori di questa..."
Miss Cavendish non gradisce il complimento. Cerca di mostrarsi severa, ma
riesce soltanto ad apparire abbacinata. Il mio cazzo scivola fuori della sua fica e
lei tira su il culo affinché io possa rificcarlo dentro.
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Arthur giura che incomincia a piacerle... Sid dice che lui se le immagina e
basta, le cose.
"Non deve piacerle," dice Sid. "Se le piace vuol dire che stiamo sbagliando. Che
dici tu, Alf? Dici che le dà gusto?"
Io non riesco a pensare ad altro che al mio cazzo. Sfocio in una gran sburrata.
Sid è pronto a subentrarmi. La vacca neanche richiude le gambe quando io ho
finito con lei... le tiene aperte e aspetta che Sid monti su... Noi abbiamo smesso di
far finta di tenerla ferma, sicché vado a sedermi su una sedia e sto a guardare da
distante.
Sid la chiava a lungo. Quando è lì lì per venirsene, si ferma e si riposa, e miss
Cavendish non può far altro che fermarsi anche lei. Se lei seguitasse a fottere, lui
se ne verrebbe, in metà tempo, ma, non appena lui smette di stantuffare dentro
con il cazzo, anche lei smette. Mi stufo a starli a guardare...
"Sapete, non è poi tanto male," dice Sid, in tono critico, durante una delle
pause. "Se veniamo qui da lei piuttosto spesso, c'è caso che riusciamo a far di lei
una vera fica. Di'... potresti mettere a sua disposizione un paio di sere la
settimana, tu, Arthur?"
Ma le minacce fanno meno effetto, ora, a miss Cavendish... forse lei è convinta
che nulla di peggio potrebbe succederle, o forse sa che la pigliamo in giro. Guarda
il cazzo di Arthur... le si sta inturgidendo nella mano.
"Smettila di dire cazzate, e fottila, da bravo," dice Arthur, in tono lamentoso. "Il
cazzo m'è tornato duro, ma mica mi resterà così tutta la notte..."
Sid infila il suo cazzo nella fica e serra le braccia intorno a lei come un
granchio... miss Cavendish emette un piccolo squittio e poi tutto è tranquillo. Sid
trema tutto quando tira fuori il cazzo di nuovo...
Arthur dà un'occhiata nella bonne-bouche di miss Cavendish. Come Cristo si
può — vuol sapere — chiavare ora una fica come questa? Bisogna prima
ripulirla... altrimenti è come se lui infilasse il cazzo in un secchio di latte caldo.
Sid gli dice di non fare lo scemo... basta ficcarglielo su da dietro. "Ribaltala sul
ventre, e vai tranquillo... ogni cosa scorrerà in avanti, allora, in lei," spiega.
"Ecco, la ribalteremo," dice. Ma prima che la tocchi, miss Cavendish si ribalta
da sé.
"Così va bene," dice Arthur, piuttosto sorpreso. "Ora basta che alzi su il culo,
quel tanto che occorre perché io ficchi su questo affare..."
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È veramente buffo vedere miss Cavendish issare il culo e poi guardarsi intorno
per vedere cosa sta succedendo. Io mi metto a ridere e quando Sid e Arthur si
mettono a ridere anche loro, miss Cavendish si mostra a disagio; mai vista una
donna più a disagio di lei. Arthur le dà una pacca sul culo... Lei nasconde la
faccia fra le braccia, quando lui la chiava...
Sid pronuncia un discorso d'addio mentre si infila su le mutande. Pudore!
Miss Cavendish si copre con un lenzuolo e guarda da un'altra parte finché non ci
siamo completamente rivestiti. Sid le dice che abbiamo gradito moltissimo la sua
ospitalità... Forse torneremo a trovarla domani... alle nove, va bene?... Eppoi lui
ha un paio d'amici che farebbero volentieri la sua conoscenza....
Ernest si sta arrotolando una sigaretta, con gran spreco di tabacco. Ernest è
cresciuto in Oklahoma e non ti consente mai di dimenticarlo. Dice sempre che
intende tornarci un giorno o l'altro, ma non ci tornerà mai. Non ci tornerà mai
perché non esiste un luogo come quello in cui Ernest dice di essere cresciuto.
Ammira l'arazzo che ho comprato nel negozio della sorda cinese. Molto bello, egli
dice, e tutto regolare, mi domanda, col mio cazzo? Allora, dice, farà anche lui una
capatina in quel negozio, un giorno di questi. Gli chiedo notizie della pargoletta.
Oh, la piccola troia! L'ha cacciata via ierlaltro, perché aveva una visita di fica, e
quella sciagurata sgualdrinella, per dispetto, gli ha messo la casa a soqquadro, il
giorno dopo, mentre lui era assente. Gli ha squinternato i libri, fatto a brandelli le
carte sulla scrivania, e persino trinciato il materasso con una lametta. Poi gli ha
cagato davanti alla porta sicché lui, rincasando, ploff! ci ha messo il piede sopra.
"I ragazzini! Sono tanto più tremendi quanto più sono precoci. Quella fichetta,
per esempio... è vendicativa come una donna ed ha la terribile fantasia dei
bambini. Gesù! Mi mette paura, pensare a 'ste pischelle. Sono dei Cappuccetti
Rossi che, col lupo, ci vanno a letto."
Poi Ernest mi chiede se voglio conoscere la sua fica spagnola. Quella che la
lesbica voleva portargli via. Sì, dico io. Allora andiamo, dice lui: è una che lavora
in un locale a due passi da qui.
Uscendo, mi soffermo davanti alla porta di miss Cavendish e tendo l'orecchio.
Non si sente alcun rumore. Non s'è sentito niente tutto il giorno, e c'è un
telegramma attaccato alla maniglia, da stamattina...
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C'è una megera, in guardaroba. In America, per scamuffo che fosse il locale, ci
metterebbero una bella figliola al parcheggio dei cappelli. I francesi sono più
razionali. Una bella fichetta è sprecata, come guardarobiera. Ernest mi sussurra
che si fissano con questa vecchia strega gli appuntamenti con le ragazze del
locale. Hanno camere da letto, sul retro.
Il locale è pieno di marinai spagnoli, magnaccia e mignotte. Per il resto, gli
avventori formano una strana misticanza, ma mi sa che hanno tutti in comune la
fedina penale sporca. C'è puzzo di friggiticcio e di birra stantia. Meno male che
abbiamo già cenato.
Ernest mi presenta la sua sivigliana. Ci troviamo subito antipatici a vicenda. È
carina, e suppongo che me la scoperei senza spegnere la luce, ma non mi attrae.
Né io l'attraggo. Ernest comincia a lamentarsi con lei per via della lesbica. La spagnola gli dice di non fare lo scemo. La lesbica le dà dei bei regali. Ernest no. Io
incomincio ad annoiarmi.
La piccola orchestra suona a tutto spiano. Tre danzatrici si avvicendano sulla
pedana. Hanno tutte dei denti d'oro. È tanto terribile, l'insieme, che anche un
turista se ne accorgerebbe che è roba autentica... Trascorre un'ora interminabile,
noiosa.
Senza alcun preavviso, una ragazza entra in pista. È velata,
ma si capisce ch'è giovane, una fica molto carina. I tizi che hanno fatto tutto
quel chiasso, finora, depongono le loro chitarre...
"Flamenca," dice Ernest, "mi dicono ch'è la ragazza più giovane che lo balli...
Voglio dire, ballarlo veramente."
Per quel che ne so io potrebbe essere una stronzata... ma certuni che si
spacciano per intenditori mi hanno detto che ci vogliono dieci anni per fare una
flamenca. Dieci anni per imparare a eseguire una danza che dura dieci minuti! È
una di quelle cose che non mi interessano molto... mi pare fatica sprecata, come
imparare la Bibbia a memoria. Ma comunque, pare che ci vogliano dieci anni, e
quindi le donne che ballano il flamenco sono tutte ben oltre quell'età in cui
dovrebbero eseguire una danza di quel tipo.
Ma questa ragazza! La ragazza di Ernest vede in che modo la guardo e mi dice
che la flamenca si esibisce di nuovo, in una stanza di sopra, davanti a un
pubblico più ristretto. Lei agita lo scialle, fa schioccare le nacchere. La danza
comincia, e tu capisci subito che questa fica sa quello che fa. L'idea del flamenco
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sembra essere questa: se ti fa indrizzare il cazzo, è ben ballato...
"Come si chiama?" domando, mentre la ragazza volteggia accanto a me e mi
lancia un'occhiata che si traduce in un invito alla camera da letto. "E questa
danza che esegue al piano di sopra, che cos'è?"
"Devi chiedere alla Nonna in guardaroba, al riguardo," dice Ernest. "La ragazza
si chiama Rosita... ma stai attento. Quella piccola rosa ha molte spine."
Ti scalda il sangue, questa fica. Ti mette il pepe sotto la coda... Gian Giovedì
fiuta fica da qualche parte e alza la testa. Ernest e la sua puttana giocano fra di
loro sotto la tavola. Se la danza fosse durata altri tre minuti, Rosita avrebbe
indotto tutti quanti, nella sala, a spararsi delle seghe...
La ragazza esce di scena con un ultimo guizzo del culo, che le fa attorcigliare la
gonna intorno alle gambe. Mi rivolgo a Ernest. Voglio sapere se questo spettacolo
al piano di sopra è una cosa fasulla.
"Senti, Alf," mi dice. "Tutto quello che so è che lei balla nuda, su di sopra. Non
l'ho mai visto, o che."
"Perché non andiamo su a dare un'occhiata... tutti quanti?"
Ma le donne non sono ammesse; è solo per uomini, e Ernest non vuole lasciare
la sua fica, ora. Ebbene, andrò su io...
Vado nel guardaroba e mercanteggio con la Nonna... Semplicemente, devo
vederlo.
La stanza di sopra è piena di fumo. Non ci sono finestre, manca l'aria. Ci sono
una ventina di spettatori. Diversa genia, da quelli di sotto. Certi hanno anelli al
dito con brillanti grossi come testicoli. Trovo posto per miracolo. Ordino del vino.
Non ti fanno aspettare mica molto. In America, a uno spettacolo come questo,
tirerebbero tanto per le lunghe da rifarsi delle spese vive d'un mese ogni sera, a
furia di consumazioni.
Qui, invece, Rosita si presenta quasi subito. Nuda? Peggio che nuda! Porta una
mantiglia che le arriva a fil di culo, scarpini rossi con il tacco alto e calze nere. Le
giarrettiere che le sostengono danno un rigonfio alla coscia — ci affonderesti i
denti, come in una pera butirra. Sul braccio ha uno scialle trapunto, fra i capelli
una rosa.
Prima di mettersi a ballare compie un giro per la sala. Il cazzo mi si rizza come
un burattino manovrato da fili invisibili. Un marinaio cerca di darle una pacca
sul culo, ma lei scarta.
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Ha un bosco foltissimo, 'sta Rosita. Si direbbe che abbia una scimmia pelosa
agguattata fra le cosce. Ad arte, però, la tiene semicelata sotto lo scialle.
Definirla giovane o vecchia dipende dai gusti che hai. Avrà, a occhio e croce,
diciotto anni. Ha un paio di tette che ti vien voglia di darti a una dieta lattea.
Sono grosse e oscillano, maestose, erte e con le punte in su. Dimena il culo in
modo indescrivibile. Lo frulla. Il corsetto ha lasciato dei segni sul suo busto, che
fan pensare a scudisciate.
Si è tolta il velo, e, sebbene uno spagnolo potrebbe avere delle riserve circa il
suo aspetto (essi cercano la donna; sanno che le loro ragazze non durano a
lungo), lei è proprio quel tipo di fica che io andrei a cercare se avessi voglia di fica
latina. Giro lo sguardo intorno alla sala. Tutti gli occhi sono fissi su di lei,
allupati. Cristo, avrà la sensazione di venir divorata viva ogni volta che esegue la
sua danza!
Non so quanto la pagano, per ballare. Ma è peggio che far la puttana. Da una
puttana, un uomo ci va perché il cazzo gli tira e lei fa del suo meglio per levargli
— come dice San Paolo — il bruciore. È un servizio, una cortesia. Ma esibirsi
davanti a venti uomini, metter loro la fica sotto il naso e l'uzzolo nel cazzo, questo
è puttaneggiare all'ennesima potenza. È come andar là e chiederlo, di venir messa
a ferro e fuoco come Troia, da un branco di uomini eccitati al di là di ogni dire, di
ogni fare. La fantasia li ha tanto surriscaldati, che nessuna realtà può più
soddisfarli.
I tacchi di Rosita crepitano sulla pedana come una gragnola di ciottoli. Getta
indietro la testa, solleva le poppe, spinge avanti la pancia, rincula... lo scialle
oscilla...
Gian Giovedì sporge in fuori come il ramo troncato di un albero. Se anche
volessi non potrei tenerlo giù... no, veh, con quella troia che si scatena davanti a
lui... Lei volteggia intorno alla stanza e lo scialle si solleva... il suo ventre è scuro
e peloso... la sua fica è un gonfiore rosso, con un'umida fenditura al centro...
dall'aspetto fecondo ed aperto.
I suoi tacchi battono più forte e le tette saltano su a ogni passo che lei
compie... i suoi occhi cominciano ad apparire leggermente ubriachi.
"Danza, bocchinara, danza!" grida qualcuno in spagnolo. Tutti ridono nella
sala, e Rosita lancia un sorriso cupo di sopra la spalla. Qualcuno le pizzica il
culo. Lei strilla e salta via, mutando il salto in un ardito passo da ubriaca e poi lo
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strillo in un grido di danza... Le sue labbra si agitano selvaggiamente...
"Ah!" il grido proviene da molte gole allorché la danza cambia. Ella sta
scopando adesso, scopando una immagine che ha in mente... Sta scopando tutti
noi... Getta il culo avanti e indietro... Ti par quasi di vedere le dita percorrerle il
ventre, le braccia, le anche ancheggianti...
Nessuno, in sala, si muove ora... Rosita mette le mani sui fianchi, girandosi
lentamente, finché non ha fronteggiato ogni tavolino, offrendo la fica a ogni
uomo... Occhi affamati schizzano da facce infiammate da ogni parte... Lei è
accerchiata dalla lussuria... cinta d'assedio... dovunque si volti c'è un paio di
occhi pronti a pigliarla... Arretra compiendo cerchi via via più ristretti finché viene
a trovarsi al centro della pista, girando lentamente su se stessa in punta di piedi.
Ogni uomo che adesso la guarda... essi la vedono dinanzi a loro, che supplica
pietà. Rosita cade lentamente in ginocchio. China la testa e congiunge le mani
come se stesse pregando, con pio fervore, ma invece imita l'atto della fellazio. Poi
si rovescia indietro inarcando la schiena e, seduta sui talloni, espone il nicchio in
tutto il suo splendore. Gli uomini-lupi si mettono a ululare.
Come ride di loro, la cagna! Un riso di scherno la scuote, come un convulso. I
lupi ringhiano. La risata della cagna si fa isterica.
"Lurida bestia!" grida un vecchio, e le sputa sulla pancia. Quello scaracchio
tabaccoso sembra uno schizzo di sperma. Un marinaio le rovescia addosso un
boccale di birra, inondandola. A me si raggricciano le palle. Ma non si rende
conto, 'sta puttana, di cosa sta facendo? Qualcuno, ubriaco, potrebbe ammazzarla di botte. E difatti un tipaccio si alza, rovesciando la sedia, e avanza
barcollando su di lei, con un pugno alzato, quasi brandisse la spada dell'Angelo
vendicatore.
La troia si rialza in piedi. L'omaccio avanza ancora come un orso. Lei gli getta
sul muso lo scialle, poi scappa.
Io non perdo la testa. Mi precipito giù per le scale, per arrivare per primo dalla
megera del guardaroba. Quella capisce sùbito e, intascando i quattrini, mi fa: "La
numero tre, in fondo al corridoio sul retro. È una brava signorina, quella là. Vedrà che resterà contento."
Trovo Rosita seduta sul letto, che fuma un sigaro. Ansima ancora. "Lo sapevo
che saresti stato tu," mi dice, e poi soggiunge: "Ci speravo."
Magari dirà così a tutti i clienti. Ma che importa? Allungo una mano verso la
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sua fica. Lei ride e getta via il sigaro. Ha la pancia calda e madida.
I suoi occhi, mentre mi guarda spogliarmi, mi ricordano quelli degli uominilupo che la guardavano danzare. Guarda Gian Giovedì come se volesse
azzannarlo. Ci abbracciamo, cominciamo a cimentarci. Ad un tratto la lupa mi
affonda i denti su un bicipite.
Le stringo la gola, per farla smettere. A momenti la strozzo. Lei mi agguanta
l'uccello e lo coccola, divenuta d'un tratto benigna. Tuba come una colomba,
dando beccatine al glande. E fa le fusa come una gattina, linguaggiandolo
delicatamente. "Com'è duro, com'è grosso, com'è turgido," mormora in estasi.
Appena le tocco il grilletto comincia a dimenarsi come una biscia. Poi mi serra
una coscia fra le sue, e ci struscia la patonza arroventata.
Io la tiro giù dal letto e la fo mettere in ginocchio, come all'apice della sua
danza. Rosita alza gli occhi su di me. Lo sa, quello che voglio. Il cazzo le vibra
davanti come la bacchetta d'un rabdomante. Lo prende in bocca e si mette a
ciucciarlo.
Ridi, adesso, cagna! Prova a ridere con 'sto bischero in bocca! Te la faccio
ringhiottire, la risata, a botte d'uccello, finché t'esce dal culo! e la sburra ti
schizza dalle orecchie!
Rosita si flette all'indietro, inarcando la schiena, fino a sfiorare il pavimento coi
capelli. Io assecondo il suo movimento, senza toglierle il cazzo di bocca. Sento la
sua pancia fremere, sotto il mio culo.
Quando ejaculo, lei, così riversa, non riesce a ingoiare e la sburra le va di
traverso. La sollevo sul busto, le metto una mano dietro la nuca; Lei nega con la
testa. Niente ingoio. Ah, no, bestia? Questo affronto vuoi farmi? Le tappo il naso.
Dopo un po' lei spalanca la bocca per mostrarmi che ha fatto la brava. In premio
le do da baciare le palle.
"T'è piaciuta la mia danza?" mi domanda. "Ogni sera lo stesso putiferio. Li
faccio impazzire. Una volta un negro, un colosso color carbonella con le labbra
color melanzana, m'ha dato una rasoiata." Mi mostra la cicatrice, sul ventre.
"Dopo poi è venuto in camera mia e abbiamo scopato tutta la notte. È l'unico
negro che ho mai permesso alla Nonna di mandarmi su in camera."
"Da quanto tempo è che balli?"
"Mah, neanche lo so. Avrò avuto dodici anni quando mio padre mi costrinse a
ballare nuda davanti a certi uomini. Lui gestiva un caffè a Madrid. Uno di quegli
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uomini mi venne appresso, è papà ci sorprese in giardino. Lo stese con un pugno.
Io gli giurai che non mi aveva fatto niente. In realtà, gliel'avevo preso in bocca. Il
mio primo bocchino. Certe volte ne ho nostalgia..."
Così dicendo, prende il mio fratellino fra le labbra e con lievi ingenue linguate
— quasi fosse tornata bambina — me lo inorgoglisce di nuovo. È tanto duro che
lei s'intenerisce. "Vuoi passare la notte con me? Non ti costerà un soldo e, vedrai,
sarà una cosa favolosa."
Dico che ho certi amici che m'aspettano. Lei si mostra delusa. Mi dà un'altra
ciucciatina, poi va a stendersi sul letto a gambe larghe. Si accarezza il folto pube,
come fosse innamorata della sua stessa fica. Gian Giovedì è pronto a
ricominciare. Rosita si allarga la passera. Vorrei entrarci tutto, in quella caverna,
e aggirarmici, e esplorarla. Dev'essere come entrare nel ventre della balena. Come
vagolare nella città di Dite. Come scendere nelle viscere della madre terra. Me li
immagino, i cadaveri degli uomini che han tentato di possederla, accatastati lì
dentro, in decomposizione, verminosi, ma ancora frementi di voglia inappagata!
E non ho che un uccello, per riempire quella grotta infernale, smisurata. La
spingo per i ginocchi e la ripiego su se stessa. Dalla mia parte è tutta fica e culo.
Le infilzo su la nerchia. Lei comincia a smenarsi, quasi avessi gettato una palata
di carbone dentro una fornace accesa. Quando viene, è come star abbracciato a
un vulcano in eruzione.
Non avevo neanche veramente cominciato a chiavarla, quando quel primo
ostacolo venne superato. Poi mi adagio su di lei, ci do dentro come se mi
aspettassi di trascorrere lì alcuni anni. Dopo tre minuti la faccio ansare... dopo
cinque ecco che implora misericordia.
Quando me ne vengo è come giacere sul letto e sentire la stanza sobbalzare un
paio di volte. Mi colpisce duro sulla bocca dello stomaco. Ogni cosa è distorta, ma
sento Rosita tubare... ha colpito anche lei.
È una fica lunatica... non appena smonto, lei si getta bocconi sul pavimento...
mi bacia i piedi e mi morde gli alluci... Devo restare, dice... Non posso andarmene
e portar via un così bel cazzo dalla sua vita. Vuole che resti tutta la notte... tutta
la settimana... non mi costerà nulla. Guarda i miei vestiti... mi comprerà un
vestito nuovo... tanti nuovi vestiti. Quel che dice è che vuole ch'io le faccia da
magnaccia... l'ultimo che aveva, mi dice, si è sbronzato ed è caduto da una
finestra un mese fa...
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Cazzo, non ho tempo per fare il magnaccia a nessuno... eppoi non potrei
sopportare il temperamento spagnolo per più di un paio di settimane. Cerco di
spiegarglielo, ma lei non mi sta a sentire... ha un tarlo in testa e più le spiego più
lei insiste. Alza la voce e comincia ad arrabbiarsi. Mi arrabbio anch'io... Mi son
fatto una bella chiavata, ma non ho mica pagato per litigare con qualcuno. Le
urlo, di rimando. Finalmente incomincio a vestirmi.
Mi sono rivestito da capo a piedi tranne solo una scarpa... quando vedo il
malvagio piccolo pugnale che ha in mano. Agguanto una spazzola dalla toilette e
gliela tiro. Manco il bersaglio, e lei pure... il coltello urta contro il muro e cade in
terra.
Esco saltellante pel corridoio, su una scarpa sola... Rosita corre a raccattare il
pugnale. Ci gridiamo improperi a vicenda attraverso la porta aperta finché la vedo
sollevare di nuovo il braccio... allora chiudo la porta, sbattendola. C'è un rumore
come d'osso che si frattura... è il sottile pannello della porta... la punta nera del
pugnale lo trafigge. Ha il braccio forte, quella puttana pazza... e una mira fin
troppo buona. Mi infilo su l'altra scarpa e me la svigno.
Ernest non c'è più, di sotto. Ritiro il cappello dalla megera, in guardaroba. "Si
è divertito, señor?" mi domanda. "Tornerà presto, spero."
Miss Cavendish ha traslocato. Alla concierge ha detto che il quartiere non si
confà ai suoi gusti. Sid ieri l'ha incontrata, sul Boulevard Saint Germain, e lei,
come l'ha visto, se l'è data a gambe. È saltata su un taxi ed è scomparsa.
Io vedo un ceffo di spagnolo dietro ogni lampione, nel terrore mio stolto. Può
darsi benissimo però che Rosita mi abbia messo qualche suo amico alle calcagna.
Dio bono, 'ste fiche! Voglion esserti o schiave o padrone, o ammazzarti. È a
Parigi soprattutto che arrivi a renderti conto di quanto son terribili le donne.
Nell'aria stessa c'è un non-so-ché che ti mette in allarme: sei costantemente
conscio dei loro trucchi, delle loro insidie, dei loro intrighi.
Prendi Toots. Prima stava con Carl, adesso è in caccia d'un americano
quattrinoso. Vivere con Carl non era più possibile, mi fa. La verità è che Carl sta
andando in spianto. Se Carl ereditasse una fortuna, lei certo troverebbe delizioso
vivere con lui. Comunque Toots l'americano ricco l'ha adocchiato, e ora tenta di
adescarlo. Forse riuscirà a sposarselo. È proprietario di una catena di pizzicherie,
in America, e non ha moglie né figli. Però, prima di sposarlo, Toots deve indurlo a
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scoparla, senza far la figura della puttana. Lui è un uomo di sani principi morali,
quel bastardo. Non le mette mai le mani addosso. Toots è preoccupata.
A proposito di moralità, Alexandra si è convertita alla fede cattolica. Un prete
va a insegnarle il catechismo tre volte a settimana. Ha sbolognato i figli, Tania e
Peter: li ha mandati in campagna. Mi scrive lettere misticheggianti. Mistica, una
fica simile! Mi vien da ridere. Non le rispondo.
Anna si sente giù. L'incontro per strada. Sta vagando senza mèta. Io pure. Ci
sbronziamo insieme, allora. La voglia di piangere le aumenta. "Hai il marchese?"
le domando. No, il suo guaio è essere donna. Se un uomo provasse quel che prova
lei, farebbe faville, menerebbe alla moglie, si darebbe all'ippica, o che. Ha una
gran smania addosso, non trova requie, e tuttavia lascia passare i giorni, come
sabbia tra le dita, senza far nulla. Né dipinge, né scrive romanzi, né compone
sinfonie! Oh, se solo ci avesse un ufficio, dove recarsi ogni giorno. Se soltanto la
mia vita avesse uno scopo, mi fa.
Una scopata, altro che uno scopo, dico dentro di me, ecco cosa ti ci vuole. Gli
si guasta qualcosa nella testa, alle donne, quando restano prive di uccello troppo
a lungo. "Quand'è l'ultima volta che hai fatto l'amore?" le domando, premuroso.
Oh, l'amore, farlo, lo fa — e pure spesso — ma non come si deve. Non riesce ad
arrivare all'orgasmo, da un po' di tempo in qua. Sarà anche che l'uomo (quello
che la mantiene) non è tanto efficiente, ma può anche darsi che qualcosa in lei s'è
inceppato.
A dirla tutta, la verità — mi confessa — non gode più da quella notte famosa...
a casa mia... quando si spaventò e scappò via tutta nuda. Quella volta prese un
tale spavento, che decise di restare fedele al suo amante ufficiale. Da allora, la
scopa lui solo. Ma il ricordo di quella notte, quando la scopazzammo in tre, a casa
mia, l'ossessiona.
Per cercare di farle coraggio, le infilo una mano sotto la gonna e incomincio ad
accarezzarle le cosce finché lei incomincia a dimenarsi. Allora, istigata da un altro
bicchiere, mi infila le dita sotto la pattuella.
Non ne possiamo più, nessuno dei due, allora prendiamo un taxi per farci
portare da me. È tanta e tale la mia impazienza che, a bordo del taxi, le tiro giù le
mutandine, e lei mi tira fuori Gian Giovedì. Anna però ha paura che il tassista ci
veda. Allora, ubriaca com'è, si acquatta ai miei piedi e si mette a ciucciarmi
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l'uccello. Ciuccia e ciuccia, finché non arriviamo davanti al portone di casa mia.
Saliamo su e... sorpresa! C'è Toots, ubriaca fradicia, che dorme, stesa per terra
davanti alla mia porta. Quando la scuoto, non si rià. Anna e io la trasciniamo
dentro per i piedi. Anna ride.
Toots giace riversa sul pavimento, con le gambe divaricate e la gonna tirata su.
Anna le infila un dito sotto il bordo delle mutandine. Toots, senza riaversi,
scalcia.
Anna propone allora di spogliarla, e ch'io me la spupazzi mentre dorme.
Mamma mia, la purezza delle donne. E Anna è una moralista, a paragone delle
altre. Se le donne non avessero la fica da dar via, sarebbero una razza
insopportabile. Per un po' di sollazzo del cazzo, a noialtri ci tocca tollerare questi
mostri dolciastri, queste piattole invereconde, queste zozzone. Prendiamo il caso
inverso. Due uomini e una donna. Uno degli uomini ha perso conoscenza,
ubriaco fradicio. Quello rimasto in sé mica dice alla donna: fagli un pompino cara
mentre dorme. Macché, se la fotte lui. Invece, le donne sono più interessate alle
altre donne di quanto non sarebbe giusto essere.
Anna slaccia pian piano il vestito a Toots e glielo sfila dalla testa. Poi si mette a
accarezzarla. "Semplice curiosità," cerca di farmi credere. Invece pare piuttosto
esperta, le sue carezze sono assai sapienti.
Lì per lì Toots resta inerte, come un ciocco. Anna insiste. "Mi par d'essere una
lesbica, una donna dannata..." dice, citando Baudelaire. Prova a ridere. Ma la sua
risata suona chioccia. Io mi verso un bicchiere di vino e mi siedo a guardare.
Anna non va diritta sulla fica di Toots, ci gira intorno, le tasta il culo. Tots nel
sonno si contorce un tantino. Anna le prende una mano e se la porta alla
passera. Ridacchia ma è arrossita. Mai vista arrossire così. Si mette a gingillarsi
con la bonne-bouche di Toots ma senza, ancora, infilarci le dita dentro.
"Sta sognando di te," dice.
Certo Toots qualcosa sogna. Serra le cosce e tien stretta fra esse la mano di
Anna. Poi le allarga, invitante.
"Dunque, è questo l'effetto che fa, essere uomo," Anna dice. "Me lo son sempre
domandato." Ficca un dito dentro l’abricot-fendu di Toots e lo rimesta. "Mamma,
che buffa sensazione. Ma poi, che gusto c'è? Meno male che io non sono un
uomo."
"Smettila di contar balle, Anna. Ti dà gusto e come!"
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Lei mi invita a scopare la bella addormentata. Io rispondo di no: "Da sveglia,
volentieri. Ma così sarebbe come fottere una morta. È uno spreco di cazzo.
Quando scopo mi piace che goda anche la donna, che si renda ben conto di tutto,
che urli al momento giusto."
Anna posa il capo sulle cosce di Toots e le accarezza il ventre. Non ha mai
messo il naso vicino a una fica, così, mi dice. È uno strano odore.
Vado a fare una pisciatina. Quando torno, Anna si raddrizza di scatto sulla
schiena e si netta la bocca col dorso d'una mano. Stava leccando la sorcia di
Toots, la zozzona!
"Non smettere per via mia," le dico.
"Senti, Alf, devi credermi. Mai fatta una cosa del genere in vita mia. Volevo solo
provare... Sai, sono un po' brilla."
È ubriaca, altro che. Le credo. Anna non è una lesbica. Però è una maiala. Non
c'è niente che non proverebbe, per sfizio.
"Embè, che te ne sembra?"
"Non saprei. No, veramente, non lo so. Avevo appena cominciato..."
"Allora riprendi da dove t'ho interrotto."
"Accidenti, oh, ti piacerebbe starmi a guardare, mentre lecco una fica. In
aggiunta a tutto quello che sai su di me... cose che nessuno dovrebbe sapere...
Cose che non avrebbero mai dovuto succedere."
"Smettila di cianciare e dacci dentro. Se no vengo lì e ti schiaffo il muso io,
come si fa coi gatti per insegnargli a non cagare in casa!"
Anna allora, obbediente, si china sulla passera di Toots e la rimira. Tira fuori
la lingua e la fa scorrere sulle cosce, poi sul pube, poi pian piano sulle labbra
della fica. Un guizzo e l'infila dentro.
Toots si sveglia, all'improvviso. Si raddrizza sul busto e guarda Anna,
ingaggiata laggiù. Poi gira lo sguardo intorno per orientarsi. Quindi agguanta
Anna per i ciuffi e se la scolla dalla fica.
"Sporca puttana!" grida. "Pervertita! Guardati lì! Pulisciti la bocca!"
Le sbatte in viso le sue mutandine, perché si forbisca. Io mi metto a
sogghignare. Sono buffe, 'ste due vacche che si guardano in cagnesco, l'una
avendo paura dell'altra. Cerco di spiegare a Toots che si tratta soltanto d'un
piccolo errore eccetera eccetera. Quando l'ho rabbonita, suggerisco di berci su un
bicchiere, e amici come prima. Dite quello che vi pare contro Toots, ma è più
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accomodante della media delle fighe.
Comunque insiste: Anna non avrebbe dovuto permettersi una cosa del genere.
Adesso Toots è arrapata e quando è in calore non si raffredda se non la si fotte.
Le due donne si abbracciano, ubriacamente amiche. Toots vuole che anche Anna
si spogli. "Voglio vedere se sono vere," dice, indicando le tette.
Anna è orgogliosa come un piccione di quelle sue tette... L’unico modo sicuro
per farla spogliare è ammirarla di fronte e di profilo. Si spoglia... e perché mai
debba togliersi le scarpe per mostrare le tette, lo sa solo Dio. Ma non posso
lamentarmi... Eccomi qua, a casa mia, con l'affitto pagato, ubriaco, e con due
belle fiche nude fra le mani. Gesù, mi sembra di essere il signore del castello...
Esse parcheggiano il culo accanto a me, una di qua e una di là, sul divano.
Metto un braccio intorno a Toots e un braccio intorno a Anna e tasto loro le tette.
Quando hai un normale par di poppe da confrontare con quelle di Anna, queste
ultime ti appaiono più grosse che mai. Lei mi apre la pattuella e mi tira fuori il
cazzo... Anche Toots vuol giocarci... tutt'e due si mettono a trastullarmi.
C'è una cosa che non va, quando hai due fiche da scopare al tempo stesso. Già
il fatto di avere un uccello soltanto è un handicap, ma, come se questo non
bastasse, quella cui tocca per seconda può pure restare a fica asciutta. Da chi
incomincio? La logica direbbe: da Anna. Ma Toots potrebbe prendersela a male,
ed è una tale vipera!... Io per me ho già abbastanza guai, con tutti quegli spagnoli
che mi stanno alle costole.
Per fortuna si trova una soluzione amichevole. A Toots in realtà dava gusto,
farsi cunnilingare da Anna. E se Anna volesse darle un'altra leccatina... e io darle,
poi, una chiavatina... così tanto per gradire...
Anna è dubbiosa. Non le piace, veramente, fare certe cosine... era solo un
capriccetto. Ma, se Toots le assicura che non dirà niente a nessuno... Morale della
favola: io mi siedo di traverso sul divano, Anna si sdraia supina, posando la nuca
sul mio grembo, quindi Toots le si mette cavalcioni. Anna attacca a lavorare di
lingua, e Toots e io ci baciamo sulla bocca.
Dopo un po' Toots mi bisbiglia all'orecchio: "Ora mi lecca la fica." Quindi a
Anna: "Oh, sì, così... oh, ora infilaci dentro la lingua... Ficcala su! Ficcala su!"
Non riesco a veder quello che succede laggiù, ma Toots mi tiene informato.
Anna ha infilato la lingua nel retto di Toots, ed è così morbido e fremente! Che bel
paio di fiche che ho qui! Agguanto un piede di Toots e le tasto intorno al culo con
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le dita...
E quella puttana di Toots! Mi getta in faccia le tette, me le dà da succhiare e
mordere, poi allunga una mano e agguanta una ciocca di capelli di Anna, col mio
cazzo dentro... Cristo, che modo di giocare col cazzo! Se non chiavo entro un minuto, me ne vengo entro la permanente di Anna.
Toots è pronta, anche lei. Si alza, dà un'occhiata in faccia a Anna, poi si rigira
e porge a Anna il culo da baciare. E Anna, la sozza fica, lo bacia! Ne lecca le
chiappe... lecca il solco fra le chiappe... finalmente preme la lingua sul buco del
culo e dà a Toots un bacio, un bacio regolare con la lingua a succhiello.
Salto su e getto entrambe le fiche insieme sul divano... Allargo le gambe di
Toots e spingo la testa di Anna sul suo pube... voglio vederla leccare la fica di
Toots... e vengo accontentato. Ella allarga maggiormente le cosce di Toots e si
comporta come se stesse per entrare dentro di lei a capofitto...
Toots incomincia a dar di matta. Vuol fare téte-bèche ora con Anna. E, così, si
mettono in posizione da 69 e attaccano, a gara. Toots è una zozzona degna di
Anna. Stanno incastrate insieme, come un puzzle cinese di legno, con le braccia
dell'una intorno alla vita dell'altra, la testa dell'una sotto la fica dell'altra, con
quei loro culi grassi che sporgono in fuori, ciascuno con sotto una testa... Toots è
all'esterno e io mi arrampico su accanto a lei... Posso così guardare dentro il pube
di Anna e vedere quello che Toots fa a quella pesca sciroppata che sta mordendo.
D'un tratto le luci si spengono. Fa buio pesto. Io ero sul punto di ficcare
l'uccello in culo a Toots, ma Anna me lo agguanta e comincia a ciucciarlo. Poi lo
infila pian piano nella fica di Toots seguitando, questa folle puttana, a leccarlo
bene bene. Io mi metto a fottere e la lingua di Anna è là che lecca un po' il mio
pestello un po' il mortaio di Toots.
Poi Anna si appropria di nuovo del mio battaglio e l'ingurgita, lo ciuccia per un
po', quindi ne rivolge la punta — gonfia quasi a scoppiare — sull'ingresso del
retto di Toots. Spingo, sfondo lo sfintere, entro nell'antro, spingo fino in fondo.
Anna mi lecca le balle.
È troppo facile dimenticare dove ti trovi, però... Queste fiche si comportano
come se si trovassero su un letto a due piazze. Io vengo sospinto verso il bordo del
divano e quando mi sento cadere, mi abbranco... tutti e tre ruzzoliamo sul pavimento... Sento un culo sollevarsi... Mi ci arrampico su e cerco di rimettere Gian
Giovedì dov'era prima... Anna strilla e mi sospinge via di nuovo... una delle due
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ha il mio uccello in bocca... l'altra mi lecca il culo e si arrampica sopra di me...
sento l'odore di fica ed ecco un boschétto pubico sopra il mio viso... non riesco a
capire di chi è, ma la succhio ugualmente... I miei occhi si vanno assuefacendo
all'oscurità. Riesco a vedere il contorno scuro di una testa che va su e giù mentre
una di quelle fiche mi succhia l'uccello... l'altra cerca di giocarci e io ho infilato un
dito nel suo retto...
Le luci si riaccendono, guizzando. Toots in ginocchio lecca il culo ad Anna.
Anna mi sta cavalcioni, col mio cazzo in fica.
"Spegni la luce e scopami a me!"
Toots mi agguanta e mi conduce verso il divano. Ve la stendo e le allargo le
cosce. Però lascio le luci accese. Voglio vederla bene.
Anna sembra smarrita, abbacinata. Siede in terra e ci guarda, scuotendo la
testa come per schiarirsela. La trappola di Toots prende dentro il mio uccello. Lei
come in delirio bada a dire di smorzare le luci. Finché le si smorza la voce
nell'estasi dei sensi. È come averlo infilato in una fornace ardente. La fotto come
un gorilla, ma a lei non basta mai...
Poi mi si ammoscia e slenta fra le braccia. Ha goduto ed ha perso i sentimenti,
di nuovo. Io seguito a pompare. Ma Anna mi agguanta un ginocchio: vuole la sua
parte, adesso. Scosta Toots e mi zompa addosso, come una tigre, mordendo e
graffiando. Ci dibattiamo finché la piazzo bocconi sotto di me. No, non così,
balbetta, ma Gian Giovedì già si sta aprendo un varco nel suo retto e spinge,
cozza, preme, finché non s'è infilato tutto dentro. Se non si spacca in due adesso,
non si spacca più, col mio cazzo inzeppato fra le chiappe come un cuneo. Le dà
un gusto boia. Mentre fotto Anna, guardo Toots spaparacchiata in terra. La sua
fregna sembra il cratere di un vulcano. Ho l'impressione di sporgermi sulle sue
sulfuree viscere... di cadere precipite in quel fumigante abisso... di perdermi nel
fuoco, nel mistero.
Sento darmi degli schiaffi. Do un sussulto. Anna mi sta parlando. Devo essere
andato via di testa. Cristo, che scherzi che ti fa, godere. Roba da cacarsi sotto.
Mio Dio, se te ne venissi così la prima volta che te ne vieni, ti prenderesti una tale
paura che, probabilmente, ti taglieresti il cazzo, te lo mozzeresti, col rasoio di tuo
padre...
Anna dice che vuol scopare ancora. Ma prima deve andare un momento al
bagno. Ci va, e io, seduto sul divano, guardo Toots. Gesù, se la vedesse Carl, la
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sua fica di alto lignaggio, si mangerebbe la lingua.
Anna si è addormentata nel bagno. Siede sul cacatore e russa, delicatamente,
come una bambina. La lascerei lì, ma c'è caso che caschi. Quindi la porto in
camera e l'adagio sul letto. Mentre le do una tastatina, prima di coprirla, arriva
Toots e le sale sopra. Anna è ita, completamente, e neppure si muove quando
Toots incomincia a leccarle la fica.
Poi Toots vuole fare 69 con me. Io ci sto. Cazzo! Toots è una fica che potrei
leccare tutta notte. Mi prende l'uccello in bocca e io mi fiondo col muso verso la
sua mona. Le lecco prima le cosce, poi gli inguini, e quando arrivo alla fessa, è
tanto arrapata che sembra che l'utero le si stia per rivoltare, come un calzetto.
Queste troie sono quelle che sognavi quando avevi quindici anni. Non
aspettano che tu ce l'abbia duro. Te lo prendono moscio in bocca, e ciucciano per
fartelo indurire. Il mio uccello sembrava un mozzicone di candela, quando Toots
ha cominciato a succhiarlo. Poi si è raddrizzato, e adesso è turgido — e non fa più
una grinza.
L'aria è piena di puzza ficale. Ho questo odore tutt'addosso a me. Il letto ne
odora, si è insinuato in ogni cantuccio, in ogni fessura, ogni crepa, e mi fa
meraviglia che i cani del quartiere non si siano dati convegno qui fuori, a ululare.
In certi momenti non riesco a pensare a nulla di meglio: avere un culo grasso
per le mani, una fica in cui ficcare il naso, e una troia arrapata che cerca di
sradicarti il cazzo con la lingua. È quanto di meglio può chiedere un uomo, a 'sto
mondo, o in qualsiasi altro. Lecco il succo monale sulle cosce di Toots. Se spingo
il cazzo ancora più a fondo, le esco dal culo, e me lo vedo davanti al naso, come
un grosso stronzo rosso.
Lei se ne viene, me ne vengo anch'io e le riempio la bocca di sfaccime. Ma lei
non trangugia tutta la razione. Un po' gliene cola dalla bocca, sul letto. Puttana
zozza! M'ha imbrattato il lenzuolo. Glielo faccio leccare, poi mi detergo il cazzo con
i suoi capelli.
Con due fiche che dormono nel mio letto, a me non resterebbe che il divano.
Ma non mi va di esser presente domattina quando, al risveglio, contempleranno i
loro peccati. Quindi prendo lo spazzolino da denti e vado in albergo. Dormono come due gattine, quando le lascio, e Anna spinge il musetto contro il pube di
Toots.
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Non voglio morire. Oggi ho portato una mezza dozzina di miei libri dal
rilegatore... due di essi non si possono più riparare e vanno scartati. Non m'ero
accorto che stavano morendo, che la carta stava diventando troppo friabile per
reggere l'ordito... ma sono finiti, e li avevo comprati appena la scorsa settimana o
la settimana ancora prima... quand'ero in America, s'intende. Dove, se non in
America, potresti comprare un libro tanto sgangherato eh'è pronto per il macero
prima dell’uomo che lo ha comprato? Ma il tempo passa.
Questi stronzi che ti dicono che fra cinque o cinquanta anni saranno pronti a
esalare l'ultimo respiro... come può, in nome di Cristo, un uomo dire una cosa
simile? Ci sono troppe cose da vedere, troppe cose da fare, e fintanto che sei vivo
dovrebbe essere impossibile stancarsi di possedere quella piccola scintilla di
coscienza...
Fintanto che sei vivo! Ma viviamo in una terra di fantasmi. Il mondo è mezzo
morto prima di nascere. La gente sta a cavalcioni della sua vita con un piede nella
fossa e l'altro ancora infilato nell'utero... gli esseri umani non crescono mai e
sono vecchi fin dal primo secondo in cui emettono il primo vagito di protesta
allorché si trovano allo scoperto e da soli...
Alexandra viene a trovarmi, dopo uno scambio di biglietti. È immersa fino alle
orecchie nel cattolicesimo e oltre... il satanismo la attrae. Parla di magia, bianca e
nera, dei Rosacrociani, di succubi e incubi, della messa nera... Oh, sa tutto a
menadito, conosce tutte le parole, e si comporta con tanta serietà al riguardo che
sono disposto a credere che le si sia guastato il cervello.
Ha deciso, ora, che deve apprendere qualcosa in merito a un certo canonico
spretato che, a quanto pare, ha radunato intorno a sé un gruppo di discepoli del
diavolo e celebra la messa nera qui a Parigi. Da lui, lei ha appreso che si conoscono donne che hanno ricevuto la facoltà dell'incubazione! E sarebbe così spassoso
poter andare a letto e venir visitata, mettiamo, da Byron oppure da qualche uomo
che, per motivi di prudenza ecc. ecc., non sarebbe altrimenti raggiungibile.
Lei ci crede, a 'sta roba! Legge tonnellate di libri sull'argomento. Il suo
confessore — mi dice — è molto arrabbiato con lei. "Lo sai, per esempio, che ci
sono oltre 27 sette, sparse per il mondo, i cui adepti si dedicano al culto
dell'Anticristo?'' mi domanda. E attacca a parlare di fatture e incantesimi, di
malattie trasmesse mediante l'ipnosi, o tramite gli spiriti. Diamine, a sentirla
diresti che ogni notte si congrega con fantasmi e folletti, diavoli e streghe. Parla
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anche di alchimia, conosce celebri fachiri e dice che nella sola Francia vi sono 37
fornaci di trasmutisti che ardono tutta la notte.
Impossibile scopare una donna in tali condizioni. Piuttosto chiavo una matta
del manicomio. A dir la verità, sono contento di sbarazzarmi di lei. Dopo che se
n'è andata, sento ancora il gelo che s'è lasciata dietro. Non sono i demoni e gli
spettri, a darmi noia.
Anche Toots dà il suo contributo alla mia settimana. Toots e Peter! Il ricco
americano che Toots sta cercando di accalappiare ha espresso il desiderio di
conoscere altri americani... qualsiasi americano che abiti a Parigi... Soffre di
nostalgia ed è soggetto a quella malattia che fa sì che i turisti ritengano che una
persona che abbia abitato da qualche parte, entro un raggio di duemila miglia
dalla loro casa d'origine, è un fratello cui dare noia, un fratello cui rompere i
coglioni con effusioni e confidenze. Quindi Toots lo porta da me.
Non è poi quella rotta di coglioni che pensavo che fosse. Forse è perché sia lui
sia la sua fica sono brilli. Hanno fatto il giro dei bar del quartiere. Lui si chiama
Henry e non è tanto vecchio. Perché mai, finora, non si sia scopato Toots non è
chiaro. Anzi puzza. Lei è alla disperazione. Gli smena il culo in faccia, gli siede sui
ginocchi, gli fa mille moine, ma lui niente.
Pare che Toots si sia detta: o stasera o mai più. E difatti si mette a stuzzicarlo,
gli strofina le tette sulla spalla, la coscia sul ginocchio. Lui seguita a parlare di
Parigi nel Medioevo — come doveva essere la vita nella Parigi medievale — mentre
a me è venuta un'erezione da esibizione internazionale.
Lei fa la gatta per farsi fottere, apertamente, e mi sa che ha voglia di scopare in
sé e per sé, non solo allo scopo tattico di legare a sé questo Henry. Oh, è una
vacca, non ci sono dubbi. Non ha nessun rimorso per quello ch'è avvenuto in
questa stessa stanza poche sere fa. Anna invece è corsa a nascondersi dalla
vergogna. Le durerà forse un par di settimane.
Suonano alla porta. È Peter. Viene dalla campagna, dove sua madre Alexandra
ha relegato lui e sua sorella Tania, dopo la grossa crisi religiosa. È venuto di
nascosto — perché là lo tengono quasi prigioniero — ed è latore di una lettera di
Tania. Gli dico di accomodarsi e bere un goccio con noi.
Come Henry lo vede, gli si illuminano gli occhi. Toots non esiste più per lui,
non sta più neanche a sentirla, buon per lei che non la scaraventa in terra.
Peter ha subito mangiato la foglia. Si siede con aria pudica. Gli manca solo un
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fazzolettino di pizzo da cincischiare fra le dita. Il ricco americano ne è ammaliato.
Gli offre un bicchiere di vino e, per la prima volta nella serata, dà segni di
animazione. Peter e lui si scambiano languidissime occhiate.
Toots viene a sedersi accanto a me sul divano. Forse — dice sarcastica —
Henry e il ragazzo preferirebbero restare soli? Perché non si buttano,
semplicemente, l'uno fra le braccia dell'altro? Lì per lì s'inviperisce, poi però la
cosa comincia a divertirla. Getta la maschera e ci scherza su, sul suo progetto di
accalappiare Henry al laccio coniugale. Lui invece preferisce un bel pischello a lei.
Scherza e ride, però è disgustata. Fossi Henry, me la metterei di traverso sulle
ginocchia a culo nudo e la prenderei a sculacciate. Senonché lui trova buffa la
cosa, lui pure. Ci bevono sopra. Peter arrossisce come una mammola e fa il
grazioso.
"Ma perché non..." domanda Toots a Henry, "perché non te lo porti in camera e
ci fai... ci fai quello che ti pare. Alf non ci farà caso. A me però piacerebbe vedere.
Per rendermi conto di cosa ci ha, lui, ch'io non ho!"
Peter fa ciondolare le lunghe mani dai braccioli della poltrona. Riesce a
mostrarsi scandalizzato. Non l'avevo mai visto così pudibondo. Henry si acciglia.
Forse trova Toots un tantino troppo volgare. Ma queste vacche sanno essere assai
più volgari di così. E, difatti, Toots si tira su la gonna, di punto in bianco, si sfila
le mutande e ostenta la patacca, come fosse il Santissimo all'offertorio. È come
venir abbagliati da una luce improvvisa, da un faro nelle tenebre, quando lei ti
punta addosso quella cosa.
A Henry gliela sbatte sul muso, praticamente. "Cos'ha che non va? Vorrei tanto
saperlo! Ci sono forse i vermi? Ci son forse le tignole? È diventata verde? Puzza,
forse? Non è meglio del culo d'un ragazzo, per ficcarci il cazzo dentro? O, se il
buco dev'essere tondo, ebbene, il culo ce l'ho anch'io!"
È un errore, però, da parte sua, metter quella passerotta sotto gli occhi di
Peter. Lui la guarda, l'annusa e poi allunga un dito e ce lo ficca su, prima che
Toots possa prevedere quella mossa. Henry lo trova buffo. Ma poi, quando Peter
abbraccia Toots per la vita e dà un bacio alla sua selva, lui non resta meno
sbigottito della donna.
Toots si cala la gonna e domanda: "Scusa la curiosità, Peter, ma tu cosa sei...
carne o pesce?"
"L'uno e l'altra," rispondo io, pronto.
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Lei scuote la testa: "Quanta depravazione che c'è in giro!"
Henry vuole spassarsela. Una volta tanto — dice — può far quello che gli
aggrada. La lontananza da casa, dall'ambiente puritano in cui è cresciuto, gli
infonde coraggio. E allora, perché no? Perché non darsi agli sfizi ed ai vizi? "Siamo
fra amici qui, tutta gente che sa come va il mondo," e così via filosofando.
Toots lì per lì s'indigna, gli dice alcune male parole — fra l'altro, di ficcarseli su
per il culo, tutti i suoi sporchi quattrini — ma poi, venendo a più miti consigli,
dice di non vedere perché dopotutto non si debba stare un po' in allegria.
Io, per me, sono alquanto renitente a calarmi i calzoni nei paraggi di 'sto
Henry... ma, come suol dirsi, in compagnia prese moglie un frate. Comunque lui
con me si sta comportando bene. Nel senso che non fa il cretino. Probabilmente
l'interessano solo i tipi alla Peter. In ciò assomiglia a Ernest, tranne che Ernest,
oltre che un culattone, è pure un ficaiolo.
"Ho una piccola confessione da fare," dice Henry. "Lo so che Toots ha fatto
l'arte della scimmia per farsi chiavare da me — sperando in tal modo di legarmi a
lei per sempre, con i tenaci peli della fica — ma sta di fatto che, a me, le donne
non mi arrazzano più. Una volta sì, ma ora ho voltato pagina. Senonché lei mi
piace, e mi darebbe gusto vederla fottere da un altro."
Cristo, no, io non sono disposto a dare spettacolo a questo ricco bastardo.
Senonché ho un'erezione che non mi consente di andar tanto per il sottile, e, se
non chiavo Toots seduta stante, mi toccherebbe poi fare ricorso a una battona, e
rimetterci purè dei soldi. Quindi, me la faccio sedere sulle ginocchia. Lei si
assesta col culo a ridosso di Gian Giovedì e si tira su la gonna.
È tanto disposta a farsi scopare quanto io a scoparla. Le cosce le scottano e
sono già madide di umore monale. Il suo boschetto poi, diresti ch'è il biblico
roveto ardente. Presso il quale Mosè ricevette, mi pare, i dieci comandamenti, fra
cui quello di non commettere atti impuri. Le titillo la sorcetta e è come intingere il
dito in un crogiolo di piombo fuso. Lei allarga le gambe e la puzza di fica riempie,
gradevolmente, tutta l'atmosfera.
Gesù, la chiaverei pure sui gradini del Palazzo di Giustizia, pure in mezzo a
place de la Concorde durante una parata militare. L'adagio pian piano per terra,
comincio a sfilarle le calze. Peter è tanto eccitato che pare che abbia una colica
intestinale.
Toots si stende sul divano e si contorce tutta, mentre io mi spoglio. Fa cenno a
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Peter di avvicinarsi e baciarle di nuovo la selva. Ma arrivo prima io e le monto
sopra. Le infilo su il cazzo prima ancora che abbia tempo di rendersene conto, e
lei comincia subito a scalciare e dare tali guizzi e caracolli, ch'io temo per le molle
del divano.
Peter va a sedersi sulle ginocchia di Henry. Questi gli slaccia la pattuella e
comincia a gingillarsi col suo cazzo. Peter gli rende tosto la pariglia, infilando una
mano sotto i pantaloni di Henry e coccolandogli l'uccello. L'aria si fa via via più
densa di passione e voluttà. Se la lussuria fosse gas, basterebbe un fiammifero, lì,
per far saltare tutto il caseggiato. Toots squittisce come un maialetto quando lo
scannano.
Sì, squittisci, puttanaccia! Hai un grosso coltello nella pancia, ti sto
sventrando, ti sto trinciando!
Peter si spoglia. Quando Toots lo vede nudo, a cazzo rizzo, lo prega di
appressarsi e lasciarglielo toccare. Quel piccolo bastardo è come Tiresia, cambia
sesso a comando. Funziona a corrente alternata. Fa da moglie e da marito, a
volontà. È un vero camaleonte dell'erotismo! Dunque, si avvicina e lascia che
Toots si trastulli con il suo tuttofare pisello. Poi le chiede gentilmente: "Vuoi che
te lo metto in bocca?"
Lei lo guarda con occhi eloquenti. E incomincia a leccargli i coglioni. Una fica
sopraffina come lei, baciar le palle a quel mezzo-uomo! Basta questo a farti venire
l'impeto di strangolarla. O prenderla a botte, per metterle giudizio. Io, però, mi
limito a rendere più violento il ritmo della fottitura. A lei questo comunque dà
gusto. Potrebbe montarla un caprone, e lo stesso ci proverebbe piacere. La maiala
grugnisce e dà di lingua ali'uccello di Peter.
Sono il più sobrio, lì dentro, ma lo stesso la stanza mi gira torno torno.
Toots domanda al suo Henry: "Ti rendi conto, tesoro, che razza di fica
stupenda avresti potuto avere per moglie?" Ciò detto, prende il cazzo di Peter nella
bocca. Io me ne vengo e le inondo la fregna di sfaccime. Lei non se n'è venuta,
ancora. Si trattiene. Ho la bocca cattiva, come avessi mangiato una manciata di
sale. Mi alzo per andar a bere un bicchiere di vino.
Henry è scioccato, adesso. Non riesco a capire perché, lì per lì. Il mio stupore
aumenta quando vedo che guarda con occhi vogliosi la sorcia di Toots. Poi
intuisco, in un baleno. Da quella fica sgocciola il mio sperma. Ed è questo ad
eccitarlo. Però la cosa eccita anche Peter, il quale si tuffa su Toots e comincia a
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leccarle la passera intrisa di sburra.
Henry schiocca la lingua come un vecchio sdentato goloso. Peter lo guarda e si
compiace di scandalizzarlo. Slurpa tutto lo sperma che cola fra i peli, poi succhia
la vagina come si succhia il midollo d'un osso buco, fino a fare un'ingozzata di
quel nettare maschile nella coppa femminile.
Se un singolo spermatozoo s'è salvato, è perché si sarà rintanato in qualche
remoto angolino, tenendosi saldo con le mani e coi denti, con la forza della
disperazione.
Non appena terminato il fiero pasto, Peter si dà ad altri trastulli. Ribalta Toots
a bocca sotto e prende ad indagare fra le chiappe. L'investigazione è lenta e
minuziosa.
"Devo essere matta," dice Toots, "per lasciarmi far questo da questo frocetto...
poco più che un bambino..." Però la sua pazzia non sembra punto impensierirla.
Lascia infatti che lui le ciucci il seno, le mordicchi la pancia, le sfotticchi l'ombelico. Accetta tutto, e subisce una completa ripassata, dalla testa ai piedi. Poi,
docilmente, se lo lascia ficcare nel culo.
Quel piccolo cazzo le procura brividi di piacere intensissimo. È piccolo ma duro
come il ferro. Non sarà soddisfacente, forse, come i grossi uccellacci cui è usa, ma
certo quel pisello di pischello ha una grazia tutta sua. Sa lavorare. Eppoi, nel culo, la grossezza conta meno. Lui le sta aggrappato alle tette e pompa a tutto
spiano, alla mandrilla.
Henry guarda il culetto di Peter andare su e giù. Pare un grosso gatto che
guarda un ignaro topolino. Sorride. Si alza. Va oltre a passi felpati. Si pone alle
terga di Peter e comincia a smaneggiargli il culo. Ne dilata le ganasce con i pollici,
poi gli infila dentro il tubo.
Toots allibisce. "Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere... fino a poco
fa! Chi me l'avesse detto, che sarei caduta tanto in basso... che mi sarei crogiolata
così in mezzo al fango!"
"Sta' zitta," le fa Peter, "o sennò ti piscio in culo." Comunque lo si giudichi,
quel maschietto ha un aplomb ammirevole.
Jean Jeudi rialza la cresta. Toots l'adocchia ed allunga una mano. "Portalo
qua, ti prego."
Non ha limiti, una donna cui piacciono i cazzi. Potresti rimpinzarle la bocca, la
patacca e il culo, lei lo stesso ne vorrebbe un altro paio per le mani, e magari
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ancora uno da stringere a sanviccio fra i pedini! Il mio se lo mette in bocca,
avidamente. Mi circonda le gambe con un braccio, onde impedire che glielo
sottragga.
Mio dio, che mélée! Peter squittisce che sta per venire. Henry gli dà nel culo a
tutta caldara. Toots mi ciuccia l'uccello emettendo osceni gorgogli. Ah, la gaia
Parigi. Dev'essere questo che si intende, quando si parla della bohème!
Prendo la testa di Toots fra le mani e la guardo negli occhi. È tanto groggia per
l'eccitazione che non mi riconosce neanche. Sa solo che sta succhiando un cazzo.
Le vene della gola e delle tempie sono gonfie, da scoppiare. Le tasto le tette. Sento
che il cuore le batte come un tamburo.
Ah, che puttane che sono queste donne perbene! Lei non ha neanche il pudore
di chiudere gli occhi, quando le sburro in bocca. E come ingoia! con quanta
svergognata avidità! Frattanto se ne viene pure lei, insieme a Peter... E Henry
segue a ruota... Cristo, il mondo intero sta avendo un orgasmo!
Tania mi scrive da quel fondo di campagna dove la madre l'ha mandata in
esilio assieme al fratellino. Se c'è un cazzo, nel raggio di dieci miglia, troverà certo
la strada, prima o poi, per arrivare fino a lei. Frattanto però deve accontentarsi di
un cagnetto.
... ma è ancora cucciolotto, e non sa cosa vuol dire. Quando mi metto a
gambe larghe e gli accosto la mia bella cosina al muso, lui si limita a dimenare
la coda. Poi si rovescia sul dorso, a zampe per aria. L'accarezzo pian piano, e il
suo cazzo rosso vivo, acuminato, guizza fuori. Glielo prendo fra le labbra, glielo
ciuccio. Questo gli piace già. Sono cattiva, a raccontarti queste porcheriole?
Ebbene sì, la tua Tania fa pompini a un cagnolino, che ha un cazzetto non più
grosso del tuo mignolo. Ma sentissi come guaiola di gioia!
Certe volte, quando vedo che gli scappa la pipì, invece di mandarlo fuori, mi
sdraio nuda e me lo metto sulla pancia, finché lui non ne può più e mi piscia
addosso, inondandomi di quel liquido acre, calduccio, bestiale. Gli ho
insegnato, ultimamente, anche a leccarmi la passeretta. La prima volta mi
sono spalmata del latte fra le cosce, ma la seconda non è stato già più
necessario... e adesso il baccalà gli piace più del latte, al mio cucciolo di lupo.
Non vedo Torà che diventi grande, un lupone irsuto, con un lungo, lungo
cazzo...
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Però è colpa di mia madre, se finirò per farmi scopare — alla lettera — da
cani e porci. Perché mi ha confinata qui? Oh, tutti quei suoi bei discorsi
religiosi!... Ma io sono convinta che lei, a quest'ora, in seno alla santa madre
chiesa, stia facendo cosucce innominabili con quel prete, il canonico
Charenton! Ci scommetto la testa...
Dunque Tania sa di quel prete. E conosce anche il suo nome Da chi riceve
notizie è un mistero...
Non volendo, Ernest mi ha salvato praticamente la vita. Me lo redo arrivare in
casa iersera, alle dieci, pallido come un morto, con la giacca insanguinata. Sulla
manica ha uno sbrego enorme, ma il braccio è appena scalfito. Qualcuno ha
tentato di scannarlo, giù nell'androne. Per fortuna Ernest era sbronzo, e ha
barcollato al momento giusto, schivando così la mortale coltellata.
Disinfettiamo il graffio con whisky. Non c'è da fidarsi, di questi spagnoli: sono
capaci di strofinare l'aglio, sulla lama di un pugnale, per far sì che la ferita si
infetti. Gli bendo il braccio con un fazzoletto, e Ernest è come nuovo. Lo sa che ho
malintenzionati alle calcagna, dopo quella sciagurata avventura con Rosita,
quindi sa anche che la coltellata non era diretta a lui: si è trattato di uno scambio
di persona. Quindi, non ha nulla da temere. Basterà che non corra più il rischio
di esser scambiato per me, venendo a trovarmi. Ma io?
Dove vado a nascondermi, io? Non mi va di traslocare un'altra volta. Eppoi,
non ci vorrebbe niente a ritrovarmi.
Per non pensarci, andiamo a sbronzarci, Ernest e io. Lui mi parla, in modo
piuttosto incoerente, di un certo inventore, di sua conoscenza, cui spera di
scopargli la moglie, e fors'anche la figlia. Cerca poi di condurmi da Rosita, per far
i conti con quella troia. "Mettiamo a soqquadro il locale e la facciamo a pezzi!"
esclama, ma è troppo ubriaco per far a pezzi un foglio di giornale.
Alexandra è invasata. Così almeno lei sostiene. "Posseduta dal demonio," dice
lei. Il suo confessore è spaventato. Forse non s'aspettava un effetto così
devastante, dalla sua conversione alla fede. Tuttavia quel bravo prete non può
mica dirle che ha fantasie, che s'immagina cose, né può mandarla da uno psicanalista, no, perché lui deve stare al gioco del demonio, e vedersela con le
potenze infernali. Questa è una delle regole del misticismo, di qualunque segno
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sia: bisogna ammettere l'esistenza della parte avversa. E se Alexandra dice
d'essere indemoniata, se afferma che il diavolo viene a prendere il tè da lei ogni
pomeriggio, ebbene, il suo confessore deve bere tutto quanto.
Il meccanismo è tremendamente complicato. Le cose che Alexandra mi
racconta sulla religione sono fumose. Mi parla di miracoli e di apparizioni —
"visitazioni" le chiamano loro — come se fossero avvenimenti di cronaca, che avrei
potuto leggere sul giornale. O sennò mi racconta un certo episodio che, diresti, è
successo l'altr'ieri, e poi scopri che ha avuto luogo nel Seicento.
"E questo canonico Charenton?" le domando. "Opera miracoli?''
Alexandra è sbigottita. "Come l'hai saputo?" "Domandalo ai tuoi demoni."
"Oh, è un uomo poliedrico, molto dotato. E grazie ai suoi buoni uffici sono
successe cose che possono ben definirsi miracoli."
"È anche capace di mandarti degli incubi?"
"Sì, egli ha questa facoltà. Basta che, prima di addormentarmi, io esprima il
desiderio di ricevere la visita di questo o quell'altro — vivente o trapassato — e
puntualmente, per sua intercessione, l'incubo viene e mi incuba per tutta la
notte."
"Ti incula?"
"Anche. Mi fa tutto quello che desidero." Poi si affretta a soggiungere: "Non si
tratta di sogni, ti assicuro. Ho fatto sogni erotici, in passato. Però l'incubazione è
ben diversa. È una cosa reale. Queste visite mi procurano un enorme piacere."
Mah, inutile star a discutere con lei. Le chiedo cosa occorre, per ricevere
questo dono. Lei resta nel vago. Di concreto c'è che quel canonico Charenton se la
inchiappetta. Per ischerzo, le chiedo se ha fatto un patto col diavolo. Lei mi
risponde tutta seria: "No, non ho stipulato nessun patto. Ho solo preso parte a
certe cerimonie."
"E questi esseri che vengono a letto con te... sono demoni? Hanno poteri erotici
strani? Come eseguono l'atto delle tenebre? Cioè, volgarmente detto, come
chiavano?"
"Sono uomini normali... come te. Sì, sei venuto anche tu, sotto forma di
incubo, a incubarmi, l'altra notte. E che chiavate che ci siamo fatti! Roba
dell'altro mondo, veramente." Mi guarda, per vedere se la bevo. "Naturalmente, tu
non ne sai niente."
Poi mi spiega che i veri e propri demoni sono forse più piacevoli, ma anche più
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pericolosi. Prendono le sembianze di uomini bellissimi, ma hanno cazzi strani,
inusitati:
biforcuti,
talvolta
triforcuti.
Nel
senso
che
possono
darti,
contemporaneamente, nella fica e nel culo, e anche farsi sbocchinare. E il cazzo
che t'entra nel culo — mi dice — ha la proprietà di tramutarsi in una specie di
biscione, che ti striscia nei budelli e ti sale su, su, su, fino a uscirti dalla bocca.
"Una volta che li hai evocati, però," dice Alexandra, "è difficile tenerli sotto
controllo. Può anche darsi che ti prendano la mano, e allora son dolori. Si sa di
donne che sono dovute ricorrere all'esorcista. No, non c'è da fidarsi di loro."
"Il canonico Charenton celebra messe nere, naturalmente?" le domando.
"Sì. Certe volte, vengo usata io come altare."
"Mi piacerebbe assistere a questi riti."
Alexandra scuote la testa. "Non sono mica spettacoli da bordello, sai. Non ci si
va per pura curiosità. Solo i veri credenti sono ammessi. Comunque, ne parlerò
con il canonico. Vedrò un po' che cosa si può fare."
Prima che se ne vada, le dico che c'è un piccolo favore che lei potrebbe farmi.
Le accenno a Rosita e all'inconveniente occorso a Ernest. "Che ne diresti di una
fatturina... di un piccolo incantesimo... per liberarmi di questa rottura di balle?
Te ne sarei davvero grato. Per esempio, se potessi far in modo che quella stronza
andasse a buttarsi nella Senna..."
Alexandra si limita a sorridere, in modo ambiguo, e poi ci salutiamo. Né una
parola, né un gesto, che tradisse la voglia di farsi chiavare di nuovo da me. Valle
a capire, le donne!
Qualche giorno dopo, in ufficio, leggo sul giornale un trafiletto che, quasi, mi fa
cacare verde. Una certa Rosita De Oro, cabarettista, si è suicidata. Da qualche
giorno — dice la notizia di cronaca — si andava comportando in modo strano. Ieri
sera, dopo lo spettacolo, senza neanche cambiarsi costume... cioè in costume
adamitico... è corsa in strada ed è scomparsa. Stamattina il suo cadavere è stato
ripescato nella Senna.
È roba da farti tremare le vene e i polsi. Ho chiesto un favore alla magia di
Alexandra e sono stato puntualmente esaudito. Dio mio, non volevo che quella
zozza si suicidasse, veramente. Ma poi mi dico: meglio così. Mors tua, vita mea.
Se lei restava in vita, la mia vita era in costante pericolo. Quindi, buttandosi a
fiume, mi ha tolto un grosso peso dallo stomaco. Non corro più il rischio di
ritrovarmi un coltello fra le scapole.
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Viene Ernest a trovarmi, con un fagotto sottobraccio. È — mi dice — un
favoloso pezzo d'antiquariato, una ceramica del Trecento, che lui ha avuto per
una cifra irrisoria. Ernest trova sempre oggetti favolosi a cifre irrisorie. Me lo
mostra: a me sembra un volgare pitale. Lui attacca a parlarmi di questo inventore
di cui mi accennava giorni fa.
"Stavamo a cena insieme, Alf, e non potevo proprio più resistere... L'avessi
vista, capiresti cosa intendo. Incominciai a tastarla sotto la tavola, lì accanto a
quel matto del marito che faceva le porzioni e versava da bere, da bravo
anfitrione. Cazzo, lo sai, come succedono certe cose... Dopo un po' lei mi sguaina
l'uccello e incomincia a spararmi una sega. A 'sto punto, quel bastardo si china
per raccogliere il tovagliolo!"
"Sicché vi ha colti sul fatto. E cos'ha fatto?"
"Niente. Questo è il punto. Non ha fatto niente, Alf. E sua moglie neanche s'è
data la briga di levarmi la mano dal cazzo. E poi... indovina un po'? Lui
incomincia a dire che l'eccitazione sessuale nuoce alla digestione. Te lo giuro, Alf,
non dico un pelo di bugia. Mentre lui mi tiene questo predicozzo, la moglie
continua imperterrita a spugnettarmi. Finita la cena, lui mi dice se voglio restare
la notte. Te lo dico io, Alf, quel tizio è pazzo."
"E tu sei rimasto?"
"Macché! Che razza di scopata sarebbe stata quella? Cristo, se ti va di scopare
la moglie di un altro, non ti va mica, però, che lui te l’offra come un sigaro. Ci fai
tu la figura del fesso, in questo caso, mica lui. Forse quel tizio non è scemo come
sembra."
Mentre Ernest continua a parlare, arriva la posta. Alexandra mi scrive che ha
sistemato tutto, col canonico. Sarò loro ospite alla prossima messa nera.
Alexandra viene a prendermi con la sua automobile. La stavo aspettando. Un
biglietto pervenuto ieri mi informava che il suo prezioso canonico Charenton
avrebbe celebrato la sua messa stasera... in località imprecisata. Poiché aveva
tralasciato, lei, di precisare anche Pora, ecco che stavo ad aspettarla fin da dopo
le otto. Sono circa le dieci quando vengo riscosso dal mio torpore, finalmente,
dallo squillo del campanello.
Alexandra è più animata di quanto non fosse le ultime volte che l’ho vista. Mi
chiede, quando saliamo in auto, se mi dispiace se continua a guidare lei. È su di
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giri, nervosa come una studentessa a bordo della macchina di suo padre con un
compagno focoso, e sarebbe troppo irrequieta, se non fosse occupata a guidare.
Inoltre, sa dove stiamo andando, ed è una informazione che non ci tiene a darmi,
evidentemente.
Non so come l’abbiano trattata, ultimamente, i suoi incubi incula tori e i suoi
demoni tricazzuti, ma lei smania dalla voglia e, mentre guida, si lascia tastare.
Ride quando le domando dei suoi spettri... mi rammenta uno di quegli irritanti
bastardi di preti che si incontrano ogni tanto... quelli che si tolgono il colletto
inamidato e giocano a dadi con te. Alexandra — dichiara il suo atteggiamento — è
propensa, al pari di chiunque altro, a divertirsi un po' a spese della sua
religiosità.
Si è anche immedesimata — mi dice — in alcune donne che conosce, e ha
goduto dei loro piaceri insieme a loro. Distoglie gli occhi dalla strada e mi lancia
uno sguardo, sorridendo. "È stata una gran bella festicciola, eh, quella da Anna?"
dice.
Come Cristo sarà venuta a saperlo, non lo so. Certo non gliel'avranno mica
raccontato Arthur, o Sid, o Ernest. D'altro canto non voglio credere ai suoi poteri
magici. Se è stata Anna a dirglielo, lei stessa, allora è ancor più zozza di quanto
non la ritenessi finora.
Il tragitto è lungo. Per ingannare il tempo, alzo le sottane a Alexandra e mi
trastullo un po' con lei. Lei guida tranquilla. Ma, quando ci infilo le dita, ha
l'abricot-fendu tutto bagnato. Stiamo percorrendo la periferia. I lampioni si sono
fatti radi, il selciato sconnesso. Perlomeno la via di accesso a questo tempio —
penso fra me e me — è adeguata... sarebbe infatti una delusione se la faccenda si
svolgesse in qualche strada affollata nel cuore della città. Mentre l’auto seguita a
filare, cerco di farmi dire da Alexandra qualcosa di più, tanto per avere una idea
di quello che ci aspetta. Ma lei è abbottonatissima. Si limita a dirmi che verrò a
sapere tutto quanto fra qualche ora...
D'un tratto svoltiamo per una via laterale, percorriamo una sorta di vicolo, che
sbocca in una stradina di campagna. Finalmente, l'automobile si ferma in una
zona molto solitaria, presso un muro di cinta. Non c'è nessuna luce. Io cammino
dietro ad Alexandra con una mano sotto il suo vestito e sul suo culo nudo.
Varchiamo un pesante cancello di legno, percorriamo un vialetto e arriviamo a
una villa fiocamente illuminata.
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"Questo posto," mi spiega Alexandra, mentre la seguo lungo un susseguirsi di
vestiboli e stanze che puzzano di ammoniaca, "era una volta la cappella di un
convento delle orsoline. Fino a qualche anno fa è stato usato da un contadino
come granaio... "
Mi toglie la mano dal culo, mentre entriamo in una stanza più vasta, ma non
meglio illuminata, dove ci sono numerose persone sedute qua e là, e si odono i
loro bisbigli. A occhio e croce giudico che sono i soliti maniaci religiosi, tranne che
le fiche hanno un'aria più succosa e i finocchi sono forse più evidenti. Alexandra
non mi presenta a nessuno, mi fa sedere su una panca e si allontana. Cerco di
attaccare discorso con una graziosa fica che siede accanto a me, ma lei è immersa
in meditazioni e non mi dà retta. Peccato, è una bella troietta. Quando poi mi si
avvicina un troia-maschio, io lo tratto come quella troietta ha trattato me. Non gli
do proprio retta. Dopo un po' lui se ne va.
Di lì a poco ritorna Alexandra. Non la vedo bene in faccia ma, al tatto, sento
ch'è tutta accaldata. Ha il respiro affannoso, gli occhi lustri. "Sono stata a parlare
col canonico," mi fa.
La fica accanto ci lancia un'occhiata simile a un pugnale.
C'è una puzza che mi strangola, in quel posto. Ardono incensi nei turiboli. "Ma
che razza di roba è?" domando.
Alexandra dilata le narici, estasiata, come se veramente le piacesse quel fetore.
"Mirra, datura, elleboro e belladonna," dice.
Si fa silenzio nella sala. Alcuni si inginocchiano. Entra il canonico, preceduto
da due paffuti chierichetti. È in tonaca e cotta, ma in testa porta una specie di
berretto cremisi da cui spunta un paio di corna rivestite di velluto. Si guarda
intorno e posa gli occhi su di me. Annuisce solennemente. Poi si gira e si
inginocchia davanti all'altare, ne sale i gradini e incomincia a celebrare la messa.
I chierichetti distribuiscono scodelle dentro le quali brucia non so che di
puzzolente.
La cerimonia continua. Tutti inalano avidamente la puzza degli incensi. Il
canonico recita in latino. Una donna comincia in silenzio a strapparsi gli abiti di
dosso. Poi ad un tratto afferra due candele nere dai candelabri e si stende, nuda,
sull'altare. Il canonico le posa le mani sul ventre e incomincia a tastarla qua e là.
Lei regge le candele nelle mani, con le braccia aperte a croce.
Un chierichetto porta un gallo nero, lo consegna al canonico, insieme a un
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coltello. Il canonico lo sgozza. Il sangue sgocciola sul seno della donna, poi le cola
sul ventre, dove prende a scorrere insensatamente e ad allargarsi in una chiazza
cremisi. Il sangue si raccoglie intorno ai lombi della donna, poi sgocciola giù sul
pube e sulla fica... Mentre il gallo decapitato cade in terra, il canonico si getta fra
le ginocchia allargate della donna e sugge il sangue dalla sua fica...
Quindi pronuncia una lunga, turpe e appassionata preghiera indirizzata alle
potenze del male. E qualunque cosa voi possiate pensare delle sue intenzioni, o
delle probabilità che abbia di avere successo, dovete ammirare la scioltezza di
linguaggio di cui il canonico fa sfoggio in quella preghiera. Io mi sorprendo ad
applaudire internamente... è una bella preghiera — fra le più belle che io abbia
mai udito — benché non possa dire di trovarmi interamente d'accordo con tutte le
opinioni espresse dal canonico... La preghiera finisce e i chierichetti suonano i
loro campanacci...
È il segnale: il luogo si trasforma veramente in un manicomio, a questo punto.
I fedeli cominciano a spogliarsi. Si odono grida e sussurri, bisbigli ed estatiche
esclamazioni. Il canonico si tira su la cotta. Sotto è nudo. La donna sull'altare allunga una mano verso il suo uccello. Prima che arrivi a toccarlo, però, il canonico
gira su se stesso. I due chierichetti gli si inginocchiano davanti e, a turno, gli
leccano le balle e lo sbocchinano. La donna sull'altare grida qualcosa di
incomprensibile, dopo aver lasciato cadere anche l'altra candela. Allora m'accorgo
che uno dei chierichetti è una fanciulla.
Alexandra è impazzita come il resto della congregazione. Si alza la gonna e
mostra il pube a me e a chiunque voglia guardarlo. Mi infila la mano sotto i
calzoni. La spingo via. Qualcun altro l'afferra. Mentre quello la tasta, lei gli prende
l'uccello e ci gioca.
Il canonico si prepara per la Comunione. Piscia in una pisside. Poi piscia nel
calice e poi in bocca ai suoi chierichetti. Prende un'ostia e la strofina sulla fica
d'una donna, mormorando le preghiere di rito. Lancia quell'ostia fra la folla e tutti
se la contendono accanitamente. Il calice di vino misto a piscio fa il giro. C'è chi
ne beve qualche sorso, chi vi intinge le dita e se ne asperge le pudenda.
Il canonico prende in braccio un chierichetto, poi l'altro, e li depone sopra la
donna sdraiata sull'altare.
Una donna matura e una giovane ragazza si appressano all'altare. Dopo aver
baciato il cazzo al canonico si gettano sulla donna là distesa e le tengono la testa
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fra le loro cosce... la lingua di lei guizza fuori e le succhia... Seguono altre donne,
poi alcuni uomini... Il canonico comincia a chiavarla, mentre le altre donne si
appressano e poi passano oltre.
Viene recata una grossa statua lignea di Satana, posta sopra un piedistallo a
rotelle. Satana è nudo, con un bel cazzo dritto, ben tornito, non troppo grosso, e
due enormi palle. Le pie donne gli si affollano intorno e glielo baciano,
devotamente. Una di esse si inerpica su, e si infila quel membro di legno nella
fica, andando su e giù finché viene. Un'altra donna lo prende in bocca. Due
giovincelle si trastullano con una terza, che un uomo sta intanto inculando.
Io sento qualcosa di molle e peloso pigiarmi una mano. Poi mi sento
abbracciare da dietro; una mano mi si infila sotto i calzoni, e una giovane donna
mi bisbiglia all'orecchio che desidera farsi chiavare da me. Con lei c'è una giovane
amica, che vorrebbe essere chiavata a sua volta. La sua fica è madida e il suo
alito ha il soave odore della mona. Io la sdraio, lei mi sorride dolcemente... ma
arriva un tipo e me la porta via. Costui ha un'altra troia sottobraccio... lei gli
agguanta l'uccello e lo contende all'altra donna.
In un angolo vedo una fanciulla di circa sedici anni. Due donne la tengono
ferma e alcuni uomini la chiavano a turno. Lei urla, si divincola, graffia, finché
ricade esausta. È svenuta, ma gli uomini continuano a fotterla, incitati da una
delle due donne, ch'è evidentemente la madre della fanciulla.
Fra le donne ce ne sono alcune che stanno in disparte, ignorate, e
singhiozzano. Mimano le posture della chiavata, dell'inculata, della pecorina,
dello smorzacandele e così via, ma i cazzi che le fanno spasimare così
violentemente sono puramente immaginari. O sennò, chissà, sono gli incubi a
papparsele. A starle a guardare mi si aggriccia la pelle.
Il canonico ha finito con la donna che funge da altare. I chierichetti ora la
leccano dalla testa ai piedi, per mondarla del sangue del gallo e dello sperma dei
celebranti. Poi in quattro la prendono su e la portano a Satana, la cui lignea
mentula le infilano prima nella vulva e poi nell'ano. Mentre sta lì, impalata, con il
cazzo di Satana in culo, alcuni fedeli, a turno, le infilano il loro, piamente, nella
vagina.
Qualcos'altro attrae la mia attenzione, adesso. Una delle donne si è ribellata.
Incomincia a inveire, invoca i fulmini del Cielo sulla testa del canonico blasfemo.
In men che non si dica la soggiogano, le legano le braccia dietro la schiena e la
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stendono sopra l'altare. Lei urla durante la prima chiavata, durante la seconda,
durante la terza, poi la sua protesta si affievolisce, lei si rassegna, e dopo un po'
eccola in ginocchio a leccare il culo di una donna che sta leccando la fregna a
un'altra.
La testa mi gira. Il chiasso mi assorda. Il fumo infernale è così denso che i
polmoni mi dolgono. Ma il pazzesco spettacolo continua. Quasi ai miei piedi due
uomini si aggrovigliano a una giovane bionda. Uno dei due alla fine riesce a
infilarle il cazzo in culo, allora l'altro glielo infila in fica. Fottuta davanti e di
dietro, a sanviccio, lei intanto ciuccia un grosso cazzo di caucciù. Come una
bambina con il suo ciucciotto pacificatore, la sua tettarella di gomma.
Presso l'altare una donna di trent'anni ha raccattato il gallo nero decapitato.
Lo solleva e se ne infila il collo in bocca, prendendo a ciucciarlo come se fosse un
cazzo. Si avvicina una ragazza, che sembra insonnolita. Chissà per quale
miracolo, ha ancora su mutande e reggiseno. Il canonico allora la denuda e lei gli
prende la verga nella bocca.
Una ragazza che cammina come se fosse drogata vacilla e cade sui gradini
dell'altare. Le hanno tolto i vestiti ma indossa ancora la biancheria intima, calze e
scarpe. Ai piedi del canonico Charenton lei si strappa il reggiseno dal seno, fa a
brandelli le mutande, poi gli bacia le palle e gli posa le labbra sul cazzo. Di lì a
poco eccola giacere in disparte dagli altri, con una donna che la palpa e le allarga
le gambe.
Non ho visto Alexandra prender parte ad alcuna di queste cerimonie. Alla fine
la scopro, in un cantone, nuda ma sola. Gli occhi le sfavillano, alla luce vacillante
dei ceri. La sua espressione è di satanico piacere. Il seno le si erge, coi capezzoli
duri. Mi avvicino a lei. Lì per lì non mi riconosce. Poi mi getta le braccia al collo.
"Voglio essere chiavata," geme. "Voglio che tu mi chiavi..."
Ho un cazzo così duro, io, per me, che mi intralcia i movimenti. Però non
intendo chiavarla in questo posto. Le ordino di rivestirsi. Ma lei non vuole. Allora
agguanto i suoi vestiti, lì per terra, me li metto sottobraccio e la trascino via,
nuda bruca, come me. Lei oppone resistenza... mi dà graffi, morsi, calci... chiama
aiuto.
C'è un tale frastuono, un tale infernale bordello che non credo nessuno possa
udirla. Senonché ci si para davanti il canonico, con l'occhio furioso. I suoi fedeli
però lo subissano, le donne gli si aggrappano ai ginocchi, lo tirano pei lembi della
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tonaca, gli si buttano a pesce fra le braccia. Così posso raggiungere la porta, con
Alexandra a rimorchio, e riesco a trovare la via d'uscita, per quei corridoi.
Appena all'aria aperta, Alexandra ha un crollo. Inciampa, mentre la trascino
verso il cancello, cade sull'erba bagnata, si rialza, e, tendendo le braccia verso di
me, dice, implorante: "Alf! Alf, voglio tornare a casa!‖
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Parte terza
RUE DE LA SCOPÉE
Arthur ha una fortuna sfacciata. A certe cose non ci crederesti, se non le
vedessi avvenire sotto i tuoi occhi. Andar a passeggio con Arthur è come
acquistare un biglietto per il mondo delle fiabe. Se — in sua compagnia —
incontrassi dei folletti, o degli elfi, la cosa non ti sembrerebbe fuori dell'ordinario.
Lo stesso Arthur non ci s'è ancora abituato, alla sua buona fortuna. Rimane
sorpreso come tutti gli altri, quando gli capita qualcosa di fantastico. Parla delle
sue fortune con l'aria di un prestigiatore che un giorno scoprisse che le sue magie
avvengono da sé, senza alcun trucco da illusionista. Insomma, ci resta sbigottito
come gli altri. Cerca di rendere plausibili le sue avventure, sminuendole. Ma, se
conosci Arthur, tu capisci che quelli che lui cerca di gabellare per fatterelli senza
importanza, in realtà sono episodi che sembrano usciti dalle pagine di un libro di
favole.
Un po' di tempo fa, Ernest aveva per le mani una indiana d'America, una
genuina pellerossa. Costei si trovava a Parigi come insegnante all'Accademia di
disegno. Non ricordo dove Ernest l'avesse incontrata, ma, per un po', giocò con lei
a Gran Capo Cazzoduro. Giura che una notte, ubriaco, le "scotennò" la fica —
gliela rase — con un paio di forbici. Una brava figa — dice — ma il guaio era che
lui, Ernest, non poteva dimenticare ch'era indiana, e lui proviene da uno stato
dove gli unici indiani buoni sono gli indiani morti, quindi aveva paura che lei, la
pellerossa, dissotterrasse la scure di guerra, una sera, e vendicasse su di lui
Cavallo Pazzo. Così alla fine le diede il benservito.
Che gli indiani ci sono, lo sanno tutti; e a Parigi se ne incontrano parecchi.
Quindi, la buona fata di Arthur non avrebbe mai sprecato il suo tempo con
qualcosa di tanto ordinario. Se avesse voluto procurargli un'avventura con una
pellerossa, gliene avrebbe fatto incontrare una che avesse come minimo due
fiche... o qualcosa di altrettanto esoterico.
Arthur e io passeggiamo per rue de l'Estrapade, una sera, ammirando le fiche
e le vetrine, dopo esserci fatti un paio di pernod. Il sole al tramonto rosseggia. È
una sera come le altre e non c'è niente, in Arthur, che denoti ch'egli è sotto in72
cantesimo. Poi, d'un tratto, vediamo una borsetta lì per terra, in mezzo al
marciapiede. La gente ci inciampa, la calpesta, ma non ci fa caso. Arthur la
raccatta e ci sediamo su una panchina per vedere cosa c'è dentro.
Niente soldi. Il destino non tenta mai Arthur. Non occorre che lui decida di
essere buono, di essere onesto, per aver la ricompensa della fatina. Non c'è un
soldo, quindi il dilemma se restituirla o no non si presenta neppure. La si
restituirà senz'altro.
Ci sono fazzolettini, forcine, lacca per le unghie, uno specchietto, una limetta,
alcune pillole, una foto, un paio di lettere, una scatola di fiammiferi... insomma
paccottiglia. Sono deluso, e così pure Arthur. Avremmo sperato di ricavarci almeno un paio di bicchierini.
Leggiamo le lettere. Noiosissime. La foto è un po' meglio: una bionda
sorridente, abbastanza carina. "Pensi che sia lei, la proprietaria della borsetta?"
mi domanda Arthur, e intanto legge il nome e indirizzo sulle buste. "Pensi che sia
il tipo da chiamarsi Charlotte? Ha l'aria di valere una chiavata, non ti pare? "
Abita nel quartiere. Ci si può arrivare a piedi in pochi minuti. Arthur vuole
andare a riconsegnare la borsetta per dare un'occhiata alla fica. Il minimo che
può fare è offrirci da bere, o, se è una puttana, magari anche una scopata. La
borsetta è di pregio.
"Metti ch'è una racchia," dico io.
"Macché racchia," dice Arthur. "Anche se non è lei quella della foto, nessuna
befana avrebbe un'amica così. Eppoi, se è racchia, ci offre lo stesso da bere. Mica
siamo obbligati a chiavarla."
"Non so, Arthur, se conviene andarci in due." Il sole è tiepido quanto basta per
agitare l'alcool nella mia testa, e noi, seduti sulla nostra comoda panchina, ci
pensiamo su. "Forse se ci va uno solo di noi, allora... ma non credo che in due ci
rimediamo da scopare, qua. Sarà meglio tirare a testa o croce."
Arthur non vuol saperne. "Abbiamo trovato insieme la borsetta e insieme la
restituiremo. Eppoi, metti che sia stata rubata? Tu mi sarai di testimonio, e io a
te, che a rubarla e svuotarla dei soldi è stato qualcun altro."
Insomma, andiamo entrambi. Strada facendo ci fermiamo in un caffè, a farci
un altro pernod. A questo punto ci poniamo un altro interrogativo: che si fa se la
donna non è in casa? o se viene un uomo ad aprirci? Diciamo che, se lei non è in
casa, ci teniamo la borsa e torniamo un'altra volta. Se viene un uomo ad aprirci,
73
o lo pestiamo o gli consegniamo la borsetta, a seconda di quanto lui è duro e di
quanto noi siamo ubriachi quando arriviamo là.
La portinaia è sorda come una campana. Arthur deve mostrarle una delle
lettere, per farle capire chi cerchiamo. Allora ci indica una porta a pianterreno.
Bussiamo. La porta si apre subito. Sentiamo una vocina quasi ai nostri piedi.
Arthur mi guarda costernato, poi guarda giù di nuovo. Non è una bambina: è
una nanetta.
Arthur balbetta qualcosa e poi le porge la borsa. La nana la riconosce e capisce
perché siamo venuti. Ci invita ad entrare. Arthur mi spinge avanti. Sembra di
entrare in una casa di bambole.
Ci viene offerto subito da bere. La nana ha capito che ne abbiamo davvero
bisogno. Ci lascia lì seduti sul divano e va a prenderci da bere. Né Arthur né io
riusciamo a spiccicare parola. Ci guardiamo l'un l'altro e poi giriamo gli occhi
intorno. Parte dei mobili, come il divano, è di dimensioni normali; gli altri sono
invece in miniatura.
La bottiglia di whisky che la nana è andata a prendere è grande quasi quanto
lei. Per la terza o quarta volta Arthur racconta come abbiamo trovato la borsetta.
È tutto quello che trova da dire. E ogni volta la nana ci ringrazia, e noi ci sentiamo un po' più idioti.
Non è prevista dal galateo, una situazione come questa.
Cosa si può dire a una nanetta? Ovviamente, ci saranno argomenti di cui
parlano... ma un nano... Cristo, i nani vivono in un mondo tutto loro. Vorrei non
essere venuto.
È carina la nana, però. Almeno per una nana. Non ha l'aria di una bamboccia,
come tante; sembra bensì la miniatura d'una donna normale. Ha belle gambette,
un bel culino, e le tette... suppongo che possano dirsi grosse, in proporzione al
resto. Guardo Arthur e vedo che anche lui ha notato queste cose. Il whisky è
buono e mi fa sentire meglio. Ne accetto un altro.
La nanetta dopo un po' incomincia a farci gli occhioni dolci. Ci chiede di noi,
cosa facciamo, cosa non facciamo, e così via. Quanto a lei, fa parte di un circo e
abita lì fra una tournée e l'altra. Tutto questo con una vocina sottile e argentina,
che fa pensare a un uccello canoro. Faccio un segno a Arthur — inutile restare —
e prendiamo congedo. Lei ci invita a tornare, qualche altra volta. Il suo nome è
Charlotte... Charlotte...
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Arthur e io ci imbuchiamo nel primo caffè dei paraggi. Arthur è rimasto scosso
e attacca a fare un sacco di domande, alle quali io, naturalmente, non so cosa
rispondere. Hanno i peli intorno alla fica? E quanto è grande? E come scopano?
Si sfrega le mani. Perdio, se solo avesse il coraggio di tornarci, e scoprirlo! "Voglia,
ne aveva, vero Alf? Era disposta a farsi sbattere, vero Alf?"
Sediamo lì e beviamo un cicchetto via l'altro. Io cerco di immaginarmi come
sarebbe la nana a letto, di figurarmi quei ditini che arpeggiano sul mio cazzo, e
tutto il resto... E il titolo di questa sceneggiata mi scorre ripetutamente sul
cervello come un rivoletto d'acqua. Pomeriggio con un Elfo.
Toots mi viene a trovare, perché parte. Lascia Parigi forse per sempre. Con il
ricco americano, nientemeno. Lei e Henry sono arrivati, infatti, a una sorta di
accomodamento. Non riesco a strologare se si sposeranno o no, ma suppongo di
sì. Henry, essendo un tipo pratico, si è convinto che aver al fianco una come
Toots è una forma poco costosa d'assicurazione contro infortuni che potrebbero,
altrimenti, derivargli dalla frequentazione di tipi come Peter. La porta a Londra e,
di là, forse in America.
Io cerco di pensare che ne penso ma è uno sforzo troppo duro, di mattina a
buon'ora.
Dopo un po' Toots mi chiede l'indirizzo di Anna. Vorrebbe passare a salutarla.
Fingo di non saperlo. Anna non sta mai fissa in un posto tanto a lungo, le dico.
Stronza, soggiungo fra me, se avessi detto chiaro e tondo che ti va di fare
lesbicate con Anna, te l'avrei dato, l'indirizzo.
Andiamo a fare colazione insieme. Ma non ho fame. Toots è bella e io l'ho
chiavata, e adesso lei parte... chi riesce a mangiare, in tali circostanze? Non serve
far presente a me stesso che non sono innamorato di Toots, che non l'ho mai
amata e mai potrei innamorarmene. Dovrei però esserne innamorato, e dovrebbe
spezzarmisi il cuore. È per commiserazione verso la persona che non sono, che
non ho appetito. Potrebbe passare molto tempo prima che un'altra bella fica come
Toots entri nella mia vita...
Per strada incontriamo Carl. È molto avvilito. Io devo andare al giornale, e così
dopo un po' li saluto. Sono convinto che non rivedrò Toots mai più. Invece, un'ora
dopo, quando scendo, me la trovo nell'atrio. Ha scaricato Carl e vuole stare un po'
con me.
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Mi parla di Parigi. Ora che se ne va, pensa che dovrei andarmene pur io.
Andare a Nuova York. O sennò a Berlino. In genere chi se ne va da Parigi pensa
che quelli che vi restano sprechino il loro tempo e le loro sostanze, in questa città.
Insomma si pensa che a Parigi puoi avere successo ma devi andar altrove per
coglierne i frutti.
Toots sta ancora cercando di persuadermi a lasciare Parigi quando arriviamo a
casa mia. Ma una volta dentro, cambia umore. È venuta per farsi chiavare, e non
vuol perdere tempo in chiacchiere. Ho appena chiuso la porta, che è già fra le mie
braccia, strofinandosi contro Giannettaccio. Incomincio a spogliarla.
È senza mutande... Questa è la prima cosa di cui mi accorgo. Dite quel che vi
pare, a riguardo delle dolcezze recondite: a me piacciono invece le cose allo
scoperto, dove puoi affondarci le mani quando ti pare e piace, senza lacci, fibbie,
fiocchi, nastri o che. Tastandola e palpandola, le sollevo il vestito fino a metterle il
culo a nudo, nonché quella interessantissima veduta anteriore. Poi, sebbene lei
cominci a infilarmi le dita nella pattuella, io faccio qualche passo indietro, per
rimirarla.
Essa sta là, estatica, tenendosi la gonna sollevata, per mostrare di cosa son
fatte le donne. Rosea e pelosa, dolce e puzzosa — si diceva quand'ero ragazzo. Lei
resta un po' così, poi si mette a camminare su e giù per la stanza, come a una di
quelle parate di fiche, quei concorsi di bellezza che si vedono al cinegiornale. Culo
nudo, sorcia nuda, pancia nuda... Che bel vedere! In questo Toots è veramente
eccezionale: sa quanto è bella la sua fica, e tuttavia non ne è avara.
Sfido che Carl ci perde il senno. Chiunque diventerebbe matto, ad aver una
sorcia come quella nei paraggi e non essere capace di chiavarla. Sarà meglio per
lui, quando lei sarà partita...
Mentre la guardo, penso: che cosa tremenda dev'essere avere, allo stesso
tempo, una bella amante e lo scolo. Terribile! Mi si gela il sangue a pensarci.
Toots finisce di spogliarsi, e continua a far sfoggio di quel culo, pelosetto fra le
chiappe. Oliando si china, le tette le oscillano pian piano. Lei si accarezza il
ventre, si dà una grattatina. Che disgrazia sarebbe aver lo scolo, in siffatto
frangente. Giuro a me stesso di stare sempre doppiamente attento, in futuro.
Toots arretra quando mi avvicino per darle un'altra tastata. No, non fa la
ritrosa, mi dice. Ma, se le metto le mani addosso, e comincio a strizzarle le
chiappe e giocar con le tette, ebbene, lei certo comincerebbe subito a gingillarsi
76
con Gian Giovedì, e lui allora le si infilerebbe dentro... e finiremmo per fare
l'amore sul pavimento. Invece, il letto è molto più comodo.
Sul letto si getta bocconi, dischiude le cosce. Quel bel culo nudo rappresenta
un problema che tocca a me risolvere. Tiene le cosce spalancate... cazzo, ha un
metro d'apertura di ginocchia. Si è lasciata su le calze di seta: le giarrettiere le
stringono le cosce, producendo un bel rigonfio. Si è sciolta i capelli. C'è una
piccola catasta di forcine presso il cuscino. A vederla da dietro diresti che avrebbe
bisogno di una gran quantità di forcine da usar fra le gambe. Il suo pelo pubico è
lungo, riccioluto e muschioso. Penso ad Anna, e al suo pelo pubico che sembra la
barba di una capretta. Poi ricordo che Anna e Toots si sono conosciute molto
bene, la sera che passarono ubriache qui da me. Toots ne sa tanto quanto me
sulla barba caprina di Anna. E Anna sa, su Toots, cose ch'io ci penserei due volte,
prima di impararle per mio conto.
Ho buona memoria per cose di questo genere: le rivedo chiare e nette, come
avvennero in realtà, senza quell'alone sfumato che hanno talvolta le cose, come
quando, per esempio, le sogni. Mi perdo un momento in rimembranze, prima di
montare sul letto e dare una pacca sul culo di Toots. Lei certo se l'aspettava. Ma
caccia un urlo.
Si solleva su un gomito e si volge verso di me, per dirmene di tutti i colori... ma
vede il mio cazzo — che è un battagliero battaglio a 'sto punto — e allunga una
mano verso di esso. La stessa mano con cui si grattava il culo. Affonda le dita nel
mio pube. Il suo culo è molto interessante. Una chiappa rossa e una bianca. C'è
l'impronta delle mie dita, che affiora pian piano, come una lastra fotografica che
viene sviluppata.
Il suo Henry la sculaccia, mi confida. Troppo spesso e troppo duramente,
secondo lei. No — soggiunge — non l'ha mai scopata né dà segni di volerla
scopare. Non gli interessa proprio. Però le dà grandi sculacciate e quando lei salta
su e strilla, lui ride fragorosamente. "Pensi che sia un sadico? Metti che mi
menasse? Sarebbe orribile!" E sospira, rabbrividendo, al pensiero di quanto
orribilmente delizioso sarebbe, se lui la frustasse.
Cristo, il cervello delle donne è un cervello di gallina. I suoi meccanismi sono
così semplici! Quindi le dico — poiché è quello che vuol sentirsi dire — che Henry
è certo una moderna versione di Gilles de Rais, detto Barbablù. Ah, quanto le
piace! Forse — azzarda — ha amici che hanno gli stessi suoi vizi crudeli... può
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darsi che organizzino orge di lussuria e dolore... Sfrena la fantasia e, ecco, si vede
nelle vesti di una giovane sposa fiduciosa — ah, se solo potesse esser di nuovo
vergine — attirata in un tranello e data in pasto alle sconce e crudeli e raffinate
brame di un branco di sadomasochisti, ospiti di suo marito. Perdio, se non la
fermo, finirà per credere sul serio a tutte queste fantasie, e addio, non si sposa
più. E questi miei bei commiati saranno sprecati...
Incomincio a sfilarle il vestito dalla testa e, quando le ho imprigionato le
braccia, do un giro e la lascio così. Lei si dimena, si divincola... Delizioso! E
tuttavia mi implora... mi prega di liberarla... Ma la voce la tradisce. Dalla voce si
capisce che le dà gusto. La tasto, le accarezzo il seno, saggio la compattezza delle
cosce, quindi esamino il suo conillon nei più minuti dettagli. Lei torce gli alluci,
scalcia — ma non forte — e geme e rantola di piacere. Le sue ascelle sono
particolarmente nude e inermi, per qualche oscura ragione...
Quando la libero, fa l'offesa. "Non voglio avere più nulla a che fare con te," mi
fa, mettendo il broncio. Al tempo stesso però si sfila le scarpe. "Sei così forte, tu,"
sospira. Il che è una cazzata. A malapena riesco a trascinarmi fino a un bar, di
questi giorni. Al massimo posso portare una donna discretamente pasciuta in
braccio dal divano al letto.
"Che cosa intendi fare?" mi domanda, vedendo che mi sto togliendo i
pantaloni. Poi soggiunge: "Tre son le cose che potresti farmi..." E si accinge a
enumerarle. (Cosa sarebbe il sesso senza il discorso sul sesso?) "Potresti," lei dice,
"chiavarmi, oppure farmelo ciucciare, oppure incularmi. Che cosa intendi lare?"
Vuole che prima glieío dica, che le racconti cosa sto per farle. Ah, Toots, sei
una tal puttana! Ti froderei, e froderei me stesso, se ti lasciassi uscir dalla mia
vita senza averti fatto tutte e tre le cose. Sì, cara: te lo metterò in bocca, in fica e
in culo. Ti fotterò tanto da segnarti per sempre, da lasciare su di te il segno del
passaggio del mio cazzo — come un'orda di barbari. Non crescerà più erba su di
te, sarai un cumulo di macerie fumiganti, sarai la superba Troia combusta e
doma! Ti sburrerò anche nelle narici, mi netterò il cazzo nei tuoi capelli. Riempirò
tutto il tuo corpo di scopate, la tua mente di scopate, la tua anima di scopate. Il
mio cazzo ti penetrerà, ti riempirà finché traboccherai, la mia grande scopata
sconvolgerà te e ricadrà sui tuoi figli, sui figli dei tuoi figli, per dieci generazioni, i
tuoi discendenti risentiranno l'effetto di questa grande scopata, si sveglieranno di
notte, come memori di un grande terremoto, di una catastrofe tellurica immane, il
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cui ricordo vive perenne in ogni loro fibra, in ogni cellula del loro corpo.
Abbraccio Toots a mezza vita e le poso la testa sulle cosce. Lei mi afferra
l'uccello e lo bacia, in estasi, mentre io mordicchio la sua morbida carne e le
strofino il naso sulla pancia. La dolce puzza della sua mona è simile all'odore di
uve che marciscono al sole. Toots mi lecca le balle. La sua bocca è molle e
languida.
Con i denti comincio a strappare le calze di seta, le faccio a brandelli, poi
rosico le giarrettiere... Ben presto tutto quello che avanza è un frammento, simile
a un calzino malfatto, che le avvolge una caviglia. Toots divarica le gambe. Oh,
muore di voglia. Vuole che la mia lingua le si insinui nella fessa, che la lecchi
nell'intimo. Ma non solo questo, desidera. Mi stringe il cazzo fra le dita, lo
strangola, finché il muso di Gian Giovedì si fa paonazzo, come un peperone, poi,
prendendomi le palle in una mano a coppa, se lo infila nella bocca.
I peluzzi ricoprono il ventre di Toots come un velo finissimo. Risalgo con la
lingua fino al suo ombelico poi ridiscendo giù verso la figa. La pelle sa di latte
salato. Io la stuzzico e la torturo fingendo di esser sul punto di infilarle la lingua
nella passera, invece no, seguito a leccare intorno. Lei impazzisce di frustrazione.
Sbava e spruzza sul mio uccello. Poi, quando meno se l'aspetta, le infilo la lingua
nella dolce fessura e comincio a succhiare, titillando la dito. Mi serra le cosce
intorno alla testa. La mia lingua guizza come una biscia dentro e fuori.
Parte... Non ci vedremo più, probabilmente. Quindi Toots, che già fu di Carl e
adesso è praticamente di tutti, si comporta senza alcuna inibizione, come fosse
ubriaca, irresponsabile. Probabilmente io sono soltanto una tappa, nel suo giro di
visite d'addio ai vari amici di Parigi, alla vigilia della partenza. A tutti vuol lasciare
un ricordino, offrire un ultimo assaggio, della sua zozza puttaneria.
Mi implora di venire. Alla stessa maniera disperata in cui le donne implorano
di venire chiavate, Toots mi implora di sburrarle nella bocca. Vuole in bocca la
prima sburrata, la più densa, la più ricca, la più acre e saporita.
Gian Giovedì è lieto quanto me di accontentarla. Lei mi serra più forte la testa
fra le cosce. Sento dai suoi spasimi che inghiotte avidamente lo sperma.
Non è ancora venuta. Seguito a leccarle e succhiarle la fica. Toots non smette
di ciucciarmi l'uccello, tanto forte che mi fan male i coglioni. Se voglio serbarmelo
sano, devo toglierglielo di bocca. Quando glielo tolgo, lei mi vomita addosso
improperi, contumelie, insulti...
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Poi mi racconta alcune sue esperienze erotiche. Perché mai le donne hanno
questo impulso, questa coazione a confessare? Fa parte del loro sadismo. Toots
mi confessa che s'è fatta scopare persino da un cinese. Allibisco, trasecolo. Mica
da uno studente, no, da un lavandaio cinese. Non riesco a capire. Mai pensato
che una donna potesse provarci gusto, con un cino. Sono piccoli, han le gambe
storte, il petto incavato. Non riesco assolutamente a immaginare come una donna
possa ricevere una decente chiavata ad opera d'un cinese, come possa trovare un
minimo di goduria in tale esperienza.
Toots riprende a leccarmi i coglioni, poi le cosce, poi entrambe le ganasce del
mio culo, poi mi infila la lingua nel bucio, e spinge contro lo sfintere e sugge. Che
troia! Le dà evidentemente un gusto matto. Tanto che se ne viene. La linfa monale
sprizza da lei come se cento valvole si fossero d'un tratto aperte.
Quella bella leccata di culo mi ha ricaricato il cazzo. Non voglio che smetta. Le
spingo di nuovo la testa fra le mie cosce finché non ricomincia a usare la lingua
come un succhiello e infilarmela su per il retto. Poi mi butto a mia volta sul suo
culo. È un bel culo muliebre, pieno di ciccia e liscio. Le slargo le chiappe, le
rimiro il buciolino. Diresti che non n'ho mai visto uno. Toots ridacchia di me.
Quel buco è vivo. Si muove, palpita, sembra respirare. I buci-di-culo si
prestano a studi molto interessanti. Magari non ci scopri il segreto dell'universo,
però è molto meglio che studiarti l'ombelico.
Toots non ha niente da imparare in fatto di perversioni. Dal momento che l'ho
già inculata, sa cosa si deve aspettare, e si prepara. Si mette in posizione. Il culo
è a mia disposizione, come un festino. La monto e faccio sentire l'odore di quel bel
culo a Gian Giovedì. Lui ci si ficca dentro, e Toots comincia a gemere di nuovo.
La fotto a più non posso. Lei è tutta contenta. Tranne che non ho abbastanza
mani per soddisfarla interamente. Vuole che le tasti le tette, che le diteggi la fica,
che l'accarezzi dalla testa ai piedi, tutto simultaneamente. Per rimediare in parte,
si balocca con se stessa. Oh, mio dio, quanta capacità di godimento ha questa
baldracca!
Quando è ben cotta da quella parte, la ribalto e mi dedico alla sua passera.
Toots si mette a urlare. Vuole essere chiavata, sì, ma anche inculata. Perdio, mica
sono uno di quei demoni tricazzuti di Alexandra, io. Non vedo come possa
accontentarla. Toots ha un'idea. Sul comò c'è una spazzola dal manico lungo e
arrotondato. Mi dice di prenderla.
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Giela do. Ci sono due modi per assicurarsi una buona chiavata. Uno è fare il
prepotente, l'altro è assecondare la vacca, qualunque cosa le zompi in zucca.
Gliela do, quindi. E lei se l'infila nel buco del culo. Io le infilo il batacchio pella
fica. Ho paura che se ne venga senza il mio concorso. Manovra con tale destrezza
quella spazzola. Io allora ingaggio una gara. Il mio manico e quel manico di legno
sembran due purosangue che lottano a collo a collo sulla dirittura d'arrivo,
all'ippodromo.
Lei è talmente arrapata che sprizza un calore, un'energia sufficiente a mandar
avanti la metropolitana di Parigi per tre ore. La sua pelle è talmente lubrica, si
dimena e si dibatte talmente che sembriamo un groviglio di bisce, una massa di
anguille frenetiche. Finché ce ne veniamo insieme.
"È stato magnifico," dice lei, e non soggiunge altro. Non s'è ancora sfilato il
manico della spazzola dal culo. Seguita anzi a muoverlo su e giù. Io glielo ficco
dentro tutto quanto, per fotterla ancora, visto che John Thursday non ce la fa
più.
Quanto chiasso può fare una fica! Se continua così richiamerà tutta la gente
del vicinato. Verranno qui a guardare. Le metto un cuscino sopra la faccia e
continuo a rimestarle nel culo con il manico di spazzola. Non ne può più, grida,
naturalmente, dice che la sto ammazzando, e così via. Devo ammettere che è
coerente, per una figa. Si lamenta, inveisce, implora che smetta, ma il suo tono di
voce la tradisce. Le dà un gusto matto, un folle piacere, che si abusi di lei. Io la
maltratto, e in maniera schifosa per giunta. Quindi adempio al suo volere e riconosco i suoi diritti e soddisfo le sue legittime esigenze, strapazzandola con
quella spazzola. Se ne viene di nuovo. E gode, perdio, come gode!
Mi siedo sulla sua schiena e le contemplo il culo. È esausta, sazia, frolla. Ma
quelle due grasse chiappone mi tentano. Prendo la spazzola, per il manico
stavolta, e le do giù di piatto, con tutta la forza, sculacciandola ritmicamente. A
ogni sventola lei urla di dolore, ma al dolore c'è misto il piacere. Tanto che alla
fine implora: "Ancora... ancora..."
Le do giù con più vigore, con più rabbia, prendi maledetta figa, prendi questo,
baldracca, e questo, e questo! Lei ripete: ―Ancora... ancora..." Geme, le esce un
lagno di dolore dalla gola, ma il piacere è anch'esso intenso. Ah, puttana
maledetta! zozza troia! lurida bagascia!
Il culo è tutto rosso. Allora rigiro la spazzola dall'altra parte e le do giù dalla
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parte delle setole aguzze. Il nuovo tormento la inebria. Adesso il suo culo è tutto
pinturicchiato, come un quadro di Seurat. E scotta. È rovente. Domani sarà tutto
un livido.
Getto via finalmente la spazzola e vado di là a pigliare una bottiglia di vino.
Quando torno, lei giace nella stessa posizione. Verso da bere. Beviamo un paio di
bicchieri ciascuno. Poi, in silenzio, lei comincia a rivestirsi. Sulla porta, con la
mano già sulla maniglia, si volta. Mi abbraccia e mi bacia appassionatamente.
"Grazie," mi dice. "Grazie, grazie!"
Addio Toots.
Ernest vive nell'angoscia. Sono due settimane che non fa che pensare
all'inventore pazzo. Non tanto a lui quanto alle sue donne, la moglie e la figlia. Da
quando ha scoperto che, né come marito né come padre, non gliene frega niente
di loro, chi le chiava le chiavi, Ernest non sa darsi pace. C'è qualcosa che non va,
in questo, ripete, sconsolato. Il conto non gli torna. Non c'è gusto a scopare una
moglie, se non hai la certezza che questo farebbe soffrire il marito.
O sennò, pensa Ernest, le due donne hanno lo scolo e lui gioisce all'idea che lo
attacchino ad altri. O può pure darsi che sia d'accordo con qualche fotografo.
Mentre scopi, ti vengono scattate delle foto. A scopo di ricatto. O sennò perché lui
vuol avere il divorzio per colpa di lei. Io gli faccio notare che non può mica
divorziare dalla figlia, ma Ernest scuote la testa ed è sempre più convinto che ci
sia qualcosa di strano, sotto. Vuole scoparsi ambedue le fiche, ma non vuole star
al gioco di Snitzgrass. Che razza di nome! Perfino nel nome — dice Ernest — c'è
qualcosa che non va. "Hai mai sentito nessuno chiamarsi Snitzgrass? È
ovviamente un nome falso. C'è qualcosa di poco chiaro, in tutta la faccenda."
Poi, una sera, mi propone di andare insieme a lui a casa di questo inventore,
Fitzberg o Whistfast, o come si chiama. Dice: "Uno di noi lo porta a far due passi,
e l'altro, rimasto in casa, si scopa o la moglie o la figlia, o tutt'e due."
Accetto la proposta, poiché sto lavorando a un articolo intitolato Dove ci sta
conducendo la scienza? e spero di raccogliere materiale utile. Ernest ha tanta
fiducia nel potere della stampa quanta una "madama" parigina.
Mutzborg — questo risulta essere il nome esatto — è un uomo saltellante, con
una gran barba rossa vaporosa, che gli serve anche da nettapenne, puliscilenti e
salvietta. Ci mostra prima le sue ultime invenzioni, e poi ci presenta le due fiche.
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Le invenzioni si trovano in cantina. Si tratta perlopiù di pelapatate di nuovo tipo o
di strambi attrezzi dai molteplici usi domestici. L'unica invenzione pratica è un
nuovo tipo di cemento, leggerissimo, che si sfalda e si sbriciola appena lo tocchi.
Nel complesso, una raccolta di ciarpame. Mutzborg è, lui stesso, altrettanto poco
interessante. Non potrò cavar niente, da lui, buono per il mio articolo. Lui però si
prende terribilmente sul serio.
La moglie e la figlia sono molto meglio. La ragazza avrà sì e no diciottenni. La
madre è un po' sotto i quaranta. È lei che ci ha i soldi, mi ha informato Ernest.
Bella e ricca com'è, non riesco a capire come abbia potuto sposare quel pidocchio
barbuto. Forse perché porta le corna con tanta disinvoltura.
Durante la cena tutto fila a puntino. Non si fanno discorsi indiscreti. Cristo, da
quello che m'aveva detto Ernest, m'aspettavo che fra una portata e l'altra ci fosse
un interludio di pompini e seghe. Invece si discorre della situazione politica internazionale, del clima nell'Italia del sud e delle mirabilia d'America.
Dopo cena comincia lo spasso. Mutzborg confessa, timidamente, che c'è
un'invenzioncella che non ci ha ancora mostrato. Va a pigliare una bottiglia e la
scruta contro luce. Contiene un liquido nerastro, che pare inchiostro. Senonché è
una bevanda di sua invenzione, distillata da elleboro, belladonna, avena, aloe,
cicoria e non so che cos'altro. Senz'altro, ci sarà dentro anche la cantaride — noto
afrodisiaco.
Offre quel suo elisir, a tutti quanti, in bicchierini da rosolio. Il sapore è quello
del whisky di contrabbando all'epoca del proibizionismo, ma più disgustoso.
Mutzborg ci confessa che non s'è mai azzardato finora a berne più di un sorsetto.
Dopo averne tracannato un misurino, si mette subito a cantare. Sua moglie dà
segni di irrequietezza.
Dopo un altro bicchierino per ciascuno, è Ernest che si mette a cantare. La
figlia mi lancia occhiate dolci. Mutzborg esce dalla stanza per andare a prendere
dell'acqua di seltz. Noi nel frattempo ci scoliamo un altro bicchierino.
I piedi e le mani cominciano a ronzarmi. È più che un formicolio. Sento i nervi
tendersi, quando muovo le dita, e vibrare come corde di pianoforte, su note
differenti. I colori della stanza diventano eccessivamente brillanti. Mi stupisce
riscontrare che non sono paralitico. La pelle mi s'è fatta estremamente sensibile.
Tutti sono entusiasti di questa invenzione, compreso Mutzborg. Nel giro di
un'ora, scoliamo l'intera bottiglia. La figlia di Mutzborg è bravissima a mostrarmi
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le cosce di nascosto dai genitori. Ernest siede sul divano accanto alla moglie del
padron di casa. Con una mano le tasta il culo, di soppiatto. Mutzborg vagola
dentro e fuori, ai confini della conversazione, saltellando qua e là per prendere
sigarette, o questo o quello, e ben presto, a furia di saltellare, s'è intontito.
Borbottando qualcosa a proposito del libero amore, si accascia sulla sua poltrona
e si addormenta.
La moglie propone a Ernest di mostrargli il giardino al chiardiluna. Escono
insieme, dignitosamente. Il bello di questo liquore mutzborghese è che non
intralcia la locomozione, Ernest sciupa un po' l'effetto quando dà alla donna un
gran pizzicotto al culo, e lei caccia uno strillo, proprio quando stanno per varcare
la soglia.
La razionale conversazione è stata abbandonata già da un pezzo, quindi la
figlia di Mutzburg e io ci mettiamo a dire scemenze qualsiasi. A me il battaglio mi
si è fatto battagliero, e, non riuscendo a trovare altri argomenti, gli mostro quello.
Lei capisce l'antifona a volo, mica è tarda di cervello, la piccina.
Un bel cazzo non è mica sciupato, per questa fichetta. È sveglia, e sa di che si
tratta... Si dimena sulla sedia come una che ci ha una cimice nel buco del culo, e
mi mostra tutto quanto, fino all'orlo delle mutandine bianche. Suo padre seguita
a russare.
Cinque minuti, e poi... "vogliamo...?" Così... proprio così... "vogliamo...?"
Mentre a me l'uccello mi freme sotto i calzoni, lei va a spegnere tutte le luci,
tranne un lumino. Ci trasferiamo sul divano. Che troia, potrebbe almeno portarmi
in camera sua. Almeno sua madre ha avuto la decenza di scendere in giardino.
Lei non mostra nessun rispetto, la puttanella, per quel povero vecchio che ronfa.
È bello, farsi di nuovo una di queste troiette giovani. Non è tanto giovane da
essere acerba, ma non ha ancora raggiunto la maturità della maggior parte delle
fiche che ho usato ultimamente. Le sue gambe sono sode... le sento contro le
mie... il suo ventre è piatto ma non così le sue tette... e lei è vogliosa... ma non
groppo vogliosa. È una brava ragazza.
Abbiamo una breve discussione intorno a quasi ogni cosa che io voglio fare. Io
voglio spogliarla, ma è qualcosa che bisogna fare un po' alla volta. Ma più tempo
ci si impiega, e più Gian Giovedì sembra farsi grosso, quindi non m'importa. Non
mi corre dietro nessuno.
Le tolgo le scarpe. Le tiro su la gonna. Le sto sfilando le mutande, quando
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riecco la madre con Ernest.
"Oh, pardon!" dice la donna, e vorrebbe fare dietro front. Prende Ernest
sottobraccio, per portarlo via con sé. Ma lui resta fisso a guardare la ragazza e
me. Inutile ormai tirar giù il vestito alla ragazza. Lei arrossisce e guarda la parete.
Forse era umido in giardino.
La donna torna a chiedere "pardon" ma smette di tirare Ernest per un braccio.
Evidentemente le sue teorie non si sono estese fino al precetto in base al quale le
persone dovrebbero scopare allo scoperto, come cani, ed è evidentemente una
nuova esperienza per lei vedere la figlia venire spogliata per fare l'amore. Sta là in
forse, ma è ubriaca o drogata, a seconda di cosa c'era dentro quel liquore di
Mutzborg... e così viene avanti insieme a Ernest.
La figlia è terribilmente imbarazzata. Tuttavia non si ricopre con la gonna. Né
io tiro via di là la mano che le ho infilato fra le cosce. Noto che due bottoni, nella
pattuella di Ernest, sono slacciati...
Le due fiche Mutzborg cercano di comportarsi con naturalezza, dopo qualche
attimo di smarrimento. Ernest e io non ce ne diamo pensiero. E mentre loro
parlano fra loro, Ernest si siede sulla sedia che prima occupava la ragazza e si fa
sedere la donna in grembo. Ernest, lo so, è pronto a tutto, e, a giudicare
dall'aspetto delle cose, anche la madre della ragazza lo è. Ernest le infila una
mano sotto il vestito e, dopo aver dato una lunga occhiata a Mutzborg, comincia a
giocare con lei. La ragazza arrossisce maggiormente...
A me occorrono circa dieci minuti per trovare il coraggio di passare all'azione, e
a Ernest per tirare su il vestito della sua fica, sì da mostrarne il culo nudo al
mondo intero. E, allora, al diavolo. Non me ne fregherebbe niente anche se l'intera camera dei deputati stesse a guardare. La ragazza sembra pensarla più o
meno alla stessa maniera... il liquore sta ancora facendo effetto.
La donna ha tirato fuori l'uccello di Ernest e ci sta giocando, ma la maggior
parte della sua attenzione è rivolta a quello che succede dove siamo noi. Sta a
guardare, calmissima, mentre io finisco di spogliare sua figlia, ma quando mi
spoglio a mia volta diventa ansiosa, a quanto pare, per qualcosa.
"Oh mio Dio!" esclama, torcendosi le mani. "Oh mio Dio!" Cade tutt'a un tratto
fra le ginocchia di Ernest, e, prima che lui riesca ad agguantarla, sbatte il culo
per terra, con il vestito sollevato e la fica puntata verso di me, come se scattasse
delle fotografie con essa. Ernest non riesce a risollevarla, lei è troppo presa da
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quello che sta accadendo a sua figlia per dare, a lui, l'attenzione che merita.
Finalmente, poiché non può fare nient'altro, lui le sfila il vestito dalla testa. A lei
questo non dispiace... non sembra neanche accorgersi di quello che lui la. E siede
là, sul suo gran culo, con indosso soltanto calze e scarpe, disinvolta come se fosse
completamente vestita.
La ragazza, a tutta prima, cerca di tenermi celata la passeretta. La protegge
pudica con le mani, serrando le cosce. Ma quando comincio ad accarezzarla — e
Gian Giovedì a darle testate sul pancino — lei esce dal suo guscio di pudore virginale. Dischiude le cosce quel tanto che mi consente di titillarle il nicchio, di
tentarle il buchetta del culo con timidi colpi di dito.
Questa ragazza è una puttana nata, ma ancora priva di esperienza pratica. Di
sogni erotici ne ha fatti tanti, ma quanto è diversa da Tania! C'è protervia, in
costei, ma anche candore. E non c'è quella tetra disperazione che ho riscontrato
in Tania, anche nei momenti più sublimi, all'inizio dei nostri amori. Le piace esser
chiavata, ciò è evidente, ma non è pazza come Tania al riguardo.
Jean Jeudi ci va un po' stretto... farlo entrare non è semplice, non basta
indirizzargli la testa nella direzione più o meno giusta. Ma quando è ben su, lì
dentro, con il muso nel centro del prurito che le fa smenare il culo, tutto è
perfetto. Lei arrossisce ancora, e ogni qual volta guarda verso la madre emette
uno di quei lunghi Oooh di imbarazzo, ma, semmai, questo contribuisce a far di
lei una scopata ancor migliore.
Stiamo scopando da circa cinque minuti quando alla madre vien voglia di
vedere le cose da vicino. Il fatto che Ernest è munito di un cazzo bello grosso non
basta a tenerla ferma dove si trova... Si alza in piedi, ma questo le costa troppa
fatica. Allora viene avanti carponi, poi appoggia la testa sul bordo del divano e
guarda, come una grossa cagna collie. Nello spirito del momento, io rigiro la
ragazza dalla parte sua, con il culo proprio sulla faccia della madre, affinché tutto
possa venir osservato.
Sto scopando la ragazza in questa nuova posizione da meno di un minuto,
quando sento qualcosa, oltre la fica, intorno al cazzo. È la mamma che ha
allungato una mano e accarezza sia il mortaio sia il pestello, con la punta delle
dita. Ah, la curiosa! Non le basta guardare, deve pure toccare con mano. Quando
Ernest vede quello che sta succedendo, comincia a risentirsi finalmente. Che
cazzo c'è che non va, nel suo cazzo? vuol sapere. Si alza e scaraventa con rabbia i
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suoi vestiti in terra. Poi afferra la troia per un piede e la trascina lontano,
dall'altra parte della stanza. Proprio di fronte a Mutzborg, quasi ai suoi piedi, le
salta addosso e le sventola l'uccello sulla faccia. Urla come un indiano, gridandole
che glielo farà succhiare finché lei non avrà un po' di rispetto per quel cazzo. Lei
tenta di calmarlo, dicendo che, così, finirà per risvegliare suo marito. Ma Ernest è
incazzato nero, ormai... non gliene frega un cazzo, e neanche mezzo cazzo, dice,
se quello stronzo si sveglia... anzi, spera che si svegli...
La ragazza vuol vedere cosa sta succedendo, naturalmente. È tanto scioccata,
alla vista di Ernest accosciato sopra sua madre, con quel cazzo imperiale davanti
alla bocca di lei, che si scorda di fottere. Ma quando Ernest ottiene il suo premio,
quando la troia finalmente glielo prende in bocca come lui desidera... quando lei
si dedica a esso con tutti i sentimenti e se lo ciuccia a tutto spiano... allora la
ragazza si sente meglio di prima. Non distoglie gli occhi da Ernest e sua madre...
neanche per un attimo. Ma fa cavalcare me egregiamente.
Bingo! Il mio cazzo è esploso, da qualche parte presso la sorgente. Ho la
sensazione che lo stomaco mi sia caduto giù, sprofondando fino al culo, e che le
budella si stiano svuotando, dentro quella piccola fica palpitante. La ragazza mi
abbraccia... squittisce che viene, che il ventre le va a fuoco, che la bonne-bouche
le si rovescia come un calzino... Mutzborg ha inventato qualcosa che valeva la
pena di inventare, a quanto sembra.
Ernest, nel frattempo, è finalmente riuscito a destare nella madre un certo
interesse per il suo cazzo. Non occorre più che le sieda sopra le tette per farglielo
tenere in bocca... ora lei anzi non lo lascerebbe andare per nessuna cosa al
mondo. Lui giace sulla schiena con entrambe le mani sotto la nuca a mo' di
cuscino, e lei sta china sopra di lui, soddisfacendolo oralmente...
"E tu non l’hai mai fatto?" domando alla ragazza, mentre entrambi stiamo a
guardare.
"Oh, no, no... naturalmente. Mai fatto." Mente, la troia, è una bocchinara, se
mai ne ho incontrata una. Inoltre, ha risposto troppo in fretta... Mi isso sul
divano in modo da poter usare mezzi energici di persuasione, se necessario, ma
quando lei vede quello che sta arrivando, cala giù dal divano e si mette in
ginocchio davanti a me. Poi... lo prende dentro la bocca.
La mamma lancia un'occhiata a questo nuovo sviluppo. Il mio cazzo non ha
fatto in tempo a tornare duro, ancora, e la radazza ce l'ha tutto dentro la bocca.
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Gli occhi della madre si dilatano e lei sta, evidentemente, per dire qualcosa, ma
proprio in questo istante Ernest se ne viene. Lui le tiene giù la lesta, e a lei non
resta da far altro che ingoiare... Le due troie, entrambe in ginocchio, con un cazzo
ciascuna nella bocca, si guardano a vicenda senza far motto. Quello che
penseranno, non riesco proprio ad immaginarlo.
Poi Ernest suggerisce un baratto. Non che — dice, con tatto — non che non gli
aggradi la signora, ma, si sa, il mondo è bello perché è vario. E altrettanto può
dirsi della fica. Io, per me, sono tanto propenso a provare la madre quanto lui a
spupazzarsi ora la figlia. Le fiche non han nulla in contrario. Affare fatto. L'unico
svantaggio è che Ernest si prende, insieme alla ragazza, anche il divano.
Suggerisco alla madre, a questo punto, di appartarci in camera da letto. Ma lei
non vuol saperne. Preferisce restare a guardar la figliola, è evidente. Eppoi,
scommetto che le dà un surplus di gusto farsi sbattere ai piedi del marito. Vado
da lei. Lei mi abbraccia le ginocchia e comincia a leccarmi i coglioni, poi prende
John Thursday fra le labbra e comincia a ciucciarlo. L'intento è anche quello di
mostrare alla figlia come va eseguita, a regola d'arte, la fellazio. Giannino si è rifatto arzillo. Glielo tolgo di bocca, per ficcarglielo in culo.
La figlia intanto ha preso fra le labbra il batacchio di Ernest, e quasi glielo
stacca con un morso quando vede me dar nel culo a sua madre. Questa fa sfoggio
del suo savoir faire. Assume una posa elegante e insieme pratica, per facilitare il
mio ingresso, indi asseconda con accorti fremiti le sgroppate che riceve. Le tette
oscillano, belle pesanti, e lei china la testa e piega il collo in modo da guardarsi
l'addome e assistere alla danza delle palle. Il suo culo è quasi stretto quanto la
fica della figlia, ma poi, al pari di essa, si dilata dopo un po' che la fotto.
La costringe a dimenarsi, altroché, questo cazzo nel retto; e quando attacco a
fotterla ben bene, le fa battere i denti come un lemure. Lei si eccita enormemente
e saltella come un coniglio con le gambe legate. Agita le braccia e, d'un tratto,
colpisce il marito su uno stinco, piuttosto forte. Lui si sveglia e ci guarda
inebetito... la donna porta le mani alla bocca, per lo sgomento. Poi lui vede sua
figlia e Ernest. La ragazza sta ancora in ginocchio e non si è neanche tolta di tra i
denti il cazzo di Ernest...
Non lo so, cosa stiamo aspettando, tutti quanti... nessuno si muove, per
diversi secondi. Poi Mutzburg sbadiglia, chiude gli occhi e si rimette a russare.
"Ci ha visti?" È quello che sia la ragazza sia sua madre vogliono sapere, ed
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entrambe lo chiedono allo stesso tempo. Secondo me, ci ha visti ma non sarà in
grado di ricordarlo. Ernest asserisce ch'è tanto ito che neanche riconosce ciò che
vede. Le due fiche si rinfrancano, così... Ernest rimette il cazzo in bocca alla figlia,
e questa ricomincia docilmente a ciucciare... la madre sollecita me a ripigliare
quello che stavo facendo.
Se ne viene un po' prima che me ne venga io, e, negli ultimi momenti, faccio
fatica a tener dentro il cazzo... Lei vorrebbe che glielo togliessi dal culo al più
presto, non appena soddisfatta. Io invece lo lascio dentro... Le serro le mani dietro
la schiena e lascio che urli quanto le pare. Quando alfine me ne vengo, lei si
calma.
Ernest è incazzato. Lui e la ragazza erano tanto intenti a guardare me che si
sono dimenticati di sé stessi. E lei lo ha sbocchinato fino in fondo sicché lui
adesso ha il cazzo moscio... ed evidentemente fuori gara per il resto della serata...
Io non sono in condizione, neppur io, di fare alcunché d'altro, per qualche ora
almeno, sebbene entrambe le fiche desidererebbero che la festa seguitasse
ancora, che ci fosse perlomeno un altro round. Inoltre, Ernest e io siamo stati
presi, d'un tratto, da difficoltà di deambulazione, e ci capita di urtare contro i
mobili, e di scontrarci a vicenda, con monotona e ammaccante regolarità.
Chiediamo compermesso, ci vestiamo e ce ne andiamo.
Tanto
per
cambiare,
non
c'è
nessun
taxi
in
vista.
Appoggiandoci
disperatamente l'uno all'altro, sostenendoci a vicenda in un mondo che mette
paura e, insieme, dà il mal di mare, ci dirigiamo a piedi verso casa di Ernest.
L'indomani mattina, abbiamo entrambi il peggior mal di testa della nostra vita.
Anna vuol dare un party. Me ne parla francamente un pomeriggio, al caffè.
Vorrebbe invitare alcuni amici e farsi scopare all'ingrosso, una di queste sere.
Quanto è mutata, dalla Anna di appena pochi mesi fa! Adesso è decisa a prender
tutto quel che capita, e al diavolo tutto il resto! Però non ha perso la sua
signorilità. Oh, ha sempre la sua aria da gran dama. Veste elegantemente, ed ha
soldi di suo. Però le piace comportarsi, a volte, come una mignotta da dieci
franchi alla marchetta.
Le chiedo chi vuole invitare: Ernest, Sid, Arthur... le andrebbero bene? Sì, più
о meno, mi risponde. Non troppi, ma abbastanza per rendere interessante la
serata. Che ognuno sia sbronzo, in modo da rendere allegra l'atmosfera della
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festa.
Non incontro nessuna difficoltà a organizzare la riunione, Gli amici accettano
subito, e accettano pure un salasso di soldi per acquisto di liquore. Che troia, a
fare una proposta del genere! Ebbene, farò in modo che ottenga quel che vuole.
Mi astengo dalle donne per quattro giorni, prima della festa, e mi nutro di uova
crude e ostriche. Ne inghiotto a dozzine.
Vado da Anna, per tenerle compagnia, nel tardo pomeriggio, prima della festa.
Lei è nervosa. Non ha mai fatto nulla di tanto ardito, in vita sua, finora. A mo' di
sedativo, le propongo una piccola scopata, prima dell'orgia, ma la troia non ci sta.
Neanche la puzza, dice, finché non è ora: sarebbe come giocare coi vecchi
balocchi prima di Natale.
La porto a cena e poi andiamo a comprare i liquori, sicché quando arriviamo
da me, Sid e Arthur sono già là. Ernest arriva con un drink di ritardo. Ma non
importa, ha già bevuto al bar.
Non ci si può tuffare, in queste cose. Bere lentamente, parlare un bel po' per
far sembrare la cosa meno cruda di quanto non sia... insomma, passano tre
orette prima che il party prenda la sua forma. A questo punto siamo tutti fradici.
Arthur si esibisce per la quarta volta in un suo vecchio gioco di prestigio. Anna
passa di mano in mano e non sta ferma un momento. Ti si siede sulle ginocchia,
ti dà il tempo di produrre un'erezione, poi trasmigra, il tutto, naturalmente, sotto
le mentite spoglie della semplice camaraderie.
Poi scompare per qualche minuto; tutti guardano me: quando cazzo si chiava?
Non spetta a lei rompere il ghiaccio? Se non si decide quando torna — dichiara
Sid — io, per me, prendo e la violento. Cristo, sembra quasi una serata con miss
Cavendish!
Nel bel mezzo di tutto ciò, Anna ritorna. Uno sguardo, e non v'è bisogno di
ulteriori congetture. Ella indossa mutande e scarpe... niente altro. Quelle sue
magnifiche tette sono nude, a parte una collana che pende fra esse, e ballonzola
quando lei si muove.
"Ecco," dice Anna.
Ernest lancia un urlo e fa per gettarsi su di lei, ma sbaglia la mira e ruzzola
per terra. È Arthur che l'afferra. Lei gli si siede in grembo e lascia che si balocchi,
mentre s'accende la discussione per stabilire chi debba scoparla per primo. Io reclamo i diritti del padrone di casa. Sid, in mancanza di altri argomenti, afferma
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che lui è più bisognoso di fica di noialtri.
Non per nulla ho imparato a giocare con carte truccate. Vado a prenderne un
mazzo e tiriamo a sorte. Vinco io con un re. Arthur alza un jack, Sid un sei ed
Ernest un tre. Come premio di consolazione, Ernest chiede di essere lui a sfilarle
le mutandine.
Tutti e quattro la portiamo in camera ed Ernest le toglie le mutande e le
scarpe. Riesce, frattanto, a infilarle un dito in fica, e cerca di indurla a far scopare
lui per primo, ma Anna si attiene ai patti.
Si sprecano i consigli, mentre mi spoglio. Anna è l'unica a sembrar non avere
un'opinione circa il trattamento che deve subire. Giace sul letto e ci guarda
spogliarci. Chissà perché, ha l'aria spaventata.
Il mio uccello non è duro come dovrebbe, ma Anna si affretta a porvi rimedio.
Non appena mi sdraio sul letto, me lo prende a due mani, e l'indrizza subito.
Mi metto a scoparla. La scopata dura poco. È veloce e calda, ma,
semplicemente, non dura tanto. Mi sono rimpinzato di frutti di mare e di altri cibi
afrodisiaci, sicché me ne sono venuto quasi prima di mettermi a fottere. Forse e
vero che ciò che si guadagna disonestamente si sperpera subito. Oh, è bello
abbastanza finché dura, e vedo che Anna lo sente, il mio Gian G., come no, ma la
pacchia è finita prima ch'io abbia modo di apprezzarla.
Non appena smonto io, monta su Arthur. Sembra un coniglio, mentre la scopa.
Ho persino l'impressione che pieghi le orecchie all'indietro. Al diavolo il resto di
lei, datemi solo la sua fica, sembra dire Arthur. Non guarda neanche quelle tette
stupende. Il cazzo entra, e Arthur lo segue. Beh, Anna vuole che la si faccia
sentire puttana, e il modo migliore è senz'altro quello di chiavarla come la chiava
Arthur. Cristo, potrebbe ave-re un cuscino sulla faccia... potrebbe essere
rinchiusa dentro un sacco, con un buco soltanto in corrispondenza della fica... e
per Arthur sarebbe lo stesso.
Anna si guarda intorno. Il suo occhio è già vitreo. Solleva le gambe e le cinge
intorno alle reni di Arthur, fottendo più forte che può. Sid ed Ernest stanno a
guardare, con i cazzi rizzi. II mio non s'è ancora smosciato del tutto. Che bella
festa, che bel party, bisbiglia Anna.
Basta una piccola fica a impuzzolire tutta una stanza, a diffondere il suo fetore
per tutta la casa. Se venisse qualcuno a trovarmi, non occorrerebbe mica che
entrasse in camera da let-to, per rendersi conto che c'è una zozza puttana, nei
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dintorni. Stupisce solo che questa puzza non attragga qui la gente di passaggio
per le scale, o per la strada. Eppoi il letto... meno male che domani è giorno di
bucato.
Anna non se n'è ancora venuta, sebbene Arthur agiti il suo pestello dentro il di
lei mortaio con furia omicida. Potrebbe ucciderla, col cazzo, ma non riesce a farla
godere. Le dà botte sul culo per farla fottere più forte, accelerare il ritmo della
pelvi, le ordina di girarsi così o cosà, di far questo, di far quello... e lei lo
asseconda, la troia, si arrampicherebbe sui muri, camminerebbe a testa in giù sul
soffitto... però non riesce ad avere un orgasmo.
Ernest si appressa. Appena ce l'ha a portata di mano, lei gli agguanta la
nerchia. Sid si porta sull'altra sponda, e le porge anche il suo cazzo. Lei li stringe
entrambi fino a farli diventare paonazzi, sembra voglia strangolarli, o staccarli
addirittura... per ficcarseli dentro le orecchie, tanto è arrapata.
Arthur è al galop finale. Mi demolisce il letto, fa tremare
il palazzo, insomma si prodiga allo spasimo — in quegli ultimi istanti — per
quella puttana dannata.
L'ha inondata di sburra ma non è riuscito a farla venire, ancora. Sid si incazza
quando Arthur si netta l'uccello sul ventre di Anna... a chi gli andrebbe di scopare
— chiede — in una pozzanghera di quella roba? Costringe Arthur ad asciugarla
con un fazzoletto, prima di montar su lui, per la sua cavalcata.
Sid ha appena infilato l'uccello nella fica di Anna, che lei se ne viene. Emette
alcuni "oh" e "ah" dopo di che vien presa come da torpore. È troppo stordita per
fare alcunché, quindi si limita a giacere immobile e lascia che Sid proceda per suo
conto. Se a lui dispiace di vederla comportarsi come una mezza morta, non lascia
però che ciò interferisca con la sua chiavata... la fotte, la fotte finché non l'ha
quasi buttata giù dal letto, poi la ribalta e la fotte di nuovo dall'altra parte. A metà
circa dell'esecuzione, Anna pare ricordarsi di cosa le sta succedendo... si desta e
comincia a dar segni di vita. Di lì a poco è in gamba come prima, o forse meglio di
prima, e, mentre Sid sta completando la chiavata, pare, per un paio di minuti,
che lei stia di nuovo per venirsene. Sid grugnisce e sbuffa e le dà manate sul
ventre e le tira le tette, ma non riesce a farla venire una seconda volta. Cercando
di pomparla un po', si lascia prendere lui stesso da eccessivo entusiasmo e, alla
fine, deve arrendersi e sburrare di nuovo.
Anna presenta una fica fra le più pasticciate che abbia mai viste, quando
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Ernest le allarga le gambe. Ne trasudano sperma e succo di fica... le sue gambe
sono tutte impiastrate... tutto sommato, non biasimo Ernest se si mette a
sbraitare. Ma poi le allarga ancor più le ginocchia e si infila fra esse, comunque.
Anna è ancora un po' timida nei confronti di Ernest... non ha dimenticato l'ultimo
party cui ha preso parte con lui. Quasi a far ammenda per esso, lei ora si
comporta carinamente con lui. Gli prende l'uccello con entrambe le mani e se lo
ficca su... Ernest non deve fare nulla. Lei sarebbe perfino disposta a far tutta da
sola la fatica del fottere, se lui così volesse.
Ernest deve aver seguito il mio stesso regime in questi ultimi giorni... fatto sta
che non dura molto più a lungo di me. Ma ora che Sid l'ha portata al di là del
primo ostacolo, Anna è in grado di venirsene con maggior facilità... Ella infatti se
ne viene con Ernest, mentre lui le inietta dentro il primo schizzo di sburra, e così
sono entrambi soddisfatti.
Pensereste che, dopo una simile sessione, Anna dovrebbe essere satolla, se
non per tutta la serata perlomeno quel tanto che basta a riprendere fiato.
Macché. Anna no. La sua fica sta ancora fremendo dopo l'ultima chiavata
ricevuta, ma lei è interessata ai nostri uccelli come sempre. Striscia sopra di me,
quando mi siedo sul letto, e comincia a leccarmi l'uccello e le palle.
"Perché non ci facciamo sbocchinare tutti quanti da 'sta troia?" suggerisce Sid.
Anna ci sta, e, come a fornirne la prova, prende il mio in bocca. È appiccicoso
poiché sia la sburra sia il succo ficale si vanno asciugando su esso, ma, dopo che
lei l'ha succhiato per un po' torna pulito come un fischietto da fiera nuovo di
zecca.
Segue un po' di discussione. Secondo Ernest, dovremmo lasciarle pulire i
nostri cazzi a uno a uno finché non li avrà presi tutti in bocca. Quello che Anna
pensa al riguardo non ha la benché minima importanza, e, evidentemente, lei è
dispostissima a lasciare che il suo destino venga deciso da altri per lei, poiché,
mentre è in corso questa discussione fra noi tre, lei continua a ciucciarmi
l'uccello senza darsi la briga di alzare lo sguardo neanche una volta.
Alla fine ci mettiamo d'accordo... Anna dovrà assaggiarci tutti quanti, prima di
procedere oltre... ci sarà una breve pausa per noi... viene infatti deciso che la
cerimonia si terrà nell'altra stanza, poiché il liquore è ancora là. Solleviamo Anna
dal letto e la riportiamo nell'altra stanza, alla stessa maniera dell'andata, ma a
culo in su, con le gambe e le braccia allargate. Le pallucche nere strisciano sul
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pavimento. Ernest le ficca le mutande in bocca, e lascia che le porti lei, tra i
denti. Le sue scarpe vengono lasciate di là, insieme al resto dei nostri abiti...
Che razza di troia ch'è Anna, ragiono frattanto fra me e me. Con qualcuno che
lei non conosce, con gente che lei non intenda mai più rivedere in vita sua — dico
— la capirei pure. La scuserei perfino. abbassarsi così, lasciarsi andare in questo
modo, con persone che frequenta ogni giorno, che incontra per strada, e alle
feste, no — dico — è il colmo della puttanaggine. Per me — seguito a ragionare —
è molto peggio far la troia con gli amici che con degli estranei. La degradazione
nel primo caso è peggiore poiché non avviene soltanto nel momento in cui essa
espone la sua lurida figa, e si abbandona al ludibrio, non è insomma limitata ed
episodica, ma bensì si prolunga, si propaga nel tempo ed è, insomma, come se
l'infamia si ripetesse ogni volta che gli amici l'incontrano, che parlano con lei, o
che pronunciano il suo nome. Che cosa c'è, in un nome? Oh, c'è tutto in un
nome. Anna non significherà più "Anna", dopo questa maledetta serata, ma il suo
nome sarà bensì l'epitome, il sommario, il concentrato d'ogni più vile voglia
femminile, sarà sempre il sinonimo di gran puttana.
Ci bevo su, sopra questi pensieri. Beviamo tutti. Anna ingolla il suo d'un sorso,
poi si inginocchia davanti al primo cazzo che le capita. Le capita quello di Arthur.
Lei riceve tutto l'incoraggiamento di 'sto mondo, sia da Arthur, sia dagli altri.
"Puzza di fica tua?" le chiede Sid. Anna dice che non gliene importa. Non
gl'importa di niente. Né dei nomi che le diamo, né del fatto che Arthur pretende
che lei lo chiami "sir", signore, quando gli rivolge la parola. Poi ci ciuccia il cazzo a
turno, uno per uno, riserbando a ciascuno lo stesso trattamento.
Sta in ginocchio davanti a Sid per un bel pezzo... Ricorda che lui voleva essere
sbocchinato ben bene. Ma mentre così lo spompina, io mi accorgo che dalla fica le
cola sburra. S'è formata una palla di sburra e di succo ficale sul mio tappeto.
Glielo faccio leccare, glielo faccio pulire ben bene con la lingua. Dopodiché Sid le
ordina di infilarsi le dita nella fica e di succhiarsele, intrise della nostra sburra.
La cosa è divertente, però richiederebbe troppo tempo, allora la mandiamo a
lavarsi al cesso.
Quando ritorna, Ernest, che siede sul divano, l'agguanta. "Ora mi t'inculo," le
dice. E si accinge a farlo. Senonché Sid si mette a sbraitare... vuole prima farsi far
lui un bel bocchino.
Anna risolve quella che rischia di diventare una seria divergenza. Basta che
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Sid si faccia avanti, sul divano — dice — e potranno venir soddisfatti tutti e due.
Anzi — soggiunge — sarebbe interessante se tutti si facessero avanti...
Non ha difficoltà a procurarsi clienti, lei... quando fa tutto gratis, perlomeno.
Sid si sdraia sul divano, supino. Anna viene collocata sopra di lui, a culabusone,
sicché mentre lei spompina Sid, un altro può tranquillamente incularla. A tal
trastullo ci avvicendiamo Arthur, Ernest e io — una breve passata ciascuno.
L'arte bocchinaria di Anna migliora notevolmente quand'ella ha un altro cazzo
che
la
fotte.
Analogamente,
lei
è
più
brava
a
fottere
quando
ha
contemporaneamente un cazzo in bocca. La cosa insomma funziona nei due
sensi. È solo questione di quale buco tu preferisca, insomma.
Arthur decide — quando torna il suo turno — che sarebbe divertente pisciarle
in culo. Ernest cerca di dissuaderlo. Arthur si appella a me. E io: "Piscia pure, chi
se ne frega del tappeto. Dai, voglio star a vedere."
"Avanti, su," lo incoraggia Sid. "Magari poi glielo faremo leccare."
Quindi Arthur si mette a pisciare. Anna vorrebbe protesta-re, ma a che pro?
Sa ch'è inutile. Deve starci. Ernest e io le teniamo ferme le gambe, per impedirle
di scalciare, mentre Arthur la riempie di urina come un otre. Poi seguita a tenerle
il tappo del cazzo nel culo, per riguardo al mio divano, al mio tappeto. Non esce
neppure una gocciola... Il culo di lei — ci informa — gli procura le più bizzarre
sensazioni ch'egli abbia mai provato...
Anna produce rumori gorgoglianti in gola, come se la strozzassero... Sid infatti
si sta sporgendo per palparle il culo, dall’alto in basso. Ernest, eccitato da quel
che ha dichiarato Arthur, vuol provarci a sua volta. Io mi ricordo che non sono
ancora riuscito a sbarazzarmi di quel pitale, e corro a prenderlo. Quando torno
però trovo che il cambio della guardia è già avvenuto. Le hanno tenuto chiuso con
i pollici il buco del culo, finché Ernest non le ha ficcato su il suo cazzo, a mo' di
tappo.
Anna ha fatto l'inferno, quando Arthur le ha pisciato dentro... adesso fa un
doppio casino, quando Ernest si mette a pisciare. Sid mi domanda, cortesemente,
se anch'io intendo levarmi questo sfizio... Incomincia, dice, a venir su intorno al
suo cazzo... Ernest dice ch'è stato fregato... Il culo di Anna non è diverso da
qualsiasi altro culo entro il quale ha ficcato, lui, il cazzo. Se questo fosse un
casino — giura — lui rivorrebbe i soldi indietro.
Ora Anna con il ventre pieno zeppo di urina rappresenta un problema. La
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soluzione la trova Sid. Useremo come tappo un collo di bottiglia. Detto fatto. Ora
Anna può recarsi a scaricare tutto al cesso, senza far danni.
Dopo tre minuti torna. Si lamenta perché — dice — le abbiamo fatto uno
scherzo da prete. Però è sempre vogliosa, non appena ha bevuto un altro sorso di
rum. Durante la sua assenza Sid mi ha aiutato a riempire il pitale... Anna non se
ne accorge finché non ha preso il cazzo di Sid in bocca, di nuovo. Si tradisce
completamente... conosce il sapore del piscio, dice. Sid, che probabilmente già
conosce la storia, le cava fuori tutti i particolari della serata da lei trascorsa con
Ernest e Arthur e me... e come se li gode, quei succosi, lubrichi dettagli!
Da ore non si apre una finestra né una porta... L'aria è piena di fumo. Sembra
di stare fra la nebbia. Ogni cosa va perdendo i suoi contorni. In quella caligine,
vedo Anna sbocchinare prima Arthur e poi Ernest, dando loro qualche ciucciata
per uno, poi fa in modo, la troia, di prender entrambi i cazzi in bocca
simultaneamente. E simultaneamente essi se ne vengono, e Anna si fa una
doppia sburra, e non finisce più di inghiottire.
Ora Sid si vuol fare sbocchinare. Però — dice — prima Anna deve sciacquarsi
la bocca. Con il piscio che lui stesso le fornirà. Vane sono le proteste di Anna. La
teniamo ferma. Io le tappo il naso per costringerla ad aprire la bocca. Così Sid ci
piscia dentro. Adesso ha la bocca pulita per fargli un pompino. Dopodiché — dice
— la inculerà.
E così avviene. Mentre lui la incula, io le metto il cazzo in bocca. Quindi
rimpiazzo Sid e me la chiavo alla pecorina. Ernest allora le porge il culo e le
intima di leccarglielo. Occorre un tantino di violenza per persuadere Anna, ma
alla fine lei intende ragione: circonda le reni di Ernest con le braccia e affonda la
bocca fra le sue natiche, lavorando di lingua. Poi anche gli altri si fanno leccare e
succhiellare il culo e io pure. Ormai ogni barriera è crollata. Lei è disposta a far di
tutto adesso. Ci lecca e succhia il culo, l'uno dopo l'altro. Con gratitudine lecca i
piedi di Arthur, quando lui l'insulta per avergli lei proposto di giocare a tête-
bèche... Di solito, siamo in due su di lei, alla volta. Non avrà nulla di cui
lamentarsi, dopo questo party.
Finalmente siamo esausti. Anna dura fatica a trovare un cazzo in forma,
adatto a scoparla, e passa accanitamente dall'uno all'altro di noi, succhiando
l'uno dopo l'altro cazzi mosci e bagnati finché trova, in uno, una breve scintilla di
vita... poi, quando ne ha trovato uno, ci si butta sopra a pesce, apparentemente
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in semi-coma, finché la vita non sarà stata spenta in esso, di nuovo. È stata
sbattuta e strapazzata, ormai, fino a diventare scema... Sono sicuro che non sa
più chi la chiava. La sua collana è rotta e le pallucche sparse in terra, sotto i
piedi. Arthur ne raccoglie una manciata, gliele ficca nella fica, e la chiava... A lei
piace molto... Pensa che si tratti di una specie di sonaglio e, quando lui estrae il
cazzo senza niente su, lei si preoccupa.
Il liquore è finito ormai... l'inesorabile indicazione che la festa è agli sgoccioli.
Ma Anna vuole un'altra scopata. Prova con tutti noi, ma Sid è l'unico che abbia
ancora un po' di cazzo, anche se non riesce a rizzarlo. Anna implora... tenta di
tutto.
"Non m'importa come fai... battimi se vuoi..." In qualche modo va di là al bagno
e ne ritorna. Mette una cinghia in mano a Sid, gli si corica sulle ginocchia,
offrendogli il culo grasso e il retro delle bianche cosce. Sid comincia a darle
cinghiate, e la pelle le si va striando sotto i colpi... Anna non si muove, non
scalcia, non sembra sentire la cinghia. D'un tratto Sid getta via la cinghia e le
salta addosso...
Anna è in uno stato tale che non riesce neppure a rivestirsi da sola. L'aiutiamo
tutti noi e riusciamo così ad abbigliarla alla meglio. Avanza una spilla da balia,
quand'abbiamo finito... Ernest insiste che dobbiamo assolutamente restituirle
tutti i suoi accessori, sicché si serve di quella spilla per tenerle il vestito sollevato,
di dietro, in modo da farle restare il culo esposto, nudo. Abbiamo dimenticato le
sue mutandine. Gliele do in mano, da portare insieme alla borsetta.
Tutti e tre... Sid, Arthur ed Ernest... riescono a portarla da basso, ed escono
sulla strada. Dalla finestra vedo un tassista aiutarli a salire in vettura. Essi
hanno l'indirizzo del vecchio stronzo che la mantiene... La scaricheranno davanti
al portone di casa, dicono. Sarà, per lui, una magnifica sorpresa...
Ripassando una bottiglia dopo l'altra, riesco a spremerne fuori un ultimo
drink. Fisso il bicchiere... la luce che emana da esso si espande e illumina l'intera
stanza. L'ingollo e, quando quella minuscola scintilla di luce color ambra è
scomparsa, l'oscurità piomba su di me, ammantando ogni cosa...
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LIBRO SECONDO
―Balls,‖ said the Queen, ―If I had them I’d be King!‖
(―Balle – disse la Regina – se le avessi sarei il Re!‖)
CANTERBURY
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Parte prima
UNA MESSA NERA E UNA NANA
Per chiunque si trovi nelle condizioni di Alexandra conosco solo un rimedio:
bere e scopare. Reduce dalla messa nera, è in uno stato pietoso, trema tutta,
parla in modo incoerente. Tuttavia riesce a trovare la bottiglia di cognac che tiene
in macchina. Filiamo a tutta velocità. Io non conosco le strade e Alexandra è
troppo isterica per esser di aiuto, ma tutte le strade conducono a Parigi.
Charenton... ecco un uomo! Perlomeno i suoi intrattenimenti non sono noiosi,
mentre non può dirsi altrettanto per i suoi più rispettabili confratelli. E siccome
alle sue messe non ci si spinge agli estremi — non si fanno a pezzi i bambini, non
ci si dà al cannibalismo — il male ch'egli pratica può dirsi abbastanza innocente.
Un po' più spettacolare del solito evangelismo, senz'altro, ma non molto più
pericoloso. Io rispetto la sua vitalità, e al diavolo i fini cui tende... Troppi, fra
quelli che conosco, sono morti per metà, sia dalla cintola in giù, sia dalla cintola
in su.
Le opinioni di Alexandra al riguardo sono esclusivamente sue. Dopo qualche
sorsata di cognac, si è calmata un po' Mi si fa accosto, sul sedile, tutta nuda. Mi
passa la bottiglia. Do appena un sorso. Non ho tanto bisogno di bere, io, quanto
di fottere qualcuno. Il cazzo mi è tornato duro come quando ero là da Charenton.
E l'odore di fica (asfissiante, lì, dentro l'abitacolo, coi finestrini chiusi) mi sta
dando alla testa.
Ti rendi conto, in casi come questo, della potenza del fetore che le donne
producono di continuo, per fermentazione, fra le loro cosce...
Alexandra continua a smaniare, non trova requie. Lo so io che cosa le ci vuole.
Il cognac non basta. Lei è come qualcosa che potrebbe esploderti in mano da un
momento all'altro. Mi slaccia la pattuella e mi agguanta il cazzo. Lo tiene stretto,
ci sta aggrappata, non per giocarci ma come per accertarsi che è ancora al suo
posto e che ci rimanga.
Le consiglio ripetutamente di rivestirsi. Non mi va di guidare per Parigi con
una donna nuda in auto. Ma quando arriviamo davanti a casa sua, lei è ancora
nuda, come alla partenza. Neanche adesso vuol mettersi su niente. Con gli
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indumenti sottobraccio, scende dalla macchina e ci gira intorno, illuminata dai
fari, prima ch'io abbia trovato la chiavetta per spegnerli. Poi stiamo cinque minuti
buoni davanti al portone, intanto che lei cerca le chiavi.
Non avevo mai visto Alexandra fare niente del genere. È sempre stata una
troia, da quando la conosco, ma finora si era sempre comportata con una certa
discrezione. Però non mi stupisce il mutamento. Io non cerco più di capirle, le
donne. Le chiavo e basta. Si risparmia un bel po' di fatica, così. Una donna a
scoparla ci impieghi una ventina di minuti. Ma però non ti basterebbe una vita
per rispondere a tutte le domande che ti poni in quei venti minuti.
Alexandra mi conduce dritto dritto in camera sua. Per le scale, tre gradini
avanti a me, mi dimena il culo in faccia. Cristo, non hanno alcun rispetto per te,
queste fighe! Ti mettono la fica sotto il naso senza darsi il benché minimo
pensiero dell'effetto che questo ti fa. Le cosce di Alexandra sono madide di linfa
vaginale, che le cola fin quasi alle ginocchia. Sarei tentato di affondare i denti in
quel culaccio grasso e staccarne un bel tocco, da far in graticola.
In camera da letto, si sdraia, ma è troppo nervosa per aver là pazienza
d'aspettare ch'io mi spogli. Appoggiata su un gomito, incomincia a tormentarsi la
passera da sé. E seguita a dar sorsate alla bottiglia benché abbia smesso da un
pezzo di tremare.
Io mi guardo allo specchio. Resto là ad ammirarmi il cazzo rizzo per un paio di
minuti. Un uomo dovrebbe farsi fotografare quand'è in erezione così, col
batacchio da battaglia. E mostrare la foto al principale, quando va a chiedere un
aumento di stipendio. E poi, anche, per farla vedere ai nipotini, da vecchio.
Alexandra l'ammira insieme a me, ma lei ha idee tutte sue, circa che farne.
Allunga una mano, l'agguanta, lo sbaciucchia un po'. Prima ancora ch'io mi sia
coricato, cerca di ficcarselo dentro la bocca. Questa fica... dopo tutta la fatica che
feci per indurla a ciucciarmelo, la prima volta. Poco dopo, mi posa la testa in
grembo e comincia a far l'amore con John Thursday. Geme, mugola, rantola.
"Potrei star tutta notte a ciucciartelo, sai," mi fa. Ma ho motivo di credere che non
durerà tanto. Incomincio a toglierle le forcine dai capelli. Dopo un po' lei mi
domanda: "Hai notato la donna che faceva da altare, alla messa? "
E io mi domando, fra me, come puoi credere che le donne non siano altro che
una massa di cretine, un branco di idiote, una razza di imbecilli, sceme, sciape e
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deficienti, quando una di loro — che passa per intelligente — ti fa una domanda
del genere?
Ignara di questi miei sensati ragionamenti, la scema prosegue: "Ebbene, è una
signora sposata. Ha tre figli piccoli. Il marito è all'oscuro di tutto. Charenton va a
trovarla apertamente a casa sua. Il marito crede che sia il suo padre confessore.
E non sospetta di nulla, anzi è tutto felice di quelle pie visite, che durano ore, a
porte chiuse."
Inchina di nuovo la testa e mi lecca il ventre, mentre si strofina contro il mento
la rossa cappella di Gian Giovedì. La sua lingua è come un serpentello che mi
striscia e mi guizza sulla pancia per andare a infrattarsi nel boschetto del pube...
In certo qual modo non riesco a impedirmi di desiderare di esser stato presente a
una di quelle sere in cui Alexandra prese parte più attiva alle cerimonie del
canonico Charenton... è un pezzo di fica così freddo, così dignitoso, quando la
vedi fuori del letto.
A volte c'è qualcosa nella fisionomia di Alexandra che mi ricorda gli antichi
egizi. Dev'essere il modo in cui atteggia le labbra, facendo il broncetto, quand'è
prossima al mio cazzo. O forse è l'angolatura dalla quale la osservo quando lei
posa il capo sul mio ventre, poiché non ci penso, ammenoché non le capiti di
lambire i baffi di John Thursday. Ma Alexandra dovrebbe portare un'infula d'oro
intorno alle tempie, avere una vipera con la quale giocare, e una penna di pavone
con cui far solletico al cazzo...
Tiene in mano il mio uccello, mentre lecca la cappella piano piano. Non ha
alcuna fretta. Chi ci corre dietro? Alexandra è una donna matura, mica una di
quelle fighette irruenti che ti saltano addosso come pulci. Solo dopo aver scopato
una come lei ti rendi conto di quanto poco sugo c'è in quelle chiavate che
divampano e deflagrano subito. I fuochi d'artificio saran belli da vedere, ma per
stare col culo al caldo d'inverno non c'è niente di meglio di un bel ceppo che arde
lentamente nel caminetto.
Quando si infila Giannetto in bocca nuovamente, mi rendo conto che ne uscirà
moscio, da quelle fauci fameliche. Alexandra se ne rende conto ma non vuole tirar
il collo al gallo prima di averlo preso anche in fica e magari nel culo. Cerca quindi
di sputarlo. Ma Giannetto non si lascia sputare. Spinge contro l'epiglottide,
mentre io la tengo ferma con una mano dietro la nuca, finché non se ne viene e le
101
sborra nella gola. Alexandra allora ingoia avidamente. Non le basta lo sperma,
vorrebbe inghiottire anche il cazzo, e magari anche me per intero.
Dopo avermi così smidollato, lei è ancora più calda e arrapata che prima. Si
stende riversa sul letto, allarga le gambe, e comincia a farsi un ditalino, a un
palmo dal mio naso. Ovviamente, si aspetta qualcosa da me. Sospira, infatti,
eloquentemente. Dopo aver impiegato diversi minuti a mostrarmi come funziona
quella parte della sua anatomia, sospira mestamente.
"Certe volte mi pento," mi dice, "di aver mandato i miei figli in campagna. Se
Peter fosse qui, lui mi saprebbe rendere felice. Anche Tania. La piccola morbida
Tania, dalla bocca perversa e dalla lingua svelta. Loro saprebbero cosa farmi. Oh,
sì, anche se ho fatto bene ad allontanarli da Parigi, vorrei tanto che fossero qui...
adesso!"
Anche Peter e Tania, dal canto loro, darebbero chissà che per essere di ritorno
a Parigi — con o senza il privilegio di andar a letto con la loro mamma. Eppoi, che
stronzata! Il confino non ha mai sortito alcun effetto morale sui ragazzi.
Tutta quella manfrina di Alexandra passa inosservata e allora lei si decide a
chiedermelo direttamente, di leccarle la fica. La mia risposta è no. Non mi va di
metter bocca dove il canonico ha messo il cazzo, né mi va di emulare Peter in questo. Però, tanto per farla contenta, acconsento di leccarle le cosce. Hanno il
sapore della sua fica, e siccome gran parte della felicità di Alexandra sta nella
pregustazione, ad ogni modo, ella quasi si accontenta di questo. Si infila un dito
nella fica, quasi si spacca in due cercando di allargare un po' più le gambe, e
seguita a stuzzicarsi la passera mentre io la lecco tutta intorno intorno.
Ma questo non può durare all'infinito. Alexandra si arrapa a dismisura. Il dito
è un misero surrogato del cazzo. Si mette quindi a vezzeggiare Giannetto, a fargli
moine e lusinghe, a tentarlo, a corromperlo con lascivi, salivosi bacetti... e ben
presto riesce a fargli alzare la testa. E come si eccita quando lo vede mettersi di
nuovo sull'attenti! Si sbatte di qua e di là, nel letto, finché questo comincia ad
avere un tal aspetto, che diresti che una mezza dozzina di boy scouts abbiano
campeggiato sotto le coltri per una settimana... Ella si arrampica sopra di me,
sotto di me, attraverso le mie braccia e fra le mie gambe, lasciando tracce di
succo ficaie e la puzza di passera da ogni parte. Finalmente, l'agguanto mentre
passa per di là, la stendo supina e le salto sopra...
102
Non si accontenta di allargare le cosce e aspettare il mio cazzo... si ficca le dita
a uncino dentro la fica aperta e ne stiracchia le labbra, tanto le tira, tanto le
dilata, che diresti che sta per squarciarsi tutto il ventre a metà. Poi tira un afondo di fica e cerca di intrappolare il mio cazzo da sola. Non potrebbe mancarlo...
con una fica così dilatata. Il mio uccello scivola dentro il suo boschetto, fra quelle
succose labbra dischiuse, e seguita a penetrare, finché ha la sensazione di star
nuotando nell'olio. Alexandra mi abbranca con le braccia e con le gambe, e la sua
fica si serra intorno a Johnny...
A quel che ne so io, Alexandra non è stata chiavata alla festa di Charenton.
Certo non si comporta come se lo fosse stata... dal modo in cui riceve la chiavata
che le do, diresti che va in bianco da settimane. C'è l'eventualità, naturalmente,
che i suoi folletti non l'abbiano chiavata come lei mi vorrebbe far credere... lo
spirito potrebbe non bastare alle esigenze della carne...
Alexandra smena il bacino come una danzatrice di hula havaiana, mi porge le
tette da baciare, sbuffa come una vaporiera, sgroppa come un'indomita cavalla, si
contorce come cento bisce. Quando, senza smettere di fotterla, le infilo un dito nel
culo, incomincia a dar balzi da canguro, che rischiamo di finire aggrappati al
lampadario come Tarzan e la compagna.
Mio Dio, la gran quantità di peli che questa fica ha nel culo è sorprendente!
Prima di trovarle il buco dell'ano devi aggirarti per quella foresta con una
lanterna... Se costei si pigliasse le piattole, le ospiterebbe per il resto dei suoi
giorni... devi munirti di machete e aprirti un sentiero fra i suoi peli, quando vai in
esplorazione là, devi poi lasciare una pista, strada facendo, se vuoi ritrovare la via
del ritorno... Riesco finalmente ad arrivare fino al suo buco di culo, e tasto
intorno finché sono sicuro ch'è il posto giusto, prima di infilarci le dita...
Alexandra strilla come se la scotennassi, ma io le infilo tre dita, comunque, su pel
culo... Ho la netta sensazione che potrei infilarcene altre tre senza che succedesse
nulla di molto terribile...
D'un tratto il mio cazzo si mette a riversarle sburra nell'utero... Alexandra
riceve con gioia quel torrido getto, stringe maggiormente le cosce intorno a me... e
se ne viene anche lei... Giacciamo, avvinti l'uno all'altra e io le ficco le dita nel
retto ogni volta che la sento fremere... Non finirà più di venirsene... e neanche
io...
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Una chiavata non è abbastanza, per Alexandra, stasera. Si riposa quanto
basta perché io beva un altro po' del suo brandy... poi ricomincia a far la gatta
per esser fottuta di nuovo. Si sdraia accanto a me e mi strofina il pube contro una
gamba, preme con la fica sul mio boschetto, copre me e la stanza intera di quel
torrido, dolce fetore che emana da lei. È così sugosa che, quando strofina il pube
sul mio ventre, ho la sensazione che mi stia dipingendo con un pennello intriso di
vernice... poi, quando si asciugano, i peli si arricciano, rigidamente, a uno a uno,
proprio come se fossero stati inamidati...
Vuol sapere, Alexandra, se non vale più lei, come scopata, chenné Tania.
Quella piccola Gioca-con-se-stessa, lei la chiama. "Ma mi sai dire, un uomo come
te, che gusto ci prova con Tania? Un ragazzo, lo capisco. Non me n'importerebbe
mica tanto, se Tania si facesse chiavare soltanto da ragazzi della sua età. Ma
tutte queste porcherie con uomini fatti! Non è bene per gli uomini e, certo, non è
bene per Tania. Che farà, quella figliola, da grande? Cosa inventerà per
soddisfarsi, allora? Ma dimmi, dopotutto, non c'è più sugo a chiavare una donna
matura come me chenné una acerba ragazza come Tania?"
Cosa cazzo può rispondere un uomo, cazzo, a questa domanda? Eppoi, Tania
fa classe a sé, non la puoi incasellare in nessuna categoria. "E tu?" le chiedo a
mia volta. "Tu perché sei attratta da quella ragazza?"
"Ah, ma è diverso! Nel mio caso c'è il piacere dell'incesto. Ti pare niente,
misurarsi con quel po' po' di tabù? Se Tania non fosse mia figlia, non mi direbbe
nulla. Non vorrei aver niente a che fare con lei... niente. Ah, sì, mi potrebbe
camminare davanti tutto il giorno e tutta la notte, esibendosi quanto le pare, e
non avverrebbe nulla. Proprio nulla."
Si tratta naturalmente di una bugia. Indubbiamente, aiuta molto se il rapporto
che hai con una fica come Tania è reso più pepato dal fatto che siete
consanguinei, ma, figlia o non figlia, Tania potrebbe infilarsi nel letto di
Alexandra, comunque, tutte le volte che volesse.
Alexandra prosegue passando in rassegna tutti i punti salienti delle sue
disavventure con quella ragazza... Tania, a quanto pare, ha cavato fuori di sua
madre tutti i piccanti dettagli riguardanti le storie che essa ha avuto con gli
uomini che Tania conosce... e in cambio le ha confidato alcune sue esperienze.
Quel che trovo più interessante, però, è la notizia che il canonico Charenton ha
fatto pressioni su Alexandra affinché consegnasse sua figlia a lui e al diavolo. Lei
104
ha tirato per le lunghe con una scusa o l'altra... Ora, naturalmente, tutto è
finito... ma, se non ci fossi stato io, con lei, stasera — dice Alexandra, con un
brivido — ah, sarebbe stata la fine... sì, senz'altro, sarebbe stata la fine...
Si è tanto arrapata, a questo punto, che non resta altro da fare che farsi fottere
di nuovo... E non ha dimenticato nel frattempo di lavorare me... Infatti il mio
cazzo è duro, di nuovo, e lei lo stringe fra le cosce, strofinandoci contro la
passera. Senza che né io né lei dobbiam fare molto al riguardo, ecco che il mio
cazzo trova da solo la strada e le entra nella trappola aperta... Mi accontenterei,
io, per me, di giacere lì, tranquillo, e pigramente fottere Alexandra... ma non è
questo che a lei garba... certamente, non in questo momento. Si lascia prendere
dall'entusiasmo... alla fine mi monta sopra e mi mostra come, secondo lei,
bisogna fare.
Posso pensare a un buon numero di cose che non sono altrettanto piacevoli
quanto questa... giacere comodamente sulla schiena mentre una troia arrapata
ed esperta ti lavora a dovere. Io non devo fare un cazzo... proprio niente...
Alexandra conosce da sola tutti i trucchi... quindi non è come se ci provassi con
una giovane fica ignorante, alla quale tu debba insegnare come funziona tutto il
meccanismo. E lei mi fa fare una gran bella cavalcata, lasciandosi veramente
andare, e, evidentemente, mandando al diavolo la sua dignità.
Una donna che ti sta sopra, così, ha meno dignità chenné in qualsiasi altra
posizione amatoria. Sì, una donna può apparire dignitosa anche quando ti ciuccia
l'uccello, ma quando ti chiava all'inverso ogni sua dignità va a farsi fottere. Non
appena una donna sale in sella, incomincia a guardarsi d'intorno, cercando con
lo sguardo uno specchio. Alexandra non fa eccezione. Corre a prenderne uno. Lo
piazza, poi risale a cavallo. Oh, come le piace guardarsi mentre mette sotto un
uomo!
Alla prima sbirciata che dà, a quel che avviene colaggiù, a momenti vien meno,
sbasita. "Non dovrebbe aver mica quell'aspetto!" esclama, inorridita, ma, dopo
aver guardato per un po', incomincia a piacerle. Ha una gran bella fica — decide
— una fica che fa la sua figura, in azione...
Vuol vedere che cosa succede quando ce ne veniamo. Così mi dice Alexandra...
Ma quando la cosa avviene, lei ha gli occhi tanto vitrei che non credo che veda
alcunché di quello che succede...
105
Dopo esser venuta, sta quieta per un po', sdraiata accanto a me a gambe
larghe, per far raffreddare la figa. E si mette a parlare del canonico. La solletica
parlarne, ovviamente, anche se vorrebbe farmi credere che ne è inorridita.
"Charenton se le scopa tutte quante, è logico, le pecorelle del suo gregge. Sarebbe
fesso se non lo facesse..." E se qualcuno della sua congregazione non avesse
scopato qualcun altro, ciò sarebbe solo un caso fortuito. Ah, quella orrenda
statua! Non se ne dimenticherà mai. Era spaventatissima, quella prima sera, e
urlava quando la portarono verso di essa... Un congegno al quale io,
probabilmente, non avevo badato... dentro la statua c'è un vaso contenente del
vino consacrato... e questo vino scaturisce dal cazzo di Satana, mediante uno
speciale congegno... Durante la sua prima messa, lei fu resa alquanto brilla da
quel vino consacrato.
"E adesso, cosa intendi fare?" le domando. "Torni in seno alla Chiesa
cattolica?"
"No, no. Eppoi l'impulso al misticismo, ormai, in me, si è esaurito. Non so
quello che farò... Ma, quanto a Tania, non pensi che sarebbe l'ideale, per lei, se si
facesse monaca? "
L'idea di Tania in convento è troppo assurda. Corromperebbe la Madre
Superiora e tutte le consorelle. In capo a un mese non ci sarebbero più candele
da accendere alla Madonna, senza spargere intorno un odore curioso. Alexandra
sospira e si dice d'accordo con me. Sta zitta per un po', poi dice che ha voglia di
chiavare di nuovo.
Ci mette un bel pezzo, stavolta, a far insuperbire nuovamente Giannettaccio,
ma è tanto accanita, lusinghiera e provetta che — dopo avergli fatto di tutto
tranne ingoiarlo vivo — ci riesce. Non è però arzillo al punto giusto. Allora lei che
fa, la mignottona? Si versa del cognac dentro la fica.
Ciò le provoca un bruciore insopportabile. Si mette a correre per tutta la
stanza, a farsi vento con quel che capita, a riempirsi di borotalco, a saltare sulle
sedie... e alla fine salta addosso a me. "Se me lo metti su, forse mi passa."
La inforco e lei urla più forte. Adesso vorrebbe sganciarsi, che non ne può più.
Ma io la stringo più forte, e spingo più a fondo. I suoi spasimi mi eccitano
tremendamente. Fotto come un matto e più lei strilla, più godo.
Dar in fica a una troia che fa tanto casino è come affrontare in canoa le rapide
di un fiume africano. Dopo averla riempita di sburra, non la mollo. Seguito a
106
serrarla a me, come un innamorato d'altri tempi. Poi comincio a pisciarle nella
sorcia.
Alexandra si mette a vaneggiare. Brucia! Le scoppia l'utero! Le si squilibria
tutta l'anatomia interna! Le ovaie marciranno! Grida, grida, però le dà gusto da
matti.
E
vorrebbe
che
non
finissi
più.
Mi
abbraccia
forte,
mi
bacia
appassionatamente sulla bocca, come non aveva mai fatto in vita sua. Si sente un
gorgoglìo che sembra il maelstrom, un fragore di cascate del Niagara, nel suo
ventre, quando lei se ne viene.
Sono pazze, 'ste zozze puttane. Tutte le donne, dalla prima all'ultima. L'una
più pazza dell'altra. Qualunque cosa gli fai, la donna la trova stupenda,
qualunque zozzura le gratifica la fica. Vuoi scopare sua nonna? Te la presenta.
Vuoi frustarla? Corre a prender lo scudiscio. Vuoi calpestarla? Ti si stende ai
piedi. Ti sarà grata di tutto, qualunque cosa tu le faccia. Le cose più orrende e
nefande son per lei divertenti. Non c'è altra spiegazione.. Tutte le fighe son sonate
in testa.
Ernest è a letto con una bottiglia di cognac. Intorno alla fronte ha una
ghirlanda di fiori appassiti. Quando entro io, depone la fiasca e chiama le
danzatrici. Ma non arriva nessuno.
"Hmmm... Niente danzatrici," dice Ernest. "Deve starmi passando." E dà
un'altra sorsata.
Non lo ricorda, da quanto tempo è ubriaco. Lo saprà non appena ritorna in
ufficio. Là sono bravissimi a tener il conto delle assenze. Però ricorda bene gli
antefatti della sbronza... Un gran bel trionfo per Ernest! Si è ubriacato per
simpatia verso un amico, e poi questo amico si è riconciliato con la moglie e lo ha
lasciato a continuare da solo.
"Mi aveva invitato a cena a casa sua," mi racconta Ernest, "e indovina un po'
che scena ci si presenta entrando? C'è sua moglie che scopa con un tizio. Non
solo, ma stanno scopando sulla tavola da pranzo! Dove avremmo dovuto
mangiare tra poco. Ti rendi conto? Stesa lì a culo nudo e quel tizio che le dà nella
fica!" A tal ricordo, Ernest si agita tanto che deve bere un'altra sorsata. Questa
volta si ricorda di offrirne una anche a me, e si offre anche di intrecciarmi una
ghirlanda, se la desidero.
"Discutiamo," dice Ernest. "Puoi sostenere, se così ti piace, che il matrimonio è
una nobile e sacra istituzione, mentre io sosterrò la tesi contraria." Si puntella su
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un gomito e si avvolge nel lenzuolo come in una toga, ma prima che la discussione possa cominciare, Ernest ha già dimenticato su che cosa doveva vertere.
"Che ne pensi di una fica come quella?" mi domanda. "Non credi che poteva aver
almeno la decenza di farsi i cazzi suoi per conto suo, senza metter il marito in imbarazzo in quel modo? Macché! Eccola là che geme e che squittisce e che strilla e
che stride come una maiala scannata, mentre il tizio la incroda sul tavolo da
pranzo e la pistona fino a farle uscire il cazzo dalle orecchie! E io? che potevo fare
io, in una incresciosa situazione come quella? Tutto quel che potevo fare era
aspettare, e vedere che cosa succedeva. Se il marito si fosse calato i calzoni,
anche lui, allora tutto era a posto e, forse, più tardi, avremmo potuto cenare,
dopo averla scopata. Ascolta! T'è mai capitato un tizio che ti mostra una nuova
radio, o un'automobile nuova magari, e, sul più bello, questa non funziona? Cosa
dice allora lui? Dice sempre 'è buffo, non l'aveva mai fatto, finora'. Ed è appunto
quello che mi continuava a dire questo tizio, solo che alludeva a sua moglie,
mentre si beveva whisky, invece di cenare..."
Ernest è finalmente costretto a fare una pausa per riprendere fiato; poi
comincia aria da capo e mi racconta tutto un'altra volta.
"Poi, quando ci fummo ubriacati, trovammo una fica, ed era tutto sistemato
per chiavarla... solo che a questo punto cosa credi, Alf, che succeda? Quel tizio
decide che lui è in grado di scopare sua moglie molto meglio di quel francese che
la stava chiavando, e mi dice che adesso torna a casa per farglielo vedere. E
neppure mi invita ad andare con lui! Gesù, non credi che, dopo avermi invitato a
cena e tutto, sarebbe stato perlomeno suo dovere portarmi appresso? Invece, lui
si limita a inghiottire un paio di quelle pillole peptoniche che vendono nei bar e se
ne va da solo... Questo ti dimostra come una fica può rovinare un galantuomo..."
Da qualche parte, lungo la strada, Ernest si è procurato un mazzo di fotografie
"per amatori". Stanno sopra il suo comò, e, mentre ascolto il suo racconto per la
terza volta, incomincio a guardarle.
Sono foto d'alta classe, belle fighe che sembrano fighe e non un branco di
vecchie zie che cercano di fare le graziose. A un tratto caccio un urlo. Lì
frammezzo, c'è Anna. Il mio grido richiama l'attenzione di Ernest. Lui non
ricordava neanche di averle, quelle foto.
Ebbene, il mondo è piccolo, dice Ernest, mettendosi a guardarle. E ne trova un
altro paio di Anna... deve essere proprio per questo che lui le ha comprate: per il
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fatto che c'era lei nel mucchio. E Anna è una puttana come tante, mi dice. "Pensi
forse che Anna possa farti del bene... a te o a chiunque altro? Anna non farà mai
del bene a nessuno... Tutte, meno Anna."
Quando me ne vado, ho in tasca le foto di Anna. E buona parte di quel litro di
whisky di Ernest nello stomaco. Ernest ha stappato un'altra bottiglietta, da una
pinta, e seguita a parlare... di nuovo invoca le sue danzatrici. Io vado in
redazione, e, siccome non c'è niente da fare per me, scrivo un paio di lettere al
fine di farmi passare per uno che sta lavorando, per una mezz'ora o giù di lì. Poi
esco di nuovo, in cerca di ventura.
Proprio mentre esco in strada mi imbatto in Arthur. Mi stava cercando, dice,
ed è tanto eccitato che riesce a stento a parlare. Prima di potermi dire di cosa si
tratta, deve bere un cicchetto, e non può neanche aspettare che attraversiamo la
strada per andare in un locale dove mi fanno credito... no, entriamo nel bar che
sta accanto all'ufficio, dove io non godo più credito da almeno un mese.
Viene fuori che la nostra piccola amica Charlotte è stata a trovare Arthur. Lui
non era in casa, ma lei gli ha lasciato un biglietto... un invito per entrambi noi di
andarla a trovare. Arthur si sta cacando sotto, e insiste a leggere il biglietto ad
alta voce, affinché io non ne perda neanche una sillaba.
"Figurati, quella piccola fica che viene a casa mia," balbetta. "Gesù, non riesco
a immaginare cosa avranno pensato quando squillò il campanello e c'era là lei,
davanti alla porta... Penseranno che io sono matto, a casa mia... Ecco, leggi
questo pezzo di nuovo... che cosa significa, se non un invito ad andarla a trovare
e chiavarla? Gesù, non te l'avevo forse detto che era troia? Te l'avevo detto o no?"
Ingolla il suo pernod e ne ordina un altro. "Senti, Alf, come stai a fegato oggi? Hai
del fegato? Mio dio, io non ce l'ho il coraggio di andar là ed affrontarla da solo...
ma se venissi anche tu sarei a posto..." Mi guarda ansiosamente, per vedere come
prendo la cosa. "Ascolta, Alf... stammi bene a sentire... Puoi provarla prima tu.
Andiamo là insieme e tu la chiavi per primo e poi monto su io... Cristo, non ero
mica obbligato a dirti niente, di tutto questo, sai... Sarei potuto andar là e
scoparmela da solo. Ma non sono il tipo, io, Alf... non è da me. Solo, hai mai
sentito una cosa del genere in vita tua? Chi ha mai sentito dire che una nana era
una troia? Diamine, non avevo mai neppure pensato, prima d'ora, alla vita
sessuale dei nani..."
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Non sono affatto sicuro che Arthur non stia facendo castelli in aria. Lui ci ha
letto, in quel biglietto, molto più di quanto non ci sia effettivamente scritto:
l'unica cosa che, lì, venga offerta, senz'ombra di dubbio, è una bevuta. Ma ho fede
nei presentimenti di Arthur, se non ne ho nei suoi ragionamenti. E questa
faccenda della nana è tanto pazzesca ch'è allettante. Insomma, andiamo a
trovarla.
Charlotte viene ad aprirci. Sembra una bambola. È tutta contenta di vederci.
Ci fa accomodare. Ed ecco che, appena ci siamo seduti, entra un cane poliziotto,
enorme. Sembra aver intenzione di sbranare Arthur e me.
Se non fosse la fifa, sarebbe divertente veder la nanetta lottare con quel
bestione. Gli si aggrappa al collo e lui la solleva a mezz'aria, senza alcuno sforzo,
e la fa girare intorno. Charlotte gli dà delle botte sul muso, lo sgrida, dice che le
sue maniere son davvero deplorevoli. Il cane s'acquieta, quasi immediatamente.
Basterebbe che abbaiasse, per scaraventarla a terra, invece mette la coda fra le
gambe e se ne va via mogio mogio.
Charlotte dice che intende rinchiuderlo, quindi gli corre dietro, dimenando il
minuscolo culo con l'efficienza di una donna di normali dimensioni.
Sottovoce Arthur mi fa: "È chiaro perché si tiene in casa quella bestia. Cristo,
hai visto che nerbo? "
Al secondo bicchiere è tutto chiaro. La nanetta comincia a far la gatta per
avere l'uccello. Si comporta, a tal riguardo, come una qualsiasi donna. Tutto
quello che diciamo Arthur e io, lei lo trova enormemente divertente.
Quella piccola fica! È affascinante, seduta su quella poltrona troppo grande
per lei. Accavalla le gambette e si tira su la gonnella per farci intravvedere il suo
tesoro... Ma come cazzo fai a portare una nana a letto con te, ecco una cosa della
quale non ho mai avuto modo finora di preoccuparmi, e non so proprio come
regolarmi, adesso. Guardo Arthur. Arthur mi guarda e sogghigna. Seguitiamo a
bere l'ottimo scotch di Charlotte... e lei ingolla un bicchiere dopo l'altro, come
fosse acqua fresca. Non ce ne vorranno molti, per produrre qualche effetto su di
lei...
Il liquore la colpisce all'improvviso... un momento fa era a posto... e, d'un
tratto, adesso c'è dentro fino al collo. Io non mi rendo conto di quello che è
successo se non quando mi alzo per versarle un altro bicchiere... Mi sto
sporgendo sopra la poltrona dove lei siede, volgendo la schiena a Arthur, e, prima
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che me ne accorgessi, lei ha allungato una mano verso il mio cazzo e ha
agguantato il davanti dei miei pantaloni. È una sensazione strana, una manina
verso il mio cazzo. È una sensazione strana, quelle dita di bimba che armeggiano
lì. La lascio fare. Lei lo palpa e lo accarezza come certe donne smaneggiano una
pelliccia, reggendo il bicchiere nell'altra mano.
"E a me niente?" dice Arthur... ed è chiaro che non allude al whisky.
La piccola fica non smette neppure di giocare con me. Ha le mani cosi
minuscole che può infilarle dentro la mia pattuella senza slacciare neppure un
bottone... e mostra come si fa... mentre rivolge quel suo sorriso di bambola ad
Arthur... "Non sei venuto vicino a me," gli dice. A quanto pare, Arthur ha
dimenticato tutto, riguardo al nostro accordo. Si alza dal divano e si siede
sull'altro bracciolo della poltrona di Charlotte, compiendo la mossa più veloce che
io gli abbia mai visto compiere.
"Non badare a quel tizio," le dice. "Qua, assaggia questo... Non è un portento? "
Le toglie il bicchiere e le depone la mano sopra la sua pattuella. "Non star a
perdere il tempo con quello che ha lui... Eppoi, non si sa mai, con un tizio come
quello là... Dove è stato la settimana scorsa? Lo sai? Lo sa forse qualcuno?
Diavolo, probabilmente non lo sa nemmeno lui... Qua... stringilo un po', e vedrai
quanto diventa grosso."
Charlotte ride come una sciocchina e ci dà, a entrambi, una strizzata. "Sono
stata una sciocca, a invitarvi," dice poi. "Ahimé, sono troppo grossi, per una
povera piccola ragazza come me, di modeste ambizioni."
"Faccele vedere, le tue ambizioni," dice Arthur. "È la prima volta che la sento
chiamare così." Ride della sua battuta. La trova spiritosa. Dev'essere sbronzo.
Ma Charlotte non ce la mostra. Si limita a tirarsi su le gonne e a mostrarci le
coscette. Arthur dice che non basta. Lei tira la gonnella un po' più su. Ha un paio
di mutande che sembrano fatte di tela di ragno. Ho paura di toccarle: potrebbero
restarmi in mano. Ma le sue cosce hanno un aspetto più sostanzioso... Bisogna
che le palpi. Lei non sembra farci caso...
Charlotte smette di gingillarsi con i nostri cazzi e si mette i due diti indici sulle
cosce, sugli inguini. "Vedete?" È larga così, lì. Come potrebbe disporre di qualcosa
abbastanza grande per quello che abbiamo in mente noi? E quanto all'altro
verso... va da qui... a... oh, da qualche parte giù di sotto. Alza una mano, per
darne con il pollice e l'indice la misura... "Non più grande di così," dice.
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"Senti... che diresti di farcelo sentire?" dice Arthur. "C'è qualcosa che debbo
scoprire, riguardo a quella cosa... Qua... assaggia ancora il mio uccello... Tu tasti
me e io tasto te, d'accordo?" Parla a Charlotte come Se lei fosse una bimbetta, e
non capisse molto bene le cose. "Forse è troppo piccola, come dici tu, ma c'è
qualche altra cosa di cui voglio rendermi conto al riguardo..."
Lei non gli permette di infilarle le dita sotto le mutande... Lui si morde le
unghie, dice, e la grafferebbe... Quindi, dovrà togliersi le mutande, ecco tutto, e
spera che non ci dispiaccia... "Se volete, voltatevi pure dall'altra parte... No?
Bene..." Punta le scarpine dal tacco alto sul cuscino della poltrona e solleva il
culo... Io le tengo su il vestito perché il ventre resti a nudo, mentre lei si dimena
per sfilarsi le mutande...
Arthur e io ci scambiamo uno sguardo. È pelosa, altroché. Allungo una mano,
battendo il mio amico sul tempo. È una piccola figa perfetta. Piccola fuori, ma
non tanto piccola dentro. Passo un dito lungo la fessura. È una fica di donna in
miniatura. Più piccola di quella di Tania, suppongo. Quando rialzo gli occhi, la
nanetta mi strizza l'occhio.
"Ti piaccio?"
Un giorno troverò una donna che non mi farà questa stupida domanda mentre
la tasto, e ci sono dieci probabilità contro una che, quando ciò avverrà,
m'accorgerò che quella ha ingoiato la dentiera ed è morta soffocata. Cazzo! Ma è
come domandare se ti piace respirare! Una figa è una figa e sono tutte, cazzo,
uguali! L'una vale, cazzo, l'altra.
Ma Charlotte è veramente una troietta eccezionale... Non mi trattengo dal dirle
che lei è, per me, un eccellente meccanismo. Bisogna ammirarla, come si ammira
un piccolissimo ma perfetto orologio...
Arthur sta impazzendo, nell'attesa di metter le mani sulla bonne-bouche di
Charlotte. Lei gli ha aperto la pattuella, adesso, gli ha tirato fuori il cazzo e lo
palleggia fra le mani... ma a lui, più che questo, interessa quello che sta
succedendo laggiù da basso. Io sto tastando il culo di Charlotte... È morbido come un cuscino di piume. Spero che non si ammacchi facilmente, dato che non
resisto alla voglia di dargli dei pizzichi.
Arthur è stupefatto, quando mi subentra. La prima cosa che gli viene in mente
è di chiederle se ne ha qualche fotografia... Potrebbe guadagnare una barca di
soldi — le suggerisce — solo a vendere foto di quel culo... magari con accanto un
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metro, un asse millimetrato, tanto per dar l'idea delle esatte dimensioni...
Frattanto, Charlotte mi slaccia la pattuella e tira fuori John Thursday per fargli
prendere una boccata d'aria. Sospira... lo trova stupendo... Charlotte sarà una
nana, ma ha voglie da donna normale sotto la coda.
Arthur vuole portare Charlotte sul divano e svestirla...
"Non aver paura," le dice, rassicurante. "Diamine, la tua fica è bella grande...
Ti assicuro che ne ho chiavate di più piccole, tante volte. Guarda, io non ho mica
un cazzo tanto grosso, dopo tutto... Anzi, se ne prendi le misure ti accorgi che
non è affatto grosso. Sembra grosso, lì per lì. Domandalo ad Alf, te lo dirà lui."
Frattanto, smaneggia qualcosa che sembra un pezzo di idrante da pompieri,
tutto rosso... Ma la cosa sembra perfettamente logica alla piccola Charlotte. Lei ci
guarda entrambi... Non riesce neanche a circondarlo con le dita, il mio cazzo, ma
annuisce... Beh, forse... E Arthur dice che, se non possiamo chiavare, possiamo
però trastullarci l'un con l'altro...
Charlotte si corica di traverso al divano. È così piccola che i suoi piedi non
arrivano al bordo, una volta che le abbiam tolte le scarpe... Arthur potrebbe farla
sparire, una sua scarpa, dentro una mano chiusa a pugno. Gesù, quanto sesso è
racchiuso in quel minuscolo involucro; Charlotte ne ha quanto una fica normale
qualsiasi... e sta tutto stipato in quel piccolo corpo caldo, rovente... Lo senti
trasudare, quando la tocchi...
La maggior parte delle nane che finora avevo visto sembrava dei ponies delle
isole Shetland... tonde e grasse e piuttosto informi. Ma, come può capitarti di
vedere, di tanto in tanto, uno di quegli animali che sembrano avere proprio le
armoniose proporzioni di un cavallo, con una testa che si addice al resto, così
questa fica è una vera donna in miniatura. Ha le forme di una donna... di una
donna ben fatta, oltre tutto... e usa il suo corpo come lo userebbe una donna due
volte lei di dimensioni. Prima che ci si spinga troppo oltre, io comincio a sentirmi
troppo grosso e goffo accanto a lei.
Ha magnifiche tette... Sono così piccole che, quando metti una mano sopra
una di esse, la nascondi completamente, ma, nelle loro proporzioni, sono
regolarissime... Non ci sarebbe modo tuttavia di farsi una "sega alla spagnola"
mettendo il cazzo in mezzo a quelle tettine lì... L'uccello di Arthur sembra una
mazza da baseball, quando lui ci prova, più tardi... Ma è una sensazione
completamente nuova, succhiare delle tette che ti entrano in bocca per intero...
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Arthur ha trovato qualcosa di cui lagnarsi... Vorrebbe tanto aver con lui la sua
Kodak. Non per scattare foto oscene, dice a Charlotte... vorrebbe solo avere una
foto di lei sul divano accanto a lui... tanto per vedere il cazzo di cui lui dispone e
la cosina di cui dispone lei per riceverlo. Charlotte si risente, a tali parole... Che
razza di ragazza crede lui che lei sia, dopo tutto? Ma il risentimento non le
impedisce di agguantargli l'uccello non appena lui si spoglia... Arthur e io ci
corichiamo a fianco a fianco e Charlotte siede in mezzo a noi, baloccandosi con
entrambi...
È facile infilare un dito nella fessura che lei ha fra le cosce. Charlotte ha la fica
sugosa come un'altra donna qualsiasi... non c'è problema, quando fai come si
deve... E a lei piace molto farsi diteggiare così... Si adagia e allarga le gambe e
lascia che noi si proceda tranquilli.
Arthur si annusa le dita, guarda la fica della nana, poi guarda me. Fa per dire
qualcosa, ma resta zitto. Quello che pensa è ovvio... Alla fine si fa coraggio. Si
china e dà una bella annusata a Charlotte. Lei serra le cosce intorno al suo collo
e gli strofina la fica sul muso. Arthur alza gli occhi su di me e mi dice: "Tu va
pure a fanculo, se non ti piace." Quindi tira fuori la lingua e comincia a leccare
quel conillon e a succhiarlo. Io gioco con le tette di Charlotte.
È una bambola con cui potrei giocare tutto il giorno. Ma Jean Jeudi non
apprezza le cose in astratto, c'è solo un'idea nella sua testa calva: lui vuole
chiavare, e non sente ragioni. Ma io devo aspettare che Arthur tolga il muso dal
truogoletto nel quale si pasce avidamente. aÈ dolce come un melone texano,"
bofonchia fra i peli. Lei gli allaccia il collo con le gambe.
"Pensavate," ci domanda, "che sarebbe successa una cosa simile, quando
veniste qui da me la prima volta? "
Faccio segno a Arthur di tener chiuso il becco, ma lui non sa star zitto. "Come
no! Avevamo anche tirato a sorte chi t'avrebbe scopato per primo."
La nanetta s'offende. Gli dice di smetterla di leccarle la fighina. Ci vuole un
altro cicchetto per farla tornare di buon umore.
Arthur la tempesta di domande. Non biasimo la sua curiosità ma, perdio,
manca di tatto. Prima cosa vuol sapere se tutte le "persone piccole" (termine
ch'egli ritiene delicato) hanno gli organi genitali come lei. Charlotte gli risponde
che certune di loro hanno vulve enormi e altre invece piccoline. I maschi, idem. Il
problema, dice Charlotte, è trovare la taglia giusta.
114
Poi Arthur vuol sapere se Charlotte è stata mai chiavata, prima d'ora, da un
uomo di statura normale. Lei si rifiuta di rispondere a questa domanda. Io dico
ad Arthur di piantarla, poiché ho intuito — dall'aspetto che ha — che sta per
domandarle del cane poliziotto... Macché! non mi dà retta. E prima che io possa
impedirglielo, lui le fa quella domanda imbarazzante. Io agguanto Charlotte prima
che lei possa incazzarsi e dirgli, papale papale, di andar nell'altra stanza e
domandarlo al cane, personalmente... Cazzo! Fra un po' le domanderà se ha mai
fatto pompini all'uomo di caucciù...
A questo punto Arthur deve sentirsi un po' a disagio con la propria coscienza...
fatto sta che prende su ed esce dalla stanza, con il bicchiere in mano... Solo
quando lui lo racconterà a Sid, un paio di giorni dopo, verrò a sapere che uscì
dalla stanza, semplicemente, per andare a dar un'occhiata al bagno e vedere se
anche il cacatore fosse di dimensioni ridotte...
A Charlotte sembra piacere l'odore del mio cazzo... Giace bocconi con la faccia
sul mio pube e seguita ad annusarlo mentre mi fa solletico alle palle. Finalmente
tira fuori la lingua e dà una leccata alla cappella... Spalanca la bocca più che può
affinché io possa infilarglielo dentro... Ci riesco a mala pena... Nessuna donna di
normali dimensioni troverebbe un cazzo troppo grosso per lei a tal punto.
Charlotte non può essere troppo delicata, per quanto riguarda succhiare gli
uccelli... dal momento che questo a momenti la strozza.
Quando la metto sotto, lei allarga le gambe, ma io, lì per lì, non riesco a
infilarla. Sto lì a guardare finché lei comincia a dimenarsi e gemere. Allora
Johnny comincia a cozzare con la testa. È come cercare di scopare una bambina.
Anzi, peggio, perché Charlotte ne ha una voglia matta e, se fai cilecca, lei impazzisce.
Ho paura di spaccarla in due come una pesca spaccarella. Invece, il cazzo
entra senza che lei emetta un lamento. Guardo: il rigonfio si vede da fuori.
Lei mi morde i capezzoli e mi dice di fotterla. È talmente arrapata che me lo
chiederebbe anche se avessi un uccello il doppio più grosso.
Una volta penetrato, il pene va liscio. Forse lei non sarà più la stessa. Forse il
suo fighino non sarà più quello di prima, ma non importa. Glielo do fino a
farglielo uscire dalle orecchie. Lei chiede: ancora, ancora. Avresti detto che si
sarebbe spaventata, una fighina come lei. Invece, macché. È puttana dalla testa
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ai piedi. E se ha paura di una cosa, ha paura di non ricevere tutte le chiavate che
vuole.
Dove cazzo lo mette il mio cazzo, quando l'ha preso in fica, non lo so. Se non le
esce dalla bocca adesso, non le esce mai più... quindi l'agguanto per quel culetto
grassoccio, la giro su un fianco, e glielo do come lo darei a chiunque altro. Non c'è
spazio neanche per un pelo di più, dentro di lei... Le ho dilatato la fica talmente
che tu non potresti infilare una spilla fra il bordo di essa ed il bordo dell'ano. E
chi diavolo, poi, va in giro a infilare delle spille in quel posto? L'ho presa... l'ho
presa per bene... e lei sta ricevendo una chiavata alla quale chi l'ha fatta non
l'aveva predisposta... A un certo punto lei comincia a squittire, a darmi calcetti
sui fianchi. Sta venendo... sta venendo... E mi dimostra che lei sa scopare,
anche...
Charlotte è una di quelle fighe che sembrano esser capaci di seguitare a
venirsene, una volta cominciato, finché seguiti a fotterle. Le molle del divano
rischiano di rompersi... poiché la piccola Charlotte è capace di fare un casino da
matti. Alza la vocetta, solleva il culetto, e da entrambi emette rumori... Meno male
che la portinaia è sorda... sennò verrebbe su a vedere chi stiamo ammazzando, se
udisse strillare così questa troia. Si agguanta le tette e sembra, semplicemente,
mettermele in mano affinché gliele strizzi... il cane comincia ad abbaiare e far
casino, dove lei lo ha rinchiuso... Charlotte ha le cosce bagnate di succo di fica, e
anche il culo, e persino la pancia... devo aver aperto una nuova sorgente, io, nella
sua fica...
John Thursday singulta un paio di volte. Non è abituato ad ambienti così
angusti, e non sembra essere in grado di decidersi. Ma poi lascia perdere... e io
mi metto a fottere Charlotte così forte che lei non squittisce neanche più. Apre la
bocca, ma non ne esce alcun suono. Io mi rendo conto di avere un bel po' di
alcool dentro di me... la mobilia si mette a girare intorno alla stanza a ritmo di
gavotta.
Arthur ritorna, bilanciando il suo uccello innanzi a lui come una pertica. Io
siedo al centro del divano, cercando di tenerlo cheto, affinché non cigoli tanto, e
Charlotte giace supina, giocando con la sua fica. Non appena vede quel cazzo in
erezione, balza giù dal divano e corre verso Arthur. Piccola fica capricciosa! Lo
circonda con entrambe le braccia, quanto può, e gli si aggrappa agli inguini. È
alta quel tanto che basta per arrivare a toccargli la punta del cazzo eretto con le
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labbra, se appena china la testa. Bacia Arthur sul ventre e sul pelo pubico, che
gli cresce fino a metà della pancia, poi, stando lì in piedi, apre la bocca. Resta
così e lascia che lui glielo infili fra le labbra dischiuse.
Forse Arthur si è mezzo masturbato, mentre era di là. O questo, oppure sta
perdendo il suo autocontrollo; poiché, infatti, Charlotte lo sta succhiando da
meno di un minuto, quando lui se ne viene. Charlotte seguita a succhiare più
forte che può, ed entrambi sono felici. Un istante dopo vanno addirittura in
estasi. E Charlotte cerca di inghiottire una pinta di sburra in un sol sorso. A me
sembra di star a guardare un film accelerato...
Poi Charlotte ritorna di corsa da me. "Vuoi che ti ciucci il cazzo?" mi fa. Prima
che abbia il tempo di risponderle, me lo ha già preso in bocca. Vuole che io le
lecchi la figa al contempo. Me la sbatte in faccia. Io la guardo... non sono mai
stato attratto da una figa sburrata. Le mordo le cosce, e lei è felice lo stesso, quasi
altrettanto. Sbava e tuba sul mio tubo. Una sola palla le prende tutta una mano.
Le piace strizzarle, a turno: chissà, forse spera di spremerne più sburra, in questo
modo. Intanto io passo il tempo col suo culo. Il bucetto è stretto stretto. Le piace
sentirselo titillare. Infilzarci l'uccello, neanche ci penso.
Quei ditini di elfo mi fanno ammattire. E quella boccuccia di bambola! Jean
Jeudi non ne può più, e lo lascio sburrare a sua posta. È la fine del mondo,
ejaculare in quel bocciolo di bocca e veder lei ingoiare.
Ho appena finito con lei, e Arthur sta tastandola qua e là, quando s'ode un
baccano d'inferno. Ed ecco arrivare di corsa il cane poliziotto, trascinandosi dietro
il guinzaglio, al quale la padroncina lo aveva legato nell'altra stanza. Si dirige
verso il divano, come un treno. Arthur e io saltiamo oltre la spalliera. Lui si butta
sulla nana.
Arthur afferra la prima cosa che gli capita sotto mano: la bottiglia di scotch.
Senonché il cane non vuole sbranare Charlotte, vuole solo chiavarla. Charlotte
non ha paura. Si vergogna soltanto un tantino.
"Fatti sotto e toglilo via di là," suggerisco ad Arthur. "Non ti farà molto male."
Educatamente, Arthur mi invita ad andare all'inferno... Lui non intende
proprio avvicinarsi a quel figlio di cagna...
Il cane lupo ha sguainato il cazzo, rosso vivo e viscido, e guizzando lo indirizza
verso il nicchio della nana. Conosce la strada, evidentemente.
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"Non c'è due senza tre," dice Arthur. "Pensi, Alf, che dovremmo invitarlo a bere
con noi, quando avrà finito? Ci scommetto che quel bastardo ha da raccontarci
qualche esperienza che varrebbe la pena di star a sentire."
Charlotte balbetta: "No... vattene via... Smettila, Jacques, cattivo... Vattene...
Lasciami... perfido cane! "
"Ma come! stai lì e non fai niente?" dico io, ad Arthur. "Lasci che quel cane ti
porti via la carne?"
E lui: "Ma sei matto? È più grosso di me! Eppoi mi piace, star a guardare. Non
avevo visto mai niente di simile. E tu? Beh... al casino può darsi. Ma certamente
non hai visto mai un cane violentare qualcuno veramente."
Con un colpo di reni ben diretto, il cagnone ficca dentro l'uccello. E si mette a
fottere a cento all'ora.
Charlotte seguita a pregarci, ogni qual volta le avanza un po' di fiato, di
andarcene via.
"Senti, cretino," dico ad Arthur dopo che siamo stati a guardare per alcuni
minuti, "lo spettacolo sarà finito, tra poco. E dopo cosa accadrà? Ha lo sguardo
cattivo, quel cane, te lo dico io... Quando avrà finito di scopare, gli verrà una fame
da lupo. Non me ne frega un cazzo, cosa fai tu, io, per me, me la svigno... a
cominciare da due minuti fa."
Mi avvicino furtivamente al divano per recuperare i miei vestiti. Arthur ci
pensa su un paio di minuti poi si riveste anche lui. Riusciamo a bere un altro
sorso di scotch, e cerchiamo di salutare Charlotte... Ma lei non ci sente...
circonda con le braccia quel suo cagnolone e ricambia il suo amore. Le donne! secondo me sono persone affascinanti, quando impari a conoscerle...
Arthur e io non abbiamo gran che da dirci, riguardo a quella nostra visita,
quando siamo per strada. Ci allontaniamo di un centinaio di passi, poi Arthur mi
agguanta per un braccio.
"Dio mio, Alf, guarda là quella troia! Che taglia! Ti piacerebbe scopartela? Dio,
ti ci smarriresti, sotto quel culo... è quel che sogno per la vecchiaia, per star al
calduccio la notte..."
Sembra proprio una fica enorme. Ma quando ho chiuso un occhio e poi torno a
guardarla, vedo che misura appena un metro e sessanta, di statura...
118
Anna è depressa. Il vecchio che la mantiene è sempre più una rotta di coglioni
— mi dice — e lei non sa come regolarsi. Lui le sgancia un sacco di soldi, ma è
pur sempre una rotta di coglioni.
Oltre tutto, mi fa, mentre stiamo a pranzo insieme in trattoria, vuol conoscere
le sue amiche. E appena le ha conosciute vuol portarsele a letto. Il che andrebbe
anche bene, senonché quelle vogliono grana. E ciò irrita lei, da una parte. E lui
dall'altra: ci terrebbe ad aver un po' di fica gratis, ogni tanto.
Eppoi, come se non bastasse — seguita Anna — il vegliardo pretende da lei che
gli racconti tutto della sua vita sessuale, dei suoi amori, delle sue scopate. "È
roba da mille e una notte, Alf, credimi. Nel senso che mi sembra di esser
Scerazad, e divento matta, a inventare avventure erotiche da raccontargli. Sere fa,
voi ragazzi mi avete offerto, per così dire, materia di canto... e... oh, quanto gli è
piaciuta la romanza! Dopodiché si è ringalluzzito e mi ha scopata con novello
ardore... come se non ne avessi abbastanza di voi quattro. Certi uomini si
arrapano soltanto con parole! "
Eppoi, quando il vecchio ha gente in casa — uomini d'affari perlopiù — gli
piace sfoggiare lei, far vedere che magnifica fica ha per le mani. Non solo,
pretende che lei gli si strusci addosso, davanti agli ospiti, che si mostri arrapata
di lui, che gli tasti i coglioni, che si lasci tastare la fica, il culo e le tette in loro
presenza. Dopo un po' lei deve uscire con una scusa e chiamarlo, desiderosa,
dalla stanza accanto. Lui allora la raggiunge. La smaneggia, e poi tornano insieme
in salotto, dagli ospiti, e il vecchio fa le viste di allacciarsi la pattuella, mentre lei
è tenuta a comportarsi come una giovenca che ha appena ricevuto il toro in
primavera.
"Eppoi, adesso gli è venuta un'altra idea. Vuole che mi porti in casa un bel
garzone nerboruto e mi faccia sgangherare da lui sotto i suoi occhi di voyeur. Io
mi rifiuto, assolutamente. Magari, poi dopo, è muso di fare l'offeso, il geloso... e
magari gli spara una revolverata, al mio montone! In tribunale — dato che siamo
in Francia — se la caverebbe con una mite pena, invocando il delitto d'onore."
Io trovo la cosa incredibile, ma Anna mi assicura che, se conoscessi il tipo, non
stenterei a crederlo da tanto. A questo punto le mostro le foto che ho sottratto a
Ernest e che ritraggono lei in pose audaci. Anna si piscia sotto. "Ah, dovevo
aspettarmelo! Che razza d'amici! M'avevano detto che mi fotografavano solo per
sfizio... Se li incontro gli stacco le palle!"
119
"Dovresti essere contenta," le dico. "Mezza Parigi si starà facendo delle seghe
per te!"
In quella arriva Raoul. Ha da dirmi una cosa, mi fa, e siede con noi a prendere
il caffè. Si vergogna a parlare in presenza di Anna. Allora lei si allontana con la
scusa di andare al gabinetto.
"C'è mia cognata che ti vuol conoscere," mi fa Raoul, appena siamo soli. Ha un
vecchio debito con me, e conta di saldarlo in questo modo. "Se vuoi ti fisso un
appuntamento."
"Ma se poi non mi piace? Metti ch'è una racchia!"
"Macché racchia. Mio fratello ne va pazzo."
"Come sai che con me è disposta a starci?"
"Le ho parlato di te. Non vede l'ora!"
"Non ci saranno complicazioni?"
"Oh, no, sta' tranquillo. Se dovesse far la stronza... non lo farà, ma metti il
caso che facesse la stronza... saprei io come ricattarla. So certe cose che lei non
vorrebbe che arrivassero all'orecchio di mio fratello."
"Non mi vado a cacciare in un pasticcio?"
"Te l'ho detto, sta' tranquillo. Sistemo tutto io. Vi incontrerete in campo
neutro."
"Fa bocchini?"
"È un'egregia pompinara."
Anna mi conduce da due sue amiche. Non sono in casa, ma c'è un biglietto
sulla porta, dove dice che torneranno presto. Entriamo. Anna siede sul divano e
chiede di guardare nuovamente quelle foto. Le rimira e si arrapa di se stessa. Non
mi resta che scoparla, per farle passare quel prurito.
Lei dice che non è il caso, e che qua e che là, ma però non fa niente per
fermarmi. Le tolgo le mutande, tiro fuori l'uccello. Siamo a questi preludi quando
arrivano le sue amiche. Sono giovani entrambe, sui vent'anni.
Si instaura subito un clima di cordialità. A malincuore riingabbio l'uccello e
Anna si rimette le mutande. Le due fiche sono due americane, Jean e Billie. Billie
porta scritto in fronte ch'è una seguace di Saffo. È lei quella che ha i soldi, mentre
120
Jean, una bella biondina tipo mammola, non saprebbe come sbarcare il
lunario da sola.
La biondina è arrapata da morire. Mi guarda gli inguini come se s'aspettasse di
vedere l'uccello saltar fuori come uno di quei babau nella scatola a molla. "Mi
domando se è stata una visione," dice, celiando. "In tal caso vuol dire che sono
una santa."
"No, no, è vero, sta' tranquilla, un uccello di carne e ossa, ma senz'osso," le
dice Anna. "Vuoi vederlo di nuovo?"
"Mah... forse fra un po'. Dammi tempo di acclimatarmi," dice, e mi strizza
l'occhio.
Billie ci mostra un libro che ha illustrato lei. Pare che le lesbiche eccellano nel
disegno. Anna guarda una di quelle illustrazioni e scuote la testa, criticamente.
"Chiunque abbia mai fatto un bocchino," dice, "capisce sùbito che l'artista non ha
mai preso un uccello fra le labbra."
"In che modo?" domanda Billie.
Per tutta spiegazione, Anna tira fuori una delle sue foto, gliela mostra e dice:
"Ecco. Vedi la differenza?"
Restiamo lì a chiacchierare amabilmente e trascorre così un'ora, ridendo e
scherzando. Billie non ha fatto altro che maneggiare la sua Jean, la quale però
non ha occhi che per me.
"Ogni volta che vede un uomo," dice Billie, "Jean dà in smanie."
"È gelosa," dice Jean. "Vorrebbe che mi spogliassi solo per lei. Ma io ho voglia
di spogliarmi adesso, qui."
Guarda verso di me. L'uccello mi vola come un dirigibile e ho smesso di
ricacciarlo giù sotto i calzoni. Non so cosa fare. Non mi sono mai trovato prima
d'ora in una situazione come questa. Tre, cazzo, sono troppe per un cazzo solo. E
Jean non è l'unica che fa la gatta per aver l'uccello. Anna lo vuole anche lei. E
Billie ha qualcosa in mente, Gesù sa cosa.
A un tratto, rompendo gli indugi, afferra Jean e la sbatte sul divano, uso
apache. "Ti ribelli, puttanella?" dice, quando l'altra comincia a divincolarsi e
scalciare. "Volevi farti vedere da lui nuda, no? Ora ti spoglio io, così vedrà!"
Non vorrei trovarmi a meno di un metro di distanza dai tacchi a spillo di Jean.
Si comporta come se volesse staccare a Billie la testa dal collo. Ma Billie non ha
paura di lei. Magari ci giocano spesso, a questo gioco. Comunque è un bello
121
spettacolino. Jean si tira su la gonna per poter meglio scalciare e ha un magnifico
paio di cosce butirrose. Ma Billie le si incunea fra le gambe e non tarda a pigliare
il sopravvento.
È davvero eccitante vedere quelle due fiche lottare fra di loro. E non mi
stupisco quando Anna viene a sedermisi sulle ginocchia. Ha l'interno delle cosce
tutto madido di già. Il sugo ficale le cola fino ai ginocchi. E ha indosso l'odore che
ha il tuo letto quando ci hai dormito per tre notti e tre giorni di fila con fighe. Mi
agguanta l'uccello e comincia a giocarci, dopo essersi tolta le mutande.
Jean si difende come meglio può. Sa, ormai, che non potrà impedire a Billie di
spogliarla, quindi si dà a sua volta a spogliare Billie. Di lì a un po' sono entrambe
seminude. Anche se è lesbica, Billie ha belle forme. E anche se so che io non le
interesso, lei mi arrapa lo stesso. Quella bella fica è stata creata pel cazzo! John
lo sa, questo, e s'incazza.
Billie alla fine è riuscita a togliere a Jean quasi tutti i vestiti di dosso... e anche
a lei ne son rimasti su ben pochi. Grida a Anna e a me di dare un'occhiata, ben
bene, alla sua troia. La vogliamo sentir urlare? Le dà pizzicotti sulle tette. O
sennò vogliamo veder meglio la sua bonne-bouche... allora prende Jean per il
culo e la rigira e le fa solletico agli inguini. Forse vuole che noi le contiamo i peli...
incomincia a giocare con la fica di Jean e a farci scorrere dentro il dito... Jean si
acquieta...
Anna ha il vestito tirato su fino al ventre e adesso si slaccia il corsetto per tirar
fuori quelle sue meravigliose tette. Billie sta coricata di traverso a Jean e guarda
la fica di Anne mentre gioca con quella di Jean. Jean ha una mano fra le cosce di
Billie, ma non riesco a vedere cosa stia facendo esattamente. Anna vuole che
giochi con le sue tette... si sporge e me le scuote sotto il naso.
"È mai stata a letto con te, quella fica?" le domando in un bisbiglio. "Ti guarda
come se volesse mangiarti..."
Evidentemente questo non è affare che mi riguardi... Anna mi ammonisce col
dito e non mi risponde. Poi allarga maggiormente le gambe affinché Billie possa
meglio vederle la fica... Jean e Billie hanno smesso di lottare, adesso stanno
sdraiate, tranquille, e pian piano si finiscono di spogliare a vicenda finché sono
entrambe nude come galline spennate tranne per un piccolo posto... Anna si sfila
le calze. Poi decide ch'è ora, per lei, di levarsi il vestito. Io non sono il tipo da
trovarmi in dissonanza con il resto del mondo, quindi mi spoglio anch'io. E
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mentre mi spoglio, loro si arrestano — tutte e tre quelle troie — e non fanno altro
che starmi a guardare... Jean squittisce e rimbalza sul divano... ne vuole un po',
di quell'affare... un tantino, ne vuole! proclama al mondo intero.
Billie le dice che forse ne avrà un po', se farà la brava... Cazzo! Io per me
preferirei darglielo se facesse la cattiva... Anna è scivolata giù fra le mie ginocchia
e sta giocando con il mio cazzo, strofinandoselo sulla faccia, mentre guarda le due
fiche sul divano. Jean d'un tratto abbranca Billie per il culo e l'abbraccia: si
baciano come due liceali innamorate e — se tu vedessi come muovono il bacino —
diresti che stanno chiavando. Giacciono là strofinandosi il ventre, le tette e la fica
insieme, ed è roba da farti strappare i capelli... vederle eseguire così quei
movimenti, senza arrivare da nessuna parte.
"Fagli vedere cosa mi fai tu," dice Jean. Gesù Cristo, t'aspetteresti un po' di
pudore, un po' di reticenza, da due donne. Invece quelle troie sono proprio
spudorate. Billie accosta la faccia al flavo boschetto di Jean, la mordicchia sugli
inguini, poi le bacia la fessura... incomincia a succhiarla... senza far caso a noi,
senza preoccuparsi di null'altro al mondo. Anna allora si mette a strofinarmi le
tette sul cazzo. Tiene d'occhio sia le due fiche sul divano sia Jean Jeudi. Se lo
cela fra le tette e gli fa fare la nanna, cullandolo pian piano, dolcemente.
Giannetto è tutto contento. Anna ha un paio di tette che "scopano" meglio persino
di certe fiche.
Jean è ormai stufa di farsi leccare la fica da Billie... dopotutto è la solita
minestra... ed è ora di assaggiare qualche altra pietanza. Ma Billie non la molla. E
le sbatte la sorcia sul muso, imponendole di leccargliela. E intanto la compre di
improperi. "Vuoi far credere che non ti piace, eh? Ma s e l'hai leccata pure a mia
sorella, quando è venuta a trovarmi!. E a quale delle mie amiche non l'hai
leccata? Ah, troietta! ora vuoi fare la santarellina? Non ti si può lasciar sola un
momento, che ritorni o con la fica piena di sburra o con la bocca piena di peli di
fica! "
Anna seguita a strusciare le tette contro il mio cazzo, ma d'un tratto apre la
bocca e mi invita a ficcarglielo dentro. Io ho tanta fretta di entrar lì, che quasi
glielo ficco giù in gola... Tutto quel che riesco a vedere di Jean è il suo culo e le
gambe che oscillano, ma dai rumori che escono da sotto il culo di Billie posso ben
figurarmi tutto quello che non riesco a vedere. Billie serra fra le cosce la testa di
123
Jean, come un fantino... si sporge in avanti e sobbalza su e giù... le mancano
solo gli speroni e un frustino...
Anna salta su... giusto in tempo, poiché, di lì a un minuto, me ne sarei venuto.
Si avvicina al divano e io la seguo. Jean ha gli occhi chiusi e si pappa la sorcia di
Billie come fosse una pesca sciroppata, con gusto. Anna ha un'idea pazzesca.
Vuole che Billie mi ciucci il belino. Io, per me, non avrei mai osato avanzare una
proposta del genere. Ma Anna ragiona così: "Io sono eterosessuale, però ho
leccato fighe. E così non vedo alcun valido motivo, Billie, per cui tu, omosessuale,
non possa, una tantum, fellare un uccello."
Pur essendo una lesbica, Billie è abbastanza ragionevole. In genere, le
safficacce danno in escandescenze, a un invito del genere. Invece Billie prende la
proposta in considerazione. Ci ridette un pezzo su, poi dice: "E va bene, ci sto. Se
tu, Alf, sei d'accordo, s'intende."
Io non chiedo di meglio. Mai rifiutato, un'offerta di pompino da nessuno, omi o
donne. Parcheggio il culo sul divano e attendo gli eventi a cazzo fermo.
Billie smonta da Jean e mi si accosta. Mi esamina l'uccello da tutte le parti,
come se fosse (ed è, per lei) una rarità — rara avis — quindi dice, rivolta a Anna:
"Non voglio suggeritori dietro le quinte. La teoria la conosco, e me la caverò
benissimo da sola, anche in pratica."
Si inginocchia davanti a me e si incunea fra le mie ginocchia, e, dopo avermi
guardato il cazzo per un attimo, alza gli occhi su di me. Imita alla perfezione lo
sguardo della donna vogliosa, innamorata, che contempla la luna... se non
sapessi chi è, giurerei che va pazza de! mio cazzo e che solo al pensiero di
ciucciarlo... Poi comincia a giocarci... Non che Gian Giovedì abbia bisogno di venir
sollecitato mediante giochini, ma questo fa parte della sua teoria, suppongo. Poi...
dentro.
Questa fica sa essere dannatamente convincente... comincia a tubare e
sbavare sul cazzo come se non ci fosse niente al mondo che le piace di più. Mi
circonda con le braccia e mi stringe, mi strofina le tette contro le ginocchia, gioca
con le mie palle... e quando non mi succhia il cazzo, o mi bacia le palle o mi fa lo
shampoo al ventre.
In base ai suoi stessi criteri, Billie si sta comportando da zozzona. Le vedi,
queste lesbiche, al caffè, occhieggiare tutte le fiche che entrano e offrir da bere a
quelle che intendono adescare... e io sempre mi domando che cosa gli
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succederebbe, se ricevessero una bella chiavata. Ma non puoi mica avvicinarti
loro. Certe di loro sono belle fiche, pure, ma non hanno alcuna voglia di farsi
mettere le mani sotto la gonna da un uomo, più di quanto tu non avresti voglia di
chiedere, al tizio che viaggia accanto a te in metrò, di tirarsi giù i calzoni e farsi
fare una pugnetta... Lo so... ho cercato di rimorchiare alcune di loro.
Persino Billie, se la sua teoria è giusta, dovrebbe sapere quello che succederà
se seguiterà a succhiarmi l'uccello a quel modo. Jean e Anna si pisciano quasi
nelle mutande, in attesa di quello che sta per accadere... Io non voglio deludere
nessuno... mi trattengo fino al limite dello spasimo: voglio dargliela tutta in una
volta, se ci riesco... Voglio ingozzarla con un prodigioso getto di sburra.
Billie sapeva quello che diceva, quando asseriva di non aver bisogno di alcun
aiuto. Io sto pronto ad afferrare la puttana per la testa e tenergliela ferma,
casomai tentasse di fare la furba, quando avrà la bocca piena di sburra... ma sto
perdendo tempo. Giureresti che le piace, quella roba. Lancia un'occhiata a Jean
quando Johnny incomincia ad ejaculare, e, quando vede la sua amica guardarla,
ingoia la sburra. Jean allora agguanta Anna per le tette, e diresti che, là, sta per
aver luogo qualcosa di interessante... senonché Jean si contiene, prima che Billie
la sorprenda... Non appena io ho finito di venirmene, Billie agguanta Jean... ma
non per leccarle la fica, come pensavo che avrebbe fatto. No: circonda Jean con le
braccia e la bacia sulla bocca. Stanno abbracciate e fanno lingua in bocca per un
bel pezzo... Jean sussurra a Billie, di nuovo, che è una pervertita, una
sporcacciona, una bocchinara.
Anna allora interviene, con Paria di una che è stata esclusa dalla festa. La
sorcia le rode, dice, e c'è qualcuno che vuol fare qualcosa al riguardo? Billie allora
l'abbraccia, e incomincia a palparla... si mettono a giocare fra di loro... e non c'è
tanto da stupirsi, quando Billie infila la testa fra le cosce di Anna e comincia a
leccarle quella succolenta trappoletta.
Jean sta dietro Billie, titillandole gli inguini e spingendole un dito su per la
fica. Cristo, con tutto quel ben-del-cazzo in mostra, mica posso starmene, io, con
le palle in mano! Vado oltre e agguanto Jean. Giannettaccio non è al meglio della
forma, ma questa puttana sa ben cosa fare al riguardo, sa come dargli tono, come
farlo rigoglioso. Allarga le gambe, mi fa giocherellare con la figa, mentre lei mi
massaggia il belino.
125
È arrapatella, è calda e su di giri, questa Jean. Pochi minuti in mano sua
bastano a darmi un cazzo che fa faville. E lei è tanto vogliosa che ansima come
una cagna trafelata. La sua fi-ghetta è aperta al punto giusto. È graziosa e
grassottella. Se c'è una cosa che non mi piace, sono quelle fiche ossute, spelacchiate.
A Billie non importa quel che faccio alla sua Jean. Probabilmente non gliene
importerebbe comunque, ma adesso è troppo presa da Anna — alla lettera — per
aver tempo per alcunché d'altro. Anna ci guarda, ma Billie non se ne accorge
neppure, quando monto sopra Jean.
Jean non chiava, lì per lì. Tiene le ginocchia sollevate, facilitandomi l'ingresso
dentro di lei, ma la sua collaborazione non va più in là di questo. Si fa solo
scopare, non scopa... e viene scopata maledettamente bene! Il mio cazzo le sta
infilato dentro fino in fondo e va alacremente su e giù... le riempie tutta quanta la
fica. Io la fotto finché la lingua le esce di fuori, penzoloni... e quando se ne sta per
venire, incomincia a scopare pure lei. Allora è come chiavare le Furie.
Guardandomi cavalcare quella piccola fica feroce in quel modo sembra mettere
dell'altro pepe nel culo di Anna. Apre la fica più che può, tanto che sembra
addirittura sbadigliare, la dannata, e Billie sembra entrarci dentro con buona
parte della faccia. Poi se ne viene: quando ciò avviene, non sopporta che Billie
cerchi di montarle su... la spinge via, ma poi lascia che torni a leccarle il succo
che sgocciola giù lungo le sue cosce.
Quando Billie esce fuori da tutto quel po' po' di roba e vede a che razza di gioco
stiamo giocando io e Jean se ne esce in un'invettiva troppo precisa per essere
tanto mascolina quanto Billie aspira ad essere. Solo una donna potrebbe lanciar
improperi tanto avventati e, al tempo stesso, dar loro un significato esatto. Non è
arrabbiata, veramente... ma, da quello che ne so io, le donne della sua risma si
divertono, soprattutto, quando si sputano addosso veleno a vicenda o si prendono
a calci fra loro. Jean non presta neppure attenzione... fotte più forte che mai. Poi
mi getta una gamba quasi sopra una spalla e spinge il culo in fuori affinché Anna
e Billie possano meglio vedere, a distanza ravvicinata, quello che avviene
esattamente in simili frangenti... e entrambi ce ne veniamo...
Subito dopo, mi chiede il mio indirizzo. È la prima cosa che mi chiede, appena
ha ripreso fiato. Cazzo, non lo rifiuto mica il mio indirizzo, a una figa come Jean.
126
Billie mi guarda brutto, ma è Anna a fare la gelosa. A Billie domanda: "Non hai
paura di perderla, la tua amica?"
"Oh, lei deve farsi chiavare," risponde Billie, accarezzando i capelli a Jean, "e a
me non dispiace che vada con uomini. È delle donne che sono gelosa. Se la becco
con una zozza lesbica, le strappo i peli del culo a uno a uno. Ma tu lo sai, Jean,
quello che devi fare, se io dico che va bene..."
Jean lo sa... e là per là ci mostra di che cosa si tratta. Si getta indietro i capelli,
affinché non le siano di intralcio, poi si china a baciare la fica di Billie... È ancora
senza fiato per la bella chiavata ricevuta da me, però succhia la fica di Billie finché questa se ne viene...
L'altra sera, alle otto in punto, vado all'appuntamento con la cognata di Raoul,
presso l'ingresso dell'Orto Botanico. Passano quindici minuti... passa mezz'ora...
Arrivano le nove e quella troia non s'è vista ancora. Perdio, chi manca a un
appuntamento dovrebbe essere messo in prigione. È come rubarti dei soldi. È
pure peggio che rubarti dei soldi. Ti fan perdere il tempo, sciupare la vita. Un'ora
qua... quindici minuti là... dopo un po', se fai la somma, sono anni. Ecco, un'ora
intera mi è stata sottratta. Dove ne trovo un'altra che la rimpiazzi? Gesù, mica si
vive eterni. Non mi restano mica tante ore, che posso scialacquarle a questo
modo. Le donne non ci pensano mai, a certe cose. Non credo che le donne
pensino mai che la fine della vita arriverà pure per loro. O comunque non ci
pensano alla maniera degli uomini. Potete starne certi: se un uomo non è
puntuale è perché è uno stronzo, un ignobile mascalzone; ma anche una donna
in gamba — o quel che gli uomini definiscono una donna in gamba — è muso da
farti aspettare, aspettare, aspettare, senza sentirsi in colpa.
Alle nove me ne vado. Parigi ha questo di bello. Se ti va buca con una fica, ne
rimedi sùbito un'altra. Non resti mai a cazzo asciutto. Quindi vado in un piccolo
caffè e, dopo due o tre cicchetti, rimorchio una tipa. Non è una bellezza ma non è
neanche malvagia. Ha solo fame. La sfamo, poi la porto a nanna con me. Però
sono ancora incazzato per quell'altra puttana.
L'indomani mattina arriva Raoul da me, fresco come la rula. Gli va di fare lo
spiritoso. "Ebbene, com'è andata iersera con la mia cognatina?"
"Senti, Raoul, vaffanculo!"
127
"Hai visto che figa, eh? E tu avevi paura che fosse una racchia! A lei gli sei
piaciuto, da morire. L'ho vista poco fa. Solo, dice, devi essere un po' matto. Eppoi,
senti, l'hai portata in un albergo indecoroso, un cimiciaio! Le hai lasciato certi
lividi m'ha detto... non che non le abbia dato gusto, sul momento. Ma come glieli
spiega a mio fratello... a suo marito, dico! Un'altra volta vacci giù più piano, e poi
portala in un albergo più decente! "
"Senti, Raul, se ti va di pigliarmi pel culo..."
Ci ho messo un pezzo a capire che non mi canzonava, e luci mette un pezzo a
rendersi conto che non sto scherzando. Allora ne deduce che: "Quella stronza si è
fatta scopare da un altro. È stata fottuta, in tutti e due i sensi. Oh, Cristo, sarà
stato un tuo amico a farti 'sto scherzo del cazzo. A chi l'avevi detto, di questo
appuntamento?"
Mi stringo nelle spalle. Si parla, si parla... specie quando hai bevuto. "Ma senti,
Raoul. Possiamo rimediare. Potrebbe venire stasera?"
"E come glielo spiego il qui prò quo? Quella mi mangi vivo. Con te, era per
saldare un debito. Un mio debito. Ma quell'altro se l'è scopata gratis, non capisci?
Mah! Che vuoi che ti dica? Vedrò un po' di rimediare. Non so come. Ora devo
scappare. Ti saluto."
Se n'è appena andato, quand'eccoti Alexandra. Sale le scale tutta trafelata. "È
qui da te, mia figlia?"
Io casco dalle nuvole. A quanto pare Tania, stufa di giocare col suo cagnolino,
è scappata per tornarsene a Parigi. La madre pensava che fosse venuta a cercare
rifugio da me.
"E Peter? Scappato anche lui?"
"No, lui è rimasto in campagna. Non lo sa, dove sia andata sua sorella. E tu,
ne hai idea? "
Alexandra vorrebbe, da me, praticamente, che organizzassi una battuta di
caccia, che mettessi inserzioni sul giornale, e così via. Non l'avevo vista mai così
sconvolta. Le prometto ci farò quel che posso, e lei alla fine se ne va. È sciocca a
preoccuparsi per sua figlia. Conosco Tania, è una che sa badare a sé stessa.
128
Parte seconda
DOUCE FRANCE
Dunque è vero. Tania è calva tra le cosce, calva come un uovo. Di quel
rigoglioso boschetto non restano che alcune stoppie, che si sentono appena a
carezzarla contropelo. E non solo la fica, si è rasa... ma anche il culo... o se lo è
fatto radere... non che fosse molto peloso però...
"È stato Peter, a radermi," mi dice, "con l'aiuto di Snuggles. Non è buffo? "
Dischiude le cosce, si tira su la gonna e si cala le mutande per farmi vedere. È
liscia come la sua faccia. Anzi, più liscia, poiché in faccia ha un po' di peluria,
che si nota quando la luce la colpisce in un certo modo.
"Aveva un aspetto così strano, mentre me la radevano," dice Tania, e dà una
risatella. "Come un cavallo che schiuma dalla bocca. Peter disse che gli sarebbe
piaciuto se io producessi dei succhi ficali così."
Me l'immagino, la scena... Snuggles che regge il bacile di acqua calda, che usa
il pennello, Peter che tiene dischiuse le natiche di sua sorella mentre le passa il
rasoio lungo il solco... Sì, deve essere stato un magnifico piccolo party.
Tania non trova requie. Seduta sulle mie ginocchia, dimena il culo, mi conduce
la mano fra le sue cosce. Ha una smania nella fica. Mi propone di fare dei
giochini: "Vediamo se Jean Jeudi riconosce ancora la mia bonne-bouche."
La riconoscerà, sta' tranquilla. Quella cosa è per lui come la faccia della
Medusa: uno sguardo, e lui si fa di pietra. Ho un macigno, già, sotto i calzoni...
ma Tania sa come ammosciarlo... lei lo trasforma in lava in quella sua fornace, e
lo erutta fuori.
Tania è bagnata fra le cosce. Non ha peli per assorbirlo, adesso, tutto quel
succo, dice... forse dovrà prenderne in prestito da me... e mi mette una mano
dentro i calzoni, agguantandone una manciata. La puttana non chiede più
neanche il permesso, piglia quello che può, e quello che non può prendere da sé,
lo richiede.
"Johnny," dice, "sarebbe buffo senza barba e baffi." Mi slaccia la pattuella, lo
tira fuori e lo guarda. "Sì," dice, "ha bisogno del pelo per conservare la sua
dignità. Se fosse pelato, probabilmente si vergognerebbe e non alzerebbe mai la
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testa. Si demoralizzerebbe. Peter, infatti," soggiunge, "non ha mica voluto che
Snuggles e io lo radessimo..."
Tania mi serra il cazzo, adesso, fra le sue grinfie mortali. Non lo mollerà finché
non avrà spento la sua vita. La sua fighetta rasa è, per lei, come un nuovo
balocco. Se la tocca di continuo, pur mentre gioca con il mio belino. Per Billie —
mi dice — una figa così non è da scopare: è da mangiare.
Billie le piace, oh, sì, la trova in gamba. È come un uomo certe volte Billie,
quando diventa rude. Ti dice di fare una cosa e se non obbedisci subito, guai a te.
Billie è molto robusta. Una volta che t'ha serrata fra le gambe, non scappi più. E
ce n'ha di pelo da strofinarti in faccia!
Le piace anche Jean, naturalmente, ma in modo assai diverso. Con Jean sai
sempre che si tratta di un gioco. Billie invece è mortalmente seria. Però Jean ha
una grazia squisita, nel trivellarti con la lingua. "Secondo me," dice Tania, "ogni
ragazza dovrebbe vivere con una lesbica per un po', anche se intende poi sposarsi
e far la brava signora di famiglia. Ha ragione Ernest. Le lesbiche erediteranno il
mondo."
Mi spoglio. Tania mi sta a guardare. "Vuoi che ti ciuccio il cazzo?" mi
domanda. Non rispondo. E lei: "Allora vuoi ficcarlo qui!" E mi indica la fica,
allargando le gambe.
Le monto su prima che possa richiuderle, a cazzo brandito. Gian Giovedì fa un
po' fatica. Quando Tania aveva il pelo, a lui bastava trovare il punto dove il pelo
non c'era, e infilarsi dentro. Adesso è smarrito. Io do un'occhiata per rinfrescare
le mie nozioni di geografia. Gesù, non stupisce che la Natura abbia dato peli alla
fica! Un'occhiata a questo immondo orifizio basterebbe a farti inorridire, se non ci
fossi già stato prima, se non sapessi che è perfettamente innòcua, non più
pericolosa che attraversare una strada col semaforo verde. Non è l'inferno, dici,
per rassicurarti. Però ci vuol molto coraggio, in un uomo, per affidare il suo cazzo
a una fica. Sembrano le fauci di un mostro... gnam, gnam... e ti inghiotte in un
boccone, prima il tuo cazzo poi te tutto intero.
Un'altra cosa. Quando non c'è un boschetto in cui startene all'ombra, lo
scopare ti sembra essenzialmente micidiale. Il mio pirla non ha modo di entrare
in quel buchetto senza spaccare tutto... un bambino di cinque anni lo capirebbe...
ma né Tania né io abbiamo cinque anni, siamo disposti a far la prova. Le do un
pizzicotto sul culo e, quando lei sobbalza, spingo Gianni sulla soglia. Lui mette
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dentro la testa, poi il resto di lui si infila dentro come una lumaca nel suo guscio.
Non credo ch'egli sappia esattamente dove va, ma ha una fretta dannata
d'andarci.
Chiavare Tania adesso è quasi come scopare una scolaretta delle elementari,
tranne che la scolaretta non sembrerebbe altrettanto nuda. Il mio ventre si sfrega
contro il suo. Fra le sue gambe non ci sono altro che lubricità e una puzzetta e un
calore di fornace ardente. È più nuda di una gallina spennata. Però mi prende il
cazzo come sempre l'ha preso: da donna fatta, fino all'elsa.
Provatevi a sondare il fondo di una troia cui piace davvero scopare! Il fondo
non c'è, la voragine è infinita. Potresti avere, non un uccello, ma una carovana di
cazzi e, lo stesso, non arriveresti mai alla mèta agognata, ti perderesti sempre per
strada... Non finisci mai di precipitare, nell'abisso della fica, una volta che ti ci sei
gettato a capofitto.
E lei, la donna, frattanto ti guarda e ti sorride dolcemente, con sommessa
ironia: l'hai delusa, non l'hai satollata, ma è troppo educata per dirtelo. È sempre
lei che vince. Sempre lei che ti frega!
Il mio cazzo è ora dentro di lei, la fruga, la rimesta, cerca disperatamente il suo
paradiso perduto. Tania mi cinge con le gambe e con le braccia. Formiamo la
bestia dai due dorsi. Ci smeniamo furibondi. Lei mi infila la lingua in bocca.
Lo so che è solo fantasia, ma sento, nella sua lingua, il sapore della fica. Mi
guizza contro il palato... È un sapore dolce, un gusto di frutta, mica un puzzo di
pesce... Un giorno si scoprirà che lo sciroppo ficale contiene tutte le vitamine
necessarie ad impedire la caduta dei capelli.
Non posso scopare Tania soltanto col cazzo. Quella nudità e troppo
stupefacente. Devo sentirla al tatto delle dita. E, abbracciandola intorno alle reni,
insinuo le mani, da dietro, fra le cosce, e le accarezzo la figa, pur mentre la fotto a
colpi d'ariete. Le titillo il buchetto del culo, strizzo, pizzico, strapazzo... alla line,
senza estrarne il cazzo, infilo anche le dita nel suo dolce conillon. Tania trova ciò
magnifico... si dimena sempre più... sembra un paniere di bisce. Ci rotoliamo, ma
lei non scioglie mai il doppio laccio delle braccia e delle gambe. Ho il cazzo in lei, e
lei non vuole assolutamente lasciarlo uscire, neanche un attimo.
Tania non vuole ch'io trascuri quelle sue ancor acerbe tettine. Non ce l'ha da
molto, ed è orgogliosa di esse come un piccione che fa la ruota. Devo giocarci,
ciucciarle, leccarle, mordicchiarle, masticarle... allora capirà che le apprezzo
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davvero. È disposta persino a rallentare il ritmo della scopata, per farsi ciucciare
le tette. Per un po'. Non per molto, naturalmente... Dieci minuti le bastano.
Tornerà a prendersi il tuo cazzo nella fica e a portarti a cavalcare. Sospetto che
ella ritenga che le tette diventano grosse solo se le si maneggia, se ci si gioca... e
sono quasi certo ch'essa adoperi una qualche sorta di preparato per svilupparle...
Diavolo, ero più grande di lei quando provai quella roba sul mio cazzo... Mi parve
lì per lì che funzionasse, ma in seguito mi resi conto che dipendeva solo dal
massaggio... dalla pugnetta, cioè, a esser franco... che accompagnava il trattamento...
Dopo un po' nuovamente mi prega di desistere per un momento e guardarla.
Inarca il busto e allunga le braccia sopra la testa. Allora le piccole tette
scompaiono affatto. "Guarda," mi dice, "sono come quand'ero bambina. Non ti
dispiace, non avermi conosciuto quand'ero piccola? Ti avrei lasciato scoparmi, già
allora, te lo giuro! Ero una bella bambina coi boccoli e, ogni giorno, guardavo
laggiù per vedere se era spuntato il pelo. Ora che ce l'ho, me lo sono raso. Non è
sciocco?"
Si ribalta sul ventre, mostrandomi il culo. "Però allora non avevo un deretano
così grosso. Non avevo queste belle fossette..."
Esamino le fossette sul suo culo. Però mi interessa di più il solco fra le
chiappe. Mi metto in posizione e appoggio la cappella contro il buco del culo.
"Ficcalo dentro! Ficcamelo su! Infila il cazzo nel mio culo e fottimi!" Nasconde
la testa fra le braccia, la sua voce è attutita. "È stretto, il buciolino. Puoi illuderti
che sono una bambina piccola, mentre mi inculi!"
Non c'è troppo bisogno d'illusione. Lei è quasi una bimba, ancora. E adesso,
rasa, è più giovane che mai. Sembra un delitto, fottere una creatura così, un atto
contro natura, ma, di fronte a quel bucio di culo che ammicca, invitante,
Giannettaccio non sa resistere.
Da come le dilata il retto, diresti che Tania dovrebbe accontentarsi di aver
soltanto la cappella in corpo. Macché! lo vuole tutto. Tutto quanto, fino all'elsa! Lo
vuole da matti. E Giannettaccio allora procede, inesorabile, lento come il male,
fatale come la morte, procede pian piano, mentre lei ulula di piacere misto a
dolore.
Lei vuole che, senza smettere d'incularla, io le vezzeggi la vulva. "Oh, hai molto
da imparare, al riguardo," mi fa. "Io so giocare bene con le fiche. Grandi, piccole e
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medie, pelose e pelate. Se ne trovi qualcuna che non sai maneggiare, portala a
me, te lo farò vedere io."
Ben presto però smette di parlare, e ulula come una cagna. Mentre il mio
sperma le inonda il retto, lei se ne viene. Salta come un grillo, con me in groppa.
Vorrei non tirarlo mai fuori, l'uccello, dal suo culo di fanciulla, ma alla fine ci
sganciamo, è giocoforza.
Siamo ruzzolati in terra dal divano.
"Se tu facessi questo stesso servizio a Snuggles, si spaventerebbe tanto, che
andrebbe a nascondersi e non si farebbe più vedere da te, finché resta a Parigi,"
dice Tania. "Devi promettermi di non fotterla a questo modo, se te la faccio
conoscere."
Ho ancora il cazzo in berta. E Tania ci gioca per mantenerlo ancora duro.
Giace sul dorso e vedo la mia sburra trasudare e colar giù dalla sua fichetta rasa.
Tania vuol sapere tutto sui miei rapporti con la madre di Snuggles. "L'hai
chiavata, vero?"
Non rispondo né sì né no.
"E gliel'hai messo anche nel culo, come a me poco fa? Te lo ha preso in bocca?
Hai fatto tête-bèche con lei? È ben fatta di corpo come mia madre?"
Io zitto. Sono un gentiluomo.
"Oh, ma verrò a saperlo da Snuggles. A lei non sfugge niente," dice Tania.
A mia volta domando: "E lo sa che ti sei fatta scopare suo padre?"
Tania è sbigottita. "Come fai a saperlo? Chi te l'ha detto? Sua moglie? Allora
Susan sa di suo marito e me! Ah, questa è buffa."
Io taccio anche su questo. Non sono un pettegolo. Ci sono già troppe
malelingue in giro. Io mi tengo signorilmente abbottonato.
Tania s'incazza. "Ma come vuoi che sappia regolarmi, non so come stanno le
cose? Figurati," soggiunge dopo un po', "che mi ha dato un assegno, come se fossi
una prostituta. Però non l'ho ancora incassato, perché non ho voglia di comprare
niente. Senti, lo do a te. Tu lo cambi e coi soldi ci compri quello che ti pare. Lui
mi ha pagata come una sgualdrina, e io, a mia volta, gli rendo la pariglia,
pagando un uomo."
Ehm, mi sa tanto che invece lo restituirò a Sam, il marito di Susan e padre di
Snuggles. Senonché per lui il denaro non conta niente. "Allora, senti," dico a
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Tania, "ficcatelo su pel culo quell'assegno... il primo denaro che ti sei guadagnata
in vita tua."
"D'accordo. Però ho un'idea migliore. Avvolgitelo intorno all'uccello e ficcamelo
tu, su pel culo."
Io insisto: "Ma Snuggles lo sa o non lo sa, che tu ti fai chiavare da suo padre?"
"Non gliel'ho detto... ancora. Tengo la cosa in serbo..." Sorride. "Tengo la cosa
in serbo per scoprire quali sentimenti Snuggles nutre per suo padre. Se gli son
piaciuta io, deve piacergli anche sua figlia, no? È logico. Chissà, forse spasimano
l'una per l'altro."
La troietta! Ci scommetto che sta già macchinando qualcosa, al riguardo. Mi
dispiace sinceramente, per i Backer... Sanno Susan e Snuggles... se questa
zozzetta di Tania ci si mette rovina.
Intanto però ci è tornata la voglia, a tutt'e due. Lei mi prende l'uccello e se
l'infila dolcemente nella fica. "Snuggles sarà gelosa, quando glielo dirò," mi fa.
"Che bisogno hai di dirglielo?"
Tania non risponde niente. Forse neanche lei conosce la risposta. Alza il
bacino per ricevere su, fino in fondo, il mio sardone. Mentre freme per tutto il
fasciame, mi dice: "La vedrò più tardi. La porterò su in camera mia, e mi farò
leccare la da lei. Sì, farò proprio così: la mia fica con dentro il tuo sperma. E glielo
dirò soltanto dopo che l'avrà succhiato tutto. Oh, riempimi di sburra! Dammene
tanta! Deve servire da cena a una bella ragazzina."
Sam Backer chiede al fattorino dell'albergo di procurargli un giornale, e
precisa: "L'Humanité", in cattivo francese.
In cattivo inglese il fattorino gli risponde: "We not 'ave the 'Humanité',
monsieur. We 'ave the 'Intransigeant' e 'Paris-Soir'."
Backer insiste: "Voglio l'Humanité' perché mi piace il titolo. Vuol dire umanità,
nevvero?" "Yes, sir."
"Mi piace questo nome. Voglio questo giornale."
Si avvicina, solerte, il portiere, dignitosissimo. "Excuse me sir. Le assicuro che
non le piacerà, quel giornale. Le consiglio il 'Matin'."
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"No, voglio l''Humanité'. Mi piace la testata. I francesi sono un popolo
ammirevole, grandi rivoluzionari. Io son venuto in Francia perché ammiro lo
spirito della libertà. Voglio quel giornale dedicato all'umanità."
Il portiere si guarda cauto intorno. Impossibile capire cosa pensi di Sam
Backer, o chi immagini che sia; ma è certo che Carl e io non gli piacciamo né
punto né poco. Si guarda ancora intorno, poi dice:
"Je vous demande pardon, monsieur, ma non tratta di umanità, quel giornale,
tratta di politica — politique. È per i lavoratori."
"Ebbene anch'io lavoro, tu lavori... vallo a prendere. Fammelo trovare
domattina."
"Monsieur!" esclama disperato il portiere dell'albergo. "Lei non si rende conto.
È il giornale dei rossi! "
Potrebbero seguitare a discutere ancora per ore, senonché a questo punto Carl
avvista Severin. È il tizio con cui abbiamo appuntamento. Severin rappresenta
svariati "interessi", cioè gruppi più o meno occulti. È un faccendiere, un ruffiano
della finanza. Tramite lui, Carl spera di entrare nel giro e sfruttare in qualche
modo Sam Backer. Da anni Carl sogna speculazioni, denaro facile, "schemi
quattriniferi" come lui li chiama. E a tal riguardo Severin è il suo idolo. Carl
vorrebbe essere come Severin.
Severin porta scarpe di coppale fatte a mano, una magnifica dentiera, ha in
tasca sigari Corona e un accendino d'oro per accenderli. Ha la carnagione accesa
di uno che mangia e beve bene c poi va a ritemprarsi a Saint Moritz.
Ora Sam Backer e Severin si studiano a vicenda, come due pugili che fintano e
saltellano prima di scambiarsi veri colpi. Forse sfoggiano un po' per Carl e me, e
su Carl fanno impressione, mica no.
Ora Severin sta parlando dei recenti tumulti di piazza a Parigi. Ci son stati
disordini violenti e il governo ha mandato contro i dimostranti due reggimenti
negri. "Il sistema degli antichi romani. Soggiogare i barbari mediante i romani,
reprimere i romani mediante i provinciali. Oh, i francesi sono in gamba, non
meno degli inglesi, in politica. Di solito un tentativo di colpo di Stato basta a
togliere i grilli dalla testa alla gente. Lagny e Stavisky eran quasi riusciti a far
crollare lo Stato. Il colpo del 6 febbraio è stato ben architettato per far dimenticare l'uno e l'altro. Ma adesso la gente comincia a sospettare che Stavisky
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non era l'unico speculatore sulla piazza, ma solo il più esibizionista. E i francesi,
come tutti i latini, vanno matti per il gioco d'azzardo."
Sia Backer sia Severin sono convinti assertori della venalità della stampa
francese. E da questa convinzione prende le mosse il piano di Severin.
"Il punto è," dice, "che oggigiorno tutti voglion qualcosa per niente. Ecco
perché non ci sarà mai il comunismo, sul serio. Ma i francesi sono i soli che la
studiano a fondo, la maniera di perdere quattrini in Borsa. Ogni giornale ha la
sua pagina finanziaria, e vi sono decine di piccoli quotidiani e settimanali che
danno consigli relativi al mercato azionario. Ma prendete gli inglesi... gli inglesi
vanno pazzi per le corse dei cavalli..."
"Anche le officine hanno le loro lotterie settimanali," interrompe Carl, tutto
zelante. Fa pena vedere come cerca di immischiarsi nella faccenda, e non capisco
perché non se ne vada via, invece, o non tenga il becco chiuso.
"Vedi scritto col gesso da qualche parte," continua Severin, " 'Shining Light
vincente nella corsa delle 2 e 30', ma di quali fogli d'informazione disponi? Le
buste dei tipsters, molto care, e un paio di fogli settimanali e bisettimanali. In
Francia le notizie finanziarie locali si pubblicano ogni giorno."
"Non rendi giustizia ai paesi teutonici," interloquisce Backer. "Dimentichi che
non sanno leggere e scrivere... sennò, indubbiamente, leggerebbero i giornali.
Sono furbi, te lo dico io. Quando senti un conducente d'autobus calcolare come
vincerà cinquanta sterline in cinque corse investendo all'inizio dieci sterline, ti
rendi conto che questa è la razza di Newton. Io sostengo che le persone sono le
inesplorate miniere dell'intelligenza del paese."
"Io non la penso così. Se fossero furbi non potresti cavar loro fuori dei soldi, e
noi non staremmo qua. Se non fossero dei fessi, potrebbe forse qualsiasi uomo
d'affari sbarcare il lunario? Ma, come stavo dicendo, gli speculatori in borsa
francesi sono disposti a leggere qualsiasi foglio che dia loro imbeccate, buone o
fasulle che siano, e a credere a qualsiasi cosa si propini loro, purché abbia l'aria
di essere una voce raccolta negli ambienti ben informati. E qui bisogna tener
conto del fatto che ti dicevo dianzi: l'incredibile venalità, non solo della stampa,
ma anche dei politici e dei magistrati. Si presume sempre che questi piccoli
giornali attingono informazioni in alto loco mediante ricatti. Lo speculatore
ragiona così: le voci messe in giro a arte dal governo possono essere o vere o non
vere, ma, in entrambi i casi, provocheranno un rialzo o un ribasso in borsa, del
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quale lo speculatore accorto saprà profittare. Insomma certe notizie, vere o false,
determinano una certa tendenza in Borsa, e, finché essa dura, chi sa fa i suoi
giochi e guadagna. A seconda dei casi il ben informato giocherà al rialzo o al
ribasso."
Carl annuisce saggiamente. Diresti che lui è una vecchia volpe del mercato
azionario.
"Il mio piano si basa, poi, sul fatto che la stampa francese odia spendere per i
cablogrammi. Sono disposti a pubblicarle con tre giorni di ritardo oppure a
inventarsele, le notizie, piuttosto che sborsare soldi per dei servizi telegrafici."
"E Havas?" domanda Sam Backer.
"A Havas si passa una tangente, è ovvio. Il punto è che m'occorre un sostegno
da Nuova York, l'avallo di qualcuno di Wall Street."
"Allora, ti basta un solo giornale. Potresti rilevarne uno in dissesto, spargere in
giro la voce che l'operazione parte da Wall Street, e da un giorno all'altro sarà un
clamoroso successo. Basta solo che tu lanci la moda, gli altri giornali riprenderanno le tue notizie e ti faranno pubblicità. "
"No. Per vendere azioni all'ingrosso dobbiamo avere tutta la stampa finanziaria
alle nostre spalle. Le cose debbono essere ben fatte, tanto da prendere nella pania
tutti i merli. Le nostre notizie debbono essere attendibili, per trasformare le
fregnacce in soldi, le panzane in oro sonante, le frottole in franchi. Non voglio solo
i furbacchioni che aspettano la palla al balzo, i profittatori che aspettano che
cambi la marea, i saputi che tirano ai realizzi di beneficio, no, voglio denaro
d'investimento..."
In altre parole, il piano di Severin consiste nel fingersi Agenzia Telegrafica
privata, ma comprare i servizi telegrafici da un'altra società. Altra sua idea è che
la ghenga si etichetterà Comitato di Consulenza Economica, o roba del genere,
inserendo grossi nomi nel consiglio direttivo.
Carl si aggronda per non sorridere. Il volto gli si illumina al pensiero dei soldi,
e la cosa lo rende quasi isterico. Forse s'aspetta che Backer corra difilato in
banca, per i fondi, e Severin si precipiti a prendere in affitto i locali. Però resta
deluso quando il colloquio si conclude senza nulla di fatto.
Sam Backer e Severin fissano un nuovo appuntamento per i prossimi giorni.
Tutti e quattro prendiamo insieme un taxi. Carl scende nei paraggi dei
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Capucines, Severin poco più oltre, Sam e io proseguiamo. Si va a casa di
Alexandra. Sam vuole conoscerla. Un timore lo rode.
Mi fa: "Credi che Tania si sia spaventata e abbia detto qualcosa a sua madre?
Non voglio rogne, io. Tu conosci Alexandra da un pezzo. Com'è? "
Impiego il resto della corsa a rassicurarlo. Ma lui resta nervoso. "Se ci sono
rogne," mi fa, "te le gratti tu, intesi?"
Alexandra è sola in casa. Tania e Snuggles sono uscite. Ci fa accomodare.
Sam Backer si illumina appena la vede. Non s'aspettava una così gran fica.
Incomincia a far la ruota come un pavone. Alexandra gli fa gli occhi di pesce.
"È magnifica," mi dice Sam, in disparte. "Non me l'avevi detto ch'era così.
Dimmi, che tipo è? C'è modo di portarsela a letto? "
Non è il caso ch'io resti a far da terzo incomodo, ma prima di andarmene voglio
esser sicuro che le cose siano ben avviate. Quando alfine prendo congedo,
Alexandra mi accompagna alla porta. Io mi metto a tastarla, nel vestibolo, lei mi
sfodera il cazzo, se lo strofina sulle cosce calde. Ma non se lo fa ficcare su.
"Sennò ci prendo gusto, e invece ho altro da fare," mi dice.
"Sì, certo, scopare con Backer," ribatto io.
"Quanto sei indelicato! " esclama lei, facendo l'offesa. Poi mi tempesta di
domande: "Cosa gli hai detto a mister Backer sul mio conto? Lo sa che abbiamo
convissuto, io e te? E tu, ora, ti credi in diritto di portarmi in casa i tuoi amici e
offrirmi a loro... come fossi tua moglie, né più né meno?"
Mi affretto e mi affanno a spiegarle che Sam non sa nulla di lei, tranne solo
ch'è la madre di Tania... "Il resto lo vede da sé," soggiungo, "ed è abbastanza per
fargli venire la voglia di chiavarti."
Ci gingilliamo ancora un po', fra di noi, mentre lei ci riflette su. Poi mi chiede:
"Ha moglie, mister Backer?... È ricco?... È bella, la moglie?... E tu la conosci
intimamente?"
Rispondo a tutte le domande tranne l'ultima. Alexandra finge di non rilevare
l'omissione. "Ho una gran voglia di te," mi confida. "Vorrei che mi chiavassi, tu,
questa sera. Se fossi venuto da solo avremmo trascorso una serata stupenda."
Ma siccome sono venuto col mio amico, l'idea deve essere abbandonata...
poiché lei, naturalmente, non intende farsi chiavare da tutt'e due insieme. Eppoi
ha qualcosa d'altro da dirmi... Sì, se il mio amico fosse venuto solo lei lo avrebbe
forse invitato a restare... l'uno o l'altro dei due... "Capisci?"... Sì, ha una voglia
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disperata di andare a letto con un uomo, di pigliare un cazzo in fica... Ma due
no... no, mai... Dopo l'esperienza fatta con il canonico Charenton, ha capito che
bisogna usare discrezione.
Insomma, torno di là da Sam. Va tutto bene, gli dico. "L'ho sondata, e penso
che ti farà scopare... Gli piaci," soggiungo. E mi invento anche un sacco di belle
cose che Alexandra non ha affatto detto. Quindi adesso dipende da lui... basta
solo che ricordi che lei vuole scopare, e non abbia paura di buttarsi. Quanto a
me, ho un appuntamento, e devo proprio andare, gli dico. Non gli dico però ch'è
con sua moglie, che ho appuntamento...
Susan Backer trova molto grazioso, molto intimo il mio appartamento. Intimo!
Non sa che razza di parate e di tornei ci si svolgono — peggio che in piazza d'armi.
Un simile appartamento sarebbe l'ideale — osserva lei — per una donna che volesse avere una storia d'amore, nevvero? Ve ne sono altri, nel quartiere?
Naturalmente, chiede tanto per chiedere.
Susan vuole conoscere un monte di cose, su Parigi. Mi tempesta di domande.
Dove si trova questo, dove si trova quello, dove si può comprare la tal cosa, dove
la tal altra: e per una mezz'ora annota le risposte su un taccuino. Ha tante cose
ancora da vedere a Parigi, dice, e, prima di ripartirne, vuol conoscerla da tutte le
angolature. "Dov'è che si comprano quelle orrende cartoline illustrate?"
Allude naturalmente alle foto pornografiche. Glielo dico, dove può trovarle. Mi
stupisce che non l'abbia già scoperto da sé. Lei mi chiede se sono veramente
tanto oscene, o solo un po' risquées? Per tutta risposta le mostro quelle di Anna.
Susan arrossisce violentemente, alla prima occhiata. "Oh, sono piuttosto forti,
neh? " Le scorre alla svelta, poi le ripassa pian piano. Si riscalda, dà occhiate al
caminetto, si slaccia il maglione. Beve diversi bicchieri di vino.
Dopodiché, farla spogliare non è difficile. Qualche tastatina, e lei è pronta a
tutto. O così almeno crede. Quando allungo una mano e le tocco la fica, lei allarga
sùbito le cosce. Si lascia sfilare le mutande senza sollevare un sopracciglio. È
entrata nello spirito di quelle foto oscene, la puttana: è tanto madida fra le cosce
che le mutande sono tutte intrise. Quella sua bella fica è rovente come una stufa.
"Forse avresti preferito che portassi la ventriera?" mi domanda. "Ci ho pensato,
quando mi vestivo. Ma mi sembra una tale perversione, indossare un simile
indumento, solo perché è eccitante sessualmente! "
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Io sono soddisfatto di così com'è. Quel suo gran culo basta a dare al mio cazzo
il torcicollo, con o senza la guépière. Le lascio su le calze e le scarpe, così sembra
ancora più grosso.
Susan si dimena sul sofà mentre la palpo. "Oh, se Sam mi vedesse! Chissà
cosa penserebbe di me!" Così dicendo mi infila una mano sotto la pattuella e mi
agguanta la marmotta. "È vergognoso, da parte mia, venir qui a far l'amore con
te, Alf, e lasciar solo il povero Sam. Dovrei essere in albergo a scopare con mio
marito, anziché qui da te."
Non la disilludo dicendole che Sam sta rendendole pene per ficaccia con
Alexandra.
Susan mi tira giù le mutande e si gingilla con la mia fava. Affonda le dita nel
pelo, lo pettina... "Non avevo mai visto un pelame virile così folto!" esclama,
eccitata. "Mi vien voglia di posarci la testa."
"E allora dai." Ma lei si è fatta tutt'a un tratto pudica, e mi tocca pigliarla per
la nuca e abbassarla a viva forza fino a me. "Su, non fare la ritrosa. Assaggialo
con la linguetta, dagli una leccatina, su, da brava."
Potrei imporglielo. Nessuna donna, quand'è arrapata, resiste alla tentazione di
ciucciare, se un cazzo le sfiora le labbra. Ma voglio che sia lei, di sua spontanea
volontà, a dischiuderle. Senza forzature da parte mia.
Queste fiche! Quanto gli piace ottenere qualcosa in cambio di niente! Susan
non chiederebbe di meglio, adesso, se io le mettessi la lingua dentro quella
fessura e cercassi di leccargliela fino a prosciugarla, però lei — da parte sua —
non vuole familiarizzare oltre col mio cazzo... Senonché io so essere più ostinato
di lei... La lecco intorno ai bordi della fica, le mordo le cosce, le faccio solletico al
pube col naso. Quando mi avvicino alla fica lei sussurra eccitata... "Dai... baciala
lì... perché non tiri fuori la lingua?... Oh, dobbiamo somigliare a quella orrenda
gente delle foto, nevvero? Sì, stiamo facendo quasi quello che fanno loro..."
Finalmente le concedo un assaggio di quello che vuole provare. Le bacio la fica,
vi infilo dentro la lingua... lei allarga le cosce, come una porta a due battenti che
non si chiuderà più, e sussulta quando le lecco il frutto caldo e succoso... Oh, che
sensazione! Mi implora di non smettere... certo, dice, la mia lingua può andare
più addentro... certo potrei succhiarla più svelto, più forte... lei allargherà le
gambe ancora di più... Sta tentando di tirare il collo a John Thursday, ma ancora
non lo succhia...
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Non riesce a credere che io mi sia di nuovo fermato. "Come... come hai potuto
smettere, quando mi facevi godere tanto?" Ecco... ora cambierà posizione per
facilitarmi le cose... E giocherà così con il mio cazzo, mentre io le lecco la fica...
"Va bene così? Perché dunque non ricominci?" Oh, perché non accosto la bocca di
nuovo alla sua fica e non mi rimetto a succhiarla?
Lei scosta la testa, quando le strofino il cazzo sulle labbra.
L a seconda volta però non si scosta, e poi alla terza lo bacia. "Cosa vuoi che
gli faccia?" mi chiede in un bisbiglio. Come se non lo sapesse! Come se non ne
avesse la più pallida idea. Voglio forse — chiede ancora — che lei mi baci le palle,
oltre che la pancia? Lo farà, dice, se lo desidero. E così via.
Uno può sopportarle fino ad un certo punto, certe stronzate. Figurarsi, una
figa navigata come lei, far finta di non sapere cos'è il pompino. È più di quanto un
uomo possa tollerare! Decido comunque di darle un'altra opportunità. Se non me
lo prende in bocca non appena io riattacco a leccarle la figa, giuro che la prendo a
zampate nelle gengive. Così s'impara! Non ho però bisogno di ricorrere a mezzi
estremi poiché la stronza finalmente si decide ad aprire la bocca e a prendervi
dentro la cappella di Gian Giovedì... Poi mi cinge la vita con ambo le braccia, e
comincia a succhiare più forte che può... Io gliene do quanto più può riceverne...
Susan non è tanto ben attrezzata per pigliare un uccello da quella estremità,
quanto invece lo è per pigliarlo dall'altra... A momenti si strozza, però non lo
sputa... ci rimane tetramente attaccata...
La sua figa è talmente spalancata che tutto quello che c'è dentro dovrebbe
rotolar fuori. Invece non succede niente. Deve aver tutto ben inchiavardato e
ribadito, lì dentro a quella fogna di fregna. Non avrà un ventre di ghisa come
Tania o Anna, ma è solidamente ancorata. Questo è il vantaggio che hanno le
dilettanti americane sulle puttane professioniste di Parigi: puoi rovesciarle
sottosopra, senza temere che l'utero gli caschi, plof! per terra.
Susan vuole che le titilli il culo mentre la cunnilingo. Non s'è accorta,
evidentemente, che già le ci ho infilato due o tre dita, in quel buciaccio. Ce ne
ficco su un altro e la faccio felice. Faccio come se le volessi mangiare la patacca, e
lei ridella, giuliva. Non lo sa che è perché ho paura che quella sua bocca enorme
mangi me!
Avrei potuto venirmene non appena Susan m'ha preso Johnny tra le labbra.
Mi sono trattenuto, perché voglio sburrarle in bocca mentre lei sta venendo nella
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mia. Aspetto finché è bell'e arrivata — e tenta di soffocarmi tra le cosce e annegarmi col sugo di figa — a questo punto neppure l'irruzione di Sam potrebbe
arrestare la sua eruzione — e allora erutto a mia volta — lava e lapilli dentro la
sua bocca. Mi scappa pure una gran scorreggia, a completare l'effetto etneo.
Segue un lungo silenzio. Susan non riesce a capacitarsi. Ma sul serio s'è
spinta fino a farmi un pompino? Non è possibile! Non era lei. È un trauma, per la
brava signora americana. Così almeno vorrebbe farmi credere.
"E hai pure ingoiato il mio seme," le dico.
"No!" È atterrita. "Non è possibile." Si lecca le labbra, schiocca la lingua.
"Buono, però..." È stremata. Ha perduto litri e litri di sciroppo vaginale, godendo
come una fontana rotta. Però dopo un po' dice: "Non ci verrò più da te, Alf. Tu mi
travii. Ti rendi conto che ho un marito che ha fiducia in me e una figlioletta che,
semplicemente, mi adora? Una moglie non deve fare certe porcherie, con un
estraneo, poi! Alla mia età... Ormai è trascorso il tempo delle avventure. Nelle mie
condizioni non dovrei imbarcarmi in certe cose..."
Vuol andarsene via subito. Ma non glielo consento. Beviamo un altro paio di
bicchieri. Lei rida una guardata alle foto oscene di Anna. "Quanta depravazione
che c'è in Francia!" dice, indignata. "Dev'essere l'atmosfera. A me non m'era mica
mai successo, sai? di fare quello che ho fatto stasera con te."
"Oh, non ne dubito," dico io, "non ne dubito. Io sono un gentiluomo e non
metto mai in dubbio la parola di una donna. Eppoi lascio decidere sempre a lei,
io. Scegli, dunque: vuoi che ti chiavi qui, sul divano, oppure di là in camera da
letto? "
"Oh, per me è lo stesso... Però proprio non dovrei. Povero Sam... Non è giusto
ingannarlo a questo modo," dice, sdraiandosi sul dorso e allargando le cosce.
Secondo Carl, dovrei fare qualcosa per influenzare Backer e indurlo a entrare
nell'Affare Severin. C'è da far quattrini — mi assicura — quattrini per tutti. E a
noi può venirne una quota, solo a leccare certi culi. Carl ha leccato tanti di quei
culi, che ormai non ci fa più caso. S'illude di essere un mago, di quelli che
estraggono conigli dal cilindro. Carl non riesce a campare alla maniera semplice.
È un sognatore. Crede nel mecenatismo. Sennò — dice — come sbarca il lunario,
uno come lui?
142
Non ha smaltito l'anno che ha trascorso alla scuola di Belle Arti. Ne l'hanno
cacciato a zampate, ma lui ne è rimasto bollato per sempre. Delira sul
Rinascimento, parla del Genio di Francia... ripete i discorsi che sente fare ai Deux
Maggots, dove leggono l' "Action Française", il più mortifero giornale del mondo.
Comunque Carl pensa che io sia in grado di esercitare una certa influenza su
Sam Backer. "È una grossa opportunità, anche per te," mi dice. "Ci sono cento,
mille modi per fare quattrini. Non mi dire che non parli mai di soldi, tu! Di che
cazzo parli, allora?"
Veniamo interrotti da Raoul, il quale dice che son giorni che mi cerca. Ha una
storia da raccontarci, una cosa ch'è successa a un suo amico, dice.
Attacca sùbito: "Lei era una ragazzina... sì, dico, di primo pelo... e il mio amico
si era divertito un mondo a insegnarle tutte quelle cose che una ragazza della sua
età non dovrebbe conoscere. Poi la cosa era finita lì. Roba da dimenticare, o sennò da ricordarsene soltanto qualche volta, quando ti va di giocare con te stesso...
mi spiego? Senonché, dopo tre settimane, riecco la ragazzina. È incinta. E gli darà
un bebé, a questo mio amico, ammenoché lui non faccia qualcosa. Incinta?
Impossibile! Oh, è terribile. Il mio amico è molto disturbato. Poi le chiede: 'Come
lo sai d'essere incinta? Sei stata da un dottore o che?' 'No, no,' risponde lei. 'E
allora?' 'Mi vien sangue,' dice lei. 'Sangue? Da dove?' La stende sul divano e dà
un'occhiata. La piccola ha il marchese, tutto qua. Le sue prime mestruazioni! Che
ve ne pare?"
Poiché né Carl né io troviamo la storiella tanto buffa quanto lui crede che sia,
Raoul porta il discorso su quella sua cognata. È fuori Parigi, adesso, purtroppo,
però tornerà presto. E, allora, avrò modo di portarmela a letto. Frattanto, lui vorrebbe conoscere qualche ragazza spagnola, per far pratica di lingua, ma una che
non si faccia pagare, però. "Conosci qualche brava ragazza spagnola, che non
abbia lo scolo né fratelli incazzarecci? Una che si guadagna da vivere da sé,
possibilmente. Una puttana sarebbe l'ideale."
Io gli dico che non conosco nessuna spagnola, ma provasse a chiedere a
Ernest. Raoul ci offre da bere, a Carl e a me, e da fumare. "Una ragazza
qualsiasi," insiste, "basta solo che non abbia malattie e quasi tutti i denti
davanti..."
Più tardi, dopo essermi sbarazzato di Raoul e di Carl, mi imbatto in Sam
Backer. È tutto allegro, mi parla di Alexandra in termini entusiastici.
143
"Che donna! Ah, che donna! Sai, son rimasto da lei tutta la notte, e son
tornato a casa solo la mattina dopo. Naturalmente, a Susan dovevo raccontarle
qualcosa... Quindi le ho dato da intendere ch'ero con te. Mi raccomando, se te lo
chiede, dille che abbiamo giocato a carte tutta la notte."
Non posso dirgli che ha commesso un errore a inventare proprio quella frottola
lì. Ma neanche Susan può dirgli che lo sa ch'è una bugia.
Sam continua a cantare le lodi di Alexandra. "È una che sa scopare. Dio, se sa
scopare. Alf, te n'eri andato da meno di mezz'ora, quando abbiamo attaccato.
Diamine, lo sai come vanno certe cose. Stai lì che bevi e chiacchieri e, un
momento dopo, le infili una mano sotto la gonna! "
S'interrompe. Sveglia un barbone che dorme sui gradini d'una chiesa, e gli dà
cinque franchi. Poi riprende il racconto: " 'Sarà meglio che andiamo di là in
camera,' mi fa. Così, semplicemente. Con disinvoltura. Cristo. Prima mi sono
scopato la figlia, poi la madre. Ti pare niente? Oh, Signore! Ti ricordi che ti dissi
che Tania m'aveva fatto un bocchino? Ebbene, un bocchino mi ha fatto anche sua
madre. Io non ho trovato nulla da ridire, figurarsi. Perdio, Alf, non lo so mica se ci
torno volentieri negli Stati Uniti. Qui a Parigi è così diverso. Fica a stufo, culi a
ufo! Però, sai, non mi va mica tanto a genio che Snuggles, mia figlia, frequenti
quella Tania."
Se ne preoccupa per un po', poi torna a parlare di Alexandra. "Che magnifica
fica! Mi ha letto pure delle poesie, fra una scopata e l'altra. Indovina quante me
ne sono fatte."
Io allargo le braccia.
"Quattro!" egli esclama trionfante. "Forse a te non sembran tante, ma alla mia
età... Specialmente se usi sempre la medesima donna ogni sera. Non la scopi
quattro volte in una notte, una donna con cui sei sposato da quindici, vent'anni.
Ah! Poesie d'amore russe. E anche cinesi. Lo sapevi che parla il cinese? Ebbene
sì, parla il cinese. L'ho sentita coi miei orecchi, parlare cinese. Perché cazzo non
sono venuto a Parigi quando avevo vent'anni? Ma forse è meglio che non ci sia
venuto. Non avrei apprezzato certe cose, allora. Come non le apprezzate voialtri.
Quanti anni hai? Quaranta? Senti, dai retta a me. Torna in America, fai un
milione di dollari, poi ritorni qui a Parigi per il resto dei tuoi giorni. Ma non
sposarti. Non sposarti a nessun costo, qualunque cosa tu faccia, poiché puoi
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trovarne a stufo, di belle sorce come Alexandra, che ti leggono poesie d'amore e ti
ciucciano il cazzo... se disponi di un milione di dollari."
Il consiglio è eccellente, ma Sam non mi dice in che modo potrei farlo, quel
milione di dollari. Ha cose più grosse per la mente, lui.
"Non dimenticherò mai quant'era bella, tutta nuda sul letto a mostrarmi la fica
e aspettare che facessi qualcosa al riguardo. E me lo chiedeva pure, senza tanti
complimenti. Solo che parlava in russo. E non ci capivo un tubo... Ma in quel
moment o , con le cosce aperte, avrebbe potuto parlare qualsiasi lingua di 'sto
mondo, e sarebbe stato lo stesso."
Più tardi, al bar, Sam riattacca a parlare di Alexandra. "Conoscendo la figlia,
c'era da aspettarselo che anche la madre fosse una chiavona. Ce l'hanno nel
sangue. Senti, Alf. Intendo andarla a trovare spesso, nei prossimi giorni. Tu
dovrai fornirmi l'alibi. Dirò a mia moglie che vengo a giocare a carte da te, con
altri amici... Quindi, mi raccomando!"
"Non è per non farti un favore, Sam, ma io..."
"In tal caso, mi rivolgerò a Carl."
"No, aspetta un momento. Non fraintendermi, Sam. Non ho detto che non sono
disposto a farti questo favore. È solo che..."
"Allora lasciamo perdere. E beviamoci su un altro bicchiere. Senti, Alf, se è
corretto il mio accento. Garçon! La même chose! Eh? Ho fatto progressi col
francese?"
"A gonfie vele, Sam. Almeno per quel che riguarda ordinare da bere."
A questo punto Sam mi prega di insegnargli a coniugare il verbo foutre...
Susan ha preso in affitto un appartamentino nel mio quartiere e, una mattina,
mi tira giù dal letto per portarmi a vederlo. Devo assolutamente insegnare alla
portiera di non lasciar salire nessuno da me, prima di mezzogiorno. Cristo, mi
piomba in casa ogni sorta di persone, a ogni sorta di ore del giorno e della notte!
Quello di Susan è un grazioso nido, fra i comignoli, nella soffitta di un edificio
poco lontano da casa mia. E costa poco, mi dice, pochissimo. "Sai, ci ha abitato
Paul Verlaine, qui, m'hanno detto, il famoso poeta. E proprio qui ha scritto alcune
fra le sue poesie più famose... Tu ci credi?
145
«Perché no? Dopotutto quel povero cristo doveva pur abitare da qualche parte.
E solo un poeta povero e una milionaria americana possono sentirsi di casa in un
buco come questo.
«Ho deciso di affittarlo," dice Susan la mattina dopo es-sere stata da te. E di'
un po'?, dove credi che fosse Sam, mentre noi facevamo l'amore?
Dove? Cazzo, non glielo dico. Che non fosse con me a giocare a carte, lo sa già,
dato che io stavo giocando con lei a ben altro.
"A me ha dato d'intendere di aver passato la serata al tavolo da gioco. Però
quando è tornato puzzava di un'altra puttana. Ah, ma io gliene metterò, di corna
quante ne può portare e anche di più. Molte di più! Per questo ho affittato questa
mansarda."
"È carino, qui da te. Molto bohémien."
"Senti, Alf, vorrei alcuni quadri osceni da attaccare alle pareti. Conosci
qualcuno che possa fornirmeli? Acquerelli, preferibilmente, o delle incisioni, in
stile settecentesco.
"Chi intendi invitare qui?" le domando.
"Beh, amici... Oppure nessuno. Giusto per avere un rifugio tutto mio. Ma
dimmi, lo sai dove era Sam, quella sera?
"No, non lo so. Magari davvero a giocare alle carte con qualcuno..."
"Macché! Era con una donna, insiste lei.
Io vorrei approfittare sùbito di quel nido d amore, ma Susan traccheggia. Si
lascia palpare, tastare, e mettere una mano fra le cosce, ma non più in là di la.
No, e inutile mi dice, "che tiri fuori dei calzoni quell'arnese, tanto non ci faccio
nulla. Non lo tocco neppure... Beh, magari... una piccola carezza... così tanto per
gradire... ma nulla più".
Insomma, non c'è verso di levarle le mutande. Allora la saluto, dopo un po', e
me ne vado per i fattacci miei.
Non c'è niente da fare, in redazione, quindi passo un po di tempo a scrivere
delle lettere al direttore, che imposterò uscendo, coi francobolli della società.
Suppongo che di tanto in tanto, ne venga pubblicata qualcuna... Io non mi do mai
la briga di guardare...
Alle due incontro Ernest e Arthur in una trattoria dove, se non ti piace il cibo e
non ti va di bere, puoi salire su al piano di sopra e chiavare la moglie del
trattore... Quindi, è un locale molto rispettabile, poiché nessuna puttana lo
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frequenta... è concorrenza sleale, dicono... loro, certo, non cercano mica di venderti qualcosa da mangiare, quando tu te le porti in albergo. Però è un posto
tranquillo, se vuoi star in pace, senza che nessuno ti disturbi... dato che non ci
sono le puttane, non ci sono neppure i giornalisti.
Ernest mi chiede se è vera la voce che circola: ch'io faccio da cicerone a un
ricco americano pei bordelli di Parigi, perché lui, tornato in America, intende
aprire una catena di casini. Ed è vero che sono al soldo di un branco di finanzieri
i quali vogliono fondare un nuovo giornale, di cui io sarò il direttore? È vero o no?
"Non dovresti scomparire così, Alf," mi dice. "Ti ho cercato un paio di volte...
abbiamo portato Anna qua e là, e l'abbiamo chiavata... ma tu non c'eri, non ti si
vedeva da nessuna parte."
Forse è meglio così, penso io... Arthur si è divertito a giocare con quella Kodak
che ha comprato da poco, ed ha scattato alcune foto, fra le più sporche che io
abbia mai visto... Anna ed Ernest, Sid e lui stesso con i calzoni calati e i cazzi
rizzi... Non ci tengo, io, a una simile réclame, anche se è strettamente privata.
"Le faccio vedere solo quando cerco di farmi qualche vergine," spiega Arthur,
con tenerezza, mentre rimette in tasca quelle foto. "Vedi, da queste foto si direbbe
che io abbia un cazzo enorme, due volte quello di qualsiasi altro..."
Mi ricordo che Raoul vuole incontrare una fica spagnola, e chiedo a Ernest se
ne conosce qualcuna. Diamine, sì, Ernest ne conosce un fracchio, di fiche
spagnole. "Di che tipo la vuole, Raoul?"
"Senti," dice, "ce n'ho una per le mani ch'è la fine del mondo... Una vera Mosca
Spagnola... basta un tocchettino di lei e il cazzo ti sta duro per una settimana.
Cos'ha lui da darmi in cambio?"
"Oh, Ernest, lui non vuole mica far baratti... Vuole solo incontrare una brava
fica... al resto pensa lui."
"Niente da fare, allora. No, Alf. Io non do niente per niente. Mi dispiace."
"Raoul avrebbe una cognata..."
"Hm, non so, Alf. Sulle cognate c'è poco da far affidamento. Eppoi, tu lo sai
come son fatte, queste fighe spagnole. Non mi sono forse beccato una coltellata al
posto tuo per via di una? Non le scarichi mica facilmente, le spagnole. Non le
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smisti agli amici, come smisti le americane o le russe. Hanno un brutto
temperamento, corri dei rischi, con loro."
"Cristo, Ernest, pensa a quanti favori t'ho fatto! Non t'ho forse passato Tania?
E suo fratello, pure! E Anna non la conti? Perdio, sarebbe ora che facessi
qualcosa tu per me. Mica ti chiedo, in fin dei conti, una figa a cui tu ci tieni
tanto."
"Come lo sai che non ci tengo tanto, a 'sta figa spagnola che ci ho per le mani?
Ci tengo e come! È una bella figa e ci ha un culo che non finisce mai. Cristo, Alf,
se la passo a 'sto amico tuo francese, a me che me ne viene? Eppoi ci scommetto
che lui neanche l'apprezzerebbe, nel suo giusto valore. Questa è una che ti lecca
gli stivali, se vuoi. Anche un vecchio stivale, va bene lo stesso. Se lo porta a casa
e lo lecca là."
"A lui basta che scopi, non vuol altro. Non va in cerca di niente fuorivia,
Ernest. Una figa normale, purché parli spagnolo. Per far pratica a letto. Tanto
meglio se è una che parla nel sonno."
"E va bene," dice Ernest alla fine, "vedrò cosa posso fare. E quand'è che mi fai
conoscere i tuoi amici americani ricchi? Se avessi io degli amici ricchi te li avrei
fatti conoscere da un pezzo."
"D'accordo. Domani dico a Sam..."
"Al diavolo, il marito. Voglio mettermi in contatto con la moglie. Dille che hai
un amico che vuol farle conoscere Parigi, la vera Parigi, la Parigi di Villon, di
Manet, di Guy de Maupassant. Dille che le mostrerò il Regecem dove Napoleone
giocava a scacchi... e Alexhine anche, il campione... le piacciono gli scacchi? Le
piace mangiare? La porterò a cena... paga lei... Oh ci daremo bel tempo insieme!
Dille che la porterò in un posto in Place de l'Odeon chiamato 'Il porcellino da
latte', però in francese, poi a prendere il caffè sui boulevards... magari il Boul
'Mich' dove potrà vedere gli studenti... Senti, Alf, tu devi essere indaffaratissimo a
portar in giro il marito qua e là... Io farò divertire lei: 'Qui si può avere un ottimo
Chambertin, là fanno Ventrecote Bercy... u-la-là?!' Perché no? Le piacciono i libri?
La porterò alle bancarelle... c'è una vecchia dall'aria materna in grembiale nero...
con lo scialle... che tralasciò di bere una scodella di brodo per vendermi 'Le
allegre signore' di Brantome per trenta franchi, quella ladra. Il mio primo giorno a
Parigi... Voglio saldare i conti con quella strega... La porterò ai Capucins e potrà
guardare il Barone de Rotschild... o magari lo conosce, il Barone. Le piace Parte?
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Senti, dille che ho una bellissima stampa, al mio albergo... S'intitola 'L'ultimo appello dei Girondini alla Conciergerie'... S'interessa di politica? Ci sederemo da
qualche parte in Rue du 4 Septembre con 'La verité' sottobraccio e parleremo di
Trotsky... Sai, io so dire tutte le cose giuste, in fatto di politica... 'Sono convinto
che la rivoluzione perpetua è l'unica cura contro la degenerazione termidoriana'...
'Senza un Robespierre non avremo un 9 termidoro'... Le piace star ad ascoltare
robe del genere? Quando me la presenti? "
"Eppoi," dice Arthur, "c'è anche il caso che ci scappi il ricattino, no, Ernest?
Metti che tu, fra 'na chiacchierata e l'altra, scopri qualcosa che lei non vorrebbe
far sapere al marito...''
Arthur è uno che ricatterebbe sua nonna perché va a letto col nonno.
Ernest gli dice di non parlare in quel modo. "Qualcuno potrebbe pensare che
dici sul serio, e denunciarmi alla polizia." Quindi, rivolto a me: "Allora, fissami
questo appuntamento. La farò divertire. La farò ringiovanire! "
Incontro Jean, in un caffè del mio quartiere. È insieme a una lesbica bruna,
tetra, dall'aria stanca. Riesco a staccarla da lei, per condurla a casa mia.
"Mi si appiccicano addosso come mosche," mi dice strada facendo. "In
qualsiasi posto vada, anche se è pieno di donne, prima o poi le lesbiche vengono a
sedersi al mio tavolo. Credi che abbiano un fiuto particolare?"
Saliamo le scale. È talmente impaziente di farsi scopare che, mentre infilo la
chiave nella toppa, già mi stuzzica l'uccello. Si lamenta di Billie. "È diventata così
esigente, da ultimo. E poi ci sono state delle complicazioni..."
"Una di queste si chiama Tania, per caso?"
"Ah... Tania... quella troietta, così giovane ma così perversa!" Mi bacia sulla
bocca, mi dà la sua lingua molle e grassa, guizzante. "Sì, ci mancava questa
Tania, a complicare le cose...
Lei e quella sua amichetta. Sono tutt'e due così giovani, e così carine. Ma
cattive, cattive e complicate."
Jean indossa un maglione così attillato che i capezzoli risaltano. E anche la
gonna è tanto aderente che il monte di Venere si profila in tutto il suo dolce
declivo. Tastarla vestita è quasi tastarla nuda. Puoi fare veramente conoscenza
con una fica, quando indossa abiti così... le metti una mano sulla pancia e senti
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l'ombelico... scendi un po' più giù e senti una fessura sotto le dita... Si siede sulle
mie ginocchia, e io gioco con tutte quante le cose senza neanche infilarle una
mano sotto la gonna...
Jean tenta di spiegarmi come stanno le cose. "Per Billie," mi dice, "le ragazze
come Tania e quell'altra, Snuggles, sono un vizio. Al pari di un uomo, a Billie
piace prendere una ragazzina giovanissima e giocare con lei, raccontarle graziose
bugie e sedurla. Di una fanciulla innocente, farne una sporcacciona — è il suo
sport preferito. È proprio come un uomo. Le vuole fresche e verginelle, per
corromperle, insegnar loro ogni sorta di vizi. Però in Tania ha trovato pane per i
suoi denti. Quella troietta ha le sue stesse fantasie e le fa una concorrenza
spietata. Sta corrompendo l'amica più giovane ogni giorno di più. Sai, Billie e
Tania — rivali alleate — giocano con Snuggles come le brave bambine con la
bambola. Le insegnano ogni sorta di porcherie, poiché lei è innocente... Però
quando stanno insieme, Tania e Billie, sono sagge ed esperte: giocano come gatte
adulte, mica come micette, guardinghe, e talvolta si mostrano gli unghioli..."
Non è esattamente la stessa storia che mi ha raccontato Tania, ma però serve
a completare il quadro di quel che avviene in mezzo a quel branco di leccafiche.
Anche Jean prende parte ai loro giochi, ma come spettatrice più che altro. Poiché
lei è l'amante di Billie. L'etichetta del vizio è molto complicata.
Jean è stufa di farsi tastare così, da sopra i vestiti. Si tira su la gonna e
avvolge una gamba nuda intorno a me, frugando nei miei calzoni per cercare
qualcosa con cui titillarsi. Quando m'ha tirato fuori il pirla, se lo strofina contro
la patacca. A cavalcioni sulle mie ginocchia, si dondola sui fianchi. Ha le mutande
su, ma il mio uccello si insinua sotto l'orlo e le si struscia contro il pube.
Vuole che giochi con le sue tettine. A cosa sarebbe servito, sennò, lavorarci su
tutti questi anni, programmare il loro futuro, riserbar loro tutte le cure e le
premure di questo mondo, se io adesso non ci gioco. Si sfila il pullover, sotto il
quale non c'è nulla tranne Jean. Siamo in questa posizione quando arriva Tania.
Riconosciamo subito la sua bussata. Non possiamo neanche far finta di non
essere in casa, poiché Tania, dopo aver bussato, spinge la porta e s'accorge ch'è
aperta. Entra quindi e ci trova abbracciati.
"Bene, bene..." Tania fa un giro di valzer intorno alla stanza. "Che romantico!
Non credevo di trovar qualcuno qui con te, Alf, e men che meno Jean."
150
Jean smonta dalle mie ginocchia e si tira giù la gonna. È seccata, perché non
intendeva far sapere a Billie che era venuta da me, oggi. E Tania certo andrà a
raccontarle tutto.
Tania, vedendola imbarazzata, esclama: "Suvvia, Jean! Mi hai leccato la fica, io
la tua, perché dovremmo sentirci in imbarazzo l'una con l'altra? Oh, Alf! Avresti
dovuto vederla con Snuggles, l'altra sera. Era talmente eccitata che non la voleva
più
smettere,
di
ciucciarla.
Povera
Snuggles!
se
n'era
già
venuta
abbondantemente, la piccina, ed era una vera tortura, per lei, quella lingua che
badava a trivellarla! Alla fine abbiam dovuto toglierla di là a forza e farci leccare la
fica a turno, mentre noi la carezzavamo finché non se ne venne... Oh, ci sarebbe
voluto ben più che una porta aperta, per fermarla allora! " Si siede sul bracciolo
della mia poltrona, allunga una mano verso il mio cazzo e lo coccola. "E ci
vorrebbe ben più che una porta aperta, per fermarla, se io stessi facendo quello
che facevate voi poco fa..."
A Jean non piace quel tono di strafottenza. E quando Tania si siede sul
bracciolo della mia sedia e comincia a gingillarsi col mio cazzo, neanche questa
familiarità le va a genio. La spinge da parte e torna a sedermi sulle ginocchia. Se
Tania intende raccontar tutto a Billie — dice — tanto vale che abbia una storia
completa da riferire. Si tira su la gonna e vuole che le tasti le cosce, e che Tania
stia a guardare.
"Vedi, gli ho chiesto di tastarmi... puoi raccontarlo a Billie, se vuoi, anche
questo... E puoi dirle che ho fatto tutto da sola... ho preso l'iniziativa io... sono
venuta qui e l'ho pregato di chiavarmi... e che buon prò ti faccia! "
Le due ragazze si guardano in cagnesco. Io cerco di pacificarle. Non voglio fiche
litiganti fra i coglioni. Offro da bere, per rappattumarle.
Jean dice: "C'è poco da rappattumare. La questione si pone in questi,
semplicissimi termini. Tania vuole che tu la chiavi. Io voglio che tu chiavi me. A te
la scelta."
Tania non è affatto turbata. Ci ha fatto il callo a queste feroci scene
dostojevskiane. Non per niente è figlia di sua madre e sorella di suo fratello!
Mentre Jean ancora parla, lei le va vicino e le bacia una tetta. "Ah, se avessi io un
seno così bello!" esclama. Sa come metter Jean di buon umore. Dopo un minuto
mi siedono entrambe sulle ginocchia e si palpano il seno a vicenda, mentre io le
tasto entrambe.
151
Non mi lamento. Se si mettono d'accordo fra di loro, io, per me, sono disposto
a chiavarle entrambe. Tania propone di fare a testa e croce. Quella che, vince
verrà leccata dalla perdente e chiavata da me. Jean non si fida. Teme un
imbroglio. Non saprei biasimarla. Ma non c'è altra maniera per dirimere la
questione senza rancori.
A considerarla freddamente, è una cosa tremenda... succhiare la fica di
un'altra donna solo perché è venuta testa anziché croce. È un gioco da puttane, e
io provo un senso di sollievo quando è Tania a non azzeccarci... anche se so che
Jean si guadagna il pane e il companatico grazie alla sua abilità nel succhiare a
regola d'arte una fica. In certo qual modo non sembrava giusto che fosse Jean a
perdere una partita del genere.
Dunque ha vinto lei e si denuda in un baleno. Tania la imita sùbito. Poi,
tenendosi per mano, si dirigono verso il divano. La mano nella mano! sembrano
due ragazzini che vanno a scuola. Dovrebbero avere il cappellino in testa e la
borsa sottobraccio.
Fanno un bel vedere, quelle due. Jean è più formosa. Tania sembra una
miniatura accanto a lei. È bello da vedere e dolce è, soprattutto, pensare che
entrambe queste fiche ti appartengono, più o meno. Spero di non dimenticare mai
l'aspetto che avevano.
Jean si adagia sul divano. Tania si siede sulla sponda e prende a carezzarle,
propedeuticamente, le cosce. Io me ne sto seduto con una bottiglia di vino al
gomito, i piedi allungati su un puf, il cazzo in mano, come uno scettro. Mi pare di
essere l'imperatore Claudio.
Tania intinge le dita nel bicchiere e spruzza del vino sul ventre e sulle cosce di
Jean. Quindi si china a leccare quelle gocciole, a una a una. Jean è
arrapatissima. Tania non è mica una dilettante. Si mette a baciare le tette di
Jean e intanto le preme la passera contro un ginocchio. Le insinua una mano fra
le cosce e le massaggia la fica. La titilla, inducendo Jean ad allargare le gambe.
John Thursday mi spunta dalla pattuella come un palo sbilenco. È gonfio di
importanza, apoplettico di voglia. Mi tolgo i vestiti per dargli più aria, per
raffreddarlo un po'.
Jean si è sollevata sul busto per meglio vedere Tania che si dedica alla sua
fica. Tania è una stuzzicosa. Lingueggia tutt'intorno all'abricot-fendu senza
152
ancora aggredirlo direttamente. Jean perde la pazienza. Afferra Tania per la nuca
e la spinge contro di sé. "Succhiala, demonietto!"
Non si sbaglia. Tania è un demonio. E. ora questo demonio l'abbranca pel culo
e poi la sua lingua scompare dentro la trappoletta di Jean. Se chiudi gli occhi,
diresti
ch'è
qualcuno
che
succhia
una
melarancia.
Lei
succhia,
lecca,
mordicchia... e ogni guizzo le rende entrambe più che mai arrapate. Ho paura che
Jean se ne venga prima ch'io ci abbia messo le mani, su di lei.
Ma Tania sa quando fermarsi. Si stacca da Jean, la quale seguita a contorcersi
come un lombrico, e si butta su di me. Con la bocca grondante sciroppo ficaie mi
bacia l'uccello, mi lecca le palle.
"Chiavala... Chiavala...'' ulula. "Chiavala prima che si finisca da sola con le
dita! "
È un invito a nozze, per me. Jean mi accoglie a gambe aperte. Gianni infila
dentro la testa senza neanche guardare, e non si ferma finché non è entrato del
tutto. Jean s'inarca sulle reni sì che il buco del culo, se fosse una bocca da fuoco,
sparerebbe sul soffitto. Si dimena tutta quanta di passione chiavatoria, non v'è
parte di lei che stia ferma, non v'è fibra di lei che non partecipi a quella scopata.
Tania è deliziata. Gli occhi le luccicano, e si fa un ditalino mentre ci guarda
fottere. "Se ci fosse qui Snuggles, a vedermi!" esclama. "Quanto le piacerebbe, a
quella fanciulla innocente. Povera Snuggles, conosce solo un cazzo, lei, finora:
quello di Peter. Non ha mai visto un uomo fatto fottere una donna."
Jean è curiosa. "È vero," mi domanda, "che tu ti chiavi la madre di Tania? "
"Sicuro, che si chiava mia madre," risponde Tania per me, sdegnata. "E pure la
mamma di Snuggles, si fotte. Snuggles non ci vuol credere..."
"E quell'effeminato di tuo fratello Peter... È vero, Tania, che quando tua madre
va a letto con un uomo si porta anche il ragazzo e gli fa ciucciare il cazzo del suo
amante? Ah, che mondo! Che famiglia perversa!"
"Ora ti mostro quel che fa Peter, a volte," dice Tania, avvicinandosi. "E lo faccio
anch'io, quando lui chiava la mamma."
Tania è sopra di noi, fra di noi, sotto di noi... striscia, sguscia come
un'anguilla... lecca le tette a Jean, il culo a me... Ci ronza intorno come una
zanzara. Sono troppo arrapato per scacciarla. Ora bacia il culo a Jean, dando
gran schiocchi di lingua... Finalmente, mentre giacciamo sul fianco, ella sta dietro
Jean circondandole la vita con le braccia.
153
Jean ha le cosce dischiuse, poiché io non smetto di fotterla neanche quel tanto
che basterebbe perché Tania si avventasse sul suo culo. Lei continua a ronzarci
intorno come una zanzara, ma io sono troppo arrapato per scacciarla. Tania lecca
fra le cosce di Jean... lecca anche le cosce e le palle a me. Bacia il culo a Jean...
odo le sue labbra schioccare e la sento sospirare. Ha il naso sul mio inguine, il
mio cazzo lo sfiora... lei ci implora di star fermi un momentino... solo un
momento.
"Lasciala fare," dice Jean. "Fa' come dice lei... voglio vedere un po' cosa farà..."
Il divano smette di sobbalzare. Io ho il cazzo mezzo dentro e mezzo fuori dalla
figa di Jean, e Tania incomincia a leccarlo con foga. Non c'è niente che non sia
disposta a fare, la zozza puttana! Lecca contemporaneamente il mio uccello e la
sorcia di Jean. La sua lingua è una alacre navetta, fa la spola dalle mie palle al
clitoride di Jean, lasciando una scia di saliva lungo tutto il percorso. Non capisco
più niente, a un certo punto, non capisco se il mio cazzo si trovi nella fica di Jean
o dentro la bocca di Tania.
Jean geme, sta venendo. Io la fotto fino a che mi duole il ventre. Gianni spara.
La figa di Jean e la bocca di Tania si contendono la sburra. Per Giannetto fa lo
stesso. Le accontenta tutt'e due. Uno schizzo a Tania, uno schizzo a Jean, e così
via, fino ad esaurimento. Tania lecca i rimasugli...
Le cose sono tanto ingarbugliate, a questo punto, che sarebbe difficile
pasticciarle maggiormente. E tuttavia queste puttane ci riescono.
Susan vuole dei quadrucci ad hoc per il suo nido, quindi le mando Billie. Poco
importa se Susan è la madre d'una fanciulla con cui Billie fa le sue zozzerie: è pur
sempre una cliente.
Quando rivedo Susan, la mi si mostra scandolezzata. "Quell'artista che mi hai
mandato," mi fa, "è una lesbica, è. E che lesbica shocking! Siamo andate insieme
in trattoria. Avresti dovuto sentire che commenti faceva su ogni donna che
passava. Non mi sentivo mica tanto al sicuro, con lei."
Cosa mi tocca sentire, da una che compra quadri pornografici da appendere
alle pareti! Susan è ancora una turista, e tale rimarrà sempre, qualsiasi cosa le
succeda a Parigi. A sentir lei, diresti che il connilingo fra donne è una malapianta
che cresce solo da questa parte dell'Atlantico.
Comunque ha comprato dei quadri da Billie e glien'ha commissionati altri.
154
Billie un giorno viene a casa mia per parlarmi di Jean. Vuol sapere che
sentimenti nutro, io, per lei. Ho forse intenzione di redimerla? Intendo farne la
mia amante fissa? "Da uomo a uomo, parliamoci chiaro."
Che sollievo, per lei, apprendere che su Jean ho intenzioni tutt'altro che
onorevoli. Non gliene importa, se me la chiavo — dice — basta che non cerco di
portargliela via. Anzi è contènta che venga qui da me, così almeno non va con
altre donne. E poi le scopate la rendono più mite.
Ecco il motivo — mi spiega — per cui lei seguita a disegnare e dipingere, anche
se si è resa conto, ormai da un pezzo, di essere solo una brava artigiana e non
un'artista fuori serie... Perfino per una lesbica non c'è soddisfazione a farsi leccare la fica... non c'è, insomma, la stessa soddisfazione che prova una donna
normale quando si fa chiavare. Quindi lei è perennemente insoddisfatta, deve fare
qualcosa, e così si dedica all'arte.
Diventiamo buoni amici, Billie e io, quando lei si convince che non voglio
portarle via Jean. "Come uomo," mi domanda, "che ne pensi di lei come donna? Ti
arrapa da matti?"
Poiché so che lei non ha mire su di me, né su alcun altro uomo, posso dirle la
verità. E le dico che Jean è un gran pezzo di fica, da qualsiasi parte la si rigiri, e
scoparla è come andare in paradiso.
Billie guarda l'orologio. "Fra un po' devo scappare. Ho un impegno. Ma prima
che vada... ti andrebbe chiavarmi?"
Non credo ai miei orecchi. Glielo faccio ripetere.
Mi spiega: le piaccio, e in più prova della gratitudine per me, per come tratto la
sua Jean diletta. Cosa danno le donne, agli uomini, quando sono loro grate? E
così, lei, se l'accetto volentieri, volentieri me la dà. Se non mi va... se una lesbica
mi schifa... come non detto e senza rancore.
Come potrei ricusare un'offerta del genere? Una figa è una figa. E a
Giannettaccio importa quel che hanno tra le gambe, le donne, e non quello che
hanno in testa.
"A me piace esser chiavata, di tanto in tanto," confessa Billie. "Ho la
sensazione di barare, sennò. Non sono una di quelle che non sopportano di
toccare un uomo. Sarei persino una brava moglie... Solo che non mi divertirei
molto."
155
Ci spogliamo. La faccio sdraiare in terra, sull'arazzo cinese. Le piace. È un
tocco esotico che rende il resto più erotico.
Fa quasi tenerezza, Billie. La vedi che si sforza di apparire femminea,
seducente come donna. Sembra una ragazza ingenua che cerchi di passar per
sofisticata. Si spoglia con estrema circospezione... è ritrosa e si cala le mutande
con esasperante lentezza... esita a mostrarmi quella bonne-bouche frangiata di
nero... tanto che mi pare di essere un satiro il quale ha allettato una bambina di
dieci anni con un gioiello di Woolworth. Poi, prima di essersi tolta le scarpe e le
calze, attraversa la stanza e viene vicino a me e mi consegna nelle mani tutto
quello che ha. Preme il ventre contro di me; in punta di piedi strofina la passera
contro la mia pattuella. È venuta per farsi palpare, e l'invito non può venir
respinto... Lei ride piena d'imbarazzo quando la prendo su e la porto sul letto.
Diamine, sono imbarazzato anch'io... la depongo sulla sopracoperta, supina, e
lei si ribalta, con le gambe divaricate per mostrarmi la sua fica. "Vuoi assaggiarne
un morso?" mi domanda. Poi, quando mi butto... "No, scherzavo. Quella è roba da
donne."
Il mio cazzo non è al massimo del suo splendore, e noi stiamo lì a baloccarci
finché non s'è fatto bello duro. Ci son molte cose che Billie ignora in fatto di
uccelli, ma Johnny ha bisogno solo di incoraggiamento, non di persuasione...
"E Jean scopa bene?" mi domanda Billie. Annuisco. Lei allora: "Ti prende il
cazzo in bocca spontaneamente oppure devi indurla? E si fa leccare la fica da te?
Fate sessantanove? Ti parla mai di me? Ti confessa di altre donne con cui è stata
a letto? Pensi che sia felice con me?"
Le do tutte le risposte opportune, e Billie è tutta contenta. Jean — mi dice — è
la più dolce fica con cui lei abbia convissuto. Se non altro, non è sudicia. "Ah, se
fossi stato sposato o avessi convissuto a lungo con una donna, sapresti cosa voglio dire. Le donne sono sporche, disordinate, pasticcione. Mollette nel letto,
piscio o carta nel cesso senza tirar la catena, tamponi del marchese in giro per
casa... Questo e altro, la più parte delle donne. Jean invece è pulita come un
gatto. Se non dormissi con lei, potresti abitarci insieme per anni e non sapere mai
quando ha le mestrue. E poi, quand'è l'ora di fare l'amore, lei ha sempre la
passerina pulita, fresca come un fiore."
156
Billie potrebbe seguitare a parlare di Jean fino a notte, e scordarsi di scopare.
Io però ci ho il pepe al cazzo. Glielo struscio fra le cosce. Lei le allarga. Io la
monto. "Sei pronta? Vuoi che ti chiavo ora?"
"Sì, sì, mettilo dentro, ma pian piano, un tocco alla volta. Lo sai che non ci
sono abituata."
Mai scopato una figa tanto poco interessata a quel che accade. Anzi, lei si
annoia. E dopo che son dentro di lei da un paio di minuti, è stufa marcia. A un
certo punto agguanta la borsetta, l'apre, ne estrae un carboncino e si mette a
disegnare sul muro. Disegna, mentre io la fotto! È un insulto, un oltraggio, ma lei
ne è praticamente inconsapevole. Per lei il cazzo è acqua fresca. Mugola fra sé e
sé un motivetto, mentre dipinge e si lascia chiavare.
Eppoi il disegno viene all'incontrano e se uno volesse guardarlo dovrebbe
capovolgersi.
"Non hai ancora finito?" mi fa. E mi sbadiglia sul muso, la troia!
Ora t'aggiusto io, schifosa figa invertita, dico fra me e me. Tiro fuori l'uccello
dalla figa, poi la prendo e la ribalto sulla pancia. Lei è tanto sbigottita che lì per lì
non reagisce. Poi l'inferno si scatena.
"Ah, no!" grida, furente, "no, tu a me non mi inculi! È una perversione eppoi...
mi faresti male. Fallo a Jean, se Jean ci sta. Forse le piace. Ma a me no! "
Fa per saltar giù dal letto. Se Billie fosse una figa qualsiasi, forse non ce la
potrei con essa. Invece lei si batte come un uomo, senza mordere o graffiare, e
neanche cerca di assestarmi una ginocchiata sui coglioni. È quindi soltanto
questione di peso e di forza, da uomo a uomo, eppoi io ho il vantaggio di averla
già stesa bocconi. Quando punto l'uccello contro l'orifizio del suo culo ribelle, i
suoi stessi divincoli e dimenamenti mi sono d'aiuto. Gian Giovedì si apposta sulla
soglia.
Billie passa alle minacce. "Se non la smetti, non ti farò più chiavare Jean.
Eppoi dirò in giro che hai lo scolo, così non troverai più da scopare..."
"E io dirò che me l'hai attaccato tu."
"Chiamo il portiere!"
"È amico mio. Magari m'aiuta a tenerti ferma!" Lei si divincola.
"Non mi sfuggi, annusafìghe. È inutile che ti dibatti. Ora te lo ficco tutto su.
Oh, lo sento che non ci sei abituata, cocca. È stretta la strada. Ma te la slargo io,
sta' tranquilla, e poi te la lubrifico di sburra."
157
Billie morde il cuscino per la rabbia. "Sei un bastardo! Sei una carogna! Un
figlio di puttana!"
"Urla quanto ti pare. Adesso sì che sei viva. Prima sembravi morta. Lo vedi,
come ti agiti? Un cazzo in culo fa miracoli. Risuscita anche i morti!"
Lei smette di inveire e incomincia a implorare, piagnucolando. Ma io seguito
imperterrito.
"Basta, Alf, ti prego, basta! Senti, Alf... ti procuro delle donne. Belle fiche che
cercano l'uomo. Ne conosco a bizzeffe, io, Alf. Te le faccio conoscere, Alf... ma tu
tirami fuori quel cazzo dal culo! "
E via di questo passo. Ma se anche mi promettesse tutte le fighe di Parigi, non
smetterei. Non potrei smettere. È una grande inculata, ragazzi. Le diteggio anche
la figa. Darei una palla, per farla venire. Ma non credo che ci sia modo e maniera.
Quando me ne vengo, e le inondo il retto di sburra, intensifico l'arpeggio con le
dita, e lei ulula, ma non se ne viene però.
Poi, di punto in bianco, Billie si placa. Quasi quasi le torna il buon umore. La
prossima volta saprà regolarsi. Non verrà qui da me senza scorta armata. Ci
scherza su, adesso. "Non so se raccontarlo a Jean oppure no. Ma di', ti ha dato
gusto? Sei soddisfatto, almeno? Bene. Ora lasciami in pace, perché voglio
terminare 'sto disegno."
Sam Backer ha stretto una sorta d'accordo con Severin. Non ne conosco i
dettagli, ma Carl dice che si faranno soldi a cappellate.
"Non so cosa pensare, Alf," mi sta dicendo Sam, per la trentasettesima volta.
Gli rode da matti che Alexandra sia mancata all'appuntamento iersera. Ma non è
solo questo però. A poco a poco viene fuori la piena confessione. "Ah, se quella
stronza non fosse mancata, tutto questo non sarebbe successo!"
"Successo cosa?"
"Una ragazzina, Alf. Poco più grande di mia figlia. E la cosa peggiore è che ho
voglia di tornare a scoparla! Anche adesso, mentre parlo con te, mi pare di
vederla... tutta nuda... e completamente ingenua, innocente, ignara di tutto. Di
me si fidava ciecamente, era chiaro. E tuttavia era così piena di vita, così ansiosa
di fare di tutto per compiacermi. È una bimba dei boschi, una piccola ninfa
silvestre."
Io taccio, diplomaticamente. Qualunque cosa dicessi, manderebbe Sam su
tutte le furie. O mi accuserebbe di calunniare una bimba innocente, vilipendere
158
una vergine villanella, oppure penserebbe ch'io penso che lui ha fatto la figura del
fesso. Il miglior partito è quindi quello del silenzio.
"Non credo che fosse vergine, però," dice Sam, pensieroso. "Qualche ragazzetto
deve averle fatto la festa, durante una scampagnata o che. Però è un peccato,
prendere carnalmente una fanciulla come quella, distruggere tutte le sue
illusioni, farle quello che le ho fatto io. Avrei voluto non approfittarmi di lei, ma è
stata più forte di me, la... la libidine. Una volta partito, non potevo fermarmi.
Dovevo assolutamente scoparla. Essendo lei giovane, ingenua e innocente, io mi
sono comportato da bestia, da satiro, da demonio, con lei. Le ho fatto fare tutto
ciò che fa sua madre. Dio dio dio! madre e figlia, me le sono chiavate tutt'e due. E
non mi posso scordare né l'una né l'altra. Che razza di situazione. Alf, tu conosci
Alexandra. Cosa è muso di fare, se lo viene a sapere? Pensi che potrebbe andar a
raccontare tutto a mia moglie Susan? Cristo dio, glielo confesserei io stesso, se lo
ritenessi opportuno. Ma non credo sia il caso."
Se Sam si è dato del tempo, con Alexandra e Tania, Susan non è stata da
meno. Nella sua mansardina, ne ha fatte di cotte e di crude, di giorno e di notte.
L'altra sera però ha corso un bel rischio. Si è portata su due tizi, per farsi scopare
in tandem.
Poi, non so perché, ha preso paura, e non voleva più starci. Ma quelli l'hanno
legata sul letto e hanno fatto scempio di lei. Erano due duri, probabilmente due
malavitosi, di quelli che a Parigi si chiamano apaches.
"Come mi hanno maltrattata!" dice
Susan, simulando un brivido di
raccapriccio. "Le porcherie che ho dovuto subire, i soprusi cui m'è stato
giocoforza sottostare. No, non voglio parlarne. Non voglio ricordarlo. Legata al
letto, alla mercé di uomini senza pietà! Cosa direbbe Sam, se venisse a saperlo?"
Magari glielo racconterà lei stessa. Le donne sono dei mostri, quando
attaccano a confessare, sadicamente, le loro colpe ai mariti, agli amanti...
In America, quando una donna ha certe fantasie, va da uno psicanalista a farsi
frugare il cervello. A Parigi, è più probabile che finisca in una camera d'albergo
con un paio di bulli e un magnaccia munito di cinepresa.
159
Parte terza
CHERCHEZ LE TOIT
Sam ha molto da dire sui francesi. "Balle," dice, "tutto quello che si racconta
sul loro indolente savoir vivre. L'indolenza c'è, manca però la bella vita. Un'ora e
mezzo d'intervallo per il pranzo," sbuffa, disgustato. "Pensavo che fosse un popolo
meravigliosamente spensierato, per pigliarsi un'ora e mezzo di vacanza ogni
giorno... Finché non ho scoperto come l'impiegano, quest'ora e mezzo. In
maldicenze, in piccinerie, in taccagnerie... Vuoi saperlo, Alf, perché prendono
un'ora e mezzo per il pranzo? Perché ritengono di trovarsi al sicuro, in una
trattoria, in un caffè, dove non spenderanno più di quanto hanno preventivato di
spendere. Se restassero in ufficio, magari, potrebbe arrivare qualcuno a vendergli
un nuovo nastro per la macchina da scrivere. Ecco il punto. I francesi
rabbrividiscono all'idea di far affari perché costa sempre qualcosa, far affari.
Guarda qua..." Tira fuori della tasca un pezzo di carta e lo butta sul tavolo.
"Questa è una ricevuta che m'è stata rilasciata stamattina da una Ditta
commerciale che si suppone seria. Lo vedi cos'è... il rovescio di una busta. Questi
sono gli affari che fanno i francesi."
E via su questo tono. Sam trova mille motivi per denigrare i francesi. La realtà
è che, da quando è a Parigi, la sua vita è sconvolta. Io non ci faccio caso alle sue
invettive e recriminazioni. Dica quello che gli pare, basta solo che non torni in
America. Mi fa comodo averlo qui, per scroccargli da bere e scopargli la moglie e
la figlia. Per il resto, parli quanto gli pare.
Non che non gli voglia bene, al vecchio Sam. Andiamo abbastanza d'accordo.
Lui si confida con me. Mi racconta le sue avventure con Alexandra e Tania. Io non
gli racconto nulla, delle mie avventure con Susan e Snuggles. Tutto fila perfettamente liscio, in questo modo.
Non vedo Susan da diversi giorni. Mi evita. Chiedo sue notizie a Billie. E Billie
mi fa: "Sai che cerca di farsela con me?"
L'idea la diverte, ma credo che l'interessi anche. Dopotutto, Susan è una bella
signora e — anche se Billie predilige le fanciulle in fiore — cambiar genere ogni
tanto non dovrebbe dispiacerle.
160
"L'altro giorno," mi racconta, "vado da lei per consegnarle altri acquerelli e lei
comincia a dirmi che a Parigi si sente molto sola, senza nessuna amica, e poi mi
chiede di che cosa tratti II pozzo della solitudine... questo romanzo che sta dando
scandalo... e mi fa tante altre domande sulle seguaci di Saffo. A tutta prima
pensavo che fosse semplice curiosità, ma poi mi sono convinta che Susan vuol
portarmi a letto con sé... o meglio, farcisi portare. Tu che ne pensi? "
"Mah! Susan ne ha fatte di tutti i colori, a Parigi, quindi non vedo perché
debba negarsi anche questa esperienza amatoria."
Billie annuisce. È quello che voleva sentirmi dire. Poi mi domanda: "Com'è
Susan a letto? Una calda chiavata? Sul tipo di Jean, per esempio? " Vuole che le
racconti tutto, come un uomo. "E il fesso che paga? Il marito? Che tipo è il
marito?"
"Che ti frega del marito! Quali mire hai su Susan?"
"Mah..." Accavalla le gambe, mettendo con noncuranza in mostra le cosce.
"Non ho ancora deciso."
"Per amor di Gesù, sta' composta!" mi tocca dirle. "È quasi una settimana che
non chiavo."
Lei si rassetta. Si fa tutta pietosa. "Poverino! Vuoi che dica a Jean di venirti a
trovare?"
A stento mi trattengo dal saltarle addosso. Per sua fortuna, se ne va, prima
che ci scappi lo stupro.
Mi
telefona
Ernest.
Che
cosa
ho
fatto
—
vuol
sapere
—
riguardo
all'organizzazione di quella riunione da Susan? Mi tocca dirgli che non ho fatto
proprio niente... Non l'ho mai vista tanto a lungo per poterne parlare. Allora, ci
penserà lui, dice, fra un moccolo e l'altro... "Dov'è che la posso trovare?" Gli indico un paio di posti dove potrebbe capitargli di incontrarla, e lui riattacca.
Sembra tanto sorpreso quanto me, di lì a un paio d'ore, quando mi ri telefona.
L'ha rintracciata e adesso si trovano in un locale di rue St. Jacques. Vuole che io
li raggiunga subito.
"Perché dovrei venire lì anch'io? Senti, Ernest, sistema tutto tu... Io devo
uscire, andar a mangiare qualcosa, tra un po'..."
161
Ma così non va bene, a quanto pare. Lui deve andare a casa a prendere la
macchina fotografica, e non può né portar Susan con sé, né lasciarla sola. Ha
paura che le passi la sbronza, se non c'è qualcuno che continua a farla bere.
"Non hai detto ch'è d'accordo, quanto al party?" gli domando.
"Beh, no, non ha detto così, esattamente, Alf, ma ci starà, senz'altro. Quando
l'avremo portata a casa sua e avremo sistemato tutto per bene. Che c'è... che ti
piglia? Non ti va di chiavarla?"
"Sì... sì... Mi va eccome di scoparla, Ernest, senz'altro, ma ho delle perplessità
riguardo a quella foto. Corri il rischio di mandare a monte tutto, se arrivi con un
taxi carico di riflettori e cavi elettrici e compagnia bella."
"Non andrà a monte nulla... anzi lei troverà magnifica la cosa, non appena
sarà entrata nello stato d'animo giusto. Non è stata sua, l'idea, in primo luogo?"
Alla fine, naturalmente, esco di casa per andare a raggiungerli. Se non ci
andassi, Ernest si offenderebbe. Eppoi la cosa può riuscire spassosa, dopotutto...
ci sarà da bere gratis, se non altro.
Va scendendo la sera, quando m'avvio a piedi, e le mignotte stanno uscendo
dalle loro tane, per recarsi al lavoro, appostandosi agli angoli delle strade. Chi
diamine prende su una puttana, a quest'ora del giorno, mi domando? I turisti,
probabilmente. Chiunque altro sa che, se tiri su una troia alle sette, devi
sfamarla, portarla a cena...
Una di loro mi si affianca e comincia a recitare la sua litania: "È così bello,
monsieur! E costa così poco! Non le piacerebbe sapere come fanno all'Avana? Sì,
io ero all'Avana, monsieur. Non lo faccio di mestiere, glielo giuro. Ma i tempi sono
duri. Mi offra almeno un piccolo pernod..."
Me la tolgo di torno e proseguo, sulla scia di una figa bionda. Ha una tela
sottobraccio, sarà certo una studentessa d'arte, però cammina come una
ballerina di fila. Fatti sì e no cinquanta passi appresso a lei mi viene il cazzo duro,
solo a guardarla smenare le chiappe. Fischietto, per vedere se si volta. Non si
volta.
Quante volte — mi chiedo — quante volte ho seguito una figa per strada, come
un cane che annusa una cagna. Senza una probabilità su mille che quella ti dia
retta. Il culo che cammina avanti a me oscilla come un pendolo, segnando i
secondi della mia disperazione. Ecco un'altra figa che non chiaverò mai! Milioni di
162
altri coglioni sbaveranno desolati come me, in questo momento... e quel pendolo
continua ad oscillare... e la morte si avvicina ad ogni istante.
Meno male che ho una mèta. Sennò tornerei indietro, da quella puttana
dell'Avana. Mica era tanto male.
La studentessa s'imbuca in un locale. Non l'ho vista in faccia, ma ho con me
l'erezione che m'ha dato. Non la rivedrò mai più. Non le incontri più, mai più,
tutte queste belle fighe, dietro cui sfreni i sogni, i desideri, e ti maceri invano e ti
rodi e t'arrovelli, delirando, camminando per le strade...
Ne adocchio un'altra, la seguo, la perdo, ne vedo un'altra e mi metto sulla sua
scia, sempre con questo cazzo che mi tira, come un cavallo imbizzarrito si tira
dietro il carro e lo sconquassa. Cristo, devo essere un figa-fissato, un figossesso,
la figa m'ha dato al cervello, sono infigato! Come un indemoniato, non ho requie.
Ecco, parlo da solo per la via. Vaneggio...
Come quando facevo la fame, ai primi tempi, ed ero sempre un po' sul
delirante. Se vedevo un bel culo, allora, mi veniva la voglia di mangiarlo. Sì, ma
puoi aver fame quanto vuoi, e lo stesso Giannetto laggiù non riesce a distogliere
la mente dalla figa. Lui alza la cresta anche quando a te tremano tanto le
ginocchia che non riesci a camminare diritto.
Ernest non ha detto nulla a Susan e lei, quando mi vede, caccia un gridolino.
Lui fa finta di essere sorpreso e mi dà allegre manate sulla schiena. Susan è un
po' imbarazzata, però deve far buon viso.
Dio mio, quanta fatica, quante storie, quante stronzate e fregnacce varie, per
portarti a letto una donna! Non sarebbe assai più semplice, se bastasse una
pacca sul culo e: "Andiamo, bella!"
Ernest decide eh'è il suo compleanno. "Pago da bere a tutti! "
Tutti siamo solo tre, quindi non gli verrà a costare molto. "Vorrei dare una
festa," dice Ernest, mestamente, "ma la mia casa è piccola."
"Anche la mia," dico io. "Beh..." dice Susan.
"Evviva!" esclama Ernest. "Andremo da te, a far baldoria. Ora, voi due
aspettatemi qui... Torno subito." A me, in disparte soggiunge: "Per amor di dio,
falla bere. Falla bere!"
"Che rotta! Perché non rimorchiamo invece un paio di puttane, e via? C'è un
sacco di belle fighe, in giro per strada."
"Dai, Alf, non ricominciare a fare lo stronzo. Lo sai dov'è Sid?"
163
"No, non lo so, e non me ne frega. Ti rendi conto ch'era mia, 'sta figa, prima
che tu e Sid veniste a mettere le mani sulla torta! Mi aveva promesso un vestito
nuovo... Ora quando me lo compra? Per cristo, Ernest, anche l'amicizia ha un
limite. Lo so che cos'hai in mente... Scattare delle foto! Manderai tutto in vacca,
in questo modo!"
"Ssst! Ti sente!... Ascolta, Alf. Io non t'ho mai fregato in vita mia. Se ci
guadagno qualcosa, con quelle foto, tu avrai la tua tangente. Naturalmente, puoi
anche chiamarti fuori, se non vuoi chiavarla."
"Come sarebbe, non voglio chiavarla? Chi più di me ha diritto di chiavarla?
Sono stato io a darle il via! "
Vorrei ricordare quel che dissi a Susan nella mezz'ora successiva. Parlai fitto
fitto, a ruota libera, parole a pisciarella, su qualsiasi argomento. Susan dimenticò
d'essere in collera con me. Stava lì a bocca aperta. Si lasciò persino tastare sotto
il tavolino. Le cantai una canzone russa. Ma lei non volle mettermi le mani
addosso, la troiaccia. Neppure toccarmi l'uccello. Si ritiene una signora distinta,
la zozza. Comunque, non smise mai di bere.
E così, cominciava a essere irrequieta, a dare in smanie. "Questo locale non è
abbastanza allegro, Alf. Perché non ce n'andiamo da qualche altra parte? A
Ernest lasciamo un messaggio..."
Traslochiamo in un bistrò più gaio. Dopo un paio di drink, Susan non lo trova
più abbastanza gaio. Lasciamo un altro biglietto per Ernest. Nel locale successivo
ci sono sei gatti, e Susan non sopporta i gatti. Ci rimettiamo per strada...
Disseminiamo biglietti per Ernest, come nella caccia al tesoro.
"Se è il compleanno di Ernest," dice Susan, a un certo punto, nel corso delle
nostre peregrinazioni, "devo fargli un regalo."
Entriamo in un negozio d'abbigliamento, ancora aperto a quell'ora. Il
compleanno di Ernest! Cazzo, perché non ho detto che era il mio compleanno,
invece? Il cuore mi si stringe, quando lei comincia a comprare robe. Si aggira qua
e là per il negozio, arraffa questo, arraffa quello, e il commesso ammucchia tutto
sul bancone.
Camicie, cravatte, calzini... Mio dio, è da criminali! E io ho indosso questo
vestituccio, tutto liso e consunto, sformato ai gomiti e alle ginocchia, e in testa un
cappello che sembra che lo usi per pulirmi le scarpe!
164
Canottiere, mutande... "Che taglia, signora?" Ah, quel figlio di puttana e il suo
fottuto compleanno!
Scarpe... "Che numero, signora?" Ah, ma questo è un sopruso, un insulto. E
oltretutto a me tocca portare i pacchi e pacchetti, come un somaro. Ah, Ernest
me la pagherà!
"Perché," dico, "non gli compri anche un vestito, addirittura, col gilè, giacché ci
sei? E un cappotto, anche? E anche un cappello?"
"Un vestito? Su misura? Ma bisogna portarlo dal sarto... E ci vogliono due-tre
settimane..."
"Ma no! Uno fatto e tutto. Un abito confezionato. Se non gli si attaglia, lo viene
a cambiare."
Sono tanto fottutamente incazzato che non me ne frega più un cazzo di niente.
Mi abbasso fino a far da manichino, mentre lei sceglie quello che vuole. Però mi
rifiuto di trasportare i pacchi. Li scarico ai piedi del padrone del negozio, e gli dico
di mandarli a domicilio. Lui fa presente che bisognerà pagare un extra, per
questo...
Al caffè successivo, ci sediamo ad un tavolo in fondo. Voglio riposarmi un po'.
Da qui non ci muoviamo per adesso. Siamo lì da una decina di minuti,
quand'ecco arriva Ernest. Insieme a Sid.
"Ah, finalmente!" Ha con sé una valigetta. Sid porta un treppiedi e una mezza
dozzina di riflettori. Gli pendono fili da tutte le parti. Sembra uno ch'è stato
sventrato e cerca di tener assieme i budelli in qualche modo, sotto il cappotto.
"Stronzo!" dico a Ernest, senza farmi sentire da Susan. "Vuoi spaventarla?
Perché non hai lasciato l'armamentario nel taxi?"
"Ma va'. Lei non sa a che cosa serve, questa roba. Le dirò che è un apparecchio
per fare gazzose." Si rivolge a Susan e le dice: "Questa roba serve a fare le gazzose
in casa."
Beviamo un paio di bicchieri, poi Ernest chiama un fiacre e vi prendiamo posto
tutti e quattro. Io mi siedo accanto a Susan. È arrapatella, adesso. E nel buio
della vettura si comporta molto cordialmente.
Nei paraggi di Notre Dame, le infilo una mano sotto la gonna. Quando
passiamo davanti all'obitorio, in Place Masas, le ho già quasi sfilato le mutande...
Finalmente arriviamo a casa di Susan. Nel frattempo sono stati recapitati i
regali per Ernest. E lei glieli consegna. Lui non si raccapezza.
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"Per il tuo compleanno, cretino!" dice lei.
Sid le dà una manata sul culo e le dice eh'è anche il suo compleanno, oggi. "Ci
vuole un regaluccio anche per me," dice. "Mi accontento di poco. Solo qualche
minuto del tuo tempo."
La spinge in un cantuccio e comincia a giocare con lei. Ernest li guarda,
guarda me, e scuote la testa. "Non capisco," dice. "Proprio non capisco." Disfa un
altro pacchetto e tira fuori un'altra cravatta. Se la infila distrattamente in tasca.
"Tu mi conosci, Alf."
A questo punto, Susan caccia un urlo. Sid l'ha stesa per terra e le ha tirato su
il vestito, sopra la testa, e le sta tirando giù le mutande. Quando le ha messo il
culo a nudo, le dà un paio di sonore sculacciate.
"Non vuole starci," spiega. "Bisogna scaldarle un po' il culo."
"Pensavo che si venisse su solo a bere qualcosa," geme Susan. "Se avessi
intuito le vostre intenzioni..."
Ernest comincia a montare l'apparecchiatura fotografica. "Falla arrabbiare e
lotta ancora un po' con lei, Sid," dice. "La voglio più discinta e scarmigliata, per le
foto che ho in mente."
Susan si incazza sul serio. "Non azzardatevi a fotografarmi!" insiste a dire.
Ernest seguita imperterrito a sistemare i riflettori. Sid intanto la strapazza, la
stazzona, la scardazza bene bene.
"Di', Ernest... vuoi la fica di fuori? La vuoi a gambe aperte? Come la vuoi?"
"Che si veda la pancia... sì, anche un seno... Strappale il reggipetto. Alf, perché
non ti ci metti anche tu?"
"Col cazzo! Non voglio essere immischiato in una violenza anale. È questo il
tipo di foto che intendi fare, eh? "
Se non altro saranno foto molto piccanti... Susan è seminuda. Sid ha ancora il
cappello in testa e cicca un sigaro. Ernest finalmente scatta la prima foto. Sid la
molla, ma Susan resta stesa per terra, ad annaspare e scalciare.
"Chi me l'avesse detto, che proprio a me sarebbe capitata una cosa del genere!"
grida lei. "Oh, se Sam lo venisse a saprei"
"Lasciate che si diverta, basta che non fa troppo chiasso," dice Ernest mentre
stappa un'altra bottiglia. "Ci starà, ci starà."
Susan si mette a sedere con la schiena appoggiata alla parete e accetta il
bicchiere che le viene offerto. Cerca di indurci a più miti consigli. "Una donna del
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mio rango non può proprio permettersi di esser fotografata in questo modo... Ma
non capite?"
Ernest giura che le foto sono solo per la sua collezione privata. "Ecco, bevici
su." Le riempie il bicchiere e si siede accanto a lei per terra. Incomincia a tastarla.
Anch'io le siedo allato. Dopo un altro bicchiere, lei si lascia tirare su la gonna.
Ernest e io, a turno, le saggiamo la figa, e cerchiamo di indurla a giocare con i
nostri uccelli.
"E va bene," dice lei alla fine. "Scattate pure le vostre dannate foto! "
Depone il bicchiere in terra e agguanta con una mano il mio cazzo, con l'altra
quello di Ernest. Il mio è bello turgido. Quello di Ernest non è certo un pisellino.
Sid pigia il bottone, o sono troppo ubriaco, ormai, per sapere se voglio o non voglio venir immortalato da quelle fotografie.
"Spogliatemi," dice Susan. E ci si getta addosso, la puttana.
Da questo momento in poi, è tutto un susseguirsi di scatti... clic! clic! clic! La
macchina è munita di uno strano congedo che mi pare si chiami autoscatto,
quindi possiamo venir inquadrati anche tutti e quattro insieme.
Non appena denudata, Susan si avventa sui nostri cazzi.
La troiona non ha manco pazienza d'aspettare che noi ci spogliamo a nostra
volta. Mentre ancora si contorce tutt'intorno, sulla pancia, e mentre Ernest le
toglie le calze, lei mi apre la pattuella e ci ficca dentro la faccia. Arriccia la lingua
intorno alle mie palle e le lecca, spugnettandomi nel frattempo, e, in capo a dieci
secondi, ha agguantato John Thursday, lo ha messo in bocca e gli sta lavando la
faccia.
E intanto grida a Ernest, fra una ciucciata e l'altra: "Tastami il culo! Leccami la
figa!"
Allarga le gambe e ci mostra tutto quello che ha fra le coscione. Ernest le
stuzzica la fica, ci infila dentro un dito. Lei si rialza in piedi e ci sventola il culo in
faccia, dimenandosi come una danzatrice di hula.
"Torna qui, pezzo di troia!" le grido. Ma non serve a nulla. Quando fo per
agguantarla, lei corre al divano. Ci rimbalza sopra e rivolge il ventre verso il
soffitto, giace là con le gambe divaricate e ci mostra la patonza. Vuole essere
chiavata, vuole sentire un cazzo dentro la sorda, e non si vergogna minimamente
di proclamarlo a gran voce. Si allarga la figa da sé e strofina le dita nella fessura.
Le ci vorrà una grondaia, quando quella sorcia comincerà a colare. La fiumana di
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succo vaginale irrigherà il boschetto, ed i peli del culo, che cresceranno ancor più
rigogliosi e selvaggi.
Sid ed Ernest hanno fatto a gara a svestirsi e arrivano pari al traguardo del
divano. Però Ernest ha ancora su le mutande, e allora Sid gli dice: "Non
azzardarti a chiavarla così come sei, che te le inzuppi. Lascia che la chiavi prima
io, mentre tu finisci di spogliarti."
A Susan non gliene frega un cazzo, chi la chiava la chiava. La sua trappola è
pronta, aspetta solo di intrappolare il primo uccello che le capiti sotto. Sid le salta
addosso, e la trappola scatta. Lei lo abbranca con le braccia e le gambe, e mette il
culo in posizione da chiavata. Sid ci ha su un cazzo che farebbe far bella figura a
uno stallone. A Susan piace da matti e, con due o tre colpi di reni, l'ingoia tutto in
pancia. Ernest si mette a scattare fotografie.
"Dio mio!" squittisce Susan dopo un po'. "Sto per venire. Qualcuno mi dia un
cazzo da ciucciare, mentre vengo! "
Non sono tanto pazzo da affidare il mio pirla prediletto a una puttana
stravagante e selvaggia come Susan. Jean Jeudi deve durarmi per il resto dei miei
giorni, e non posso correre il rischio di perderne la metà. Lei allora arraffa
l'uccello di Ernest, e ne rimpinza la bocca, vellicandolo con l'epiglottide, tubando
e gorgogliandogli intorno. Ernest è disperato, sa di avere commesso un errore.
Suda freddo, e si rivolge a Sid: "Sbrigati a farla venire, stronzo!"
Le prende le tette e gliele strizza finché i capezzoli si fanno viola.
Sid
infila
parecchie dita su pel culo di Susan. Poi... pim! pum! pam! Se ne vengono l'uno
dopo l'altro.
Susan allora allenta le labbra per liberare il cazzo di Ernest, ma questi non lo
toglie di là. "Che fai, pisci?" gli domanda Sid.
"Sicuro," risponde Ernest. Ma Susan balza su, con maggior agilità di quanta
non te n'aspetteresti in una scrofa della sua mole.
È venuto il momento di farsi tutti un'altra bevuta. Ernest traffica con la
macchina fotografica. Susan comincia ad avere alcune idee in proprio, circa le
foto che vorrebbe farsi fare. Prima di tutto, vuole essere fotografata mentre ci
sbocchina, a uno a uno.
Ciò è abbastanza facile... la mettiamo sopra un tavolo e facciamo a turno. Io
sono il primo, e mi metto a un capo della tavola, con il cazzo rizzo, mentre Susan,
a pancia sotto, lo prende in bocca e mi circonda le reni con le braccia. Non
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appena le sue labbra si serrano intorno al mio cazzo, io sono pronto a lasciar
perdere le foto e a pensare soltanto a godere. E difatti dico a Ernest: "Perché non
mettiamo l'arte da parte e non pensiamo solo a chiavare? Me la porto di là in
camera e poi dopo, magari, farai tutte le foto che vuoi."
Niente da fare. Anche Susan è contraria a questa idea. Vuole le foto e ne vuole
un bel po'. Ora tocca a Sid. Senonché ha il cazzo moscio. Susan provvede subito a
indrizzarglielo. Gli bacia le palle, gli lecca il ventre e le cosce. Il cazzo è pronto,
l'obiettivo è puntato. Susan lo scappella, lo monda torno torno con la punta della
lingua. Dentro va...
Susan è di nuovo arrapatissima quando viene il turno di Ernest. Lo capisci da
come gli agguanta l'uccello. Propone una foto diversa: lei supina che poppa le
palle di Ernest. Ernest appare dubbioso. Non lo biasimo, dopo il modo feroce in
cui lei lo sbocchinava poco fa. Però l'accontenta. I suoi coglioni sono troppo grossi
perché lei possa prenderli in bocca tutt'e due insieme, quindi, se gliene stacca
uno con un morso, ha sempre l'altro di riserva. Susan si sdraia. Ernest le mette
in bocca una palla come fosse una ciliegia. Lei con ambo le mani lo spugnetta.
Smena il culo.
D'improvviso mi rendo conto che questa troia che fa la gatta è Susan. Non è
mica Tania o sua madre o una delle fiche di Arthur o di Cari, no, lei è Susan
Backer, in visita a Parigi. Cristo, l'adattabilità di una fica è una cosa mirabile...
Quando la conobbi, Susan si sarebbe buttata nella Senna, piuttosto che fare una
cosa del genere. Questo dimostra che bella cosa è il turismo.
Susan ha un'altra idea. Vuol ciucciare due cazzi contemporaneamente. Il
modo, dice, l'ha inventato lei. Ed eccola regista della scena. Fa sdraiare Ernest e
me sul divano, supini, a culo a culo, con le gambe divaricate, sollevate e
incrociate, sicché i nostri coglioni vengono a formare una specie di quadrifoglio.
Lei si china, congiunge i due cazzi, li stringe tra le dita in un mannello e poi
comincia a passare la lingua torno torno alle cappelle abbinate, quindi allarga la
bocca come un boa, vi infila a gran fatica la binerchia e incomincia a ciucciarla
dolcemente, pian piano, gorgogliando di piacere.
Non avevo mai sentito parlare di una cosa del genere... ma, strano, funziona.
Non è stato facile prendere in bocca quei due cazzi insieme, ma Susan è una
donna testarda. È la cosa più puttanesca che io abbia mai visto... il modo in cui
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costei rischia di slogarsi le mascelle per prender dentro due cazzi di co-tali
dimensioni...
In qualche modo insomma c'è riuscita... e io sarei stato pronto a sburrare
assai prima che lei cominciasse e ciucciare... Mi raddrizzo sul busto per
guardarla meglio. Idem Ernest. Sid sgrana tanto d'occhio e pigia i pulsanti
sbagliati della macchina fotografica, tanto è sbigottito... Scatta comunque foto a
tutto andare. Susan ci sbava addosso, dimenando il culo e cercando di strofinarsi
le tette sui nostri coglioni.
"Perdio," le grido, "se smetti prima ch'io me ne sono venuto, ti strangolo!"
Lei si mette a giocare con entrambi noi, agitando la testa qua e là, sicché si ha
la sensazione che i nostri due cazzi si trovino dentro una fica stretta. Sid non ne
può più... lascia perdere la macchina fotografica e accorre, col cazzo rizzo. Si
porta dietro Susan e le punta l'uccello contro il buco del culo. Susan dà un salto,
come se le avessero infilato un attizzatoio rovente nel retto, ma poi si rimette a
ciucciarci con raddoppiato vigore, non appena si è resa conto di che cosa si
tratta.
Sid seguita a spingere e, nel giro di pochi secondi, le ha ficcato nel culo quasi
tutto l'uccello. Si mette a fottere, e, spingi spingi, riesce a ficcarglielo su tutto
quanto. Susan salta e caracolla talmente che duriamo fatica a trattenerla sul
divano. Non riesce a riprendere fiato, poiché, ogni qual volta cerca di alzare la
testa per respirare, Ernest gliela ributta giù. E i due cazzi che ha in bocca non si
sono certo rimpiccioliti. Sid le urla di sorridere all'obiettivo, poiché sta per
scattare di nuovo.
"Sorridi, puttana," le grida, "sennò ti ficco in bocca anche 'sto cazzo..."
La macchina fotografica non è l'unica cosa che sta per scattare... Io sento il
cazzo di Ernest sussultare contro il mio, e, un momento dopo, la bocca di Susan
si fa tutta appiccicosa. La sburra le cola sul mento e dappertutto... non può
arrestarla.
"Il mio culo!" riesce a borbottare, "... mio dio, va a fuoco!"
Sid fotte come assatanato. Gli occhi gli schizzano dalle orbite, quando
incomincia a schizzarle la sburra su pel culo... ma lei non se n'è venuta ancora.
Sta tentando di ingoiare la sburra di Ernest e a momenti mi ingoia l'uccello,
insieme a essa... Gli è arrivato a metà della gola, quando io me ne vengo, e la mia
sburra deve arrivarle direttamente nei budelli, senza fermate intermedie. Sid ci ha
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rinunciato, a farla venire fottendo... riprende fiato e comincia a pisciare dentro di
lei. È deciso, o a farla venire, o a ucciderla, e per poco non gli riescono le due cose
insieme.
Per mezzo minuto Susan sembra completamente pazza. Né Ernest né io
riusciamo a toglierle di bocca i nostri uccelli, e la diresti intenzionata a
inghiottirci anche le palle. Non ci riesce, a inghiottirle, ma quasi. Si sta
strozzando con la sburra che trangugia, ma ciò non le dà pensiero. Il suo culo è
pieno di piscio e la sua bocca è piena di cazzi... è del tutto impazzita... e
completamente felice.
Quando ha finito di succhiarci, io non riesco a muovermi, e neanche Ernest.
Sono tanto contento di aver riavuto indietro il mio uccello sano e salvo, che me ne
sto lì sdraiato, semplicemente, e sospiro, mentre Susan, che sembra stare' ancora
venendosene, mi lecca la sburra dall'uccello, dai coglioni e dal pelo. Ha molte
pulizie da fare... io sono impiastricciato dall’ombelico fino alle ginocchia, ed
Ernest è nelle stesse condizioni. Ma lei la lecca tutta, tutta quanta, e poi corre al
cesso per sbarazzarsi del regalo che le ha dato Sid.
Penseresti che, dopo tutto questo, lei intenda riposarsi per un po'... macché!
Non è il tipo, Susan. Fa appena una pausa per riempire di nuovo i bicchieri e,
poi, propone di fare altre foto. Io riesco a portare a malapena il bicchiere alle
labbra. Ernest e Sid non sono in miglior arnese di me. Ma il nostro orgoglio di
maschi ci vieta di mostrarci da meno di una femmina.
"Chi mi chiava?" domanda costei, tutta pimpante.
Io cerco un'onorevole via di scampo, e ribatto: "Perché non ci lecchi il culo, a
turno?"
"Oh, no," dice lei, "non mi va di farmi fotografare in quel modo." Quindi,
naturalmente, quella diviene la cosa di cui vogliamo assolutamente prendere delle
fotografie. Sid ed Ernest l'agguantano... Io rivolgo il culo verso di lei e loro le ci
sfregano il naso contro. Lei si dibatte come un'indemoniata, ma è tanto ubriaca
quanto noi siamo spompati. Sento il suo naso strusciarmi sul retto, poi odo uno
smack! quando Sid le dà una sculacciata.
"Bacialo, troia," dice, "sennò avrai un culo tutto screpolato da mostrare a tuo
marito domani..."
Susan finalmente lo bacia. Vi spinge contro le labbra, e la sua lingua guizza
fuori. Solleva ancora obiezioni, ma una pacca sul di dietro di tanto in tanto la
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rimette in riga. Finalmente comincia a ciucciare... mi cinge la vita con le braccia e
comincia a tirar il collo a Jean Jeudi.
Cinque minuti fa ero sicuro che non avrei avuto più un'altra erezione, ma
quando sento la sua lingua scivolarmi su pel retto e la sento succhiare in quel
modo sdolcinato che le è proprio, Johnny si rizza nuovamente. È un ricostituente
tanto meraviglioso che anche Sid ed Ernest vogliono provarlo, quindi lei deve dar
anche a loro una lunga leccata di culo, mentre essi tentano di rimettersi in sesto.
Ernest vuol provare a versare una bottiglia di vino dentro il proprio retto e poi
farlo succhiar fuori da Susan, ma Sid lo dissuade... Susan è talmente ubriaca che
perderebbe i sensi se bevesse ancora molto. Lei però insiste che non è affatto
ubriaca... beve due bicchieri l'uno dopo l'altro per darne la prova, quindi, dopo
che m'ha leccato il culo un altro po', io le salto addosso e le ficco su il cazzo.
Gesù, che buco profondo e caldo che ha! Il pelo tutt'intorno deve servire a
tirartene fuori, se ci cadi dentro... Ma a John T. piace da matti... e se ne viene
quasi appena entrato. Io seguito a fottere e me ne vengo di nuovo prima che se ne
venga lei.
Ernest la vuol chiavare, quando ho finito io. Ma Susan intende ancora
dimostrare che non è sbronza, quindi beve a garganella dalla bottiglia, prima di
allargare le cosce per lui. Io vado al bagno, e, quando ritorno, Sid la sta
cavalcando e Susan è priva di sensi.
Ernest siede in un angolo fra il suo nuovo vestito e le sue nuove camicie e cose
varie e impreca contro Susan quando Sid ha finito con lei.
"Guarda tutte queste fottute cose che quella ricca puttana mi ha comprato,"
dice. Schiocca le dita. "Così, semplicemente... E io che mi son dato tanto da fare
per cercare di indurla a comprarmi la macchina fotografica, tanto per disporre di
un piccolo extra la settimana prossima... Quella fica! Dio maledica la fica ricca "
"È una vergogna," gli fa eco Sid. "Una troia fetente come lei!"
Ernest impreca ancora per un pezzo, ma poi si alza per prendere altre foto di
Susan mentre Sid e io la mettiamo nelle pose da lui desiderate. È come un tronco
d'albero, lei...
"Sentite," dice Sid, dopo che sono state scattate alcune foto a quel modo, "io
sono troppo vecchio per tutta questa ginnastica... Perché non usciamo a
rimorchiare un paio di ragazzi che ci aiutino? Cazzo, se facciamo venire dei
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rincalzi, forze fresche, a scoparla, possiamo fare delle belle foto. Le faremo una
sorpresa... a questa maledetta fica ricca!"
"Mah... non sarebbe carino," dico io.
"Come cazzo sarebbe, non sarebbe carino? È stato forse carino, da parte sua,
lasciarsi fotografare mentre ci lecca il culo? È stato forse carino, da parte di
questa puttanaccia ricca sfonda, umiliare Ernest così, con quei regali da
milionaria? È stato forse carino, da parte di quella maiala, farsi pisciare in culo?
Via! Non star troppo a sottilizzare, Alf! Carino o non carino, andiamo a
rimorchiare dei pischelli."
Non posso non trovarmi d'accordo, con questa logica stringente. "Infatti," dico,
"lei non è mica carina, è solo ricca."
"Eppoi... Ehi! che ne dite? Potremmo anche far pagare qualcosa, tanto per
tener lontani i barboni..." dice Sid.
Segue una discussione in merito all'entità della marchetta, ma nel complesso
l'idea è talmente buona che ci rivestiamo e usciamo a cercare dei clienti. Io sono
favorevole alla trovata poiché mi sembra che sia un magnifico scherzo da fare a
Susan... a tal punto sono ubriaco.
"Non occorre che diciamo loro che lei è priva di sensi, né che noi intendiamo
fare delle foto," programma Sid, mentre scendiamo le scale. "Diremo loro soltanto
che abbiamo questa fica ricca che vuol essere chiavata. Gesù Gesù, sarà una
bella sorpresa per lei, quando vedrà quelle fotografie! "
Viene a trovarmi Snuggles, l'adolescente dall'acerbo seno e dalla fighettina già
rovente. È di pomeriggio e io ho appena fatto il bagno. La ricevo in accappatoio...
il che sembra essere la tenuta ideale. Lei è venuta a cercare una chiavata... e a
raccontarmi una storia sorprendente.
Sam l'ha scopata. Lei è ancora sconvolta, il che, suppongo, è il comportamento
giusto, dato che Sam è suo padre da tanti anni. Deve essere un grosso shock, in
un modo o nell'altro, vedere tuo padre tirar fuori d'un tratto il cazzo, agitartelo
davanti agli occhi, e chiavarti.
Naturalmente, non è andata così. Poiché Sam è fatto come è fatto, le cose non
possono essersi svolte in questa maniera. Ma il risultato non cambia...
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C'è lo zampino di Tania, naturalmente. Probabilmente lei avrà lavorato sul
povero Sam per settimane, mettendogli in testa l'idea, ribadendola di continuo, ad
ogni botta della sua calda fica di puttana. E naturalmente lei avrà messo
quell'idea in testa a Snuggles fin dal primo momento in cui si erano conosciute.
Quindi, un bel giorno la pentola bolle e salta il coperchio.
Lì per lì avevo pensato, sentendo qualcuno alla porta, che fosse Susan...
Ernest doveva farle delle foto. E io credevo di essere pronto a tutto. Ma non ero
pronto a quello che Snuggles mi disse, a mo' di saluto:
"Papà mi ha chiavata ieri..."
Non sta bene dire certe cose nell'ingresso, dove chiunque potrebbe udire,
quindi la faccio entrare e chiudo la porta a chiave, in caso che arrivi qualcuno.
L'invito a sedersi.
"Adesso raccontami tutto, con ordine," dico, desideroso di ascoltare quella
storia in tutti i suoi nefandi e raccapriccianti particolari.
E Snuggles non me ne risparmia nessuno. Anzi, fa apposta — la sgualdrinella
— a insistere su quelli più turpi, e calcare la mano sull'aspetto incestuoso di
quella chiavata, a premere il piede sul pedale del peccato contro natura, allo
scopo, di infiammarmi maggiormente. E difatti, via via che lei racconta, l'uccello
mi si turge, fino allo spasimo.
"È stato ieri pomeriggio. Torno in albergo, e trovo papà solo. Però c'era l'odore
di Tania dappertutto. Doveva essersene andata da poco. Probabilmente l'avrà
stuzzicato, come fa lei, e poi si sarà negata... sapendo che io stavo per rientrare.
Quindi
papà
era
come
forsennato,
poverino.
Vado
in
camera
mia,
innocentemente, e lui mi segue. Io incomincio a cambiarmi, così, senza l'ombra di
cattivi pensieri — cosa vuoi — ma lui mi guarda con occhi che si fanno più
torbidi, via via. Io rido e scherzo, parlando di piccole cose insignificanti. Lui ha il
respiro corto e mi risponde a monosillabi. Quando sto per calarmi le mutande, lui
mi fa: 'Aspetta, t'aiuto io.' E incomincia a tastarmi, pian piano. 'No, ti prego,
papà,' dico io, che ho capito l'antifona, a 'sto punto. Lui è quasi buffo, così
affannato, così perturbato. 'Non aver paura, non ti faccio" niente,' bada a dirmi,
mentre invece mi infila un dito dentro la sorcettina, e con l'altra mano mi
accarezza le tette. Trema tutto, sembra che stia sul punto di svenire. Mi fa pena,
capirai. Per consolarlo, gli do un bacio sulla bocca, lieve lieve, sai, filiale. Ma lui
invece mi infila la lingua tra i denti. Dopo un paio di minuti, incomincia a
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tastarmi. Dopo cinque mi stende sul letto. Di lì a poco incomincia a chiavarmi. E
in capo a una quindicina di minuti... la frittata era fatta."
"Ma perché gliel'hai lasciata fare?" grido io, quando Snuggles arriva a questo
punto. "Non eri mica obbligata, no? Lui non avrebbe mai violentato sua figlia!"
"Credo che lo volevo, che lui mi chiavasse," dice Snuggles, lanciandomi una di
quelle sue occhiate sapute, da ragazzina.
Voleva che lui la chiavasse! Sì, mannaggia, credo proprio che lo desiderasse. E
non si rende conto del motivo per cui sono sconvolto così. Non ne capisce nulla,
di economia, questa piccola sgualdrina. Ma non lo sa cosa mi ha combinato?
Lasciandosi scopare da suo padre, rischia di rovinarmi. Sì, perché, se quello ora,
in preda al pentimento, ritorna a Nuova York, a me chi mi offre da bere? Se Sam
lascia la gaia e dissoluta Parigi per tornare nella puritana America, io a chi
scrocco pranzi e cene? Sarebbe finita la pacchia, per me. Ma a lei non gliene frega
un tubo. E seguita a raccontarmi tutto, e mi dice che aveva una gran voglia di
farsi chiavare da suo padre, e mi dettaglia quello che provava mentre lui la
palpeggiava, e mi descrive le dimensioni del suo cazzo... E così via, finché non ne
posso proprio più. Vado di là in cucina a cercare qualcosa che mi calmi un po' i
nervi, e compio quel tragitto, andata e ritorno, con un tale gonfiore sul davanti del
mio accappatoio che sembro affetto da elefantiasi delle palle.
"Cosa intendi ora fare al riguardo?" le domando, dopo essermi seduto, con un
bicchiere in mano, e aver offerto a Snuggles un bicchiere più piccolo.
"Chiavarlo di nuovo, suppongo," dice lei. "E poi ancora... se lui ci sta."
Se lui ci sta. Come può un uomo, santo dio, farne a meno? Basta che io la
guardi... siede là, accavallando e scavallando le gambe, mostrandomi le
mutandine nuove che indossa... e io ho il cazzo rizzo... e non sono suo padre,
perdio!
"Credevo che tu fossi contento, di sentire questa storia," soggiunge Snuggles,
di lì a un minuto. "Tania dice che ti piacciono le ragazze che sono veramente delle
sporche puttane."
Io mi prendo la testa fra le mani. Non c'è più religione. Non c'è più serietà. La
cosa mi è completamente sfuggita di mano.
Snuggles, mossa a compassione, viene oltre, si siede in terra, fra le mie
ginocchia. Appoggia il mento sopra la mia coscia, come una cagnetta, e guarda
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su. Le sue dita sono appiccicose quando me le infila sotto l'accappatoio per
tastarmi una gamba... vi ha versato del vino.
"Lo sai perché sono venuta a trovarti, no?" bisbiglia. "Naturalmente potrei
andare a casa e vedere se c'è papà..."
Seguita a tastarmi la gamba, fa scorrere quelle unghie che sta imparando a
tenere appuntite su per la mia coscia. Gesù, guardatela! Treccine in testa e dita
sporche di inchiostro, anziché le unghie laccate. Ma quella bocca rossa
puttanesca fra poco comincerà a tradirla... quella bocca da bocchinara, quella
bocca da leccafiche... Comincia ad assumere quell'aspetto che tu impari a
cercare... Non so cos'è, ma comincia a vedersi...
Snuggles sfrega le tette contro il mio ginocchio... Tette?
Torace, direi, ma c'è del morbido, c'è, si capisce che qualcosa è cominciato, e
lei mi scosta i lembi dell'accappatoio, un po' alla volta, guardandomi le gambe
mentre le scopre. John T. sta tenendo la testa sollevata, in attesa del grosso
spettacolo. Lei infila la mano sotto l'accappatoio e gli tira i baffi...
Quasi lascio cadere il bicchiere, quando lei spalanca l'accappatoio del tutto...
si è fatta talmente viziosa, d'un tratto, al riguardo. Depongo il bicchiere e lei si
siede sui calcagni, con l'aria un po' intontolita. Lo rimira con occhio di pesce,
languido.
"Ahò, non starlo a guardare come una scema," le fo, "piglialo in bocca,
piuttosto."
"Non puoi costringermi..."
Invece si, ed è facile. Basta metterle una mano dietro la nuca e spingere. Le
faccio accostare le labbra al turgido glande, che ella lambisce dapprima, come
timida, e poi vorace prende Jean Jeudi nella bocca, e si sporge verso di me,
mentre si slaccia il davanti del vestito. Poi mi struscia contro le palle quelle sue
tette senza tette, e si esibisce in una notevole imitazione di sua madre.
"Mi chiavi adesso?" Si strofina il mio cazzo sulla bocca, sul naso e mi guarda
con aria innocente. "Mi devo spogliare da sola... o mi spogli tu?"
Mi alzo, ma non so quello che voglio fare. Lei sta in ginocchio, con il mio cazzo
in bocca di nuovo, e non ci sarebbe motivo di non lasciarla seguitare, lasciar che
finisca il bocchino e poi cacciarla via a calci. Ma non lo faccio... la tiro su e la
sping0 verso la camera da letto...
176
Lei si stende di traverso sul letto e mi guarda. Il vestito le sale su fino ai
fianchi e lei è riuscita a tenere scoperto anche il seno. Una scarpa cade in terra, e
poi quell'altra, allorché se la sfila con l'alluce. Io mollo l'accappatoio da qualche
parte sul pavimento e salto sul letto con lei.
Come amano, queste fighette, i loro acerbi corpi! Via via che la svesto, lei si
ammira e rimira. Quando le tiro giù le mutandine, a momenti ci si specchia, la
narcisetta, nella sua passera. Poi si ribalta e rigira il collo, in guisa di cicogna, per
guardarsi il bel culetto a mandolino. Io lo slargo fra due dita. Che peccato che lei
non possa, come me, sbirciare fra i peli il roseo occhieggiante bucetto!
Fo per toglierle anche le calze, ma lei: "No! chiavami con le calze su! "
Oh, troia precoce! Allarga le gambe e mi agguanta l'uccello. La piccola rossa
figuccia mi guarda, mi invita, sembra quasi parlare, tanto muove le labbra
frementi. Cristo, è quasi una bambina ancora! Di primo pelo. Una sorcetta ancora
quasi implume. Ma calda, rovente... assetata!
"Leccami il cazzo," le dico. "Ehi, l'hai fatto, questo, a tuo padre? "
No, mi dice lei, hanno soltanto scopato. Lui le ha infilato il cazzo nella fica e
l'ha chiavata, ecco tutto. Ma forse la prossima volta...
L'agguanto a mezza vita e le sbatto il ventre contro il mio torace, strofinandole
il cazzo su tutta la faccia. Sarò un chiava-bambine ma chi se ne frega... Snuggles
è una bambina maledettamente chiavabile... Le lecco i fianchi e le mordo le cosce.
Lei strilla come una piccola maiala e si contorce anche come una maialetta, ma le
piace... e, a ben pensarci, perché mai non dovrebbe piacerle? Quante ragazze
della sua età, dopotutto, hanno occasione di farsi leccare il conillon? Molte, lo so,
ma non talmente tante, quanto a questo...
Lei, realmente, mi getta in faccia quella sua fica quando capisce cosa voglio. Le
cosce mi circondano la testa e mi colpisce in pieno viso con la sorcia. È come
esser colpiti sulla bocca da uno straccio bagnato, caldo, di quelli usati per lavare i
piatti... ma nessuno straccio da cucina ha mai avuto peli, che vi crescessero
sopra, e nessuno strofinaccio per i piatti ha mai avuto un odore di pesca succosa.
Ci affondo la lingua... e lecco e succhio... e le ficco il cazzo in bocca al tempo
stesso. A lei piace giocare a tete-bècbe... si contorce intorno a me come
un'anguilla... Il mio cazzo è due volte più grosso di qualsiasi cosa con la quale lei
dovrebbe aver familiarità, ma lei ci si diverte da matti. Ci sbava sopra come una
veterana, rendendo tutto bello e succoso. Queste giovani troie mi stupiscono
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sempre, a questo punto. Quando ti prendi una donna fatta, con un folto
boschetto e un bel paio di tette... una di quelle pesanti cavalle con un segno
d'accetta sotto la coda... te l'aspetti, di trovarle bagnate fra le cosce. Ma ragazzine
come Tania e Snuggles... è sorprendente la gran quantità di quella roba che
producono dalle loro piccole fiche...
Snuggles ha un bel piccolo ventre. Non è largo e morbido come quello di sua
madre... non lo scambieresti certo per un cuscino di piume... Ma la pelle è liscia,
ed è caldo come il tuo cazzo, e si muove di continuo quando lei respira. Sai di
avere qualcosa di vivo sotto le mani. E lei si contorce quando glielo lecchi...
Le infilo la lingua nella fichetta e la succhio per un po', Snuggles mi stringe il
cazzo con tutt'e due le mani, tenendo la testa di Johnny in bocca, ma lo
spugnetta più che sbocchinarlo. Gli fa solletico sul naso con la lingua e mi dice
eh'è troppo succoso. Ha sempre pensato — mi dice — che, se invece di succhiare
la fica a Tania e a Billie e a Jean, avesse succhiato cazzi, non avrebbe dovuto
bagnarsi la faccia... senonché un cazzo è quasi altrettanto umido...
Fra le ganasce del culo, Snuggles è quasi priva di pelo. Il suo retto è roseo e
stretto, e, per chissà quale motivo, rappresenta una gran tentazione. Ci passo
sopra un dito e lo stuzzico, Snuggles si contorce un po' di più, ma non sembra
dispiacerle, finalmente ci infilo dentro il dito, tanto per vedere cosa farà lei... e lei,
la piccola troia, comincia ad andare su e giù, cercando di fottersi il culo con il mio
dito.
D'un tratto smetto di succhiarle la fica e mi metto a suc-chiarle il culo, invece.
Non chiedetemi perché... è solo perché si trova lì ed ha l'aria di voler essere
succhiato... Lo lecco un po', lo bacio... e ci ficco dentro la lingua. Snuggles quasi
mi stacca l'uccello, tanto forte lo succhia.
Non occorre che mi avverta che sta per venirsene... lo capisco da me... e
anch'io sto per venirmene. Le monto sopra per poterla stringer meglio, affinché
non cambi idea d'un tratto e non mi lasci con una pentola di sburra da versare
sulle lenzuola... le ficco tutto quanto, tranne le palle, dentro la bocca. Riesco a
infilare un dito, oltre che la lingua, dentro il suo conillon e ce ne veniamo
simultaneamente. "Swallow that, you crazy cunt! Ingoia, pazza figa, ingoia
questo!" grido, furente, mentre ejaculo come un assassino, "Inghiotti, o sennò ti
piscio in bocca!'' E accompagno la minaccia con una gran scorreggia, degna di
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Giove Tonante. "Ci... ci provo..." è tutto quello che lei riesce a dire. Ne ha ricevuto
una tale dose che praticamente le esce dalle orecchie, ma fa del suo meglio.
La stanza torna ferma, si riassesta di nuovo, dopo un bel po' di tempo. Mi era
parso di volare come un uccello, e torno giù di soprassalto. Snuggles mi sta
ancora succhiando il cazzo, sta ancora ingoiando la sburra. E qualche figlio di
puttana sta tentando di buttar giù la porta. Stacco Snuggles... ci sta attaccata
come una sanguisuga, al mio cazzo... e porgo l'orecchio. Sembrerebbe Sid, ma
potrebbe essere chiunque. Potrebbe essere persino Cari, il che sarebbe un gran
bel pasticcio.
Ne ho lette, di queste cose, ma, perdio, è la prima volta che mi trovo
personalmente in una situazione del genere: costretto cioè a nascondere
qualcuno. Stavamo facendo tanto di quel chiasso che, chiunque sia, quello là
fuori, deve averlo capito, che io sono in casa. E io — da parte mia — sono curioso
di vedere chi è, non si sa mai...
Snuggles si nasconde in un baleno sotto il letto, portando con sé i suoi vestiti.
E io non riesco a tirarla fuori di là. Le agguanto una gamba e tento di tirarla
fuori, ma lei è come una lumaca dentro il guscio. Perché mai non ha aspettato
che la chiudessi dentro un armadio? Beh, ormai non c'è nulla da fare... quella
porta verrà scardinata, se non mi affretto ad andar ad aprire...
È Sam!
È la prima volta che viene da me, ed ha scelto proprio il momento in cui mi sto
sollazzando con sua figlia.
"Ma sei sordo?" mi fa, povero ignaro.
"Scusa," dico, ansimante, "ma stavo facendo ginnastica..."
Lui mi squadra dalla testa ai piedi e io temo che il mio uccello, ancora
bagnato, mi sbugiardi. Borbotto allora qualcosa come: "Vado a prenderti da bere"
e corro in cucina. Mi copro alla meglio con un asciugamani, ma, quando torno di
là, Sam non è più in salotto. S'è infilato in camera da letto.
Sta seduto sulla sponda. Io mi caco quasi sotto.
Ma lui, tutto cordiale e giulivo, mi fa: "Non voglio interrompere i tuoi esercizi
ginnici, Alf. Fa un mondo di bene, la ginnastica. Bisogna tenersi in forma. Seguita
pure, mentre io ti parlo."
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Quindi mi tocca entrare in camera da letto. Non ho la più pallida idea di come
si faccia ginnastica. Mi metto a roteare le braccia e tento di fare delle flessioni e
piegamenti sulle ginocchia.
"Hai il letto tutto in disordine," nota Sam. Sembra che stia facendo congetture.
"Sì... certo..." Tento di saltare sul letto a piedi pari per dimostrargli come mai è
così disfatto, e atterro sopra la mia sorcetta. D'un tratto mi rendo conto che se
non seguito a fare ginnastica Sam potrebbe udire Snuggles sotto il letto. Cristo,
ma mica posso continuare in eterno a fare piegamenti e flessioni e salti...
"Sam," lo prego, "andiamo nell'altra stanza. Ho finito di fare ginnastica."
È una dura lotta per tirarlo via di là. Non posso chiudere la porta, poiché non
c'è. C'era una volta, ma tanto tempo fa, prima che traslocassi qui io.
Quello che Sam ha da raccontarmi è ciò che Snuggles mi ha già raccontato.
Impiega quasi un'ora a farmi quella tremenda confessione, ma è chiaro che ha
bisogno di scaricarsi la coscienza. Neanche lui mi risparmia i dettagli più
scabrosi. Io sto sulle spine. Temo che da un momento all'altro la fanciulla sotto il
letto faccia qualche rumore, una scorreggia o che, povera cocca.
La cosa peggiore è che tocca mostrarmi comprensivo e compatirlo, quando
vorrei tanto cacciarlo fuori a calci. Invece mi tocca dargli dei consigli... Non l'ho
mica capito, ancora, come mai un uomo — in grado di far quattrini, secondo la
miglior tradizione americana: dall'ago al milione — possa rivolgersi, per consigli o
che, a un giornalista di mezza tacca; ma Sam sembra convinto che io sappia tutto
quello che c'è da sapere intorno a cose di questo genere.
"Credi sia opportuno che la metta in collegio, per levarmela di torno? Secondo
te, dovrei divorziare da Susan? Come posso guardare negli occhi mia moglie... con
tutto quello che ho sulla coscienza? Al ritorno negli Stati Uniti, andrò a farmi
vedere la testa..."
Mi tocca dargli dei saggi consigli e cercar di rallegrarlo. Gli offro del vino e gli
dico di non prendersela così, sono cose che succedono, ma poi, alla fin fine, tutto
torna a posto da sé. Non ne sono minimamente convinto, anzi, secondo me, si
tratta di un folle pasticcio... e rischia di pasticciarsi maggiormente.
Sam parla, straparla, ma senza approdare da nessuna parte. L'unico risultato
è che riesco a convincerlo a non dir nulla a Susan.
180
Finalmente lui guarda l'orologio... ha un appuntamento... e io non cerco di
trattenerlo. Lo faccio uscire più presto che posso, promettendogli che parleremo
ancora, di quella faccenda, a lungo...
Quando sono sicuro ch'è sceso giù per le scale, e non tornerà su a curiosare,
torno in camera da letto... guardo sotto il letto... e cosa vedo? Snuggles si sta
facendo un ditalino e gode un mondo.
La tiro fuori di là sotto, lei salta sopra il letto e dimena il culo verso di me.
"Perché Cristo non hai lasciato le cose come stavano?" le urlo. "Diavolo, avresti
potuto scoparti chiunque, tranne tuo padre..."
"Sono una puttana," dice lei. "Pensavo che lui avesse un grosso cazzo. E infatti
ce l'ha bello grosso. Cercherò di farmi nuovamente chiavare da lui..."
"Sei una miserabile troietta," dico io. "Spero invece che ti prenda a sculaccioni!
Per che cosa credi che tua madre lo abbia sposato? Affinché tu te lo scopassi?
Nemmeno per sogno! Se l'è sposato per scoparlo lei. È affar suo scoparselo, non è
mica affar tuo! Lei può dargli tutto ciò di cui lui ha bisogno..."
"Ma va' là! Lei è indaffaratissima a scopare con te e non so con chi altri, tutto il
tempo. Eppoi perché non dovrei farmi chiavare da mio padre? È gentile... Lo
conosco da quando son nata! Te, da quanto ti conosco? Mah, sei quasi un
estraneo per me..."
Estraneo o no, mi agguanta l'uccello e attacca a spugnettarlo. Si mette in
ginocchio, mentre io siedo sul letto, e comincia a strofinare il capezzolo di quelle
sue acerbe tettine sul mio cazzo e le mie palle.
Johnny comincia a mettersi sull'attenti. Ma io, sordo alle sue inclinazioni, e
ancora infiammato di sdegno, agguanto la impudica fanciulla, me la metto di
traverso sui ginocchi, e incomincio a sculacciarla ben bene. "Prometti che non
scoperai più con tuo padre. Giuralo! "
Lei strilla, ma col cazzo che promette. È una piccola fica ostinata. E più la
batto, più si fa testarda. Il culo le diventa rosso ciliegia, poi rosso fragola, poi
rosso peperone... ma è inutile, non cede, anzi proclama orgogliosamente: "I will
fuck him — lo scoperò, sì, sì, sì, sì — and I'll suck him off too — e glielo ciuccerò
pure — sì, sì, sì, sì, sì... Non me ne frega quanto mi sculacci! Puoi sculacciarmi
fino a domani mattina! Lo scoperò, sì, sì. Lo scoperò sotto gli occhi di mia madre,
se voglio. Sculacciami più forte... vedi se me ne frega! Sculacciami forte quanto ti
pare... lo scoperò anche se tu mi costringerai a giurarti di non scoparlo più ! "
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Sculacciami più forte! Che puttana! Ci rinuncio. Dovrei aver ormai imparato
che puoi sculacciare una fica per costringerla a farti chiavare o a farti un
bocchino, ma, una volta che hanno gustato l'uccello, non c'è verso che tu possa
fargli passare a sculacciate la voglia di tornare a gustarlo. Smetto di malmenarla,
e Snuggles striscia sopra di me, sul letto...
"Ora chiavami," singhiozza. "Mi hai riscaldato il culo... ora chiavami!"
Le renderò il culo ancor più caldo di quello ch'è adesso... La ribalto sul ventre
e mi sdraio sopra di lei. Da dietro, le infilo la cappella dentro la fichetta. Spingo...
Giannettaccio fa fatica a penetrare in lei. È ancora stretta. Ma la linfa ficale la
lubrifica e, cosi, glielo infilzo fino all'elsa. Mi do a fotterla ben bene, finché lei non
comincia a dimenarsi, a smaniare, a non poterne più...
Allora, glielo tolgo dalla fica... e le do l'assalto al culo. Lei zampetta come un
passero. Io le slargo le chiappe e punto la cappella contro il bucetto, premo,
glien'infilo dentro un po'. Ho paura di spaccarla, come una melagrana, ma non è
certo questo timore a fermarmi, arrapato, assatanato come sono. Se anche adesso
esalasse l'ultimo respiro, seguiterei a fotterla finché non si fosse completamente
irrigidita e raffreddata.
Ora implora, oh, sì, si raccomanda. "Non mi farò mai più scopare da mio
padre... Non farò niente che tu non vuoi... Solo, ti prego, toglilo di là... Mi spacchi
in due... È troppo grosso... no, non ce la faccio... Ahi... ahi... ahi... Mi fai male!"
A questo punto ormai non me ne frega più di niente. La desse anche a suo
nonno! E, inesorabilmente, seguito a penetrarla. Lei bada a dire che non ne può
più, che non ce n'entra neanche un altro millimetro. Io invece, con pazienza
infinita — e non senza fatica e abnegazione — glielo inculco tutto quanto, fino all'elsa. Resto buono, per un po', finché lei si calma. Poi, pian piano, incomincio a
fottere. E al contempo le accarezzo la sorcia, le titillo la clitoride, le infilo su due
dita. Lei allora comincia a provarci gusto. E io accelero il ritmo, sempre più,
finché ejaculo, riempiendole il culo di sburra. Anche lei se ne viene,
abbondantemente, fra spasimi di piacere, contorcendosi come una biscia.
Susan e suo marito Sam hanno i loro grattacapi, e non posso dargli torto,
onestamente, né all'uno né all'altra. Però, siamo giusti, sono andati a cercar
rogna...
Dunque, Ernest ha consegnato a Susan quelle foto. Sono riuscite benissimo,
se si pensa quanto eravamo ubriachi quella sera. Susan è inorridita, quando ha
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visto le ultime: quelle che la mostrano insieme a cinque o sei ganzi sconosciuti,
nelle pose più turpi. A tutta prima, ha accusato Ernest di aver eseguito dei fotomontaggi, ma lui non ha fatto fatica a dimostrarle che non era così. Quando lei
si è resa conto, finalmente, che era stata effettivamente chiavata e inculata da
quei ragazzi, ha fatto un casino che non finiva più. In realtà non ricordava nulla,
tanto era ita, e quelle foto sono state quindi, per lei, una terribile rivelazione. Ah,
c'è una mezza dozzina di ignoti che hanno, della sua anatomia, una completa,
intima cognizione! Questo pensiero l'agghiaccia. Ernest, poi, non le ha ancora
detto il peggio: si son fatti pagare, i cari amici, da quei sei o sette ganzi, per il
privilegio di chiavarla.
Susan dal canto suo ha sborsato a Ernest un mucchio di quattrini per avere le
negative. Ma, certo, lui, prima di consegnargliele, ne avrà tirato qualche migliaio
di stampe. Questo è poco ma sicuro.
Quanto a Sam, il suo piccolo grattacapo è Snuggles. Al solito, viene a sfogarsi
con me, e mi racconta. "Ieri l'altro, stavo schiacciando un pisolino, dopopranzo,
quando mi sveglio e... me la trovo attaccata all'uccello!"
Da quel giorno, Sam si è mantenuto sempre più o meno ubriaco. Ogni volta
che comincia a snebbiarsi dai fumi dell'alcool, decide di confessare tutto a sua
moglie... e allora a me tocca rimetterlo di nuovo sulla strada della sbronza. Ciò
comincia a logorargli i nervi... e anche i miei. Non può mica andare avanti così in
eterno... o deve restar fradicio per il resto della sua vita oppure trovare una via
d'uscita migliore di quelle escogitate finora. Non fa che raccontarmi tutto
quanto...
"Mi svegliai per metà, Alf," mi dice... e qui beviamo un goccio... "e la sentii
lavorarmi l'uccello. Cristo onnipotente, credetti di stare sognando... Ho pensato lì
per lì che fosse Susan... Non lo so cosa ho pensato. Ma non mi sono mosso. Ho
chiuso gli occhi e, come in sogno, ho lasciato che seguitasse... Dio mio, dio mio...
Che bravura, che arte consumata!... Un bocchino in piena regola... La mia
figlioletta! Tutta colpa di quella puttana li Tania. È stata lei a portarla sulla
cattiva strada. Ah, che sia maledetta. Perché non m'avevi avvertito? Perché non
mi hai nai detto di non permettere a Snuggles di frequentare quella piccola,
sporca pervertita? Ah, perché non me ne sono accorto in tempo? Perché non ho
preso provvedimenti al momento opportuno?"
183
Tutti questi interrogativi ci angustiano, per un po'. Ma, ahimè, siccome sono
senza risposta, tanto vale berci su. Ci beviamo infatti su e poi io aspetto che Sam
riattacchi la solfa. Potrei raccontargli io la storia in senso inverso, a questo punto,
ma a lui fa bene parlare, suppongo.
"L'ho lasciata succhiare," ripete. "L'ho lasciata seguitare finché stavo sul punto
di venire, svegliandomi un tantino alla volta. Poi, gradualmente, ho cominciato a
rendermi conto che era Snuggles a spompinarmi... Dio, che momento! Ti auguro,
in nome di Cristo, che tu non abbia mai, Alf, a vivere un momento come quello."
Lo spero anch'io. Anzi, ci starò dannatamente attento, perché una cosa del
genere non mi capiti.
"Poi, quando mi sono reso conto di quello che stava succedendo... non lo so,
cosa mi ha preso. Devo essere diventato matto per alcuni minuti. L'ho guardata...
e lei mi ha strizzato l'occhio... proprio come quella bocchinara di Tania... Le ho
agguantato la testa e mi sono raddrizzato sul busto... Lei stava in ginocchio
accanto al divano, e l'ho lasciata lì... Ho cominciato dirgliene di tutti i colori...
epiteti osceni..."
A questo punto Sam diventa piuttosto vago riguardo ai dettagli, ma tutto si
riduce ad una cosa: la figlia ha seguitato a fargli il bocchino, fino in fondo, alla
maniera classica, come ogni bocchino andrebbe concluso... "E allora ho visto che
stava ingoiando... mi aveva svuotato le palle..." Ma c'è qualcosa che lo turba,
quasi tanto quanto ciò che lui ha fatto a lei... "Come avrà imparato a fare una
cosa simile' La sua maestra è Tania, naturalmente... Ma chi sarà stato l'uomo? O
gli uomini! Quanti uomini, secondo te... Oh, è tremendo, doversi porre interrogativi del genere riguardo alla propria figlia! Quale uomo potrebbe essere tanto
vile, tanto basso, da fare una cosa del genere a una ragazzina giovane come lei?
Tranne me... suo padre..."
Certe volte, quando dice questo, Sam mi lancia un'occhiata molto singolare.
Non lo so, se sospetta di me veramente oppure no. Ha in mente una domanda,
ma non riesce a risolversi a darle voce.
"Ho cercato di apprenderlo mentre lei me lo faceva... quando le lanciavo quegli
epiteti osceni... e... così via. Seguitavo a domandarle a chi aveva fatto bocchini in
precedenza... a quanti uomini... ma lei non mi rispondeva niente..."
Respiro, a questo punto. Ma non mi sento ancora del tutto tranquillo. Se
vanno ancora letto insieme, Snuggles è capacissima di raccontargli tutto... e
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qualcosa mi dice che vi sono ottime probabilità che essi andranno di nuovo a letto
insieme. Una volta avviata, una cosa così, non è mica che si arresta da un giorno
all'altro.
"Naturalmente potrei prenderla a cinghiate, e farle confessare tutto," dice Sam.
"Così avrebbe fatto mio padre con me se io... voglio dire... lo sai cosa voglio dire.
Ma non posso neanche sopportare l'idea di domandarglielo. Ho quasi paura di
tornare all'albergo..."
Tutto quello che posso fare, è sperare che, qualsiasi cosa debba accadere,
accada presto e via. Non sopporto di stare a nervi tesi in questo modo, e non
posso restare ubriaco ancora molto a lungo. Non riesco a mangiar niente quando
sono ubriaco a questo modo. Butto giù solo un po' di brodo, prima di andare in
redazione, e far finta di lavorare... sicché rischio di morire lentamente di fame.
Viene Billie a trovarmi, e porta Jean — come una specie di regalo per me — o
forse sono io un regalo per la cara fanciulla... Questo non si è mai chiarito. Può
darsi che Billie tenti di rabbonire Jean dopo quello ch'è successo con Susan.
È sera, e io mi sono appena alzato, dopo esser rimasto a letto per due giorni di
fila. Mica malato, solo... boh, forse un po' di disgusto... chissà. Semplicemente
non ne potevo più, non lo sopportavo più, quindi sono riuscito, finalmente, a
sbarazzarmi di Sam. L'ho scaricato in un bordello... è in buone mani... si tratta di
un casino d'alto bordo... E spero che ci resti alcuni giorni. Avranno buona cura di
lui, in quel casino. Ci sono delle brave ragazze. Le conosco tutte...
Come stavo dicendo, arriva Billie insieme a Jean a tirarmi fuori di questa
stupida depressione e, lo giuro, in vita mia raramente sono stato tanto contento
di vedere qualcuno, come quella lesbicaccia e la sua righetta in fiore. Non è solo
che ho bisogno di farmi qualche bella chiavata per smaltire tutto il sangue cattivo
che mi sono fatto... ho anche bisogno di vedere qualcuno che non sia troppo
immischiato nelle cose che mi sono venute succedendo in questi ultimi giorni. Poi
scopro che Susan e Billie si sono fatte a vicenda. Oh, beh... sono lo stesso contento di vederle.
È passato un bel pezzo dall'ultima volta che una fica mi ha preparato un
pasto. Credo che l'ultima sia stata la piccola cinese. Ma quando scoprono che io
mi sono appena alzato dal letto e stavo per uscire per andare a sfamarmi, Billie e
Jean decidono di preparare qualcosa da mangiare. Ciò significa che qualcuno
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deve uscire a comprare qualcosa, e ciò significa che uscirà Jean. Billie si siede e
mi racconta della sua storia con Susan.
Billie non è molto esplicita, sui dettagli scabrosi... il punto principale è che
Susan ha alla fine scoperto quello che voleva sapere riguardo alle donne come
Billie. Sere fa Billie è andata da lei per portarle alcuni altri disegni, e poi sono
andate insieme da qualche parte a cena, e Susan, a un certo punto, ha trovato il
coraggio di chiedere a Billie di passare la notte con lei. Si sono infilate a letto
insieme ed è cominciato il bello. Ora Susan sa tutto. "Non trovi che sia
interessante?"
Senz'altro, lo trovo interessante. Vorrei anche sapere se la cosa finirà lì...
oppure Billie intende portare avanti una relazione d'amore con Susan? Su questo
punto Billie non si sbilancia. A quanto pare si tratta di una di quelle cose che
vanno in fumo, quando si torna a casa la mattina dopo. Però lei è divertita,
perché Jean si è mostrata un po' gelosa, da allora in poi.
Jean ritorna e le due fiche insieme preparano da mangiare per noi tutti. Per
fortuna ho un tavolo e alcuni piatti... In una casa dove ho abitato c'erano solo un
paio di assi, da appoggiare su due sedie. Il tavolo è una gran bella cosa, poiché
puoi sempre tastare qualcuno sotto di esso. Infatti Jean e io giochiamo tra di noi
durante tutta la cena. Billie se n'accorge, ma non gliene importa. Dopo un po',
però, il suo interesse si acuisce, e anche lei comincia a giocare con Jean. Sediamo
là, io con il cazzo in mano a Jean, Jean con la gonna fin sopra il culo, e Dio solo
lo sa che cosa sta facendo Billie... ma tutti e tre seguitiamo a parlare, a dire
quant'è difficile trovare della buona mortadella, o qualche altra fottuta cosa del
genere. È roba da idioti.
Jean crolla per prima. Non le va — dice — un altro caffè. Ha le mutande
roventi — dice — e quello che le va è di denudarsi. Dà al mio cazzo un'altra
strizzata, più forte, e si alza da tavola, dando una scossa al culo per raddrizzarsi
la gonna. Va al divano e ci si sdraia, offrendo alla nostra vista un bel po' di coscia
nuda... mentre noi decidiamo cosa fare di lei.
"Mi hai portata qui per farmi scopare da lui, no?" dice Jean, a Billie, alla fine.
"Perché non te ne vai e così lui si dà da fare?"
Billie non vuol saperne, di andar via sul più bello. Dopo tutto — dice — è già
stata a guardare, mentre io chiavavo Jean, un'altra volta.
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"Hai sempre voglia di star a guardare, eh, quando mi faccio fottere," si lamenta
Jean. "Ti piace pensare ch'io sia una maiala."
"Lo sei veramente. Una scrofetta delle più lerce. Una porcella che non ha
l'uguale, in fatto di maialeria. Una troietta della razza più sporcacciona."
"E tu? Tu sei peggio di una cagna in calore. Una vacca, ecco quello che sei —
comprese le corna."
"Oh, sentila, la piccola vipera! Io, mia cara, non torno mica a casa con la
sburra che mi cola dalla bocca sulla blusa ! "
"Oh, no. Tu l'ingoi fino all'ultima goccia."
Il bello è che si scambiano queste fiorite invettive come se fossero convenevoli,
galanterie. È sedativo, starle ad ascoltare. Durano un pezzo a scambiarsi insulti.
Potrebbero seguitare tutta la notte. Mette pace nel cuore, ascoltare 'ste due
figazze dirsi dolci cose zozze a vicenda.
Billie rincara la dose. "Raccontagli a Alf, di quel ragazzo che t'ha cagato sul
petto, e poi t'ha spalmato la merda sulla faccia! "
"Non ci parlo più con te," dice Jean... e arrossisce anche. Cazzo, forse
qualcuno l'ha costretta a fare quelle porcherie.
Billie dà a Jean una bella tastata, prima di cominciare a spogliarla. Lo sa bene,
lei, come arrapare Jean. E dopo un po' Jean infila una mano sotto la gonna di
Billie, tastandole quella fica pelosa che tante volte ha mangiato, senza mai
saziarsene. Billie sfila a Jean le mutande e le tira su la gonna.
"Voglio mostrare la tua fica ad Alf," dice, "poiché non credo che lui ne abbia
voglia, affatto. Come fai, se lui non vuol chiavarti?"
"Non voglio che tu gliela mostri," dice Jean. "Se gliela volessi far vedere, gliela
mostrerei da sola. Perché non gli mostri la tua, puttanaccia?"
"L'ha già vista," le assicura Billie. "E l'ha pure chiavata..."
Tira su la gonna di Jean fin sopra il ventre a mette tutto quanto in mostra per
me. Jean scalcia, e dà in escandescenze, Billie le fa solletico sugli inguini. Jean
agguanta la gonna di Billie e gliela tira su, scoprendole il culo. Cristo, se il cazzo
mi diventa poco poco più duro, potrò usarlo come schiaccianoci...
"Cosa cerchi di fare?" domanda Billie. "Vuoi che lui veda quella cosa che tu
lecchi ogni sera, eh? Allora gliela mostro... ma tu devi mostrargli in che modo
l'adopri, piccola pervertita, piccola sporca leccafiche!"
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"Io sono più donna di te!" le grida Jean. A questo punto ha tanto aggrovigliato
la gonna di Billie che Billie se la sfila, semplicemente, scalciando. Entrambe sono
adesso a culo nudo, lottano sul divano. Billie cerca di buttar Jean in terra. Jean
tenta di togliere a Billie il resto dei vestiti. Se giocano così ogni sera — mi dico io
— è un bel guaio per i loro vestiti!
"Sei una sporca leccaculi, sei!" digrigna Billie.
"Sono una vera donna, mentre tu sei soltanto una puttaniera!"
"Ah ah! Sentite chi parla! Lo consideri un uomo, un vero uomo, uno che dà via
il culo e ciuccia il cazzo? No, certo. E allora perché insisti a considerare te stessa
una vera donna?"
"Ficaiola!"
"Puttana ambosessi!"
Poi, d'un tratto, così come si erano scalmanate, si chetano, quasi qualcuno
avesse schiacciato un bottone. Sembrano fondersi, ora, squagliarsi, sciogliersi,
l'una nelle braccia dell'altra. Sbaciucchiano, si accarezzano, Billie vellica la fica a
Jean, Jean lecca il seno a Billie.
"Ti ciuccio, se sei pronta," sussurra Jean.
"No... ti ciuccio io," dice Billie.
"No, la donna sono io," dice Jean. "Tu sei mio marito... devo essere io a
succhiarti."
Si tolgono il resto dei vestiti poi Jean scivola giù dal divano e si infila fra le
gambe di Billie. Billie si adagia all'indietro e solleva il culo affinché Jean possa
arrivare alla sua fica, e
Jean comincia a baciarla. Le lecca il ventre, i seni, poi ritorna giù sulla fica.
Jean sarà, come dice, tutta donna, ma Billie le piace tanto quanto le
piacerebbe un uomo. Cristo, per poco non se la mangia viva. Le morde il ventre,
le lecca le tette e le bacia le cosce... dopo un po' sfrega il naso sulla fica di Billie,
tenendola aperta con le dita, per ficcarci dentro il naso ben bene. Poi ci infila la
lingua e si dà a leccare furiosamente.
"Oh, è buona e succosa stasera! "dice, non appena l'ha assaggiata. "E ti sei
data profumo Orange Blossom sul pelo, nev-vero?..."
"Ti sei tradita, bella mia!" esclama Billie, stringendo le ginocchia per tener
ferma Jean. "È il profumo di Ruth, quello! Me l'immaginavo che la succhiavi!
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Confessalo adesso, piccola bugiarda... ti sei lasciata tenere da lei sulle ginocchia,
eh?"
"Solo... solo un pochino..." deve confessare Jean.
"Solo un pochino! Mi toccherà metterti il guinzaglio — da quella cagna che sei
— per non farti andar in giro qua e là con la lingua di fuori. Aspetta, aspetta... la
prossima volta che Ruth verrà a trovarci, ti costringerò a leccarle la fica davanti a
tutti, chiunque sarà presente... e non mi importa chi ci sarà! Ficca dentro la
lingua, adesso. Lecca! Ora, basta... Adesso mi leccherai il culo..."
Jean non protesta neppure. Billie si mette a culabusone e Jean, docile,
obbediente, le allarga con dolcezza le natiche e infila la lingua a succhiello nel
buco, glielo trapana a lungo, con arte provetta.
A questo punto non ne posso più. Jean Jeudi è sul sentiero di guerra. Arruffa
le penne, alza la cresta... tra un po' si mette a fare chicchirichì... Io so essere
paziente, lui no.
Né l'una né l'altra di quelle due fiche si accorge di me, finché non gli sono
sopra. Allora Billie si gira e io — probabilmente perché m'ha visto lei per prima —
le salto addosso. Le agito il cazzo sotto il naso.
Billie non vuole aver nulla a che fare col mio uccello, ma io mi avvolgo intorno
a lei come una scimmia a un palo e glielo strofino in faccia. Questo non fa sì che
le piaccia di più, ma a me non me ne frega niente, se le piace oppure no. Le punto
la cappella contro la bocca e le umetto le labbra con essa. Jean alza gli occhi
verso di noi, da qualche parte sotto il culo di Billie... sta ancora succhiando, da
brava ragazza...
Devo impiegare mezzi energicamente persuasivi per ottenere ciò che voglio. Ma
Billie non è cattiva di cuore... si ritiene quasi un uomo, quindi deve capirlo, quello
che io provo... finalmente se lo lascia infilare nella bocca e incomincia a succhiarlo. Ma mentre io tento di decidere se lasciare che Johnny se ne venga in quel
modo, oppure no, anche Jean salta sopra il divano. Vuole essere chiavata, dice,
ed è un peccato sciupare quel bel cazzo per Billie, dal momento che Billie non lo
apprezza veramente.
"Ti piace la mia piccola puttana, eh?" mi domanda Billie. "Aspetta ch'io abbia
finito di scozzonarla... Farò di lei una vera puttana..."
Non so cosa intenda dire con questo... Jean è già una puttana, se mai ne ho
vista una... non di quelle antipatiche, di quelle strafottenti. Qualsiasi cosa Billie
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possa farle, il risultato non rappresenterà certo un miglioramento, rispetto a
quello che Jean è adesso... Mi metto a chiavarla e lei si dimena con me... allunga
una mano per dare a Billie un pizzico sul seno...
Billie vuole che le si lecchi la fica, quindi ci rotoliamo su un fianco, e lei
incunea il culo fra le nostre facce. Jean spinge il viso fra le cosce di Billie e io mi
sporgo con la testa oltre il fianco di Billie per guardare.
A Jean piace essere guardata, e fa un gran bel lavoro su Billie. Le lecca il
boschetto e poi affonda la lingua nell'umida fessura... e più bagnata diventa la
fica di Billie, più lei prova gusto a scopare con me. Ha il naso zuppo, ha succo di
fica sul mento... e produce un rumore che somiglia di tanto in tanto dello
sciacquone d'un cesso, vagamente... Lo fa sembrare tanto carino, ch'io ci provo, a
mia volta, a produrre un rumore uguale. Mordo il culo di Billie e le infilo un dito
sotto la coda, per titillare il luogo che Jean sta succhiando.
Billie pare indovinare quello che ho in mente io... si gira e porge il culo a Jean,
sbattendo in faccia a me quella sua fica zuppa, aperta, sgocciolante. Non cerca
però di spingermela dentro la bocca... si limita ad aspettare per vedere cosa farò
io. Diamine, non è questo il momento di formalizzarsi... Jean e io ci scambiamo
un'occhiata fra le cosce di Billie. Io ho la coda infilata dentro di lei... una coda che
pare misuri tre piedi... anche se in realtà non misurerà probabilmente più di due
piedi e mezzo... e siamo entrambi così completamente arrapati che non
connettiamo più.
Jean tira fuori la lingua e dà una lenta, deliberata leccata al culo di Billie. Poi
un'altra. Poi mi ficca la lingua in bocca. Quella lurida, pidocchiosa fica! Mi
incazzo a tal punto che non riesco a pensare a nient'altro per rifarmi, se non
leccare la fica a Billie e poi sputare il succo in faccia a Jean... ma mi limito a
pensarci.
La fica di Billie ha un odore meraviglioso. Immergo il naso nel suo boschetto e
mi do ad annusare per un paio di minuti. Se è Orange Blossom, come dice Jean,
ebbene Orange Blossom mi piace... ma secondo me ha semplicemente l'odore di
una bella fica pulita... la bacio alla fine, e poi la lecco. La lingua di Jean e la mia
si incontrano fra le cosce di Billie. Io comincio a succhiare, e così pure Jean. Billie
va in estasi...
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D'un tratto Billie se n'è venuta. Se n'è venuta e versa succo di fica a litri. Ce
n'è troppo, perché io possa succhiarlo tutto... quindi, dopo ch'io ho dato una bella
ingozzata, Billie sposta il culo verso Jean e Jean dà a sua volta un sorso.
Jean dev'essere inebetita, a furia di scopare. Si mette a ridere, e per un po' ho
paura che divenga isterica. Le do una pacca sul culo e lei ride meno forte.
"Non ti preoccupare," dice, ridendo, "me ne verrò in silenzio."
E così se ne viene. Non m'accorgo né quando comincia né quando finisce, ma
da qualche parte fra l'inizio e la fine me ne vengo pure io. Il mio cazzo
semplicemente si svuota dentro di lei e io premo la faccia contro la fica di Billie e
la succhio, mentre riempio di sburra l'utero di Jean. Questa lesbica e la sua
amica mi hanno offerto la scopata più soddisfacente di queste ultime settimane...
Fine della cavalcata. Fine di una lunga, lunga cavalcata. Finito, tutto finito.
Adesso incomincio a chiedermi dov'è che sono salito su questa giostra, e perché
mai ne sono sceso proprio in questo posto... Bah, un posto vale l'altro, suppongo.
Il trucco consiste nel non soffrire troppo di vertigini mentre la giostra gira,
dimodoché tu possa camminare diritto quando scendi. Da questa parte, per le
Montagne Russe... per l'Otto Volante! Vi porteranno da nessuna parte, in maniera
ancor più inebriante... da lasciarvi senza fiato.
Oggi sono andato al giornale e c'era ad aspettarmi quel bigliettino che ho
sempre cercato ma mai mi aspettavo di trovare veramente. Due settimane di
paga, anche; che sono servite a pagare i debitucci accumulatisi nel corso dei due
anni trascorsi al giornale. Così sono in paro.
La cosa divertente è che sono stato licenziato per un articolo che non ho scritto
io. Così mi dicono, almeno. Insomma, chissà come è stato scritto un articolo di
cronaca che diceva qualcosa riguardo a qualcuno ch'è amico di qualcuno in alto
loco. Non l'ho mai visto, quel pezzo, ma sta di fatto che si ritiene che l'abbia
scritto io. Era stato affidato a me l'incarico di scriverlo, uno di quei giorni in cui
aiutavo Sam a ubriacarsi, e poiché non risulta che io fossi fuori servizio... e
siccome questo giornale è il casino che è... se ne desume che sono io quello che
ha scritto quell'articolo. Inutile protestare, naturalmente... Farei solo licenziare
qualche altro povero bastardo, uno magari che ha moglie e otto figli. Sono sempre
quelli che hanno moglie e otto figli a fare il lavoro degli altri... hanno tanta paura
di perdere il posto che neanche sopportano di vedere qualcun altro nei pasticci.
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Quindi eccomi in paro da tutte le parti. Per tanto tempo ho riscosso la paga senza
far nulla, e adesso vengo licenziato per lo stesso motivo. È fantastico.
Beh, devo sloggiare... quindi mi accingo a svuotare la scrivania. Non posso
svuotare la scrivania, non c'è niente dentro i cassetti. Non ci ho mai messo
niente. Vorrei solo salutare e dare un'ultima tastata alla bionda che, di tanto in
tanto, passa per la redazione con le piume della coda per aria, ma non c'è, in giro.
Uscito in strada, mi sento euforico. Anche se non ci passavo mai più di un'ora
o due al giorno, in quella redazione, mi godo adesso la mia libertà, lo stesso.
Come un ragazzo che ha marinato la scuola. È una bella giornata. Sono pieno di
gioia. Dove vado?
Andrò da Sam. Vedrò un po' di scroccargli qualcosa, dato che ora son
disoccupato. Ci sono mille cose che potrei fare per Sam. Cazzo, se necessario
posso pure dare una spinta a Carl e prendere il suo posto, nel commercio di opere
d'arte fasulle, ma non credo che mi occorra di arrivare a questo.
Vado all'hotel di Sam, cercando di inventare qualcosa da dargli da intendere. O
sennò — penso — posso anche dirgli che sono stato licenziato per essermi
ubriacato insieme a lui... dovrebbe mantenermi, allora. Comunque, non sono
preoccupato.
Suono il campanello, là da lui, un paio di volte, ma non succede niente. Sto
per andarmene quando la porta si spalanca e appare Sam sulla soglia. Sembra
alquanto ubriaco...
"Entra, entra..." mi fa. "Hai con te degli amici? Vengan pure anche loro."
"No, sono solo. Senti, Sam..."
Lui m'interrompe e indica la porta della camera da letto. "Lei è di là", dice. "Vai
a chiavarla, va'..."
Non so a chi alluda. A Tania, forse. Invece, entro... e c'è Susan distesa sul
letto, nuda bruca.
"Su, dai, scopala," mi sollecita Sam. "Prima bevi, però."
"Senti, Sam..."
Lui m'interrompe. "Non dirmi che la mia signora non vale una chiavata", mi fa,
porgendomi il bicchiere. Poi arraffa delle carte sul comò... Sono le foto che abbiam
fatto a Susan quella famosa sera. "Su, coraggio!"
Io guardo la porta. Ho una mezza voglia di battere in ritirata... Senonché Sam
non ha affatto l'aria di uno che sta per tirar fuori una pistola... o roba del genere.
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No. Lui va là da sua moglie, la scuote, la tira giù dal letto e la spinge verso di me,
dicendo: "Su, coraggio. Avanti, puttana, fagli un bocchino. T'ho vista in fotografia.
Voglio vederti dal vivo, adesso."
Anche Susan è sbronza. Viene verso di me, traballando, e mi si inginocchia
davanti. Io faccio per scostarmi, ma lei mi abbraccia. Mi bacia sul davanti dei
calzoni e mi infila le dita nella pattuella.
È agghiacciante, m'impietrisco. Devono essere impazziti. O son diventato matto
io. Guardo Susan che mi sguaina l'uccello e incomincia a leccarlo... Poi me lo
piglia in bocca...
"Snuggles!" urla Sam.
Entra Snuggles saltellante dalla stanza attigua. È nuda, anche lei, ma non ha
l'aria spaventata. Questo è buon segno... Se Sam fosse impazzito, lei si
cacherebbe sotto dalla paura.
"Vieni qua, sul letto," dice Sam. "Anche tu, Alf. Su, avanti, chiavale entrambe...
l'hai già fatto altre volte. Anche io le chiaverò tutte e due. L'ho già fatto prima
d'ora..."
"Senti, Sam," dico io, "che vuol dire tutto questo?... Cosa sta succedendo?"
"Tutto questo è Parigi!" lui esclama. "Parigi, dove tutto succede, tutto è lecito!
Parigi, dove apprendi tante cose che non sapevi, su te stesso. E sui tuoi cari." Fa
un cenno a Snuggles e lei gli va vicino e gli agguanta l'uccello, comincia a
baloccarcisi. Lui le mette le mani nella fica e, frattanto, mi dice: "Voglio conoscere
anche i tuoi amici... Ernest e Sid... e anche il fratello frocio di Tania... Credo che
mi darà gusto guardare un finocchio fottersi mia moglie... E poi magari gli darò
'sto cazzo da ciucciare. Portali tutti. Tutti, tranne quello stronzo di Cari, Voglio
conoscere tutti quelli che si sono scopati la mia famiglia." Spinge via Snuggles e
grida a Susan di venir oltre e ciucciargli l'uccello per un po'. Poi decide che siano
tutte e due a ciucciarglielo, a turno.
"Daremo una gran festa, Alf, stasera. Ci saranno anche lesbiche e finocchi. Ah,
lo sai? Una certa Billie s'è portata a letto mia moglie. E anche mia figlia. Questa è
Parigi, Alf. Figa e champagne per tutta la brigata! U-là-là! Allegria, allegria! Oh, sì,
inviterò anche Tania, anche Alexandra... Batterò Parigi sul suo stesso terreno, io,
Alf. Surparigerò Parigi!"
"Sam, credo che tu stia commettendo un errore..."
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"Macché, Alf. Su, amico, perché non ti dai da fare? Per-ché non scopi una di
'ste due troie? Mi sto ammazzando, per cercare di spupazzarmele tutt'e due... Se
non si ciucciassero a vicenda, sarei già bell'e morto! "
"Senti, Sam, a comportarti come un matto in questo modo farai solo del male a
te stesso. Hai un'azienda da mandare avanti... hai i tuoi affari cui badare..."
"Affari? Quali affari? Non ne ho! Alludi forse a Severin? Oh, vada a farsi dare in
culo, pure lui. Lui e Carl. Quel bastardo di Carl mi sta sul cazzo. Vada al diavolo!"
"Ma, Sam, che cosa hai in animo di fare?"
"Divertirmi! Voglio vedere fin dove sono capaci di arriva-re queste due troie
mie. Voglio scoprire fino a che punto sono capaci di degradarmi, di disonorarmi,
di trascinare il mio nome
nel fango. Mi risulta che i tuoi amici si son fatti pagare, quella sera, per dar la
figa di mia moglie a certi tizi raccattati per la strada. Bene, farò altrettanto, e pure
peggio. Poi, quando avrò scoperto tutto quello che c'è da scoprire su loro,
torneremo in America. Hanno voluto Parigi... Ebbene, gli darò tutta la Parigi che
possono sopportare! "
Me ne sto lì col cazzo penzoloni, senza più saper che fare, né che dire. Non
m'era mai capitato niente del genere. Non sapevo neanche che cose del genere
accadono. Ho tuttora la sen-sazione che Sam sia picchiato in testa. Ora mi
domanda se voglio vedere Susan e Snuggles che fanno tête-bèche.
"Senti, Sam, non ho tempo, adesso. Devo scappare. Ho un appuntamento. Sai,
devo cercarmi un lavoro. Mi hanno licenziato dal giornale e..."
"Hai perso il posto, eh? Ti hanno cacciato! Beh, era ora che ti prendessero a
calci. Quanto vuoi in prestito?"
"Non voglio niente in prestito, Sam. Voglio che tu mi dia dei soldi."
"Adesso sì, che parli da uomo, perdio! Esci allo scoperto e chiedi. Quant'è che
vuoi? Dillo in soldi americani..."
Sta già agitando un libretto di assegni. Io colgo la palla al balzo e gli sparo una
cifra. Il doppio di quella che avevo in mente prima di aprir bocca.
Senza battere ciglio, lui stacca l'assegno e me lo porge. Lo afferro, come un
naufrago si aggrappa a un relitto galleggiante.
"Torna presto, se ti servono altri soldi," mi dice. "Eppoi mi devi aiutare a
scopare 'ste fighe, stasera... mi raccomando."
Annuisco, poi mi precipito fuori, prima che lui cambi idea.
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Sceso in strada, corro a prendere un taxi che mi porti alla banca. Sto
scappando via, e non intendo smettere di scappare. Non smetterò di scappare
finché non avrò comprato un biglietto per l'America con i soldi di Sam e non sarò
salito sulla nave. E poi, appena arrivato in America, mi rimetterò a scappare ancora. Sto scappando via e non intendo smettere di scappare finché non avrò
messo un bel po' di oceano fra me e Sam Backer, Susan, Snuggles, Tania,
Alexandra e le altre pazze troie che, da un anno a questa parte circa, mi stanno
facendo diventare lentamente matto. Andrò in America e mi comprerò, o mi fabbricherò, o mi farò fare su misura una bella fica meccanica, una macchina per
fottere, che vada a elettricità e che si possa spegnere, staccando la spina dal
muro, quando la valvola sta per saltare e cominciano i guai.
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EPILOGO
La seguente è una dichiarazione giurata di Milton Luboviski, resa presso
l'Ambasciata degli Stati Uniti di Parigi il 10 marzo 1983, relativa alle circostanze
in cui il suddetto commissionò a Henry Miller la scrittura di Opus Pistorum:
Nell'estate del 1940 ero socio della Libreria Larry Edmunds, sita al № 1603 di
North Chuenga Boulevard in Hollywood (California). Nel settembre di quell'anno,
Henry Miller venne alla libreria una domenica pomeriggio, e, trovandola chiusa, si
mise a bussare alla porta. Gli andai ad aprire. Egli si presentò e io lo feci entrare.
Così ebbe inizio un'amicizia che sarebbe durata per circa 35 anni. A quell'epoca
Henry aveva pochi o punti soldi e conosceva pochissime persone in California. Io
lo aiutai finanziariamente, di tanto in tanto, lo presentai a della gente e gli trovai
un posto dove abitare.
Il 1° settembre 1941, Larry Edmunds morì e io divenni unico proprietario della
libreria. A quell'epoca gli affari non andavano bene e io, per arrotondare le
entrate, vendevo opere pornografiche, quando riuscivo a procurarmene. I miei
clienti erano soprattutto produttori cinematografici, registi, sceneggiatori, gente
come Joseph Mankiewicz, Julian Johnson, Daniel Amfitheatroff, Billy Wilder,
Frederick Hollander, Henry Blanke e altri.
Henry Miller, avendo bisogno di denaro, mi propose di scrivere per me del
materiale, ch'io potessi rivendere. Io gli offrii in pagamento un dollaro a pagina,
fermo restando che egli mi avrebbe ceduto tutti i diritti su quello che scriveva per
me. Di lì a non molto, cominciò a portarmi varie pagine alla volta e io lo pagavo in
contanti, al prezzo pattuito. Nel giro di alcuni mesi si accumularono tante pagine
da formare un libro, ch'egli stesso intitolò Opus Pistorum.
Quando mi consegnò le ultime pagine, verso la metà del 1942, ricordo ch'ebbe
a dirmi: "Ecco la fine del libro. Spero che tu ci guadagni tanto da pagarti l'affitto
per qualche mese." Io ribattei a macchina l'intero manoscritto, facendone quattro
copie carbone. Feci rilegare tutti e cinque gli esemplari. Dopo un po' ne vendetti
tre copie: a Julian Johnson, a Daniel Amfitheatroff e a Frederick Hollander.
Alcuni anni più tardi ne regalai una copia a un amico, Robert Light. L'originale lo
tenni per me.
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