27. “Il filo del rasoio” di William Somerset Maugham (1944)
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27. “Il filo del rasoio” di William Somerset Maugham (1944)
27. “Il filo del rasoio” di William Somerset Maugham (1944) Signore e signori, ecco qua un gran libro! Cosa lo rende tale? Tutto! Ben scritto, scorrevole, profondo, tragico, complesso ma non complicato, piacevole. Britannico come pochi, aggiungerei. Capita molto spesso di identificare il “mood” inglese come distaccato, imperturbabile, elegante, sagace: quest'opera è esattamente così. “Il filo del rasoio”, lavoro massimo di Somerset Maugham, racchiude i sogni ed i problemi di un’intera comunità in evidente decadimento. Gli anni ruggenti stanno andando a prendersela nel culo a causa del crack finanziario del 1929, la società nordamericana sta consolidando i suoi valori calvinisti attraverso parties e ricevimenti; il dollaro dice sempre la sua e vuole avere sempre ragione... Qualche voce fuori dal coro qua e là, qualche snob incontrollabile, qualche differenza fra la Francia e gli Stati Uniti del medesimo periodo... Ma una costante avvolge tutto il libro: il riccone americano da esportazione. Tracotante, intraprendente, vacuo, incastrato nei suoi stessi soldi ed in quelle mode che fanno girare altri soldi. Ma fin qui niente di nuovo, direte voi. L’intero romanzo, però, non appare solo come una costruzione monolitica intorno alla “Bella America” (del mio cazzo) stile Francis Scott Fitzgerald, ma appare piuttosto come un paragone continuo: di fronte alle menate delle Fighe di Quercia (Oak Wood Chicks) della buona società, un individuo magnetico si distacca dal suo gruppo di amici ed inizia a girare il mondo alla ricerca di una vera e propria illuminazione spirituale; ovviamente (come in ogni libro) il viaggio da solo vale l’ottanta per cento della formazione finale, a prescindere dal santone di turno incontrato nell’ultima tappa. Risultato: il paragone fra le scelte compiute dagli amici e quelle compiute del giovane è automatico e pesa in modo decisivo sul giudizio del lettore (anche perché l’autore non manca di suggerire piccole frecciate verso il modaiolo mondo dei Gran Galà). In questo libro ci sono buone maniere tanto quanto ci sono puttane drogate, donne disperate, uomini arrivisti, artisti della mia banana e finanzieri con pochi scrupoli. Praticamente manco solo io all’appello, per completare un bel quadro di teste di cazzo. Libro occidentale alla ricerca di una spiritualità post-imperialistica, “Il filo del rasoio” si allinea in quel filone che anche i famosi “Orizzonte perduto” di James Hilton, “Il re della pioggia” di Saul Bellow o il celeberrimo “Siddharta” di Herman Hesse hanno reso fortunatissimo. Gran libro veramente, caldamente suggerito a chi si è stancato di leggere della merda di cane. Parola di LordCasco